TAR Venezia, sez. I, sentenza 2018-04-11, n. 201800376

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2018-04-11, n. 201800376
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201800376
Data del deposito : 11 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/04/2018

N. 00376/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01385/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1385 del 2017, proposto dalla
P S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. O M, rappresentata e difesa dagli avv.ti V D, G Z e F Z e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Venezia-Mestre, via Cavallotti, n. 22

contro

Comune di Castelfranco Veneto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. F V e con domicilio fissato al seguente indirizzo di posta elettronica certificata (P.E.C.): francesco.volpe@ordineavvocatiPadova.it

nei confronti

Asco TLC S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, dr. Stefano Faè, rappresentata e difeso dall’avv. Enrico Vedova e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Venezia-Mestre, Galleria Matteotti, n. 3
Asco Holding S.p.A., non costituita in giudizio
Bluenergy Group S.p.A., non costituita in giudizio
Ascopiave S.p.A., non costituita in giudizio

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

- del provvedimento di revisione straordinaria delle partecipazioni pubbliche ex art. 24 del d.lgs. n. 175/2016, assunto con deliberazione del Consiglio Comunale di Castelfranco Veneto n. 80 del 29 settembre 2017;

- di ogni altro atto ad esso connesso per presupposizione e/o consequenzialità

e per l’accertamento

del mancato assolvimento da parte della P.A. degli obblighi posti dall’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016 entro il termine del 30 settembre 2017 ivi previsto, e della conseguente impossibilità di esercizio dei diritti sociali nei confronti della società

nonché per l’accertamento

della nullità o inefficacia degli atti di fusione nel frattempo posti in essere da Asco Holding S.p.A. e Asco TLC S.p.A..


Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla ricorrente;

Viste la memoria di costituzione e difesa e la documentazione del Comune di Castelfranco Veneto;

Visto, altresì, l’atto di costituzione in giudizio di Asco TLC S.p.A.;

Vista la dichiarazione di rinuncia all’istanza cautelare depositata dalla ricorrente e ribadita in forma orale in Camera di consiglio;

Vista l’ordinanza n. 642/2017 del 21 dicembre 2017, recante presa d’atto della rinuncia da parte della ricorrente all’istanza cautelare da essa proposta;

Viste le ulteriori memoria e documentazione depositate dalla ricorrente;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 119 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.p.a.);

Nominato relatore nell’udienza pubblica del 7 marzo 2018 il dott. P D B:

Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue


FATTO

L’odierna ricorrente, P S.r.l. (“P”), espone di essere socio (con una partecipazione pari all’8,61% del capitale sociale) di Asco Holding S.p.A., società holding al cui capitale partecipano un altro socio privato (Bluenergy Group S.p.A.) e ben novantuno Comuni, i quali detengono ognuno partecipazioni di limitata consistenza, che vanno da un minimo dello 0,05% del predetto capitale ad un massimo del 2,74%, detenuto dal Comune di Conegliano Veneto.

Nella ricostruzione dell’esponente, Asco Holding S.p.A. nasce dalla “metanizzazione” dei Comuni facenti parte del Consorzio obbligatorio del Bacino Imbrifero Montano del Piave, istituito nel 1955 per l’impiego dei sovra-canoni delle derivazioni elettriche finalizzati al riequilibrio economico del territorio. Tale metanizzazione, estesa ai Comuni limitrofi, ha determinato dapprima lo scorporo delle attività di gestione delle reti e la loro attribuzione ad un nuovo soggetto, denominato Azienda Speciale Consorziale del Piave (A.S.CO. Piave), istituito dai Comuni interessati. A seguito della riforma del settore operata dal d.lgs. n. 164/2000, vi è stata la trasformazione di A.S.CO. Piave in una società per azioni, con la denominazione di Ascopiave S.p.A. e, poi, di Asco Holding S.p.A..

L’ambito di attività di Asco Holding S.p.A. si è andato via via estendendo rispetto a quello originario di realizzazione e di gestione delle reti di distribuzione del gas metano dei Comuni consorziati: ciò, tenuto conto che il principio stabilito dal d.lgs. n. 164/2000, di separazione tra la gestione esclusiva delle reti distributive e l’apertura al mercato dell’attività di vendita del gas, ha indotto la costituzione di una serie di società controllate “di scopo”.

In particolare, Asco Holding S.p.A. controlla, per quanto di interesse, Asco Piave S.p.A. (quotata in borsa), la quale si occupa di energia ed a sua volta controlla le società che distribuiscono il gas (AP Reti) e la società che svolge attività di fornitura di energia (Asco Trade).

La “holding” controlla, altresì, Asco TLC S.p.A., società attiva nel settore delle telecomunicazioni e che si occupa sia di infrastrutturazioni, con posa di cavi di telecomunicazioni e realizzazioni di nodi di rete, sia della vendita di servizi di telefonia e telematici di vario genere (dalla videosorveglianza al “backup service”, dai servizi di posta elettronica a quelli di “fonia VOIP”, ecc.).

Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 175/2016 (cd. decreto Madia) è sorto il problema, per i Comuni soci della “holding”, di verificare la compatibilità della loro partecipazione societaria con i principi introdotti dal suddetto decreto, improntati – osserva l’esponente – a) alla rigorosa rispondenza delle partecipazioni societarie delle P.A. alle finalità istituzionali di queste, b) all’obbligo di dismissione delle partecipazioni non riconducibili alle riferite finalità.

Il d.lgs. n. 175 cit. ha imposto in particolare, all’art. 24, che le partecipazioni detenute direttamente o indirettamente dalle Amministrazioni in società non riconducibili nelle categorie di cui all’art. 4 (id est.: le partecipazioni che possono essere acquisite o mantenute), o che non soddisfano i requisiti di cui all’art. 5, commi 1 e 2 (riguardanti la motivazione analitica dell’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica), o ancora che ricadono in una delle ipotesi di cui all’art. 20, comma 2 (id est: le ipotesi che impongono l’adozione di un piano di riassetto delle società partecipate, per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione), devono essere alienate, o formare oggetto delle misure di riassetto/razionalizzazione previste dal medesimo art. 20. A tal fine, l’art. 24 impone agli Enti locali di effettuare entro il 30 settembre 2017, “con provvedimento motivato”, la ricognizione delle partecipazioni detenute, individuando quelle da alienare e l’alienazione deve avvenire – precisa il comma 4 dell’art. 24 – entro un anno dalla conclusione della ricognizione.

Ad avviso dell’esponente, le partecipazioni degli Enti locali in Asco Holding S.p.A. non sarebbero compatibili con i limiti fissati dal cd. decreto Madia, sotto due profili: a) quello generale e assorbente di non essere partecipazioni finalizzate all’espletamento di un servizio di interesse generale correlato al perseguimento di finalità istituzionali degli Enti (v. art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 175/2016, in correlazione al precedente art. 2, comma 1, lett. h) del decreto);
b) quello, più specifico, dell’assenza di dipendenti in capo ad Asco Holding S.p.A., a fronte della presenza di n. 5 amministratori (v. art. 20, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 175 cit.).

