TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-07-23, n. 201909835
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Pubblicato il 23/07/2019
N. 09835/2019 REG.PROV.COLL.
N. 04410/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4410 del 2015, proposto da
Acotel S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati E P e I M S, elettivamente domiciliata in Roma, via Brenta, 2/A, presso lo studio dell’avv. I M S;
contro
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Lirosi, Piero Fattori e Alessandro Costantino, elettivamente domiciliata in Roma, via delle Quattro Fontane n. 20, presso lo studio legale Gianni, Origoni, Grippo &Partners;
per l'annullamento
della delibera dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, emanata nell'adunanza del 13.1.2015, comunicata via PEC il 21.1.2015, prot. 12844, con la quale l'Autorità, a conclusione del procedimento n. PS9466, previa identificazione di una pratica commerciale scorretta nell'ambito dei cd. "servizi premium" erogati nel mercato delle comunicazioni elettroniche, descritta in tre distinte condotte delle società Telecom Italia s.p.a. ed Acotel s.p.a., su capitoli d'indagine rubricati a), b) e c), ha sanzionato in via principale la Telecom Italia per tutti i profili;ed ha sanzionato la ricorrente Acotel per limitati profili della condotta "sub c)" per euro 150.000, poi ridotti a 100.000, così motivando: "la responsabilità di Acotel s.p.a. deve considerarsi circoscritta nell'ambito della condotta sub c) alla diffusione a partire dal 26 marzo 2014 di messaggi che presentano omissioni informative ingannevoli" e perché "le landing page risultano ingannevoli, per un verso in violazione dell'art. 22, co. 4, in quanto integrando la fattispecie dell'invito all'acquisto, omettono, senza che le stesse risultino comunque evidenti dal contesto, le informazioni rilevanti di cui alle lettere b), d) ed e);per altro verso, in violazione dell'art. 22, co. 5, cod. cons., nella misura in cui, costituendo il mezzo mediante il quale giungere alla conclusione del contratto, omettono informazioni che i professionisti sono obbligati a fornire in forza di apposite previsioni di diritto UE e, nello specifico, disposizioni in materia di contratti a distanza";
nonché per l'annullamento di tutti gli atti del sottostante procedimento amministrativo, preordinati, preparatori, connessi e conseguenti;
e
per il risarcimento dei danni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e di Telecom Italia S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2019 la dott.ssa R C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il provvedimento n. 25264 del 13 gennaio 2015 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avanti anche Autorità o AGCM) ha ritenuto che una pratica commerciale posta in essere dalla Telecom Italia S.p.A. e, con riferimento ad una specifica condotta, da Acotel S.p.A. – realizzata nell’ambito della fornitura agli utenti di telefonia mobile di servizi a pagamento (c.d. servizi premium) non richiesti e/o richiesti inconsapevolmente e nell’addebito dei relativi importi sul credito telefonico dei consumatori o in bolletta – costituisse una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 22, 24, 25 e 26, lettera f), del codice del consumo e ha irrogato alle due società una sanzione amministrativa pecuniaria.
La ricorrente Acotel, che impugna il provvedimento limitatamente alla parte in cui la ha ritenuta responsabile della pratica e assoggettata a sanzione, articola i seguenti motivi di ricorso:
I Incompetenza – Violazione di legge (art.li 3 e 21 septies l. 41/90 come modif.;art. 12 quinquiesdecies l.n. 135/2012 ratione temporis;art. 27, commi 1-bis, 2 e 8, d.lgs. 206/2005) - Eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifesta, per difetto assoluto dei presupposti;per falsità della causa e sviamento;per difetto assoluto o, quanto meno, insufficienza di motivazione.
II Violazione di legge (art. 97 Cost., art. 21-ter L. 241/1990;art. 22, comma 3, art. 49, comma 1, lett. m), art. 51, comma 4, e art. 59, comma 1, lett. o), d.lgs. 206/2005) - Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, per contraddittorietà ed illogicità manifesta;per difetto assoluto o, quanto meno, insufficienza della motivazione;per sviamento.
III Violazione di legge (art. 97 Cost., art. 21-ter L. 241/1990;art. 22, comma 3, art. 49, comma 1, lett. m), art. 51, comma 4, d.lgs. 206/2005) - Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, per contraddittorietà ed illogicità manifesta;per difetto assoluto o, quanto meno, insufficienza della motivazione;per sviamento.
