TAR Roma, sez. I, sentenza 2013-02-04, n. 201301177
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N. 01177/2013 REG.PROV.COLL.
N. 08712/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8712 del 2010, proposto da:
G S S, in qualità di titolare della impresa individuale CASAFIN, rappresentato e difeso dagli avv. G A, G L, con domicilio eletto presso G L in Roma, vicolo della Palomba, 1;
contro
Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Gen.Le Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento n. PS3357/DPSC/F23, emesso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato in data 18.03.2010 e notificato il successivo 7.04.2010, relativo alla pratica commerciale scorretta posta in essere dal sig. Giuseppe Sassano nella dispiegata qualità, ai sensi degli artt. 20 e 22 del codice del consumo, con il quale è stata applicata la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 20.000,00;
di tutti gli atti presupposti e consequenziali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2013 il dott. A T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con lettera raccomandata a/r del 7 aprile 2010, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato trasmetteva all’odierno ricorrente copia conforme del provvedimento adottato nell’Adunanza del 18 marzo 2010, recante n. PS3357/dpsc/f23, avente ad oggetto la pratica commerciale scorretta posta in essere dal ricorrente, titolare della Impresa Casafin, nonché l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria pari ad Euro 20,000,00.
Avverso tale provvedimento il ricorrente proponeva ricorso straordinario al Presidente della repubblica in data 20 luglio 2010.
Con atto notificato in data 9 agosto 2010 a mezzo del servizio postale, l’AGCM proponeva opposizione al ricorso straordinario e, avvalendosi della facoltà di cui all’art. 10, comma 11, D.P.R. n. 1199/1971, ne chiedeva la trasposizione in sede giurisdizionale.
Deduce il ricorrente la illegittimità del provvedimento impugnato sotto i seguenti profili:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 22 D.Lgs. n. 206/2005;
- violazione e falsa applicazione degli artt. 27 D.Lgs. n. 206/2005 e 11 L. n. 689/1981.
Si è costituita in giudizio l’Autorità resistente deducendo la infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
Alla udienza del 23 gennaio 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Ai fini della disamina della controversia in trattazione, giova premettere che la normativa, di derivazione europea, posta a tutela del consumatore e della concorrenza si è arricchita per effetto della direttiva n. 2005/29/CE, relativa alle “Pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno”, alla quale il legislatore nazionale ha provveduto a dare attuazione adottando, nell’agosto del 2007, due distinti decreti legislativi (nn. 145 e 146), rispettivamente destinati ai rapporti tra professionisti ed alle pratiche intraprese da questi ultimi con i consumatori.
Il d.lgs. 146/2007 è intervenuto direttamente sul codice del consumo, sostituendo gli artt. 18-27 del d.lgs. n. 206 del 2005 ed introducendo una generale normativa sulle “pratiche commerciali scorrette”.
Il codice del consumo, per come modificato alla stregua dell’indicata sopravvenienza normativa, ha abbandonato il precedente specifico riferimento alla sola pubblicità ingannevole e comparativa, per approdare ad una disciplina di portata più ampia, riferibile, sotto il profilo oggettivo, ad ogni azione, omissione, condotta, dichiarazione e comunicazione commerciale, “ivi compresa la pubblicità”, posta in essere da un professionista “prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto” (artt. 18 e 19 del codice), così notevolmente allargando il campo delle condotte sanzionabili.
Quanto, invece, all’ambito di applicazione soggettivo, le pratiche commerciali rilevanti ai fini della normativa in esame sono solo quelle poste in essere tra professionisti e consumatori: rimanendo, pertanto, escluse quelle condotte connesse ad un rapporto tra soli professionisti, cui, viceversa, fa precipuo riferimento il parallelo d.lgs. n. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa.
Come più volte affermato dalla Sezione, il recepimento nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria 2005/29/CE ha indubbiamente rafforzato il ruolo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola ben più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza, limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa.
Proprio in vista di tale finalità, del resto, il d.lgs. 146/2007 ha, contestualmente, ampliato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.
Tanto osservato in via generale, l’art. 18 del d.lgs. n. 206 del 2005 (come modificato dall’appena citato d.lgs. 146/2007), per le finalità considerate dal Titolo III (“Pratiche commerciali, pubblicità ed altre informazioni commerciali”), dispone che si intende per:
- “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;
- “prodotto”: qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;
- “pratiche commerciali tra professionisti e consumatori”: qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;
- “falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori”: l'impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Il successivo art. 19 puntualizza che le disposizioni contenute nel Titolo anzidetto trovano applicazione alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un'operazione commerciale relativa a un prodotto.
L’art. 20 dispone al comma 1 che le pratiche commerciali scorrette sono vietate, e precisa al comma 2 che una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
Secondo il comma 3, le pratiche commerciali che, pur raggiungendo gruppi più ampi di consumatori, sono idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista poteva ragionevolmente prevedere, sono valutate nell'ottica del membro medio di tale gruppo. È fatta salva la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera.
Il successivo comma 4 individua come scorrette ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23 o aggressive di cui agli articoli 24, 25 e 26.
Ai sensi dell’art. 21, comma 1, è considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo a gli elementi ivi elencati, e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Tra gli elementi elencati si rinvengono: sub b), le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;sub c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all'approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto;sub d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l'esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo.
