TAR Napoli, sez. II, sentenza 2019-05-28, n. 201902853

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. II, sentenza 2019-05-28, n. 201902853
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201902853
Data del deposito : 28 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/05/2019

N. 02853/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01552/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1552 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da
C I, G I, L I, C S, L S, R S, rappresentati e difesi dagli avvocati G T, E T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Casoria, Regione Campania non costituiti in giudizio;

nei confronti

R V, Fiorentina D'Andrea non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

con il ricorso introduttivo:

dell’ordinanza di demolizione del Comune di Casoria ex art. 31 del d.P.R. 380/2001 n. 05/2018

con il ricorso per motivi aggiunti, depositati in data 26 settembre 2018:

1) dell’ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale e contestuale ordine di sgombero dell’immobile abusivo n. 59/2018;

2) del provvedimento di irrogazione di sanzione pecuniaria n. 43599/2018.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2019 la dott.ssa Germana Lo Sapio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti sono titolari del diritto di proprietà in comunione di un’area cortilizia di pertinenza degli immobili di loro proprietà – per quanto emerge in atti - esclusiva, identificati al Catasto Fabbricati del Comune di Casoria fl. 16 p.lla 59, sub 1-4-7-10-11-12-14.

2. All’esito di un sopralluogo condotto in data 14 giugno 2017 - nel cui verbale (prot. U/1201/PT del 15 giugno 2017) si dà atto di una precedente “denuncia verbale della sig.ra Iodice Carolina ” odierna ricorrente – nella predetta area è stato accertato che uno dei comproprietari, R V, senza alcun titolo abilitativo, aveva realizzato un’abitazione pari ad un volume complessivo di 140 mc, articolata all’interno in “ tre piccoli ambienti ”, adibiti a cucina, bagno e camera da letto.

Il Comune ha quindi comunicato l’avvio del procedimento ex art. 31 del d.P.R. 380/2001, oltre che alla responsabile, anche agli odierni ricorrenti;
né è seguita un’interlocuzione endoprocedimentale – come di seguito precisato – ed è stata successivamente adottata l’ordinanza di demolizione n. 5 del 23 gennaio 2018, impugnata con il ricorso introduttivo.

3. L’azione di annullamento è fondata, in sintesi, sulle seguenti due censure:

a) violazione dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001 per difetto di legittimazione passiva dei ricorrenti quali comproprietari dell’area in questione, i quali si affermano estranei alla realizzazione dell’abuso e privi della disponibilità materiale del bene, avendo intrapreso comportamenti attivi “ per il ripristino della legalità ”;

b) vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, in relazione alla precisa indicazione delle opere e dell’area di sedime interessate dalla preannunziata acquisizione dell’area al patrimonio del Comune.

4. A supporto della propria estraneità all’abuso, i ricorrenti rappresentano quanto segue:

-una di essi, la sig.ra C I, aveva avuto contezza della realizzazione abusiva dell’intervento edilizio in occasione di un suo ritorno a Casoria, essendo residente da decenni a Trani: in tale occasione aveva verificato che era stato attuato in suo danno uno “spossessamento clandestino e contra legem” si era pertanto immediatamente attivata, denunciando verbalmente l’accaduto presso l’ufficio tecnico comunale di Casoria (come attestato dal verbale di sopralluogo del 15 giugno 2017);

-all’esito della comunicazione ex art. 7 della legge 241/90 dell’avvio del procedimento di cui all’art. 31 del d.P.R. 380/2001, tutti gli odierni ricorrenti comproprietari in data 3 luglio 2017 avevano inoltrato una formale diffida, sia alla responsabile dell’abuso e a colei che occupava l’immobile ( a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento), sia al comune di Casoria a mezzo pec (all. 4), sollecitando quest’ultimo anche a trasmettere “gli atti alla locale Procura della Repubblica”;
di fatto però la diffida inviata con raccomandata alla responsabile dell’abuso non perveniva mai all’indirizzo della destinataria, essendo restituita al mittente per irreperibilità senza alcun seguito;

-in data 14 settembre 2017, quattro degli odierni ricorrenti, (C I, R S, L S, C S) avevano chiesto al Comune informazioni sullo sviluppo procedimentale, tramite il proprio legale, preannunciando, nel caso di ricorrenza dei presupposti, una denunzia per omissione di atti d’ufficio ex art. 328 c.p. a carico del responsabile del procedimento amministrativo (all.6) e avevano ricevuto riscontro con la nota del 3 ottobre 2017 (all. 7) nella quale il Comune rappresentava che: il procedimento amministrativo volto all’adozione dell’ordinanza di demolizione non era ancora concluso, non essendosi stata ancora perfezionata la fase preliminare di comunicazione dell’avvio ex art. 7 della legge 241/90 nei confronti di alcuni dei comproprietari residenti fuori comune;
l’ordinanza sarebbe stata comunque notificata sia alla responsabile (identificata in R V) che ai proprietari risultanti dai dati in possesso dell’Agenzia del Territorio;
era stata anche inoltrata denuncia in sede penale (con atto prot. 31928 del 15 giugno 2017, contestualmente pertanto al verbale di sopralluogo);

-infine, in data 26 settembre 2017, a mezzo del medesimo legale, tre degli odierni sei ricorrenti (R S, C S, L S) avevano chiesto l’accesso agli atti;
richiesta accolta con atto del Comune del 14 dicembre 2017 prot. 2452 (all. 10).

