TAR Potenza, sez. I, sentenza 2020-09-10, n. 202000545

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Potenza, sez. I, sentenza 2020-09-10, n. 202000545
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Potenza
Numero : 202000545
Data del deposito : 10 settembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/09/2020

N. 00545/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00369/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso avente numero di registro generale 369 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
- G S, in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale e M M, rappresentati e difesi in giudizio dagli avvocati V P e R C, con domicilio eletto presso la segreteria di questo Tribunale;

contro

- Comune di Venosa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso in giudizio dall'avvocato D M, con domicilio digitale in atti;

nei confronti

- Consorzio Edilizio Ar Comparto S1 non costituito in giudizio;

per l'annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

con riguardo al ricorso introduttivo

- del provvedimento prot. n. 13483 del 23 luglio 2019 con cui l'Amministrazione comunale invita e diffida i ricorrenti “…a liberare l'area ad horas. In caso contrario, il giorno 29 luglio 2019 si procederà d'ufficio a liberare l'area con l'assistenza delle autorità di pubblica sicurezza…”;

- di ogni altro presupposto e conseguente ancorché non conosciuto

con riguardo al primo atto di motivi aggiunti

- del provvedimento comunale n. 50 del 30 agosto 2019, comunicato il 2 settembre 2019;

- del provvedimento comunale n. 52 del 5 settembre 2019, comunicato in pari data;

con riguardo al secondo atto di motivi aggiunti

- dell’ordinanza sindacale n. 31 del 27 settembre 2019;

- ove occorra, del verbale n. 0016978 del 17 settembre;

- di ogni altro provvedimento connesso e conseguente ancorché non conosciuto.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Venosa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza del giorno 6 maggio 2020, il Primo Referendario avv. Benedetto Nappi;

Dato atto di come il ricorso sia passato in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto-legge n. 18 del 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Torna all’esame del Tribunale la questione dei lavori edili eseguiti dai ricorrenti sul fondo distinto in catasto del Comune di Venosa alla particella n. 1336 del foglio 48.

2. La vicenda trae origine dalla d.i.a. presentata dagli odierni deducenti il 16 settembre 2015, concernente la realizzazione di una recinzione sulla predetta particella, in quanto avente pretesamente natura “pertinenziale” del fondo su cui insiste l’hotel ristorante “Venusia”, in titolarità della ditta individuale Sorangelo Giuseppe.

L’Ufficio tecnico dell’Amministrazione intimata, con nota prot. n. 16681 del 24 settembre ha ingiunto di non eseguire il predetto intervento, in quanto «costituito dalla realizzazione di manufatti in cemento armato e opere in ferro, in contrasto con la destinazione urbanistica dell’area, come definita dalla scheda urbanistica S1 del regolamento urbanistico ex art. 16 l.r. n. 23/1999, approvato con del. c.c. n. 24 del 25.9.2012, e dal planovolumetrico regolativo della predetta scheda urbanistica S1, proposto dal consorzio edilizio del comparto S1 ed approvato con del. g.m. n. 96 del 6.6.2013», precisando nel contempo come l’area predetta fosse destinata alla realizzazione di una strada e di un marciapiede, nonché l’essere già in corso il relativo procedimento espropriativo.

Avverso tale provvedimento gli odierni deducenti hanno proposto ricorso dinanzi a questo Tribunale portante il numero di registro generale 1023 del 2015.

2.1. In seguito, gli stessi deducenti il 21 marzo 2016 hanno presentato una s.c.i.a. per la realizzazione di una piscina interrata e scoperta.

Il consorzio edilizio del comparto S1, con diffide dell’8 aprile 2016 e dell’11 aprile 2016, ha chiesto al Comune di intimato di annullare la predetta s.c.i.a., interessando i suindicati lavori anche la predetta particella n. 1336 del foglio di mappa n. 48, come si è riferito interessata da procedimento di esproprio.