Alla luce di ciò, P ha notificato agli Enti locali soci una missiva con cui ha prospettato, quale unica alternativa all’alienazione delle partecipazioni di detti Enti, la fusione di Asco Holding S.p.A. con la controllata Ascopiave S.p.A.: essendo questa, infatti, quotata in borsa, la fusione – sostiene la ricorrente – consentirebbe di sottrarre le partecipazioni alla disciplina del d.lgs. n. 175/2016, in virtù della specifica esclusione delle società quotate posta dall’art. 1, comma 5, e dall’art. 26, comma 4, del ridetto decreto legislativo.

Tuttavia – lamenta l’esponente – il Comune di Castelfranco Veneto (al pari di altri Comuni, nei cui confronti sono state proposte distinte impugnative) ha seguito il suggerimento irrituale ed anomalo della stessa Asco Holding S.p.A.: per l’effetto, esso ha assunto la deliberazione consiliare indicata in epigrafe (n. 80 del 29 settembre 2017), con cui ha ritenuto che la partecipazione societaria assolvesse a finalità istituzionali e che la mancanza di dipendenti in Asco Holding S.p.A. fosse l’unico profilo ostativo al mantenimento di detta partecipazione, individuando nell’incorporazione della controllata Asco TLC S.p.A. la misura di razionalizzazione ex art. 20 cit. idonea a superare il riferito profilo ostativo ed a consentirgli, così, di evitare l’alienazione della quota detenuta.

Avverso l’ora vista deliberazione del Consiglio Comunale di Castelfranco Veneto è, pertanto, insorta la P, impugnandola con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento, previa tutela cautelare.

A supporto del gravame, la società ha dedotto i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 24 del d.lgs. n. 175/2016, nonché dell’art. 2, comma 1, lett. h), del medesimo d.lgs. n. 175/2016, in quanto la partecipazione del Comune intimato in Asco Holding S.p.A. difetterebbe del vincolo funzionale del perseguimento delle finalità istituzionali ex art. 4 del d.lgs. n. 175/2016 e, per conseguenza, dovrebbe essere obbligatoriamente dismessa, ai sensi del successivo art. 24. Ciò varrebbe anzitutto per l’attività di distribuzione del gas naturale, trattandosi sì di servizio pubblico, ma che oggi non sarebbe più di competenza dei singoli Enti locali ed avrebbe carattere sovracomunale, e tenuto conto che il servizio di distribuzione svolto da Asco Holding S.p.A. tramite le sue controllate verrebbe effettuato anche in favore di Comuni diversi da quelli soci, i quali, anzi, sarebbero più numerosi degli Enti soci e ricompresi in ambiti territoriali diversi da quelli in cui sono inseriti i suddetti Enti soci. Varrebbe, poi, per l’attività di vendita del gas, considerata la natura prettamente commerciale di detta attività, nonché per i servizi di telecomunicazione svolti da Asco Holding S.p.a. per il tramite di Asco TLC S.p.A., trattandosi di prestazioni reperibili sul mercato ed eseguibili da una pluralità di operatori privati. In conclusione, la partecipazione del Comune intimato alla società avrebbe unicamente scopo di lucro, al pari di ogni altra attività commerciale o industriale, e, dunque, non potrebbe essere mantenuta, né potrebbe essere riconosciuto in capo al socio pubblico alcun margine di valutazione discrezionale al riguardo;

2) eccesso di potere e violazione di legge per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, eccesso di potere per sviamento, perché la deliberazione impugnata sarebbe inficiata dall’assenza di un’adeguata istruttoria e della necessaria motivazione, avendo giustificato il mantenimento della partecipazione in Asco Holding S.p.A. con affermazioni apodittiche e formule stereotipate, inidonee a supportare la determinazione assunta. Tali illegittimità costituirebbero, anzi, indici di sviamento, alla luce del fatto che il Comune resistente, ignorando la missiva trasmessagli da P, avrebbe pedissequamente recepito le indicazioni fornitegli dalla stessa Asco Holding S.p.A. e, così, si sarebbe adeguato ad una scelta di carattere politico operata al di fuori dell’Ente locale e rispondente alla sola sviata logica di mantenere una posizione di controllo e di potere (cioè proprio quella logica che il d.lgs. n. 175/2016 avrebbe inteso sradicare);

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4 e 24 del d.lgs. n. 175/2016 sotto diverso ed ulteriore profilo, eccesso di potere e violazione di legge per difetto di motivazione, nonché difetto di istruttoria ed eccesso di potere per sviamento sotto diverso profilo, poiché la frammentazione che caratterizza le partecipazioni dei Comuni in Asco Holding S.p.A., in assenza di convenzioni, patti parasociali o di sindacato idonei a garantire il controllo congiunto dei soci pubblici, sarebbe un ulteriore elemento che avrebbe dovuto indurre il Comune di Castelfranco Veneto a prendere atto dell’impossibilità di qualificare la partecipazione nella “holding” come necessaria per perseguire i propri fini. Nel caso in questione, infatti, i Comuni soci sono possessori, in misura polverizzata, di azione ordinarie, che non garantirebbero loro, neppure in via indiretta, l’effettiva partecipazione all’elezione dei rappresentanti del Consiglio di amministrazione ed alle decisioni strategiche della società;

4) eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, sviamento, violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 24, comma 1, e 20, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 175/2016, poiché la scelta operata di fondere per incorporazione la controllata Asco TLC S.p.A. sarebbe del tutto inidonea allo scopo del mantenimento della partecipazione, essendo mirata solo a far transitare i dipendenti di Asco TLC S.p.A. nella “holding”, senza finalità industriali ed in assenza di un piano di razionalizzazione. La deliberazione impugnata non conterrebbe in realtà alcuna misura di razionalizzazione, visto che, oltretutto, la fusione dovrebbe essere deliberata dalle società interessate (soggetti terzi ed autonomi rispetto ai Comuni soci);

5) violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5, 7 e 8 del d.lgs. n. 175/2016, difetto di istruttoria, eccesso di potere e violazione di legge (art. 5 del d.lgs. n. 175 cit.) per difetto di motivazione, eccesso di potere per illogicità manifesta, poiché qualora – come imposto dalla normativa – il Comune avesse proceduto previamente alla verifica della sussistenza delle condizioni di cui all’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016 in capo ad Asco TLC S.p.A., sarebbe risultata immediatamente la mancanza delle condizioni giustificative di una partecipazione degli Enti locali in quest’ultima: ed infatti, i servizi di telecomunicazioni prestati dalla società non sarebbero riferibili ad alcun fine istituzionale dei Comuni soci e non vi sarebbe la prova della necessità della partecipazione per conseguire il fine istituzionale, al quale la partecipazione stessa è collegata. Mancherebbe, inoltre, la motivazione analitica imposta dall’art. 5 del d.lgs. n. 175/2016. Ancora, sarebbe illogica la scelta della fusione della “holding” con Asco TLC S.p.A., anziché con la controllata e quotata Ascopiave S.p.A., visto che nella deliberazione impugnata si indicherebbe il servizio di distribuzione del gas (svolto dalla seconda), e non certo quello di telecomunicazioni (svolto dalla prima), quale “collante” tra i soci pubblici. Ciò, tenuto anche conto che la fusione con Ascopiave S.p.A. porterebbe non solo all’eliminazione dei costi di un Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale, ma al risparmio dei costi del contratto di servizio in essere tra la “holding” e la controllata, e consentirebbe di beneficiare delle garanzie sull’investimento che una società quotata in borsa sarebbe in grado di prestare.