5. Pur dando conto della articolazione in fatto della prima censura, ritiene il Collegio che essa sia infondata.

5.1. Deve richiamarsi sul punto l’orientamento giurisprudenziale consolidato (alcuni precedenti sono riportati anche da parte ricorrente) secondo cui il proprietario del bene, non responsabile della realizzazione dell’intervento edilizio abusivo, può sottrarsi alle misure ripristinatorie previste dal d.P.R. 380/2001 solo qualora risulti “in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera o che essendone venuto a conoscenza, si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento” (Cons. Stato, VI sez., 4 maggio 2015 n. 2211;
da ultimo Cons. Giust. Amm. Sicilia 12 marzo 2019, n. 239).

In particolare, una volta venuto a conoscenza dell’abuso realizzato, il proprietario incolpevole di abuso edilizio commesso da altri che intenda “sfuggire all’effetto sanzionatorio di cui all’art. 31 testo unico dell’edilizia della demolizione o dell’acquisizione (…) quale effetto dell’inottemperanza deve provare l’intrapresa di iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all’abuso (…), siano però anche idonee a costringere il responsabile dell’attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa” (Cons. Stato VI sez., 4 maggio 2015 n. 2211, cit.: cfr. anche T.A.R. Napoli, sez. VI, 6 marzo 2018, n. 1416)

5.2. Essendo pacifico tra le parti che i ricorrenti non hanno partecipato alla realizzazione dell’abuso, neanche quali committenti, la questione sollevata con la prima doglianza si risolve pertanto nell’accertamento della seconda delle condizioni alternative sopra riportate, sulla base del materiale probatorio versato in atti e alla stregua della ripartizione dell’onere della prova art. 64 comma 1 c.p.a che, nella vicenda in esame, è posto in capo ai medesimi proprietari, trattandosi di verificare la sussistenza di fatti specifici rientranti nella loro sfera di disponibilità.

In sintesi, occorre accertare se la parte proprietaria – nel caso di specie i singoli comproprietari – almeno a partire dal momento della conoscenza dell’abuso, si sia attivata per la riduzione in pristino o, quanto meno, per dissociarsi completamente dalla condotta del responsabile dell’abuso, con “gli strumenti offerti dall’ordinamento”.

5.3. L’esame del compendio istruttorio depone però in senso contrario.

Pur volendosi ritenere che, almeno fino alla data della comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo ex art. 7 L. 241/90 del 19 giugno 2017, nessuno degli odierni ricorrenti fosse a conoscenza della realizzazione del manufatto (la circostanza è genericamente riportata nel ricorso;
dalla procura ad litem emerge però che solo alcuni dei comproprietari risiedono fuori dalla regione Campania: C I e G I, rispettivamente, in Puglia e nel Lazio;
gli altri risiedono in comuni limitrofi a quello di Casoria e L I nello stesso comune di Casoria) è però indubbio che, certamente a decorrere dalla data della predetta comunicazione, i comproprietari fossero a conoscenza di tutti i fatti necessari per l’attivazione del potere e dovere di controllo, cura e vigilanza spettanti, anche disgiuntamente, a ciascun titolare pro quota della posizione dominicale, anche a fronte dell’esercizio abusivo dei diritto di comproprietà da parte di uno di essi.

Invero, pur dando conto della pluralità di note endoprocedimentali inviate, in parte da tutti, in parte solo da alcuni, nei confronti del Comune (copia per conoscenza della diffida inviata – ma mai pervenuta – alla responsabile alla occupante l’immobile del 3 luglio 2017;
richiesta di informazioni sullo stato del procedimento del 14 settembre 2017;
richiesta di accesso agli atti) non è emersa alcuna iniziativa di carattere ultimativo, eventualmente anche a tutela del compossesso, assunta nei confronti della comproprietaria ritenuta responsabile dell’abuso;
né alcuna attività anche stragiudiziale per rientrare nella disponibilità del bene, occupato senza alcun titolo – secondo quanto rappresentato dai medesimi ricorrenti – dalla figlia della responsabile (Liberata D’Andrea). L’unica diffida inviata in data 3 luglio 2017 anche a costoro– e non solo al Comune – non risulta mai pervenuta nella sfera di conoscenza degli stessi;
mentre le altre iniziative difensive assunte dai comproprietari sono state rivolte solo nei confronti del Comune, nell’alveo del procedimento volto all’adozione del provvedimento di ripristino, di cui essi erano stati individuati come legittimi destinatari. Non risulta pertanto, alla stregua degli elementi portati alla conoscenza del Collegio, che i comproprietari, anche disgiuntamente, si siano adoperati per eliminare l’illecito, ripristinando lo status quo ante;
né essi hanno comprovato l’indisponibilità del bene, la cui detenzione in capo ad un soggetto estraneo (figlia della responsabile dell’abuso, nel caso di specie) non era fondata per quanto emerso neanche su un contratto di locazione.