L’Amministrazione intimata, con nota del 12 aprile 2016, ha disatteso tali diffide, non risultando dagli elaborati progettuali la previsione dell’occupazione della particella n. 1336, precisando come la futura espropriazione di tale terreno avrebbe comportato “l’estinzione del diritto di superficie su di essa” vantato dai deducenti.

A seguito di determinazione n. 23 del 15 aprile 2016 e dell’atto pubblico del 2 settembre 2016, il Comune di Venosa ha dato luogo alla cessione volontaria al consorzio edilizio del comparto S1 la proprietà della medesima particella.

Il 16 giugno 2016, la locale Polizia municipale ha poi accertato l’effettuazione, tra gli altri, dei seguenti lavori abusivi sulla ripetuta particella n. 1336: 1) “riporto di materiale inerte in più strati (strato superiore costituito da brecciolino), che ne innalzava la naturale quota del terreno”;
2) “installazione lungo tre lati della particella in questione di pannelli reticolati per recinzione in alluminio e rete/telo oscurante”.

L’Ufficio tecnico dell’Ente civico intimato, quindi, con ordinanza n. 6 del 20 giugno ha disposto nei «l’immediata sospensione dei lavori eseguiti sul terreno foglio di mappa n. 48, particella n. 1336, ed il relativo ripristino di tale terreno nel suo stato originario», richiamando nel contempo l’intervenuta cessione volontaria di tale terreno al cennato consorzio e la pretesa l’estinzione automatica del diritto di superficie.

Avverso il predetto provvedimento i ricorrenti hanno proposto ricorso dinanzi a questo Tribunale portante il numero di registro generale 421 del 2016.

2.2. Questo Tribunale, riuniti i ricorsi, con decisione n. 769 del 2018 ha rigettato quello r.g.n. 1021 del 2015 (relativo alla recinzione), mentre, relativamente a quello r.g.n. 421 del 2016 ha statuito quanto segue: «Pertanto, l’impugnata Ordinanza n. 6 del 20.6.2016 va annullata, nella parte in cui, ai sensi dell’art. 35 DPR n. 380/2001, ingiunge a carico dei ricorrenti il ripristino nel suo stato originario del terreno foglio di mappa n. 48, particella n. 1336, di proprietà comunale;
mentre tale Ordinanza risulta legittima, nella parte in cui ha ingiunto l’immediata sospensione dei sopra descritti lavori, eseguiti sul predetto terreno»

2.3. Tale decisione è stata impugnata dinanzi al Consiglio di Stato, ove è tuttora pendente l’appello.

3. L’Amministrazione comunale intimata ha poi notificato la nota prot. n. 13483 del 23 luglio 2019, - qui avversata, con deduzione per più profili della sua illegittimità per violazione e falsa applicazione di legge ed eccesso di potere - nella quale si legge quanto segue: «con nota in data odierna, acquisita al protocollo n. 13374-2019, il consorzio edilizio A.R. comparto S1, che legge per conoscenza, ha comunicato che il giorno 29 luglio p.v. inizieranno i lavori sulle aree del comparto. In particolare, sulle aree identificate alla p.lla n. 1336 del Fg. n. 48 verrà realizzata un’opera pubblica ed allo stato attuale la stessa particella, detenuta dai signori in indirizzo in maniera abusiva, insistono degli abusi edilizi per i quali è già stata emanata l’ordinanza di demolizione. Per quanto sopra riportato, si invitano e diffidano i destinatari della presente a liberare l’area ad horas . In caso contrario, il giorno 29 luglio 2019 si procederà d’ufficio a liberare l’area con l’assistenza delle autorità di pubblica sicurezza che leggono la presente per conoscenza».

3.1. Con decreto n. 118/2019 del 2 agosto 2018 l’istanza di misure cautelari monocratiche è stata rigettata.

4. L’11 settembre 2019 i ricorrenti hanno proposto motivi aggiunti avverso la sopravvenuta ordinanza comunale n. 50 del 30 agosto 2019, concernente l’ordine di procedere al ripristino dello stato dei luoghi entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento, disponendo che in mancanza si procederà di ufficio il 12 settembre 2019, nonché la successiva ordinanza n. 52 del 2019, con la quale, a parziale modifica, si è disposta l’esecuzione d’ufficio a decorrere dal 16 settembre 2019.