La deducente ha formulato, inoltre, domande di accertamento: a) del mancato assolvimento, da parte del Comune, degli obblighi ex art. 24 del d.lgs. n. 175/2016 entro il termine del 30 settembre 2017 ivi previsto, e della conseguente impossibilità per lo stesso di esercitare i diritti sociali nei confronti della società;
b) della nullità e/o inefficacia degli atti di fusione nel frattempo posti in essere da Asco Holding S.p.A. e Asco TLC S.p.A..

Si è costituito in giudizio il Comune di Castelfranco Veneto, depositando una memoria difensiva con cui ha eccepito: a) in rito, il parziale difetto di giurisdizione, in relazione ad alcune delle domande proposte;
b) sempre in rito, il difetto di legittimazione e di interesse a ricorrere da cui sarebbe affetto il gravame;
c) il difetto di giurisdizione e comunque l’infondatezza nel merito che connoterebbero il primo motivo di ricorso;
d) l’infondatezza nel merito di tutti gli altri motivi. In subordine, il Comune ha poi sollevato questione di legittimità costituzionale, sotto molteplici profili, dell’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016.

Si è costituita in giudizio, altresì, la società Asco TLC S.p.a., con atto meramente formale.

Con ordinanza n. 642/2017 del 21 dicembre 2017 il Tribunale ha preso atto della rinunzia all’istanza cautelare da parte della ricorrente.

In vista dell’udienza pubblica la ricorrente P ha depositato memoria conclusiva ed ulteriore documentazione, controdeducendo alle altrui eccezioni ed insistendo nelle conclusioni già rassegnate. La deducente ha, inoltre, precisato di non avere più interesse a coltivare la domanda di accertamento della nullità degli atti attuativi della misura di razionalizzazione consistente nell’incorporazione di Asco TLC S.p.A. in Asco Holding S.p.A. eventualmente assunti, avendo l’assemblea della “holding” deliberato di astenersi dall’assumere decisioni sull’attuazione della misura di razionalizzazione fino alla definizione del giudizio.

All’udienza pubblica di merito del 7 marzo 2018, dopo ampia discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Forma oggetto di impugnazione la deliberazione del Consiglio Comunale di Castelfranco Veneto n. 80 del 29 settembre 2017, con la quale il Comune ha proceduto alla ricognizione delle partecipazioni societarie detenute, nel quadro del programma di revisione straordinaria delle ridette partecipazioni previsto dall’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016 (cd. “riforma Madia”).

La ricorrente agisce, altresì, per l’accertamento del mancato assolvimento da parte del Comune degli obblighi imposti dall’art. 24 cit., e della conseguente impossibilità, in capo al medesimo Comune, di esercitare i diritti sociali (v. il comma 5 dell’art. 24). Agisce, ancora, per l’accertamento della nullità e/o inefficacia degli atti di fusione nel frattempo posti in essere da Asco TLC S.p.A. e Asco Holding S.p.A. (società, quest’ultima, a cui si riferisce la partecipazione per cui è causa).

Quanto a quest’ultimo punto, peraltro, il Collegio prende atto che nei più recenti scritti difensivi la ricorrente ha precisato di non avere più interesse a coltivare la domanda di accertamento della nullità degli atti attuativi della misura consistente nell’incorporazione di Asco TLC S.p.A. in Asco Holding S.p.A. eventualmente assunti dalle società, per avere l’assemblea della ridetta “holding” deliberato di astenersi dall’assumere decisioni in ordine all’attuazione di tale misura di razionalizzazione fino alla definizione del giudizio. Se ne desume che, per questa parte, il ricorso è diventato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione.

Venendo adesso all’esame delle eccezioni pregiudiziali di rito sollevate dal Comune di Castelfranco ed iniziando da quella di difetto di giurisdizione, che, per giurisprudenza consolidata (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786;
id., 12 novembre 2013, n. 5421;
T.A.R. Veneto, Sez. I, 1° febbraio 2018, n. 109;
id., 17 gennaio 2018, n. 52;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 5 novembre 2015, n. 5127;
id., Salerno, Sez. I, 13 gennaio 2014, n. 104), assume carattere prioritario rispetto ad ogni altra, il Collegio osserva quanto segue.

Il Comune ha sollevato anzitutto eccezione di difetto parziale di giurisdizione in ordine alle domande di accertamento presentate da P: eccezione che – dopo quanto si è appena riportato circa la sopravvenuta carenza di interesse sulla domanda di accertamento della nullità o inefficacia degli atti di fusione eventualmente assunti in conseguenza della deliberazione gravata – si deve considerare limitata alla sola domanda di accertamento del mancato assolvimento degli obblighi ex art. 24 del d.lgs. n. 175 cit. entro il 30 settembre 2017 e della conseguente impossibilità, per il Comune intimato, di esercitare i diritti sociali nei riguardi della società.

Viene eccepito, in argomento, che la domanda, avendo ad oggetto l’accertamento della sussistenza, in capo al Comune, di una situazione assimilabile alla mancata adozione dell’atto ricognitivo entro il 30 settembre 2017 e delle conseguenti sanzioni ex art. 24, comma 5, del d.lg. n. 175 cit., si riflette sull’accertamento dei poteri del socio e, perciò, attiene alla sfera civilistica, la cui cognizione sfugge al G.A..

Si tratterebbe, infatti, di sanzioni (impossibilità, per i Comuni soci inadempienti, di esercitare i diritti sociali nelle future assemblee della società partecipata) di rilevanza solo civilistica e l’accertamento giudiziale sarebbe riferito a conseguenze afferenti ai rapporti paritetici tra i ridetti Comuni e P in seno all’assemblea della “holding”.

Né potrebbe parlarsi di domanda inerente ai diritti patrimoniali consequenziali, sì da giustificare la devoluzione al G.A.: la domanda, infatti, mirerebbe all’accertamento dei poteri propri del Comune intimato e non di P, mentre l’estensione della cognizione ai diritti patrimoniali consequenziali sarebbe ammessa solo ove detti diritti siano propri della parte che propone la domanda.

Entro tali limiti, l’eccezione di difetto di giurisdizione è fondata e da accogliere.

Invero, P presuppone che la deliberazione gravata, essendo illegittima e da annullare, sarebbe da assimilare all’ipotesi del mancato esercizio del potere ricognitivo entro il termine del 30 settembre 2017, a cui l’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 175/2016 riconnette la sanzione dell’impossibilità, per il socio pubblico, di esercitare i diritti sociali nei confronti della società partecipata: muovendo da tale presupposto, chiede, pertanto, l’accertamento di detta impossibilità.

Ad avviso del Collegio, tuttavia, la riferita sanzione, incidendo sulle facoltà e sui poteri che spettano all’Ente locale nella sua qualità di socio, cioè sulle manifestazioni di volontà privatistiche del socio pubblico, rientra nella cognizione del G.O.: essa, infatti, involve l’esercizio di poteri privatistici e le posizioni che vi si correlano hanno natura di diritti soggettivi (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. Un., 15 aprile 2005, n. 7799;
T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 9 gennaio 2013, n. 17;
T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 25 gennaio 2010, n. 89).

