TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2011-05-04, n. 201100379

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2011-05-04, n. 201100379
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Reggio Calabria
Numero : 201100379
Data del deposito : 4 maggio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00340/2008 REG.RIC.

N. 00379/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00340/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 340 del 2008, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Cardile, con domicilio eletto presso Giovani Gurnari, Avv. in Reggio Calabria, via Argine Dx Calopinace, 20;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15;
Comando Generale della Guardia di Finanza;

per l'annullamento

del provvedimento del 3.1.2008, notificato il 28.1.2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza, con il quale è disposta, in via disciplinare la perdita del grado per rimozione del ricorrente;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2011 il dott. Giulio Veltri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

E’ impugnata la sanzione disciplinare della “perdita del grado per rimozione” disposta nei confronti del ricorrente dal Comando generale della Guardia di Finanza, a seguito di fatti, oggetto anche di un processo penale, poi conclusosi i con l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

In particolare, la vicenda di cui il ricorrente, insieme ad altro collega, si è reso protagonista, concerne l’intrattenimento di rapporti sessuali con una minore, di anni 16, accompagnata dalla registrazione video delle scene, effettuata da terzi e, in almeno un caso, dal medesimo, con creazione di materiale pornografico.

Il provvedimento disciplinare – giustificato secondo l’amministrazione dal venir meno “ai superiori doveri di onestà, fedeltà, lealtà e rettitudine assunti con il giuramento… da osservare anche nella vita privata” - è impugnato per i motivi che seguono:

1) violazione dell’art. 653 Cpp – Illogicità – Sviamento di potere – Travisamento dei fatti posti a fondamento degli addebiti – insufficienza e non univocità delle circostanze di fatto che hanno condotto l’amministrazione ad irrogare la sanzione. Il giudice penale avrebbe escluso la sussistenza di un disegno concordato e preordinato alla diffusione del materiale pornografico, evidenziando la condotta provocatrice della minore, fortemente orientata ad intraprendere relazioni sessuali con una pluralità di persone sino al punto di contattare direttamente il numero pubblico della Guardia di Finanza al fine di propiziarle. In particolare, il fatto costituente reato sarebbe stato valutato non sussistente in relazione al ricorrente, ed accertato solo per il coimputato (-OMISSIS-), per questo condannato ad un anno di reclusione. La formula assolutoria utilizzata dal giudice nella sentenza citata (il fatto non costituisce reato) sarebbe frutto di un mero errore materiale, essendo agevole evincere, dal corpo motivazionale della stessa come la valutazione del giudicante abbia acclarato, più in radice, l’insussistenza dei fatti costituenti reato;
con efficacia assolutoria, ex art. 653 cpp preclusiva dell’instaurazione di un procedimento disciplinare per i medesimi fatti;

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 63, 64, 66 e 67 della legge 31/7/1954 n. 599 – Violazione dell’art. 6 comma 1 della legge 599/94 – Carenza ed erroneità della motivazione in ordine all’adozione della sanzione inflitta – Travisamento dei fatti – Irragionevolezza e manifesta sproporzione della sanzione in relazione al fatto ascritto ed all’assoluzione pronunciata in sede penale – Disparità di trattamento – Carenza dei requisiti della idoneità e necessari età. Nell’applicare la sanzione espulsiva, l’amministrazione non avrebbe tenuto conto del notevole ridimensionamento dei fatti e del ruolo avuto dal ricorrente, rispetto a quanto ipotizzato dall’accusa in sede penale e poi ribadito in sede di contestazione dell’addebito disciplinare. La sanzione comminata, fondata sulla violazione dei doveri nascenti dal giuramento e non sulla commissione di un reato infamante, risulterebbe sproporzionata rispetto ai fatti ed al contesto, potendosi ragionevolmente adottare diverse e meno gravi sanzioni di carattere conservativo, anche in considerazione degli anni di servizio pregressi nei quali il ricorrente è stato sempre valutato in modo lusinghiero;