4.1. Con decreto n. 127/2019 del 12 settembre 2018 l’istanza di misure cautelari monocratiche è stata rigettata.

5. Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, concludendo per l’improcedibilità in rito e l’infondatezza nel merito del ricorso e dei successivi atti motivi aggiunti.

6. Alla camera di consiglio del 18 settembre 2019 il procuratore di parte ricorrente, considerato il deposito di documenti da parte dell'Amministrazione comunale nell'imminenza dell'udienza, ha rappresentato la necessità di un breve rinvio per poterli esaminare. Il Presidente ha quindi disposto il differimento della trattazione della domanda cautelare.

7. L’1 ottobre 2019 parte ricorrente ha proposto un secondo atto di motivi aggiunti avverso la sopravvenuta ordinanza sindacale n. 58 del 27 settembre 2019, concernente la rimozione d’ufficio delle opere abusive da eseguire il 3 ottobre 2019.

7.1. Con decreto n. 154/2019 del 2 ottobre 2019 l’istanza di misure cautelari monocratiche è stata rigettata.

8. Alla camera di consiglio del 18 ottobre 2019 l’affare è stato cancellato dal ruolo delle istanze cautelari su richiesta del procuratore di parte ricorrente.

9. All’esito della camera di consiglio del 26 febbraio 2020, con ordinanza n. 183 del 2020, il Collegio ha ritenuto che «ai sensi dell’art. 45, co. 3 e art. 52, co. 1, c.p.a., vada disposto a carico della parte ricorrente l’onere di provare la rituale instaurazione del contraddittorio processuale, all’uopo concedendo ulteriori 10 giorni con decorrenza dalla comunicazione di deposito della presente ordinanza a cura della Segreteria, dando avviso, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., che il mancato adempimento dell’onere nel termine perentorio assegnato può essere valutato ai fini della improcedibilità del ricorso in base all’art. 35, co. 1, lett. c), c.p.a.».

9.1. I deducenti hanno quindi tempestivamente adempiuto a quanto innanzi.

10. All’udienza del 6 maggio 2020, previo deposito di memorie e documenti, il giudizio è transitato in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso e gli atti di motivi aggiunti sono in parte improcedibili e per il resto infondati, alla stregua della motivazione che segue.

2. In rito, va in primo luogo rilevata l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del ricorso introduttivo, col quale è stata impugnata la nota prot. n. 13483 del 23 luglio 2019, di diffida alla rimozione “ ad horas ” delle opere abusive realizzate sulla particella 1336, foglio 48, del catasto urbano del Comune di Venosa. Come eccepito dall’Ente civico resistente, infatti, quest’ultimo ha successivamente emanato le ordinanze nn. 50 e 52 del 2020 di ripristino dello stato dei luoghi (avversate dai deducenti col primo atto di motivi aggiunti). L’amministrazione ha quindi adottato, nelle more della definizione del giudizio, dei nuovi provvedimenti che rideterminano l’assetto degli interessi in gioco, sicché questi ultimi risultano regolati dal nuovo atto, e l’eliminazione giurisdizionale di quello impugnato non sarebbe di alcuna utilità.

2.1. A speculare esito si perviene con riguardo al secondo atto di motivi aggiunti, che ha investito l’ordinanza n. 58 del 2019, con la quale si è disposto che «il responsabile dell’Area servizi tecnici, coadiuvato dal personale addetto ai servizi manutentivi e dagli agenti di polizia locale, in cooperazione con la forza pubblica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.lgs. 267/2000, provvedano d’ufficio alla rimozione delle opere abusive anagrafate nell’ordinanza del responsabile dello sportello unico per l’edilizia n. 50/2019, da eseguire il prossimo 03 ottobre 2019 alle ore 09:30».