In altre parole, l’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 175 cit. menziona i “diritti sociali” dell’Ente pubblico socio, quindi si riferisce non ad atti espressione di potestà amministrativa, ma ai poteri che all’Ente pubblico sono conferiti dalla normativa civilistica, e cioè a manifestazioni di volontà essenzialmente privatistiche, sulle quali non vi è giurisdizione del G.A. (T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 9 agosto 2016, n. 1814;
id., Napoli, Sez. I, 23 novembre 2011, n. 5510). Ne consegue che l’accertamento della possibilità o meno, per il socio pubblico, di esercitare tali poteri, non può che ritenersi attribuito alla giurisdizione ordinaria.

Né si versa in un’ipotesi di diritti patrimoniali consequenziali, cui, ai sensi dell’art. 7 c.p.a., si estende la giurisdizione del G.A., poiché qui non si discute dei diritti spettanti al privato a seguito e per effetto dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 2 dicembre 2013, n. 10314), ma, dal lato opposto, dei diritti spettanti all’Ente pubblico quale socio della società (mista).

Pertanto, al Collegio non rimane che dichiarare, ai sensi degli artt. 9 e 11 c.p.a., che la domanda di P mirante all’accertamento dell’impossibilità, per il Comune resistente, di esercitare i “diritti sociali” ex art. 24, comma 5, cit., è devoluta alla giurisdizione del G.O..

In secondo luogo, la difesa comunale solleva eccezione di difetto di giurisdizione in riferimento al primo motivo di impugnazione, basandosi sulla considerazione che l’indagine circa l’attinenza delle attività svolte dalla “holding” con le finalità istituzionali degli Enti locali impingerebbe nel merito amministrativo.

Detta eccezione non può essere condivisa.

Da un lato, infatti, l’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016 parla espressamente di “provvedimento motivato” con cui ciascuna Amministrazione effettua la ricognizione delle partecipazioni possedute alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo ed individua quelle che debbono essere alienate. Oltre alla qualificazione letterale effettuata dalla norma, vi è, dunque, nell’atto che le P.A. adottano ai sensi dell’art. 24, comma 1, cit. un contenuto non solo ricognitivo, ma anche volitivo, che indubbiamente lo fa rientrare nella categoria dei provvedimenti amministrativi, intesi, alla luce della classica definizione dottrinale, come manifestazioni di volontà preordinate alla cura di uno specifico interesse pubblico (la cui realizzazione è affidata alla P.A. titolare del potere di provvedere) e dirette a produrre unilateralmente effetti giuridici nei rapporti esterni con i destinatari.

Trattandosi di provvedimento amministrativo, esso, perciò, costituisce (per definizione) espressione del potere autoritativo della P.A. e, dunque, è sottoposto al sindacato giurisdizionale del G.A., a pena, diversamente opinando, di incorrere nella violazione degli artt. 24, 103 e 113 Cost.. La questione dei limiti entro cui detto sindacato giurisdizionale può esplicarsi è diversa e concerne i confini entro cui l’attività amministrativa discrezionale può essere sottoposta al vaglio giurisdizionale di legittimità, ma ciò non toglie che detta attività sia sindacabile, pur se entro limiti tanto più ristretti, quanto più è ampia la sfera di discrezionalità di cui gode la P.A..

D’altro lato, la decisione delle P.A. di assumere “misure di razionalizzazione” delle partecipazioni societarie da esse detenute attiene, in via di principio, a profili di organizzazione generale delle stesse P.A., per la quale pare invero arduo ipotizzare che non debba esplicarsi attraverso misure di carattere pubblicistico, in qualche modo assimilabili agli atti di cd. macro-organizzazione, che l’ordinamento ben conosce (cfr. artt. 2, comma 1, e 5 del d.lgs. n. 165/2001) e che, per giurisprudenza consolidata, sono assoggettati a principi e regole pubblicistiche e devoluti alla cognizione del G.A. (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 31 agosto 2016, n. 3740;
id., 28 novembre 2013, n. 5684).

Inoltre, la Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che, in tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie aventi ad oggetto l’attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, ritenuta dal Legislatore di natura pubblicistica, con cui un Ente pubblico delibera di costituire una società, provvedendo anche alla scelta del socio, o di parteciparvi, o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società stessa o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita di essa (cfr. Cass. civ., Sez. Un. 20 settembre 2013, n. 21588;
id., 30 dicembre 2011, n. 30167;
v. pure Cass. civ., Sez. Un., 3 novembre 2009, n. 23200, che, in tema di società per azioni a partecipazione maggioritaria del Comune, ha ritenuto che le delibere comunali con le quali si decide, tra l’altro, la riduzione della partecipazione azionaria, costituiscono provvedimenti di natura autoritativa, preliminari e prodromici rispetto alle successive deliberazioni societarie, con il corollario che le controversie relative all’annullamento delle suddette delibere spettano alla giurisdizione del G.A.).

Ad abundantiam, la devoluzione della controversia alla giurisdizione del G.A., per quanto concerne la domanda di annullamento e, quindi, il primo motivo di impugnazione, si ricava anche dal dato che – come già esposto – l’atto di ricognizione delle partecipazioni ex art. 24, comma 1, cit. ha natura provvedimentale, cosicché esso è fronteggiato da posizioni non di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo, ovviamente tutelabili dinanzi al G.A..

Esaurita l’analisi dell’eccezione di difetto di giurisdizione, in tutte le sue articolazioni, occorre ora passare all’ulteriore eccezione di rito sollevata dalla difesa comunale, incentrata sull’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione e di interesse ad agire in capo a P.

Si evidenzia, da un lato, come l’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016 sarebbe norma di diritto pubblico, non destinata a tutelare la posizione del socio privato;
l’inadempimento da parte degli Enti locali all’onere, ivi stabilito, di revisione delle partecipazioni societarie, inciderebbe sui poteri del socio pubblico, ma non comporterebbe alcuna conseguenza pregiudizievole nei confronti dei soggetti terzi non tenuti ad adempiere agli oneri ex art. 24: in particolare, non arrecherebbe pregiudizi al socio privato P, che, perciò, non avrebbe titolo per dolersi della deliberazione impugnata (visto, oltretutto, che la sua partecipazione resterebbe inalterata nella sua consistenza e nel suo valore).

Peraltro, l’interesse del socio privato di ottenere la paralisi dei poteri sociali in capo ai Comuni soci sarebbe contra legem, perché mirerebbe, attraverso una norma di diritto pubblico, alla disapplicazione nei propri confronti dei diritti che spettano agli altri soci in virtù di un contratto di società al quale il socio stesso ha aderito. Inoltre, un tale interesse potrebbe, semmai, assumere rilievo in un’eventuale controversia sulla validità degli atti sociali compiuti con la partecipazione dei soci interdetti, ma non nei confronti della deliberazione comunale impugnata, che sarebbe preliminare a detti atti sociali e, dunque, non cagionerebbe a P alcuna lesione immediata ed attuale.

