TAR Napoli, sez. V, sentenza 2015-11-06, n. 201505205

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2015-11-06, n. 201505205
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201505205
Data del deposito : 6 novembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05918/2014 REG.RIC.

N. 05205/2015 REG.PROVCOLL.

N. 05918/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5918 del 2014, proposto da:
L R, rappresentato e difeso dall'avv. M C, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, alla via P. Colletta, 12;

contro

Ministero dell'Interno - U.T.G. - Prefettura di Caserta e Questura di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Napoli, alla via Diaz, 11;

per l'annullamento

previa sospensione

- del decreto prot. n. 49812/6D/Area 1 Bis del 22.10.2014 della Prefettura di Caserta, recante divieto di detenzione armi, munizioni e materie esplodenti;

- del decreto Cat.6F/PASI del 10.7.2014 della Questura di Caserta, recante rigetto della richiesta di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia.


Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2015 il dott. Pierluigi Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto notificato in data 17 novembre 2014 e depositato il 27 seguente, il sig. L R ha premesso di essere stato destinatario dei decreti, emessi in data 10 luglio 2014 e 22 ottobre 2014 dal Questore e dal Prefetto della provincia di Caserta, recanti rispettivamente il rigetto della richiesta di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia, ex artt. 11 e 43 del R.D. 18.6.1931 n. 773, ed il divieto di detenere armi, munizioni e materiale esplodente, ai sensi dell’art. 39 dello stesso T.U.L.P.S.

A sostegno della domanda giudiziale di annullamento di entrambi i provvedimenti lesivi ha proposto cinque motivi di diritto così rubricati:

1) violazione e falsa applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 C. - violazione degli artt. 7 e 10 della L. n. 241/1990 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione;

2-3-4-5) violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 24 e 97 C., degli artt. 11, 39 e 43 del R.D. 18.6.1931 n. 773 nonché dell’art. 3 L. n. 241/1990 – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere per travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta, istruttoria lacunosa ed errata, difetto di motivazione, violazione dei principi generali in materia di autorizzazioni di polizia.

Ha resistito in giudizio l’intimata amministrazione, depositando documenti e memoria difensiva con cui ha concluso con richiesta di rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 119 pronunciata in esito alla camera di consiglio del 15 gennaio 2015 questa Sezione V ha accolto la domanda cautelare.

Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2015, sentiti i difensori presenti, come da verbale, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

Va premesso che entrambi i provvedimenti impugnati con l’odierno ricorso, recanti il rigetto della richiesta di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia ed il divieto di detenzione armi, munizioni e materie esplodenti, pur distinti sotto il profilo funzionale e quanto all’autorità competente (rispettivamente, Questore e Prefetto della provincia di Caserta), si basano sui medesimi elementi fattuali, così compendiabili:

- il ricorrente è stato condannato alla pena di € 580,00 di ammenda per il reato di guida in stato di ebbrezza, ex art. 186, comma 2, del codice della strada (fatto commesso l’8.6.2006) con decreto penale del 7.7.2007 emesso dal G.I.P. del Tribunale di S. Maria C.V;

- i suoi due figli conviventi V e L. sono stati controllati in più occasioni in compagnia di soggetti con precedenti di polizia (relativi anche alla materia degli stupefacenti).

Coi cinque motivi d’impugnazione proposti, dei quali si è già riportata sopra la rubrica, l’instante ha sostanzialmente lamentato:

- l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento culminato nel decreto prefettizio del 22.10.2014, con conseguente violazione del principio del contraddittorio garantito dall’art. 10-bis della L. n. 241/1990;

- il difetto di istruttoria e di motivazione di ambedue i provvedimenti, venendo in rilievo un unico fatto di reato, remoto nel tempo e da considerarsi estinto ex art. 460, comma 5, del c.p.p.;

- la genericità del riferimento alle frequentazioni con soggetti pregiudicati tenute dai propri figli.

Ad avviso del Collegio, l’iniziale pronuncia cautelare favorevole va superata in quanto il ricorso, ad un più approfondito esame, si palesa infondato e deve pertanto essere respinto.

Osserva il Collegio che, ai sensi dell’art. 39 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, il potere riconosciuto al Prefetto di vietare la detenzione di armi e munizioni ai soggetti ritenuti capaci di abusarne è connotato da elevata discrezionalità, in considerazione della funzione per cui lo stesso è attribuito, consistente nella tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, anche con finalità di prevenzione della commissione di illeciti. Allo stesso modo, il Questore, nel decidere se rilasciare ovvero rinnovare una licenza relativa alle armi, è titolare di amplissima discrezionalità e quindi può valorizzare ai fini della decisione qualunque circostanza dalla quale si possa desumere l'inaffidabilità dell'interessato, ai sensi degli artt. 11 e 43 del citato T.U.L.P.S..

Ne consegue che il divieto di detenzione di armi, munizioni ed esplosivi, così come il diniego della licenza di porto di fucile per uso venatorio, non richiedono un oggettivo ed accertato abuso nella tenuta delle armi, essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell'Autorità amministrativa competente (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576;
sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039 e 31 marzo 2014, n. 1521). Si tratta, dunque, di un giudizio prognostico che ben può essere basato su elementi anche soltanto di carattere indiziario, stante il potenziale pericolo rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 11 dicembre 2009, n. 7774 e 29 gennaio 2010, n. 379).