IV Violazione di legge (art. 97 Cost., art. 11 L. 689/81;3 e 21 septies l. 241/90;art. 27, comma 11, d.lgs. 206/2005 e art.li 4 e 6 Delibera AGCM 5.6.2014 n. 24995) - Eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, per contraddittorietà ed illogicità manifesta;per disparità di trattamento, per falsità della causa e sviamento – difetto assoluto di motivazione in relazione alla idoneità offensiva della pratica sanzionata.
La ricorrente ha pure domandato il risarcimento dei danni ad essa arrecati dal provvedimento impugnato.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato si è costituita in giudizio, instando per la reiezione del ricorso.
La società Telecom S.p.A. è intervenuta ad adiuvandum.
Con ordinanza n. 1769 del 23 aprile 2015, l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento è stata respinta.
Con ordinanza n. 8903 del 24 luglio 2017 il Collegio ha disposto la sospensione del giudizio in considerazione della pendenza, dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, di una questione pregiudiziale.
All’udienza del 3 luglio 2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Con il provvedimento n. 25264 del 13 gennaio 2015 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ritenuto la ricorrenza di una pratica commerciale scorretta, posta in essere da Telecom e da Acotel nell’ambito della fornitura di servizi a pagamento (cd. servizi premium) non richiesti e/o richiesti inconsapevolmente.
La pratica si sarebbe articolata in tre tipologie di condotte, una sola delle quali imputabile anche ad Acotel.
La condotta rilevante è consistita nella diffusione di messaggi volti a promuovere i servizi a pagamento che omettono informazioni rilevanti circa gli elementi principali dell’offerta e i diritti dei consumatori nella contrattazione a distanza (recesso, ecc.), nonché caratterizzati da meccanismi che determinano l’accesso ai predetti servizi e la loro attivazione con conseguente relativo addebito sul credito telefonico, in modo accidentale o, comunque, in assenza di una espressa manifestazione di volontà del consumatore (sfioramento manuale dello schermo da parte dell’utente, clik sul pulsante che identifica il comando di chiusura del relativo banner, ecc.).
La pratica è stata ritenuta contraria agli artt. 20, 22, 24, 25, lettera a), e 26, lettera f), del codice del consumo e la sanzione a carico della ricorrente è stata determinata in € 100.000.
Con il primo motivo di doglianza, la ricorrente lamenta l’incompetenza dell’AGCM all’adozione del provvedimento impugnato.
In particolare, secondo Acotel, l’AGCM, nell’adottare il provvedimento sanzionatorio, si sarebbe appropriata di competenze riservate al Mise e all’AGCom, la quale ultima, con delibera 2013, avrebbe disciplinato l’intera materia, adottando il Codice delle comunicazioni elettroniche.
L’Autorità di regolazione, inoltre, aveva già emesso a carico di Acotel, e per fatti attinenti alla diffusione di messaggi similari, un provvedimento sanzionatorio con riferimento al periodo dicembre 2012 – dicembre 2013, rilevando altresì la legittimità dei servizi da essa prestati a partire dal dicembre 2013.
La prospettazione non può essere condivisa.
Viene in proposito in rilievo la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea n. 54 del 13 settembre 2018, la quale, pronunciandosi su una domanda pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato, ha affermato due importanti principi, entrambi applicabili alla fattispecie in esame.
La Corte ha in primo luogo ritenuto che “ la nozione di «fornitura non richiesta», ai sensi dell'allegato I, punto 29, della direttiva 2005/29, deve essere interpretata nel senso che, con riserva di verifiche da parte del giudice del rinvio, essa ricomprende condotte […] consistenti nella commercializzazione, da parte di un operatore di telecomunicazioni, di carte SIM sulle quali sono preimpostati e preattivati determinati servizi, […] senza che il consumatore sia stato previamente ed adeguatamente informato né di tale preimpostazione e preattivazione né dei costi di tali servizi ”.