L’interesse processuale non potrebbe nemmeno fondarsi sull’intenzione di P di acquisire le partecipazioni comunali, una volta che queste ultime fossero destinate alla dismissione, sia perché la dismissione dovrebbe avvenire con un procedimento di evidenza pubblica ai sensi dell’art. 1, comma 568-bis, della l. n. 147/2013 (al quale rimanda l’art. 1, comma 614, della l. n. 190/2014, a sua volta richiamato dall’art. 24, comma 8, del d.lgs. n. 175/2016);
sia perché il predetto art. 1, comma 568-bis riconosce un diritto di prelazione al socio privato solo ove sia detentore di una quota pari almeno al 30% della compagine societaria (ipotesi che, per sua stessa ammissione, non vale per P);
sia, infine, perché anche a revocare in dubbio la necessità dell’evidenza pubblica ai fini della dismissione, P comunque non vanterebbe alcun titolo privilegiato all’acquisizione delle partecipazioni, le quali, a questo punto, verrebbero collocate secondo i mezzi di selezione del contraente riconducibili alla normale autonomia privata. Neppure in questa estrema ipotesi, dunque, potrebbe configurarsi in capo alla ricorrente una posizione differenziata e giuridicamente protetta.

Così sintetizzate le argomentazioni del Comune resistente, osserva il Collegio che le stesse, pur nella loro pregevolezza, non sono suscettibili di positivo apprezzamento.

In primo luogo, deve osservarsi che P, ad oggi titolare di una partecipazione non strategica, in quanto non le consente di esercitare poteri nella “holding”, vuole massimizzare nel suo interesse il proprio investimento, attraverso una duplice opzione alternativa: o con una fusione tra la “holding” ed Ascopiave S.p.A. (società quotata in borsa), che determinerebbe, oggettivamente, una maggiore valorizzazione nell’immediato del suo investimento (poiché la società quotata, con titoli scambiabili facilmente, è più “interessante” di Asco TLC S.p.A.), nonché una posizione di forza all’interno della quotata in borsa, mediante una fusione senza passare dal mercato borsistico;
oppure, imponendo ai Comuni, sulla base dell’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016, di alienare le loro quote, il che le consentirebbe di concorrere per l’acquisto di tali quote e, per tal via, di aumentare la propria partecipazione nella “holding”, al fine di rendere la partecipazione stessa strategica e non irrilevante, com’è attualmente, accrescendone il valore.

Si tratta di interessi prettamente privati, leciti e che, ad avviso del Collegio, valgono indubbiamente a configurare in capo all’odierna ricorrente una posizione differenziata e qualificata, giuridicamente rilevante e suscettibile di tutela.

Occorre a questo punto vedere se la deliberazione impugnata sia in grado di incidere sull’ora vista posizione soggettiva, arrecandole in via immediata e diretta una lesione.

In proposito va osservato, anzitutto, che la deliberazione impugnata, poiché prefigura quale misura di razionalizzazione ex art. 20 del d.lgs. n. 175/2016 la fusione tra Asco Holding S.p.A. e Asco TLC S.p.A., è necessariamente destinata ad avere un seguito nelle decisioni delle assemblee delle società ora citate. Nondimeno, essa è produttiva di effetti esterni immediati, giacché esclude da subito che la partecipazione detenuta dal Comune di Castelfranco nella “holding” rientri tra quelle da dismettere ai sensi del succitato decreto legislativo (cd. Madia).

In altre parole, si è già rammentato che, ai sensi dell’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 175 cit., l’atto di ricognizione delle partecipazioni societarie detenute, che le P.A. erano tenute ad adottare entro il 30 settembre 2017, recava l’individuazione delle partecipazioni da alienare. La deliberazione impugnata esclude che la partecipazione in Asco Holding S.p.A. sia tra quelle da alienare ed invece individua una “misura di razionalizzazione” che dovrebbe – nelle intenzioni dell’Ente deliberante – consentirgli il mantenimento della partecipazione stessa. Dunque, essa frustra immediatamente e da subito uno degli obiettivi di P più sopra ricordati, ostando definitivamente, quantomeno, alla dismissione della partecipazione comunale.

Né potrebbe replicarsi che alla dismissione non farebbe seguito l’acquisto della quota del Comune da parte del socio privato, essendo l’alienazione delle quote dei soci pubblici subordinata all’evidenza pubblica: infatti, è evidente che sottrarre le partecipazioni alla dismissione già di per sé elide in radice la possibilità per P di acquisirle, perché le nega la “chance” di aggiudicarsele all’asta pubblica e, in questo modo, di aumentare il suo peso nella compagine societaria, accrescendo il valore del suo investimento (con il renderlo strategico).

La rilevanza giuridica della “chance”, per P, di rendersi aggiudicataria delle quote dismesse e, nel caso di specie, della quota detenuta dal Comune di Castelfranco Veneto, se dismessa, (“chance” preclusa, si ripete, dalla deliberazione impugnata) rende poi irrilevanti le circostanze della mancanza, in capo al socio privato, di un diritto di prelazione per dette quote, ovvero dell’assenza, in capo alla deducente, dei requisiti per esercitarlo.

Ne consegue l’idoneità della deliberazione comunale impugnata ad incidere in via immediata e diretta sugli interessi patrimoniali del socio privato della “holding”.

Sotto distinto e concorrente profilo, deve, inoltre, negarsi che l’iniziativa giurisdizionale assunta da P si ponga in conflitto con l’interesse della società partecipata, o che l’interesse azionato sia contra legem, perché volto a sottrarla agli obblighi su di essa incombenti per l’adesione al contratto di società, o, ancora, che si tratti di interesse il quale potrebbe assumere rilievo giuridico unicamente nell’ambito di una controversia (civilistica) sulla validità degli atti “a valle”, adottati dalle assemblee delle due società (“holding” e partecipata) a seguito delle deliberazioni comunali.

A tali affermazioni può, infatti, replicarsi che non sembra per nulla peregrina – ed anzi va condivisa – l’osservazione di P di avere interesse a che la “holding”, di cui detiene una quota, operi in maniera legittima, in modo che non ne sia danneggiata l’esistenza: è ovvio, infatti, che il socio ha un interesse a che la società agisca legittimamente e l’ordinamento giuridico riconosce e dà tutela a tale interesse. Si richiama, sul punto, l’art. 2377, secondo comma, c.c., a tenor del quale “le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci assenti, dissenzienti od astenuti (….)”, ricordando, altresì, come, secondo la giurisprudenza, nell’azione di annullamento di delibera di società di capitali (o cooperativa), l’interesse ad agire si identifica con quello dei soci alla regolare e corretta gestione della società (cfr. Cass. civ., Sez. I, 30 maggio 2008, n. 14554).

Invero, negli scritti difensivi la deducente osserva – del tutto condivisibilmente – di far valere, quale socia di Asco Holding S.p.A., il suo interesse legittimo a che i soci pubblici, chiamati dal cd. decreto Madia a provvedere sulle loro partecipazioni nella “holding”, assumano determinazioni relative alla gestione di tali partecipazioni nel rispetto della legge: ed infatti, l’eventuale illegittimità degli atti di ricognizione ex art. 24 cit. costituisce di per sé un danno per il socio privato, così come per ogni altro socio, poiché finisce per ripercuotersi sul buon funzionamento della società e sul valore delle relative partecipazioni.