6. E’ altresì infondata anche la seconda censura del ricorso introduttivo.

Come è noto la precisa indicazione dell’area di sedime che dovrebbe essere acquisita in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione afferisce alla successiva fase di acquisizione gratuita al patrimonio comunale (Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2018, n. 5124), essendo invece richiesto che nell’ordinanza di demolizione sia riportata una sufficiente descrizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario di rimuoverle (o eventualmente contestarne l’abusività)

7. In conclusione il ricorso introduttivo va pertanto rigettato.

8. E’ infondato anche il ricorso per motivi aggiunti, nella parte in cui ha ad oggetto l’ordinanza di acquisizione n. 59 del 27 luglio 2018.

8.1 Non può essere condivisa la prima doglianza con cui i ricorrenti ripropongono la questione della loro estraneità alla realizzazione dell’abuso, sulla base delle medesime argomentazioni già sopra esaminate.

8.2. Non merita condivisione la seconda censura con cui i ricorrenti lamentano il mancato coinvolgimento procedimentale ai sensi dell’art. 7 della l. 241/90, quali comproprietari del bene comune, in ordine alla esatta individuazione dell’area oggetto di acquisizione gratuita, non emergendo profili specifici di lesività inerenti l’attività di valutazione tecnica che riguarda solo la parte ulteriore all’area di sedime dell’immobile ai sensi dell’art. 31 comma 3 d.P.R. 380/2001

necessaria alla realizzazione di opere analoghe ” entro il limite massimo di cui all’art. 31, comma 3, ultimo periodo, del d.P.R. 380/2001 (“ l’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita ”). Nel caso di specie però, come si rileva dal tenore testuale dell’ordine di acquisizione e dalla planimetria allo stesso allegata, è emerso che l’area acquisita riguarda esclusivamente quella di insistenza dell’immobile abusivo (“fg.16 p.lla 59 sub 15”), in relazione alla quale il Comune esercita un’attività vincolata con conseguente inapplicabilità, secondo un orientamento condiviso anche dalla Sezione, dell’art. 7 della legge 241/90.

9. Oltre alle doglianze già valutate con riguardo all’ordinanza di demolizione presupposta e riproposte per sostenerne l’illegittimità derivata, a pagina 11 dei motivi aggiunti, si deduce l’illegittimità della determinazione del 25 luglio 2018 n. 43599 di irrogazione della sanzione pecuniaria, sia perché non avrebbe tenuto conto della fattiva attività dei ricorrenti volta al ripristino della legalità violata e sia perché applicata, nella misura massima di euro 20.000, in stretta aderenza della previsione di cui al punto 1.4 della delibera commissariale n.9/15, viziata, a dire degli istanti, per violazione del principio di proporzionalità e logicità.

Anche tali censure vanno giudicate infondate. La prima non ha pregio avuto riguardo alle medesime considerazioni già spese in relazione all’ordinanza di acquisizione e all’accertamento di inottemperanza alla sanzione demolitiva che ne è presupposto. Quanto alla seconda, esposta in modo alquanto sintetico e generico, essa va comunque respinta dato che la contestata previsione commissariale riguarda appunto gli interventi , quale appunto quello “de quo”, realizzati in assenza di permesso di costruire e comportanti sia aumenti di volume e sia di superficie, stabilendo che in tale caso si applica “il valore maggiore risultante dall’applicazione dei parametri di cui ai punti 2 e 3” (che riguardano rispettivamente gli interventi che hanno comportato solo aumento di superficie, per i quali si prevede l’importo di 400 euro al mq., e quelli comportanti solo aumento di volume, per i quali si prevedono 200 euro al mq.) con la precisazione che la sanzione massima di 20.000 euro non è comunque superabile. Tanto premesso, stante l’evidente graduazione degli importi previsti in delibera in relazione alla gravità e complessità degli abusi non appare chiaro in concreto quale sia il vizio denunciato. Infatti, la sanzione pecuniaria disposta nella fattispecie discende in modo vincolato dall’applicazione dei predetti parametri tecnici, la cui concreta riferibilità all’abuso in parola non è contestata in gravame. Neppure infine vale, come fanno a pagina 12 i ricorrenti, soffermarsi su una presunta “applicazione indiscriminata di sanzioni uguali per fattispecie diverse” evidentemente riferendosi al fatto che anche ai punti 2 e 3 della delibera commissariale trovano applicazione, come al punto 4, sempre gli stessi importi minimi (2.000 euro) e massimi (20.000 euro). Rileva infatti il collegio che l’abuso posto in essere dalla Vinciguerra Rita integra l’ipotesi più grave di abuso (aumento sia di superficie e sia di volume) ed è pertanto evidente che difetta in capo agli istanti l’interesse a dedure siffatta censura.

10 In conclusione, sia il ricorso introduttivo che quello per motivi aggiunti vanno rigettati.

11. La peculiarità in fatto della vicenda giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.

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