La Corte ha poi rilevato come “ L'articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29 dev’essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale in virtù della quale una condotta che costituisce una fornitura non richiesta, ai sensi dell'allegato I, punto 29, della direttiva 2005/29, [..], deve essere valutata alla luce delle disposizioni di tale direttiva, con la conseguenza che, secondo tale normativa, l'autorità nazionale di regolamentazione, ai sensi della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, non è competente a sanzionare una siffatta condotta ”.
Sotto tale ultimo profilo, la Corte, rilevando l’infondatezza di deduzioni spese anche dall’odierna ricorrente e utilizzando argomenti di natura interpretativa aventi portata generale, ha osservato come il contrasto rilevante ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/Ce “ a) deve riguardare norme dell’Unione e non norme nazionali” e “ b) può ritenersi sussistente solo là dove disposizioni diverse rispetto a quelle della direttiva 2005/29/Ce, disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, “impongono ai professionisti senza alcun margine di manovra obblighi incompatibili” con quelli stabiliti da tale direttiva ”.
Inoltre, secondo la Corte, la direttiva quadro e la direttiva servizio universale non solo “ non prevedono una completa armonizzazione degli aspetti relativi alla protezione dei consumatori ”, ma in base all’articolo 1, comma 4, della direttiva servizio universale, quest’ultima non pregiudica l’applicabilità della direttiva 2005/29/Ce, con la conseguenza che “ non vi è contrasto ” tra le norme di tali direttive per quanto concerne la tutela dei diritti degli utenti.
Non essendo ravvisabile nessun contrasto, di conseguenza, il rapporto tra le due discipline non è di specialità e le stesse possono trovare applicazione parallela.
Ne discende che, anche nell’ordinamento interno, i rapporti tra gli articoli 70 e 71 del Codice delle comunicazioni elettroniche (che danno attuazione agli articoli 20 e 21 della direttiva servizio universale) e gli articoli 20, 22, 24, 25, lettera a), e 26, lettera f), del Codice del Consumo non integrano un contrasto al quale debba applicarsi il principio di specialità.
Ciò è tanto più vero con riferimento alle delibere dell’AGCom, proprio perché non integranti normativa comunitaria.
Il medesimo principio è stato ribadito nella successiva ordinanza della medesima Corte di giustizia del 14 maggio 2019, nelle cause C-406/17, C- 408/17 e C-417/17, riguardanti i settori dell’energia elettrica e del gas.
Anche in tali casi erano stati sollevati quesiti concernenti l’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/Ce ed è stato ribadito il medesimo principio, avendo la Corte di giustizia specificato che disposizioni, che riguardano il principio secondo cui gli Stati membri devono adottare misure per tutelare i consumatori garantendo un elevato livello di tutela di questi ultimi con particolare riguardo alla trasparenza delle condizioni di contratto, alle informazioni generali ed alle procedure di risoluzione delle controversie, non possono essere considerate speciali, poiché non disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali (nello stesso senso e per la portata generale del principio a tutte le ipotesi di pratiche aggressive, cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I, 16 aprile 2019, n. 4922).
Con il secondo e il terzo motivo di doglianza, la ricorrente contesta la riconducibilità della condotta sanzionata ad un omissione informativa sanzionabile ai sensi dell’art. 22 del codice del consumo, sia con riferimento ai termini e alle condizioni contrattuali sia con riferimento alla possibilità e alle modalità di recesso.
In proposito rappresenta come tutte le informazioni asseritamente omesse fossero accessibili mediante apposito link posto su ciascuna landing page, consultabile prima dell’attivazione medesima.
La doglianza è infondata.
Il provvedimento gravato, con affermazione solo genericamente contraddetta dalla ricorrente, rileva come, nella fattispecie in esame, il contratto per l’acquisto dei servizi premium si concludeva con la modalità di atterraggio nella landing page.
Appare pertanto evidente come le informazioni contenute nel link descritto dalla ricorrente risultavano disponibili per l’utente in un momento successivo alla nascita del vincolo negoziale.
Da tanto emerge la palese ricorrenza di profili di omissività della pratica, atteso che ciò che l’Autorità ha inteso sanzionare non è la conformità del link di rinvio alla normativa di settore, invero mai contestata da AGCM, ma l’accessibilità al link medesimo in un momento in cui, essendo già concluso il contratto, l’informazione risultava tardiva, tanto più alla luce del fatto che la nascita del vincolo negoziale per la fornitura del servizio premium avveniva in forza di un’automatica attivazione, e dunque con modalità tale da escludere un’utile consapevolezza dell’acquirente dei servizi.
