TAR Torino, sez. II, sentenza 2013-12-12, n. 201301309

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. II, sentenza 2013-12-12, n. 201301309
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 201301309
Data del deposito : 12 dicembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01835/1999 REG.RIC.

N. 01309/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01835/1999 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1835 del 1999, proposto da:
AZIENDE AGRICOLE SEVAM E C. S.A.S., I PLATANI S.S., rappresentate e difese dall'avv. P S, con domicilio eletto presso P S in Torino, via S. Francesco D'Assisi, 14;

contro

A.I.M.A. - AZIENDA DI STATO PER GLI INTERVENTI NEL MERCATO AGRICOLO, ora AG.E.A. - AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;

per l'annullamento

- della comunicazione AIMA prot. 277/Comm. liq. in data 8.8.1999 e allegate schede individuali relative alle Aziende agricole ricorrenti, con cui sono stati indicati sia i risultati delle compensazioni nazionali per i periodi di produzione lattiera 1995/96 e 1996/97, sia le conseguenti imputazioni individuali alle Aziende agricole ricorrenti del prelievo supplementare;

- di ogni altro atti antecedente, preordinato, consequenziale o comunque connesso del procedimento.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.I.M.A. - Azienda di Stato per gli Interventi Nel Mercato Agricolo, ora AG.E.A. - Agenzia Per Le Erogazioni in Agricoltura;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 novembre 2013 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso di cui in epigrafe si è chiesto l’annullamento, previa sospensione cautelare, della comunicazione AIMA prot. n. 277/Comm. liq., dell’8 agosto 1999 (ed allegate schede individuali), indirizzata alle aziende agricole ricorrenti, con la quale sono stati indicati sia i risultati delle compensazioni nazionali per i periodi di produzione lattiera 1995/96 e 1996/97, sia le conseguenti imputazioni individuali alle aziende medesime del prelievo supplementare, ai sensi del decreto-legge n. 43 del 1999, convertito in legge n. 118 del 1999.

Agli atti impugnati vengono mosse le seguenti censure:

- illegittimità derivata: l’impugnato provvedimento sarebbe “direttamente collegato” ai precedenti atti attributivi delle quote per le annate lattiero-casearie 1995/96 e 1996/97, già impugnati dinnanzi a questo TAR con precedenti ricorsi. I vizi che inficiavano tali “atti presupposti” sarebbero da intendersi, in questa sede, come “integralmente riprodotti siccome esplicitati, da ultimo, nel ricorso R.G. 1525/99”;

- contrarietà dell’art. 1 del decreto-legge n. 43 del 1999, convertito in legge n. 118 del 1999, con il Regolamento comunitario n. 1992/3950/CEE;
illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 del decreto-legge n. 411 del 1997, convertito in legge n. 5 del 1998, e dell’art. 1 del decreto-legge n. 43 del 1999, convertito in legge n. 118 del 1999, per violazione degli artt. 3, 25, 41 e 97 Cost.;
violazione di legge per contrasto con l’art. 11 disp. prel. c.c.;
violazione degli artt. 2 e 4 del Regolamento n. 1992/3590/CEE: tanto si deduce per argomentare l’illegittimità dell’imposizione retroattiva del prelievo supplementare e degli accertamenti che ne stanno alla base;

- violazione di legge per contrasto con l’art. 3 della legge n. 241 del 1990, con l’art. 1, comma 12, del decreto-legge n. 43 del 1999, convertito in legge n. 118 del 1999, con l’art. 2, comma 2, del Regolamento n. 1993/536/CEE e con l’art. 8, commi 9 e 10, del d.P.R. n. 569 del 1993;
difetto di istruttoria;

- violazione di legge per contrasto con l’art. 1, comma 8, del decreto-legge n. 43 del 1999, convertito in legge n. 118 del 1999, nonché con l’art. 3, par. nn. 3, 4 e 5, della direttiva 1975/268/CEE;
eccesso di potere per erronea valutazione e travisamento dei fatti: tanto si deduce per argomentare l’illegittimità commessa dall’amministrazione che, a causa di errori “nell’individuazione della sede” di ciascuna delle aziende ricorrenti, non ha applicato le disposizioni di favore che il legislatore ha introdotto per i produttori titolari di quota delle zone di montagna e delle altre zone svantaggiate di cui alla direttiva europea invocata. Nel caso specifico, entrambe le aziende ricorrenti hanno sede legale in Cumiana, “zona svantaggiata ai sensi della legislazione succitata”.