3) Omessa o insufficiente considerazione delle giustificazioni rese dal ricorrente nel corso del procedimento penale e del procedimento disciplinare e delle dichiarazioni rese nel corso del procedimento penale dalla presunta persona offesa dal reato – Inesistenza di fatti disciplinarmente rilevanti – Travisamento dei fatti. Pur ammettendo che gli stessi fatti già valutati in sede penale ed ivi ritenuti insussistenti, possano essere oggetto di rivalutazione in sede disciplinare, mancherebbe un’autonoma valutazione circa l’unico fatto che può ritenersi accertato, ossia che il ricorrente ha conosciuto la minore nel suo ruolo di agente della Guardia di Finanza. Né potrebbe porsi esclusivo rilievo sull’eticità del comportamento serbato, in assenza di un autonomo e dimostrato disvalore sociale, oltre che di una specifica rilevanza disciplinare della condotta;

4) Violazione del diritto di difesa nel procedimento disciplinare. Nel procedimento disciplinare, il ricorrente non avrebbe potuto avvalersi del patrocinio di un avvocato, e ciò in forza di una norma, contenuta nell’art. 73 della legge 31/7/1954 n. 599, che sarebbe da ritenersi incostituzionale per violazione dell’art. 24 cost..

L’amministrazione, ritualmente costituitasi, si è difesa ponendo in luce la non sovrapponibilità della vicenda penale con quella disciplinare, la sufficienza e congruità della motivazione in relazione alla oggettiva gravità dei fatti, la non pertinenza del richiamo all’art. 24 cost. trattandosi di procedimento disciplinare e non di attività giurisdizionale.

All’udienza del 6 aprile 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è infondato.

Sia dagli atti penali che da quelli istruttori acquisiti in sede disciplinare emergono chiaramente ed in termini oggettivi i fatti imputabili al ricorrente: egli ha intrattenuto per lungo tempo rapporti sessuali con una minorenne, sebbene consenziente, facendo ritrarre e, in almeno un caso, ritraendo il rapporto così da creare materiale pornografico, senza porsi il dubbio che una simile condotta, tenuta unitamente ad altro agente in relazione ad una minore - tra l’altro conosciuta grazie alle telefonate dalla stessa fatte al numero pubblico della Guardia di Finanza proprio al fine di intrecciare relazioni di tal fatta - potesse cozzare con la divisa ed il sistema di valori che la stessa presuppone ed impone.

E’ per questi fatti che l’amministrazione ha comminato la sanzione, fatti che sebbene non abbiano assunto rilevanza penale - avendo il giudice escluso lo sfruttamento della minore ai fini della produzione di filmati pornografici da parte del Tedesco – hanno comunque messo in luce una condotta che, per il ruolo rivestito dagli agenti, le qualità e le caratteristiche del soggetto passivo, le modalità dell’azione ed il contesto dal quale è originata, ha profondamente violato i valori di onestà, lealtà e rettitudine che devono ispirare gli appartenenti alle forze dell’ordine anche nella conduzione della relativa vita privata, creando intuibile e grave nocumento al prestigio del Corpo, tanto più ove si consideri che trattavasi di agente con elevata anzianità di servizio.

Quanto alla censura relativa al principio di proporzionalità della sanzione rispetto ai fatti, non si ravvisano vizi tali da inficiarne il rispetto, atteso che trattasi comunque di fatti che hanno raggiunto una soglia di gravità, nel contrasto con i doveri di comportamento, tale da non risultare incompatibile con la sanzione espulsiva.

Del pari infondata è la dedotta questione di costituzionalità della norma che, nel caso di specie, ha impedito al ricorrente di avvalersi del patrocinio di un avvocato.

La Corte costituzionale si è già occupata della questione con sent. 24/07/1995 n. 356, in quell’occasione osservando, in riferimento all'art. 24 cost., come il diritto di difesa non si estenda nel suo pieno contenuto oltre la sfera della giurisdizione sino a coprire ogni procedimento contenzioso di natura amministrativa, e precisando che, quando si tratti di sanzioni che incidono su beni aventi rilievo costituzionale, quale il mantenimento del rapporto di servizio o di lavoro, il contraddittorio e la possibilità di difesa possono essere assicurate anche da un ufficiale designato dal dipendente, essendo nella discrezionalità del legislatore garantire un modello di più elevata garanzia attraverso la previsione del patrocinio di un avvocato.

In assenza di profili ulteriori o sopravvenuti, non vi sono pertanto ragioni per sollecitare una nuova pronuncia della Corte.

Il ricorso, in conclusione, deve essere respinto.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla natura della questioni trattate appare equo compensare tra le parti le spese di giudizio.

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