Considerato poi che la ricorrente neppure contesta la ritenuta ricorrenza di profili di aggressività della pratica, deve ritenersi la piena legittimità del provvedimento gravato, che non risulta in alcun modo affetto dalle lamentate carenza motivazionali.
Da ultimo, in ordine alla ricorrenza della pratica commerciale imputata ad Acotel, il Collegio ritiene di evidenziare, con riferimento alle argomentazioni spese nella parte introduttiva del gravame, ancorché non trasfuse in puntuali motivi di doglianza, che:
- il provvedimento impugnato concerne un periodo di tempo successivo a quello oggetto di provvedimento sanzionatorio da parte dell’AGCom, così che non appare configurabile, nemmeno in astratto, una duplicazione di provvedimenti sanzionatori;
- la delibera gravata ha sanzionato puntuali e specifiche violazioni del codice del consumo senza individuare (nuove) regole di condotta;
- a nulla rileva lo scarso numero di denunce riguardanti il periodo in esame, atteso che gli illeciti consumeristici sono illeciti di pericolo;
- la mancata adozione di analoghi provvedimenti nei confronti di altri provider non inficia la legittimità del provvedimento impugnato, avendo, al più, la stessa potuto legittimare l’adozione di ulteriori provvedimenti sanzionatori, non necessariamente contestuali a quello a carico dell’operatore telefonico;
- la oggettiva permanenza della condotta, accertata anche a mezzo di verifiche d’ufficio e comunque sanzionata con riferimento a fatti posti in essere a partire dal marzo 2014, rende irrilevante la circostanza che le prime denunce a carico di Acotel fossero più risalenti;
- la riferita successiva attività di rimborso in favore dei consumatori non elide la ricorrenza dell’illecito consumeristico, trattandosi di attività successiva alla realizzazione della condotta sanzionata;
- non risulta chiaramente individuato il concreto effetto lesivo delle enunciate violazioni delle garanzie partecipative (menzionate oltre che nella premessa, anche nell’ultimo motivo di ricorso), ciò che rende pure irrilevante la più volte formulata istanza istruttoria.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente ha contestato l’attività della quantificazione della sanzione, sviluppando, tuttavia, ulteriori argomentazioni riguardanti la non configurabilità dell’illecito.
Anche tale ultima doglianza è infondata.
Sotto il secondo profilo, logicamente pregiudiziale, oltre richiamare quanto sopra già rilevato in punto di configurabilità della pratica e di assenza di portata esimente della conformità della condotta alle delibere AGCom, deve osservarsi come il provvedimento abbia compiutamente descritto sia la condotta rilevante (omissioni informative e addebiti non consapevoli) sia il nesso causale tra la stessa e l’adozione di decisioni non consapevoli del consumatore, che si ritrovava a pagare il costo di prestazioni non richieste.
Né, al fine di sminuire la scorrettezza della pratica commerciale, può essere invocata la decodificabilità del messaggio da parte del consumatore acquirente di servizi Adsl/internet, aduso ad un esame dettagliato dei messaggi, dovendosi, in proposito, considerare come la tutela apprestata dalle norme sulla pubblicità ingannevole non si commisura alla posizione degli acquirenti dotati di specifica competenza, avvedutezza e di particolari cognizioni merceologiche, ma a quella degli acquirenti di media accortezza o alla generalità dei consumatori (cfr., da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, 21 gennaio 2019, n. 782 e 10 gennaio 2019, n. 337).