2. Si è costituita in giudizio l’AIMA- Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, chiedendo – con memoria di mero stile – il rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 1127 del 1999 questo TAR ha accolto la domanda cautelare, unicamente motivando circa la sussistenza di danni gravi ed irreparabili ai sensi dell’(allora vigente) art. 21 della legge n. 1034 del 1971.


3. A seguito dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010), ed in applicazione dell’art. 1 dell’Allegato n. 3 di tale codice, con decreto presidenziale n. 3213 del 2011 l’intero ricorso è stato dichiarato perento. Ne è seguita istanza di fissazione di udienza di discussione, presentata in data 14 marzo 2012 da entrambe le ricorrenti: di conseguenza il precedente decreto di perenzione è stato revocato con decreto presidenziale n. 1117 del 2012, con reiscrizione della causa sul ruolo di merito.

In vista della pubblica udienza di discussione l’amministrazione resistente (ora nelle vesti di AGEA- Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, nel frattempo subentrata all’AIMA a norma del d.lgs. n. 165 del 1999) ha depositato una memoria, insistendo per il rigetto del gravame.

Alla pubblica udienza del 13 novembre 2013, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione. Ai sensi dell’art. 75, comma 2, cod. proc. amm., la decisione è stata differita alla camera di consiglio del 27 novembre 2013.


4. Il ricorso è in parte inammissibile ed in parte non fondato.

Inammissibile è, anzitutto, la prima censura incentrata su una presunta “illegittimità derivata” degli atti impugnati. Nel richiamare gli affermati vizi di legittimità degli atti asseritamente presupposti, infatti, le ricorrenti si sono limitate ad un generico rinvio ai “medesimi vizi” già in precedenza dedotti (in altri ricorsi) avverso questi ultimi, senza però riproporre nella presente sede, in modo esplicito, le censure. La deduzione di motivi di ricorso per relationem ai motivi di impugnazione contenuti in analogo ricorso vertente sulla stessa materia del contendere è, infatti, inammissibile anche quando il gravame risulti presentato dal medesimo soggetto (cfr., ex multis : TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 1741 del 2013;
Cons. Stato, sez. IV, n. 2847 del 2007;
Id., sez. III, n. 830 del 2003;
Id., sez. IV, n. 1758 del 1998;
vedi anche TAR Calabria, Reggio Calabria, n. 149 del 1998, per la precisazione che tale vizio del ricorso può essere sanato solamente dalla eventuale possibilità di desumere, comunque, dall’esposizione dei fatti e dal contesto del ricorso, le dette censure: possibilità che, nel caso di specie, non sussiste).


5. Non sono fondati tutti gli altri motivi.

Quanto alle censure che attengono alla retroattività delle decisioni in materia di quote latte – sulla scorta dei precedenti della Sezione: cfr., ex multis , sentt. nn. 1043, 1067 e 1125 del 2012, come peraltro confermati dal Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 4428 del 2013 – deve osservarsi quanto segue.

A fronte della difficoltà di avvio del regime delle quote latte nello Stato italiano (sia per l’assenza di dati certi che per il mancato coinvolgimento delle Regioni nell’accertamento e nelle procedure di riduzione dei quantitativi di riferimento individuale- q.r.i. da assegnare ai produttori), il legislatore nazionale ha dovuto introdurre una serie di misure, reiterate più volte, per accertare i dati di produzione e commercializzazione del latte, unitamente alla possibilità per gli interessati di proporre istanze di riesame in caso di controversie sul punto. In particolare, tale attività di accertamento, seppure nella parte in cui erano state riscontrate anomalie (con riferimento, ad esempio, al contenuto formale e sostanziale dei modelli L1 sottoscritti dai produttori e dagli acquirenti), è stata reiterata più volte, prima con il decreto-legge n. 411 del 1997, convertito in legge n. 5 del 1998 (attuato dal d.m. 17 febbraio 1998) e poi con il decreto-legge n. 43 del 1999, convertito in legge n. 118 del 1999, e con i successivi decreti ministeriali di attuazione (i dd.mm. nn. 159, 309 e 310 del 1999).