In definitiva, nel caso di specie viene fatto valere un interesse legittimo inteso non già come interesse alla correttezza dell’azione amministrativa (secondo una risalente impostazione dottrinale), ma come interesse alla correttezza e legittimità dell’operato della società di cui si detengono le quote, al fine del mantenimento e dell’aumento di valore delle quote stesse (bene della vita sostanziale, perseguito dalla ricorrente). E detto interesse viene inciso dalla deliberazione gravata, nella misura in cui questa ha quale necessario corollario una decisione delle assemblee societarie (la fusione tra Asco Holding S.p.a. e Asco TLC S.p.A.) che sarebbe – nella prospettazione della deducente – contra legem, perché elusiva del dettato del d.lgs. n. 175/2016.

Anche per questa via, dunque, si conferma che l’atto di ricognizione adottato dal Comune resistente ai sensi dell’art. 24, comma 1, del cd. decreto Madia è idoneo ad incidere in via immediata e diretta sugli interessi di P, alla quale vanno, per conseguenza, riconosciuti sia la legittimazione, sia l’interesse a ricorrere.

Da ultimo, occorre osservare che la revisione delle partecipazioni prevista dall’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016 ha carattere straordinario – come recita la rubrica dello stesso art. 24 –, imponendo la legge, tra l’altro, una precisa scadenza temporale per l’alienazione delle partecipazioni di cui non è consentito il mantenimento (un anno dalla ricognizione di cui al citato comma 1). Essa, perciò, non costituisce un mero aggiornamento del piano di razionalizzazione delle partecipazioni, che i Comuni erano tenuti ad approvare ai sensi dell’art. 1, comma 612, della l. n. 190/2014.

Ne discende che anche chi – come P – non risulta avere contestato i contenuti di detto piano, non per questo non è legittimato a dolersi di eventuali illegittimità della revisione straordinaria ex art. 24, comma 1, cit..

Donde, in definitiva, l’ammissibilità del ricorso, l’infondatezza dell’eccezione sollevata dal Comune di Castelfranco Veneto emergendo sotto tutti i profili sopra esaminati.

Per quanto concerne, poi, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla difesa comunale, il Collegio ritiene opportuno, per ragioni logico-giuridiche, rinviarne l’esame all’esito della trattazione dei singoli motivi di ricorso.

Venendo adesso al merito del gravame, osserva il Collegio che lo stesso è fondato e da accogliere nei termini che di seguito si vanno ad esporre.

In particolare, è fondato il terzo motivo di ricorso, attraverso il quale si lamenta l’illegittimità della deliberazione impugnata, per avere questa ritenuto che la partecipazione del Comune di Castelfranco Veneto in Asco Holding S.p.A. fosse coerente con il perseguimento delle finalità istituzionali del medesimo e che le attività svolte dalle società controllate dalla citata “holding” (Ascopiave S.p.A. e Asco TLC S.p.A.) consistessero in servizi di interesse generale, ai sensi degli artt. 2, comma 1, lett. h), e 4, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 175/2016: ciò, nonostante la partecipazione di detto Comune al capitale sociale di Asco Holding S.p.A. sia, al pari degli altri Comuni soci, assai ridotta – giacché pari al 2,67% del capitale sociale (v. scheda “0.2.01” dell’allegato A) alla deliberazione impugnata) – e pur a fronte dell’assenza di convenzioni, patti parasociali o di sindacato idonei a garantire il controllo congiunto dei soci pubblici sulla “holding”.

Invero, la possibilità o meno di configurare le attività svolte dalla società partecipata quali “servizi di interesse generale” – che, in base all’art. 4, comma 2, lett. e), cit., consentono ai Comuni soci di non dismettere le quote – anche in presenza di una partecipazione fortemente minoritaria dell’Ente locale al capitale sociale, è questione pregiudiziale rispetto alle altre: ove, infatti, ad essa sia data soluzione negativa, ci si troverà comunque al di fuori dei casi in cui l’art. 4 del d.lgs. n. 175/2016 consente alle Amministrazioni di mantenere le partecipazioni detenute.

Orbene, la suddetta questione è stata affrontata e risolta dalla Corte dei conti della Lombardia – Sez. controllo con delibera n. 398 del 21 dicembre 2016: questa, dopo aver premesso che l’individuazione di un servizio pubblico svolto a fini di interesse generale secondo le previsioni dell’art. 2, comma 1, lett. h), del d.lgs. n. 175 cit., rileva, alla luce della ricognizione da operarsi ai sensi del successivo art. 24, in ordine alla possibilità del mantenimento o meno della relativa partecipazione societaria, precisa che, qualora siffatta partecipazione sia minoritaria (stante anche l’assenza di altri soci pubblici), il servizio espletato non soddisfa tale qualificazione, non potendo esserne garantita la fruibilità secondo le modalità richieste dal cd. decreto Madia.

Per pervenire alla conclusione ora esposta – che il Collegio condivide – la Corte dei conti muove dal presupposto dell’intangibilità del ruolo centrale dell’Ente locale quale interprete primario dei bisogni della collettività locale, riconosciuto anche a livello costituzionale: siffatto ruolo non viene messo in discussione dall’assenza di un organico quadro legislativo che individui le funzioni comunali perché, semmai, il Legislatore può solo specificare quali siano gli ambiti che non rientrano nella competenza comunale. Tuttavia – aggiunge la delibera – l’Ente che non ha fini di lucro non può svolgere attività di impresa, e la possibilità quindi, di costituire società, o è prevista espressamente dalla legge, oppure può essere consentita per lo svolgimento di servizi generali (si tratti di servizi pubblici economici o non).

La disciplina legislativa succedutasi negli ultimi anni ha come cifra costante quella dell’eliminazione dall’azione degli Enti locali delle attività economiche per interessi estranei alle finalità istituzionali dell’Ente, o per fini esclusivamente commerciali.

Spetta, pertanto, al singolo Ente valutare quali siano le necessità della comunità locale e, nell’ambito delle compatibilità finanziarie e gestionali, avviare le “politiche” necessarie per soddisfarle.

Ciò premesso, la Corte dei conti concentra l’attenzione sulla nozione di servizio di interesse generale contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. h), del d.lgs. n. 175/2016.

In base a tale disposizione, per “servizi di interesse generale” si intendono “le attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale”.

Alla luce di siffatta definizione, il servizio può essere svolto dall’Ente locale se l’intervento dell’Ente stesso sia necessario per garantire l’erogazione del servizio, alle condizioni stabilite nella disposizione in questione, ossia nell’ipotesi in cui, senza l’intervento pubblico, sarebbero differenti le condizioni di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza del servizio stesso.

La Corte osserva che, però, ove la partecipazione dell’Ente sia minoritaria (ed in assenza di altri soci pubblici, che consentano il controllo della società), il servizio espletato non è da ritenere “servizio di interesse generale” poiché, a prescindere da ogni altra considerazione relativa alle finalità istituzionali dell’Ente, l’intervento pubblico, stante la partecipazione minoritaria, non può garantire l’accesso al servizio, come declinato nel cd. decreto Madia: l’accesso al servizio non sarebbe svolto dal mercato, oppure sarebbe svolto a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità e non discriminazione.

In definitiva, una partecipazione poco significativa non sarebbe in grado di determinare le condizioni di accesso al servizio, che potrebbero legittimare il mantenimento della quota.