Sempre in ordine alla ingannevolezza della pratica, deve pure rilevarsi come, proprio perché le disposizioni in materia di pubblicità ingannevole non hanno la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate agli interessi del consumatore, ma si collocano su di un più avanzato fronte di prevenzione, essendo le stesse tese ad evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici, la giurisprudenza ha escluso “ la necessità sia che rispetto ad un dato comunicato venga accertata la condizione soggettiva media di intelligenza del consumatore, sia che risulti un pregiudizio economico derivante dalla pubblicità ingannevole ” (così T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 14 novembre 2018, n. 10968, 22 giugno 2018, n. 7000, 29 novembre 2014, n. 11995;nel senso che la tutela apprestata dalle norme sulla pubblicità ingannevole non si commisura alla posizione degli acquirenti dotati di specifica competenza, avvedutezza e di particolari cognizioni merceologiche, ma a quella degli acquirenti di media accortezza o alla generalità dei consumatori, cfr. pure T.A.R. Lazio, Roma, 3 luglio 2012, n. 6026).
Quanto infine alla posizione parzialmente diversa espressa dall’AGCom nel parere acquisito nel corso del procedimento, va poi rilevata la natura obbligatoria ma non vincolante del parere medesimo (cfr., ex multis, Tar Lazio, Roma I, 9 maggio 2015, n. 11122).
Passando alle censure relative in maniera specifica all’attività di quantificazione, deve, poi, osservarsi come, nella determinazione della stessa, l’Autorità si è attenuta ai parametri di riferimento individuati dall’art. 11 della legge n. 689/81, in virtù del richiamo previsto all'articolo 27, co. 13, del d.lgs. n. 206/05, e quindi ha considerato, in generale, la gravità della violazione e la durata della stessa.
Con riferimento alla gravità della violazione, il provvedimento ha evidenziato la dimensione economica del professionista (che presenta un fatturato pari a circa 26 milioni di euro e si qualifica come un rilevante content service provider ), la circostanza che la pratica sia stata diffusa a mezzo internet (e quindi con modalità atta a raggiungere un’amplissima platea di consumatori) e l’idoneità del meccanismo utilizzato ad incidere significativamente sulle scelte di natura commerciale del consumatore.
L’Autorità ha poi tenuto conto della durata della pratica (iniziata nel marzo 2014 ancora in corso al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, gennaio 2015) e delle condizioni economiche del professionista, in ragione delle perdite in bilancio del quale ha ridotto l’importo originariamente determinato in € 150.000 nel minor importo di € 100.000.
Ne risulta il corretto apprezzamento della gravità della pratica, considerata anche la puntuale e argomentata motivazione del provvedimento in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dal professionista a produrre l’indebito condizionamento dei consumatori, già sopra ampiamente analizzata.
La riconducibilità della fattispecie ad un illecito di pericolo esclude, poi, la rilevanza dello scarso numero di denunce pervenute all’Autorità (sul principio per cui non si è in presenza di un illecito di danno, con la conseguenza che l'effettiva incidenza della pratica commerciale scorretta sulle scelte dei consumatori non costituisce un elemento idoneo a elidere o ridurre i profili di scorrettezza della stessa, cfr., da ultimo, Tar Lazio, Roma, sez. I, 21 gennaio 2019, n. 782).
L’Autorità, inoltre, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, ha correttamente apprezzato le condizioni economiche di Acotel, operando una diminuzione della sanzione in considerazione delle perdite di bilancio.
Neppure rileva l’asserito mancato apprezzamento dell’attività di rimborso posta in essere dalla ricorrente, peraltro genericamente evocato in ricorso da Acotel, in assenza di riferimenti a dati puntuali, atteso che anche tale dato risulta, specie in considerazione dell’oggettivo ammontare della sanzione rapportato al fatturato della società, correttamente apprezzato nella valutazione complessiva in punto di gravità.
L’infondatezza della domanda di annullamento importa la consequenziale reiezione della domanda risarcitoria.
Alla luce di quanto osservato nell’esame della censura di incompetenza, e diversamente da quanto affermato dall’interventore nella memoria del 17 giugno 2019, non ricorrono, infine, i presupposti per una nuova rimessione alla Corte di giustizia, contenendo la richiamata pronuncia del 2018 argomentazioni sufficienti a consentire la decisione della presente controversia, né per una rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell’art. 27 del codice del consumo, attesa l’assenza, alla luce di quanto sopra esposto, anche con riferimento alla pretesa violazione del ne bis in idem, di profili di sovrapposizione di competenze tra Autorità di regolazione e Autorità competente per la tutela del consumatore.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo nei rapporti tra ricorrente e AGCM, mentre sono compensate nei rapporti tra interventore e AGCM.