In proposito, infatti, parte resistente ha versato in atti di causa il verbale d’esecuzione del 3 ottobre 2019, in cui risulta l’avvenuta eliminazione delle opere abusive su cui si controverte. Anche da tale versante, quindi, alcuna concreta utilità residuerebbe ai deducenti dall’annullamento dell’atto impugnato.

3. Nel merito, il primo atto di motivi aggiunti, come si è anticipato, è infondato.

3.1. In relazione alla censura di violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, articolata col primo motivo, trova applicazione - avuto riguardo alla ritenuta legittimità delle ordinanze impugnate per le ragioni su cui diffusamente si dirà in prosieguo - quanto disposto dall’art. 21-octies, secondo periodo della medesima legge, ovverosia la non annullabilità del provvedimento amministrativo per mancata la comunicazione dell'avvio del procedimento in quanto il contenuto degli atti impugnati non avrebbe potuto essere diverso da quelli in concreto adottati.

3.2. Insussistente è la dedotta violazione dell’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001. Tale disposizione, infatti, al comma 1, fa obbligo al dirigente competente di esercitare la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurare la rispondenza, tra l’altro, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Il corretto assetto urbanistico del territorio, come disciplinato dal relativo regolamento, implica quindi l’esercizio di poteri repressivi in ordine alla realizzazione di attività antropiche che siano d’ostacolo all’attuazione delle previsioni ivi recate. Ebbene, nel caso di specie non è contestato che le opere realizzati da parte ricorrente di frappongano alla realizzazione della strada e del marciapiede previste dalla “scheda S1”.

In effetti, i ricorrenti hanno contestato l’esercizio di tale potere sotto la differente angolazione per cui «le aree in esame non sarebbero destinate ad opere e spazi pubblici», sussistendo in tesi «l’assoluta impossibilità tecnica ed urbanistica per la realizzazione della strada rettilinea». Tuttavia, così configurato, l’argomento appare pianamente inammissibile, posto che tale destinazione è infatti contemplata dalla scheda S1 del vigente regolamento urbanistico comunale, che non risulta essere stata investita da tempestiva contestazione, sicché le censure di merito avanzate in questa sede non risultano sorrette da interesse giuridicamente rilevante, attesa, appunto, l’inoppugnabilità della relativa previsione urbanistica.

3.2.1. In senso differente a quanto ulteriormente lamentato, è evidente che l’interesse pubblico tutelato nel caso di specie non può essere ricondotto alla sola rimozione di opere abusive, sussistendo anche quello allo sgombero del fondo detenuto sine titulo (stante la “estinzione automatica” del diritto di superficie vantato dai ricorrenti, come affermato con decisione di questo Tribunale n. 769 del 2018) , per la presenza di manufatti d’ostacolo alla realizzazione delle cennate opere pubbliche. In particolare, questo Tribunale, con la richiamata decisione n. 769 del 2018, ha ritenuto, per tale specifico profilo, che: «pertanto, sebbene la DIA dei ricorrenti del 16.9.2015, finalizzata alla recinzione del suindicato terreno di proprietà comunale, foglio di mappa n. 48, particella n. 1336, potesse essere temporaneamente soddisfatta fino alla realizzazione della prevista strada pubblica, in quanto tale terreno era posseduto a titolo di superficie ed il Comune di Venosa soltanto con la successiva Determinazione n. 23 del 15.4.2016 ha ceduto, ai sensi dell’art. 45 DPR n. 327/2001, tale terreno al Consorzio Edilizio del Comparto S1, per cui, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 45, comma 3 (la cessione volontaria “produce gli effetti del decreto di esproprio”), e 25, comma 1 (“estinzione automatica di tutti gli altri diritti reali o personali, gravanti sul bene”), DPR n. 327/2001, l’effetto dell’estinzione automatica del diritto di superficie dei ricorrenti sulla medesima particella n. 1336 si è verificato soltanto in data 15.4.2016, va, in ogni caso, rilevata l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dei ricorrenti, in quanto, come appena evidenziato, l’impugnazione mediante il sesto (notificato in data 1/10.8.2016) ed il settimo atto di motivi aggiunti (notificato il 22/23.12.2016) al suindicato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (notificato il 5.12.2013) della citata Determinazione n. 23 del 15.4.2016 è stata disattesa dalla I^ Sezione del Consiglio di Stato con parere n. 758 del 7.3.2018».