Il Collegio condivide le suesposte argomentazioni della Sez. controllo della Corte dei conti e reputa che le stesse debbano estendersi anche alla fattispecie ora all’esame, stante l’evidente somiglianza tra il caso dell’unico socio pubblico titolare di una partecipazione minoritaria, analizzato dalla Corte dei conti, e quello del Comune resistente, titolare di una partecipazione “pulviscolare” al capitale sociale di Asco Holding S.p.A.: ciò, perché la ridetta partecipazione “pulviscolare” non consente di per sé al singolo socio pubblico di influire sulle decisioni strategiche della società, e tantomeno sulle decisioni attinenti alle modalità di accesso ai servizi e di erogazione di questi.

Sul punto non può obiettarsi che, affinché sia garantita la “stretta necessità” dell’attività per le finalità istituzionali delle P.A., ex art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016, non vi sarebbe alcuna necessità di un controllo dei Comuni sull’attività della società: controllo che non sarebbe richiesto da nessuna disposizione di legge e, in particolare, non sarebbe richiesto dall’art. 2, comma 1, lett. h), del succitato decreto legislativo.

Al riguardo, infatti, la giurisprudenza (C.d.S., Sez. V, 11 novembre 2016, n. 4688) ha evidenziato che il rapporto di strumentalità di un ente societario, formalmente privatistico e naturalmente operante nel mercato, rispetto ai fini di interesse pubblico devoluti alla cura dell’Amministrazione partecipante non dipende dal solo oggetto sociale, ma anche dalle modalità con cui quest’ultima può esercitare le proprie prerogative di azionista ed indirizzarne e coordinarne l’attività. In altri termini, per un’autorità amministrativa ha rilievo non solo “se” una società di diritto privato esercita un’attività economica e se, pertanto, è opportuno partecipare al suo capitale, ma anche “come” questa attività viene svolta, e, dunque, quale influenza sulla stessa è possibile esercitare, per assicurarne la coerenza con finalità di interesse pubblico.

La pronuncia in commento (espressasi in riferimento all’obbligo di dismissione delle partecipazioni delle P.A. in società aventi per oggetto l’attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, introdotto dall’art. 3, comma 27, della l. n. 244/2007), ha messo l’accento sull’importanza, per questo verso, dell’entità concreta della partecipazione, nell’ottica della capacità dell’Ente pubblico di assicurarsi un’incidenza determinante sul governo della società partecipata. Occorre, in particolare, verificare se questa partecipazione sia tale da consentire all’Ente di governare verso le succitate finalità istituzionali la società partecipata o meglio la sua attività: laddove questo governo non sia possibile, la partecipazione dell’Ente pubblico assume nei fatti le caratteristiche di un semplice sostegno finanziario ad un’attività di impresa, che si realizza tramite la sottoscrizione di parte del capitale, ma che non si accompagna alla possibilità di indirizzarla verso finalità di interesse pubblico.

Escluso, quindi, che i singoli Comuni soci (e tra questi, per quanto rileva, il Comune di Castelfranco Veneto) possano in qualche modo influire sulla vita della “holding” partecipata, atteso il carattere polverizzato delle loro partecipazioni, non risulta in alcun modo allegata o documentata neppure la sussistenza di elementi tali da garantire un controllo congiunto dei Comuni sulla ridetta società, sì da indirizzarne – in forma stavolta collettiva – l’azione verso il conseguimento delle finalità istituzionali degli stessi Enti locali.

Nella documentazione in atti non vi è cenno, infatti, alla sussistenza di patti parasociali, di sindacato, o di previsioni statutarie, che, attraverso il predetto controllo congiunto, suppliscano all’impossibilità, per i Comuni, di controllare singulatim vita e attività della “holding”.

La stessa deliberazione impugnata, alla scheda “0.2.01” dell’allegato A), afferma che quella in Asco Holding S.p.a. non è una partecipazione di controllo.

A quest’ultimo riguardo, si ricorda che, per il caso del cd. in house frazionato (in cui vi è una società che si pone come “in house” rispetto a più Enti pubblici soci) – diverso, ma con talune somiglianze rispetto alla vicenda ora in esame –, la giurisprudenza ha elaborato taluni indici, che consentivano di parlare di “controllo analogo” anche da parte dei Comuni titolari di una partecipazione polverizzata al capitale della società “in house”.

In particolare, i suddetti indici sono stati ravvisati (cfr. C.d.S., Sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092;
T.A.R. Lombardia, Sez. III, 10 dicembre 2008, n. 5758, confermata dalla precedente;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 16 ottobre 2007, n. 9988):

- nell’esistenza di un convenzione tra gli Enti locali partecipanti al capitale della società “in house”, stipulata ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 267/2000, recante la costituzione di un organismo comune formato dai Sindaci dei Comuni affiliati, con paritario diritto di voto indipendentemente dall’entità della partecipazione societaria, che definiva gli indirizzi operativi sui servizi affidati, vincolanti per il consiglio d’amministrazione della citata società, ed esercitava il controllo di efficacia complessiva dei servizi affidati all’organismo societario;

- nell’attribuzione a ciascun Comune socio, in base allo statuto della società, di poteri propulsivi nei riguardi del consiglio d’amministrazione (c.d.a.) di quest’ultima, consistenti in proposte di specifiche iniziative inerenti all’esecuzione dei singoli contratti di servizio, e di poteri di veto sulle deliberazioni del c.d.a. riguardanti l’attuazione del contratto di servizio;

- nella previsione, sempre in base allo statuto, di un modello societario caratterizzato da un aumento dei poteri decisori dell’assemblea sociale rispetto al c.d.a., divergente dal modello ordinario, con attribuzione alla prima del potere di formulare indirizzi vincolanti in ordine al piano industriale – con previsione di una maggioranza qualificata basata anche sul numero dei Comuni soci – e agli atti più significativi relativi all’erogazione dei servizi, quale la predisposizione della carta dei servizi e degli schemi generali dei contratti di servizio.

Certo, si tratta di vedere se simili schemi convenzionali e modelli statutari possano essere applicati anche al caso ora in esame della società mista, con i necessari accorgimenti dovuti alla presenza dei soci privati. Del resto, la pronuncia del Consiglio di Stato poc’anzi rammentata (C.d.S., Sez. V, n. 4688/2016, cit.), ai fini della verifica della possibilità, per i Comuni soci, di indirizzare verso finalità istituzionali l’attività della società partecipata, ha posto l’accento, oltre che sulla già ricordata entità della partecipazione, sulla previsione di speciali diritti del socio pubblico, o riserve di amministratore, ovvero su particolari rapporti contrattuali tra la società e l’Amministrazione Pubblica partecipante, “sulla base di caratterizzazioni esterne di matrice pubblicistica e derogatorie degli ordinari dispositivi di funzionamento propri del modello societario definito dal Codice civile”.