In giurisprudenza si è peraltro condivisibilmente chiarito che il porto d'armi e la detenzione delle stesse non costituiscono un diritto assoluto ma rappresentano, invece, un'eccezione al normale divieto di detenere e portare armi, sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, L. n. 110 del 1975, eccezione che può divenire operante soltanto nei confronti di persone che non lascino dubbi circa il loro corretto uso e che non possano mettere in pericolo l'ordine pubblico e la tranquilla convivenza della collettività (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 10 gennaio 2013, n. 71;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 8 aprile 2015, n. 2001).

Venendo al caso di specie, il Collegio ritiene che la valutazione di persistente inaffidabilità dell’instante compiuta da entrambe le autorità emananti è conforme ai principi sopra richiamati ed esente dai prospettati vizi di legittimità.

Invero, l’abuso di bevande alcoliche – in considerazione dei noti effetti negativi circa il controllo dell’inibizione, la perdita della coordinazione motoria e le distorsioni a carico del sistema percettivo, fino ai casi più gravi di incoscienza indotta dall’assunzione di dosi elevate – assume particolare rilevanza in materia di armi per cui non è affatto irragionevole la valutazione della specifica rischiosità della grave condotta contestata ai fini della prevenzione dei pericoli per la sicurezza e l’incolumità pubblica. Infatti, l’alterazione psicofisica connessa allo stato di ebbrezza impedisce (quanto meno) di prestare una vigile attenzione, al fine di evitare non solo che altri possano impadronirsi delle armi, ma anche che lo stesso titolare della licenza possa fare un uso sconsiderato delle stesse arrecando nocumento a sé stesso o a terzi (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 24 ottobre 2005, n. 3883).

Quanto al segnalato decorso di un ampio arco temporale dal verificarsi dell’episodio (dal 2006 al 2014), va osservato che il semplice trascorrere del tempo non può di per sé impedire la valutazione del rischio riferita al fatto commesso. Né il ricorrente ha dimostrato la sopravvenienza di fatti positivi idonei a superare la pregressa valutazione negativa, non potendosi reputare decisiva al riguardo la intervenuta estinzione del reato. Invero, in tal caso, l’amministrazione mantiene il potere di valutare il fatto-reato nella sua obiettiva dimensione storica, indipendentemente dalla formale estinzione del reato, con la conseguenza che la riabilitazione ovvero l’estinzione del reato non sono circostanze decisive per desumere il venir meno del giudizio di pericolosità o di inaffidabilità del soggetto (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 14 novembre 2014, n. 5595). Si è già detto, infatti, che la valutazione della capacità di abusare delle armi non sconta, necessariamente, l’esistenza di precedenti penali in capo all’interessato, ben potendo basarsi su un giudizio probabilistico ragionevolmente dedotto dalle complessive circostanze di fatto (cfr. Consiglio di Stato, zez. VI, 18 novembre 2010, n. 8102;
sez. III, 6 settembre 2012, n. 4731 e 1 agosto 2014, n. 4121).

Dalla documentazione esibita in giudizio dall’Amministrazione risulta smentito anche l’assunto del ricorrente circa la pretesa genericità delle cattive frequentazioni addebitate ai figli del ricorrente. Difatti, nella comunicazione di avvio del procedimento di diniego del porto d’armi (spedita in data 2.7.2013) sono puntualmente specificati i nove controlli effettuati da personale delle Forze di Polizia, con dettagliata indicazione delle date, degli orari, dei luoghi, delle persone e dei loro precedenti di polizia e penali, trovando conferma pure la circostanza che questi ultimi si riferiscono anche alla materia del traffico illecito di sostanze stupefacenti. Trattasi di elementi fattuali che, pur non riguardando direttamente la persona del ricorrente, assumono comunque rilevanza nell’ambito del complessivo giudizio rimesso alle cure delle autorità di p.s., non risultando irragionevole dedurre ulteriori indici di pericolosità circa il possibile abuso delle armi dai ripetuti contatti con ambienti malavitosi intrattenuti dai suddetti stretti familiari.

Applicando le evidenziate coordinate normative e giurisprudenziali al caso di specie, va osservato in definitiva che il Prefetto ed il Questore della provincia di Caserta hanno esercitato le rispettive potestà discrezionali alla stregua dei richiamati parametri normativi, indicando fatti e circostanze in modo dettagliato e preciso e ricavandone un giudizio congruo di non sussistenza del requisito soggettivo dell’affidabilità, sulla base di una coerente e logica valutazione di elementi oggettivamente idonei, nel loro complesso, a fondare i provvedimenti.

In tale prospettiva, la dedotta violazione della L. n. 241/1990 assume carattere recessivo e non è idonea a determinare l’illegittimità del gravato provvedimento prefettizio. Invero, posto che la previa comunicazione delle ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza di rinnovo del porto d’armi è stata ritualmente fornita all’interessato dalla Questura e che gli stessi elementi fattuali sono stati posti a base anche dell’inibitoria prefettizia, il deducente si è limitato a reiterare le osservazioni svolte negli scritti difensivi prodotti al Commissariato di Maddaloni (in data 9.9.2013) e già sfavorevolmente valutati, senza allegare ulteriori elementi fattuali che avrebbero potuto influire sul contenuto finale della misura prefettizia (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 20 febbraio 2013 n. 1056;
C.G.A. per la Regione Sicilia, 22 novembre 2012 n. 1039), connotata peraltro dal carattere dell'urgenza.

In conclusione, per le ragioni che precedono, il ricorso deve essere respinto.

Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, ricorrendo le particolari condizioni di legge per far luogo a tale pronuncia.

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