3.2.2. Fuori asse, in disparte la sua evidente genericità, è la censura concernente la violazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, il quale reca il “testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” e non costituisce norma di riferimento nell’attività di repressione dell’attività edilizia abusiva.

3.3. In senso opposto a quanto sostenuto dai deducenti, deve ribadirsi quanto già rilevato innanzi, ovverosia che l’Amministrazione comunale non ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi al solo fine del ripristino dello status quo ante relativamente a opere abusive, ma anche fatto valere il difetto di legittimazione dei deducenti in ordine alla particella n. 1336, foglio n. 48, per la già richiamata “estinzione automatica” del loro diritto di superficie, a seguito dell’intervenuta cessione volontaria dell’area in questione al consorzio edilizio del comparto S1, come affermato dalla ripetuta sentenza n. 769 del 2018, nonché onde consentire la realizzazione delle prescrizioni dello strumento urbanistico e, nella specie, della “scheda S1". Ne consegue, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che i provvedimenti qui avversati, risultando sorretti da più ragioni giustificatrici, tra loro autonome, resistono alla censura concernente la violazione degli artt. 6 e 35 del d.P.R. n. 380 del 2001.

3.4. In senso contrario a quanto pure dedotto dai ricorrenti, l’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 ascrive proprio al dirigente comunale l’esercizio dei relativi poteri repressivi, i quali, come si è detto discendono da un’attività a valle di un attività di controllo amministrativo di legalità avente a oggetto la verifica della corrispondenza delle attività di soggetti terzi rispetto all’Amministrazione vigilante condotta alla stregua di parametri prescritti dalla disciplina urbanistica locale e che prescindono, per questo, dal requisito della titolarità dell’area oggetto di vigilanza alla stessa Amministrazione procedente. In tal senso, destituita di fondamento è la tesi secondo cui il Comune, avendo ceduto volontariamente la proprietà del suolo de quo al consorzio edilizio del comparto S1 così privandosi di ogni potere e legittimazione ad adottare provvedimenti autoritativi.

3.5. Inammissibile per difetto di giurisdizione è la censura secondo cui l’attuazione dell’ordine di demolizione concreterebbe il reato di cui art. 374 del codice penale, in pendenza di giudizio civile dinanzi al Tribunale civile di Potenza inteso alla declaratoria della «persistenza della titolarità in capo agli istanti del diritto di superficie sulla particella 1336 (874) del foglio 48 e per l’effetto attesa la intangibilità del diritto in questione, ove occorra, previa disapplicazione degli atti amministrativi sopra richiamati e segnatamente della determina dirigenziale del 15.4.2016 ,della delibera di consiglio comunale 14.6.2016, del susseguente atto di frazionamento nonché del provvedimento dirigenziale numero 6 del 20.6.2016 e della nota dirigenziale del 18.9.2017 2. Sentire ordinare al Comune di Venosa ed Consorzio edilizio di astenersi dall’assumere determinazioni che siano in contrasto con il diritto di cui sub 1 disapplicando gli atti medio tempore adottati intesi alla soppressione di tale diritto». In ogni caso, in ragione dell’avvenuta remissione in pristino, anche in relazione a tale censura si palesa l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse.

3.6. In senso contrario a quanto sostenuto dai ricorrenti, si è già rilevato innanzi come le ordinanze comunali siano plurimotivate, derivandone l’evidente infondatezza delle censure relative alla carenza o, in subordine, insufficienza della motivazione.

4. Dalle considerazioni che precedono discende la declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo e del secondo atto di motivi aggiunti, nonché il rigetto del primo atto di motivi aggiunti.

5. Le spese seguono la soccombenza, con liquidazione come da dispositivo.

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