La Corte di Giustizia delle Comunità europee, sul punto della compatibilità comunitaria delle norme nazionali che prevedono l’assegnazione retroattiva dei q.r.i., ha dato, in termini di legittimità, risposta positiva con sentenza del 25 marzo 2004, causa C-480, con statuizioni che costituiscono un vincolo per il giudice nazionale. Ed invero, la Corte di Giustizia CE, con la citata pronuncia, ha chiarito che gli artt. 1 e 4 del Regolamento n. 1992/3950/CEE, che istituiscono il regime del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, nonché gli artt. 3 e 4 del Regolamento n. 1993/536/CEE, che stabiliscono le modalità di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro, a seguito di controlli, rettifichi i quantitativi di riferimento individuali attribuiti ad ogni produttore e conseguentemente ricalcoli, a seguito di riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, i prelievi supplementari dovuti successivamente al termine di scadenza del pagamento di tali prelievi per la campagna lattiera interessata. La Corte comunitaria è arrivata a tale conclusione dopo aver ricostruito la ratio del regime di prelievo supplementare sul latte, finalizzato a ristabilire l’equilibrio fra domanda e offerta sul mercato lattiero, caratterizzato da eccedenze strutturali, limitandone la produzione;
tali misure si iscrivono nell’ambito delle finalità di sviluppo razionale della produzione lattiera e di mantenimento di un tenore di vita equo della popolazione agricola interessata, contribuendo ad una stabilizzazione del reddito di quest’ultima. Da ciò consegue – ha spiegato la Corte – che il prelievo supplementare non può essere considerato come una sanzione analoga alle penalità previste negli artt. 3 e 4 del Regolamento n. 1993/536/CEE, che stabiliscono le modalità di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Infatti, il prelievo supplementare sul latte costituisce una restrizione dovuta a regole di politica dei mercati e di politica strutturale. Peraltro, come risulta dall’art. 10 del Regolamento n. 1992/3950/CEE, il prelievo supplementare fa parte degli interventi intesi a regolarizzare i mercati agricoli ed è destinato al finanziamento delle spese del settore lattiero. Ne consegue che, oltre al suo obiettivo manifesto di obbligare i produttori di latte a rispettare i quantitativi di riferimento ad essi attribuiti, il prelievo supplementare ha anche una finalità economica, in quanto mira a procurare alla Comunità i fondi necessari allo smaltimento della produzione realizzata dai produttori in eccedenza rispetto alle loro quote.

Venendo alla situazione nazionale del regime delle “quote latte”, la Corte di Giustizia ha poi rilevato che i quantitativi di riferimento individuali inizialmente attribuiti dalle autorità italiane contenevano numerosissimi errori, dovuti in particolare al fatto che la produzione effettiva in base alla quale tali quantitativi erano stati attribuiti era stata certificata dai produttori stessi (tra gli errori rilevati, si rammenta che la commissione governativa d’indagine ha accertato, in particolare, che più di 2000 aziende agricole avevano dichiarato di produrre latte senza che risultasse il possesso di mucche). In questo ambito, le misure adottate dall'AIMA nel contesto di riferimento nazionale non sono state considerate sproporzionate rispetto al fine perseguito né lesive del principio di tutela del legittimo affidamento in quanto, se il quantitativo di riferimento individuale che un produttore può pretendere corrisponde al quantitativo di latte commercializzato durante l’anno di riferimento, lo stesso operatore agricolo, che in linea di principio conosce il quantitativo che ha prodotto, non può nutrire un legittimo affidamento sul mantenimento di un quantitativo di riferimento inesatto.

Ha poi rilevato la Corte come non possa configurarsi un legittimo affidamento in ordine al mantenimento di una situazione manifestamente illegale rispetto al diritto comunitario (vale a dire la mancata applicazione del regime di prelievo supplementare sul latte) nel senso che i produttori di latte degli Stati membri non possono legittimamente aspettarsi di poter continuare a produrre latte senza limiti, dopo tanti anni dall'istituzione di tale regime.

Da qui, la conformità al diritto comunitario del regime introdotto dal legislatore nazionale.