Ove, peraltro, si ritengano impossibili simili adattamenti/accorgimenti/previsioni, restano comunque aperte le altre strade, di matrice più prettamente civilistica, già elencate (patti parasociali, di sindacato, ecc.), finalizzate anch’esse a quel controllo congiunto da parte degli Enti locali soci, necessario a far rientrare la fattispecie nelle strette maglie degli artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 175/2016. Né a ciò osterebbe l’eventuale temporaneità di dette pattuizioni, atteso che l’art. 20 del decreto legislativo (non a caso rubricato “razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche”) impone – in disparte quanto previsto dal successivo art. 24, comma 1 – che le P.A. provvedano annualmente ad eseguire un’analisi dell’assetto complessivo delle società di cui detengono partecipazioni, predisponendo, ove ricorrano i presupposti di cui al comma 2 dello stesso art. 20, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione.

La fondatezza, per quanto suesposto, del terzo motivo di gravame comporta la fondatezza, altresì, del secondo motivo, in considerazione dell’inadeguatezza delle motivazioni addotte dalla deliberazione comunale impugnata a supporto dell’operazione di ricognizione delle partecipazioni da essa compiuta ai sensi dell’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016. Comporta, altresì, l’assorbimento del quarto motivo.

Per quanto riguarda, infine, il primo ed il quinto motivo, osserva il Collegio che l’art. 4, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 175 cit., nel consentire il mantenimento delle partecipazioni pubbliche in società “esclusivamente” per lo svolgimento di servizi di interesse generale, sembra confermare la fondatezza delle censure ivi dedotte: infatti, la società può sopravvivere nella sua attuale compagine societaria – e cioè con le partecipazioni degli Enti locali soci – a patto che svolga tutti e solo servizi di interesse generale (in questo senso dovendo intendersi, per il Collegio, l’avverbio “esclusivamente”). Mentre, però, l’attività di distribuzione del gas può ben farsi rientrare tra i “servizi di interesse generale”, non altrettanto può dirsi né per l’attività di vendita del gas, né per i servizi di telecomunicazioni svolti da Asco TLC S.p.A., aventi carattere puramente commerciale, venendo così a difettare, nel caso de quo, il requisito della “esclusività” di cui al citato art. 4, comma 2 del cd. decreto Madia.

La fondatezza delle surriferite censure di P comporta, a questo punto, l’esigenza di scrutinare le questioni di legittimità costituzionale di talune disposizioni del d.lgs. n. 175/2016 sollevate dalla difesa comunale.

Un prima questione posta riguarda l’asserita incostituzionalità dell’art. 24, commi 1, 3, 4 e 5 del d.lgs. n. 175/2016 per violazione dell’art. 119, ult. comma, Cost., ai sensi del quale i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. L’art. 24 cit. si esporrebbe a dubbi di incostituzionalità, per avere esso introdotto una disciplina di dettaglio, e non di principio.

La questione è manifestamente infondata, poiché il procedimento di revisione straordinaria ex art. 24 cit. è espressione del principio, ora sancito dal cd. decreto Madia, ma da lungo tempo presente nella legislazione nazionale, del disfavore nei riguardi della costituzione e del mantenimento da parte delle Amministrazioni Pubbliche di società commerciali con scopo lucrativo, il cui campo di attività esuli dalle relative finalità istituzionali, né risulti, comunque, coperto da disposizioni normative di specie (v. la già citata delibera della Corte dei conti della Lombardia – Sez. controllo n. 398/2016 cit.;
con riguardo all’art. 3, comma 27, della l. n. 244/2007, v. C.d.S., A.P., 3 giugno 2010, n. 11;
id., Sez. V, n. 4688/2016, cit.): pretendere – come fa in buona sostanza il Comune – che il Legislatore statale si limitasse a ribadire tale disfavore, già più volte enunciato, senza individuare misure concrete per darvi attuazione, significherebbe privare di senso e di valore il principio in discorso. Donde, ad avviso del Collegio, l’infondatezza della questione.

Un’ulteriore questione riguarda l’incostituzionalità delle sanzioni disposte dall’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 175/2016 per il caso di mancata adozione dell’atto di ricognizione straordinaria, ovvero di mancata alienazione delle partecipazioni entro il termine di legge e, più in specie, delle sanzioni della paralisi dei diritti sociali del socio pubblico e della nullità degli atti societari eventualmente assunti con la partecipazione del socio pubblico “inibito”. Dette sanzioni, portando ad una limitazione della capacità operativa e dell’autonomia negoziale della società partecipata, pur incolpevole, si porrebbero in contrasto con l’art. 41 Cost.. Si tratta, tuttavia, di questione manifestamente irrilevante ai fini della decisione della presente controversia atteso che:

a) la paralisi dei diritti sociali del socio pubblico è tematica che – come già illustrato – esula dalla giurisdizione di questo G.A., tanto che sulla relativa domanda di accertamento vi è stata declaratoria di difetto di giurisdizione;

b) quanto alla sanzione della nullità degli atti societari, come si è già visto P ha dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse alla domanda di accertamento della nullità degli atti assunti da Asco Holding S.p.A. e Asco TLC S.p.A., cosicché anche da questo punto di vista la questione di legittimità costituzionale è priva della necessaria rilevanza.

Da ultimo, viene sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016 per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost., perché il procedimento da esso previsto porterebbe i Comuni a dover alienare le loro partecipazioni ad un prezzo assai poco conveniente (stante il carattere forzoso dell’alienazione) e, viceversa, consentirebbe ai privati di acquisirle a prezzi molto favorevoli, con una palese distorsione del mercato.

Anche in questo caso, tuttavia, la questione di legittimità costituzionale è priva del requisito della rilevanza, atteso che – come si dirà più diffusamente subito infra – l’accoglimento del ricorso, con il conseguente annullamento della deliberazione gravata, non comporta l’automatica dismissione della partecipazione del Comune: in capo a questo resta, infatti, il potere discrezionale di rideterminarsi, in sede di revisione straordinaria ex art. 24 cit., e, così, di scegliere tra le varie opzioni possibili, avendo come riferimento l’interesse dell’Ente locale e i principi desumibili dal cd. effetto conformativo della presente decisione.

In definitiva, perciò, il ricorso è fondato e da accogliere nella sua parte impugnatoria, per le ragioni sopra illustrate.

Per l’effetto, va disposto l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale di Castelfranco Veneto n. 80 del 29 settembre 2017 nella parte concernente la partecipazione del Comune in Asco Holding S.p.A. e, in specie, lì dove si prevede, quale “misura di razionalizzazione”, la fusione di tale società con Asco TLC S.p.A., con restituzione degli atti al Comune per le determinazioni conseguenti, da adottarsi, in base all’effetto conformativo derivante dalla presente decisione, secondo i principi di diritto desumibili dalla medesima (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 20 giugno 2013, n. 640;
T.A.R. Veneto, Sez. I, 9 febbraio 2018, n. 145;
id., 27 settembre 2017, n. 861;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 8 aprile 2015, n. 5145). Non sembra, infatti, che alcuna disposizione del d.lgs. n. 175/2016 vieti la riedizione del potere di ricognizione straordinaria ex art. 24 cit. oltre il termine del 30 settembre 2017, ove resasi necessaria a seguito di annullamento giurisdizionale del precedente atto di ricognizione: ciò, considerato che il termine ultimo della complessa fattispecie procedimentale indicata dall’art. 24 del decreto legislativo sembra, piuttosto, quello per l’alienazione delle partecipazioni di cui al comma 4 del predetto art. 24.

Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese tra le parti, in ragione della novità e della complessità delle questioni trattate.

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