Successivamente, anche la Corte costituzionale, con sentenza n. 272 del 2005, ha smentito la tesi secondo cui la rideterminazione sarebbe soggetta al vincolo della irretroattività. Nella predetta pronuncia, si è, infatti, affermato che "non sono fondate le q.l.c. dell'art. 1 commi 3 e 4 d.l. 1 marzo 1999 n. 43, conv., con modificazioni, in l. 27 aprile 1999 n. 118, censurato, in riferimento agli art. 3, 5, 117 e 118 cost., in quanto attribuirebbe ad AIMA il potere di aggiornamento dei quantitativi individuali in violazione delle competenze regionali e per di più con effetto retroattivo. Il potere di aggiornamento dei quantitativi individuali – attribuito in via transitoria ad AIMA – ai fini dell'esecuzione della compensazione nazionale, si giustifica, sul piano costituzionale, per l'esigenza di perseguire interessi territorialmente infrazionabili, mentre rientra nella discrezionalità del legislatore nazionale determinare le concrete modalità di gestione delle funzioni assegnate ad AIMA nei limiti in cui le stesse siano strettamente funzionali al raggiungimento delle suddette finalità, senza che assuma rilievo la natura retroattiva di talune previsioni, in quanto le stesse si giustificano, in ossequio alle prescrizioni comunitarie e di quanto già riconosciuto dalla Corte di Giustizia, alla luce della necessità di adeguare i quantitativi individuali e il sistema di compensazione alle risultanze delle verifiche svolte dagli organi a ciò preposti".

È stato, poi, chiaramente affermato che “la rettifica della compensazione delle ‘quote-latte’, disposta anche retroattivamente per il periodo precedente dal testo dell'art. 3, comma 1, del d.l. 31 gennaio 1997, n. 11, appare sorretta costituzionalmente (e non contrasta con le competenze regionali), dalla normativa comunitaria come interpretata dalla Corte di giustizia europea, secondo cui si deve intendere consentito alle autorità nazionali di effettuare anche ex post le rettifiche necessarie a fare in modo che la produzione esonerata da prelievo supplementare di uno Stato non superi il quantitativo globale assegnato a tale Stato”.


6. Non sussiste, poi, il denunciato vizio di motivazione.

Nel riprendere i precedenti – più volte citati – di questa Sezione (cfr., ex multis , la sent. n. 1067 del 2012), va ribadito che il provvedimento di determinazione finale degli importi dovuti costituisce l’esito di mere operazioni aritmetiche e, comunque, è previamente comunicato ai produttori i quali possono inviare ogni documentazione utile per procedere alla modifica dell’importo. Da ciò deriva che la partecipazione al procedimento è assicurata e che, anche esercitando il diritto di accesso agli atti, le aziende possono verificare i conteggi, la cui determinazione non richiede una motivazione, trattandosi appunto di un mero calcolo effettuato con criteri automatici e matematici che, semmai, sarebbe spettato alle ricorrenti puntualmente contestare (cfr., analogamente, Cons. Stato, sez. VI, n. 1629 del 2009).


7. Quanto alla censura con la quale si è lamentata la mancata applicazione, alle aziende agricole ricorrenti, delle disposizioni di favore che il legislatore ha introdotto per i produttori titolari di quota delle zone di montagna e delle altre zone svantaggiate, si deve osservare quanto segue.

Le ricorrenti si sono limitate ad allegare la natura “di montagna” della sede presso la quale risultano ubicate (Cumiana), senza però al contempo offrire un’adeguata dimostrazione dell’assunto. Ed invero, in base all’art. 1, comma 8, lett. a , del decreto-legge n. 43 del 1999, convertito in legge n. 118 del 1999, le “ zone di montagna ” che rilevano ai fini dell’applicazione del regime di maggior favore sono solo quelle “ di cui alla direttiva 75/268/CEE del Consiglio, del 28 aprile 1975 ”, ossia devono risultare individuate in base alla richiamata normativa comunitaria. Quest’ultima, in particolare, stabilisce un’apposita procedura volta a definire l’elenco comunitario delle zone agricole svantaggiate (o di montagna), procedura che prevede dapprima una comunicazione degli Stati membri sulle zone geografiche che possono figurare in tale elenco e, quindi, l’intervento del Consiglio CE che stabilisce l’elenco medesimo in base alle segnalazioni ricevute (art. 2 della direttiva). Ne deriva che l’azienda che voglia usufruire delle agevolazioni discendenti dal regime di particolare favore istituito per le zone svantaggiate non può limitarsi ad allegare la ritenuta natura montagnosa della propria sede, ma ha il preciso onere di dimostrare che questa ricade effettivamente in una zona o località inserita nell’elenco comunitario di cui all’art. 2 della direttiva n. 1975/268/CEE. Non avendo le ricorrenti adempiuto a siffatto onere, il motivo deve essere respinto.


8. Il ricorso, pertanto, è da respingere, nei sensi appena delineati.

In considerazione della complessità delle questioni trattate, nonché dell’insufficiente apporto difensivo dell’Avvocatura dello Stato, il Collegio rinviene giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.

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