L’art. 23 dispone che sono considerate in ogni caso ingannevoli, tra altre, le seguenti pratiche commerciali:
a) affermazione non rispondente al vero, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta;
g) dichiarare, contrariamente al vero, che il prodotto sarà disponibile solo per un periodo molto limitato o che sarà disponibile solo a condizioni particolari per un periodo di tempo molto limitato, in modo da ottenere una decisione immediata e privare i consumatori della possibilità o del tempo sufficiente per prendere una decisione consapevole;
t) comunicare informazioni inesatte sulle condizioni di mercato o sulla possibilità di ottenere il prodotto allo scopo d'indurre il consumatore all'acquisto a condizioni meno favorevoli di quelle normali di mercato;
v) descrivere un prodotto come gratuito o senza alcun onere, se il consumatore deve pagare un supplemento di prezzo rispetto al normale costo necessario per rispondere alla pratica commerciale e ritirare o farsi recapitare il prodotto.
L’art. 24 dispone che è considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso
Con una prima censura la parte ricorrente lamenta la illegittimità del provvedimento sotto il profilo della carenza di legittimazione passiva.
Deduce il ricorrente, in particolare, che l’attività svolta dalla Impresa Casafin sarebbe solo quella relativa alla mediazione creditizia esercitata ai sensi e nel rispetto del D.P.R. n. 287/2000 e non già quella afferente alla erogazione di finanziamenti, con conseguente illegittimità del provvedimento emesso dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
La censura è infondata.
Rileva il Collegio come la pratica commerciale scorretta contestata alla parte ricorrente è consistita proprio nella diffusione, a mezzo stampa, di un messaggio suscettibile di indurre in errore i destinatari con riguardo alle caratteristiche del servizio offerto ed al contenuto dello stesso.
Sotto tale profilo, infatti, occorre osservare come la stessa Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con parere in data 10 febbraio 2010 ha ritenuto scorretta la pratica commerciale in esame ai sensi degli artt. 20, 21, 22 e 23 del Codice del Consumo, sulla base delle seguenti considerazioni, puntualmente riportate nel provvedimento oggetto di impugnazione: “ il messaggio in oggetto, diffuso a mezzo stampa, concretizzandosi nella promozione dei servizi di mediazione creditizia, è sottoposto a stringenti vincoli normativi relativamente alle modalità di pubblicizzazione dei servizi offerti. A tal proposito, la stessa impostazione del messaggio è idonea ad indurre in errore i consumatori, in quanto non fornisce un’indicazione chiara ed esaustiva relativamente all’attività svolta dal professionista in oggetto. Dalla lettura del messaggio, infatti, non risulta chiara quale sia la qualifica dell’operatore in questione, ovvero quella di mediatore creditizio, e conseguentemente la natura dei servizi dallo stesso pubblicizzati;anzi, il reiterato richiamo al termine “mutuo” o “prestito” all’interno dello stesso ingenera confusione nel consumatore medio relativamente al fatto che Casafin sia o meno legittimata allo svolgimento dell’attività bancaria. A riconferma di ciò, sempre nel messaggio di specie campeggiano le scritte: “Mutuo 100%”, “Mutuo per consolidamento finanziario più liquidità”, “Prestiti Personali”, le quali inducono il consumatore medio a ritenere che sia la stessa società ad erogare il mutuo o il prestito. Tale fatto non è privo di conseguenze dal punto di vista della tutela del consumatore, sia per quel che attiene la qualifica dell’operatore, sia per quel che attiene la valutazione in merito alla convenienza economica dei servizi dallo stesso offerti. Il mediatore creditizio, infatti, si identifica come un intermediario che, a titolo oneroso e senza vincolo di risultato, mette in contatto la banca ed il potenziale cliente al fine di concludere un contratto di finanziamento. Ne consegue che l’ottenimento di un mutuo, piuttosto che di un prestito, grazie alle prestazioni professionali della società in oggetto, risulta necessariamente aggravato dai costi di consulenza della stessa, fatto questo che il cliente può accettare consapevolmente solo ove sia a conoscenza del fatto che Casafin svolge attività di mediatore creditizio ”.
Non v’è dubbio, quindi, che proprio l’incertezza della qualifica soggettiva rivestita dalla parte ricorrente e la possibile confusione in merito alla diretta prestazione di finanziamenti è stata determinante nella qualificazione del fatto contestato e nella quantificazione della relativa sanzione.
Altrettanto infondata è la censura relativa alla errata valutazione del contenuto scorretto del messaggio pubblicitario.
Così come rilevato dalla Autorità nel provvedimento impugnato, infatti, “ per quanto riguarda le caratteristiche del servizio offerto, è necessario rilevare, invece, come il settore finanziario rientri tra quelli che si contraddistinguono per la forte asimmetria informativa esistente tra operatori economici e consumatori e ciò in conseguenza della complessità della materia e della scarsa conoscenza del consumatore rispetto ad un servizio cui non si ricorre con frequenza. Il messaggio, riportando delle indicazioni relative ad alcuni esempi di finanziamenti e delle relative rate di rimborso, non indica, tuttavia, chiaramente, gli elementi essenziali da cui ricavare gli esatti costi del finanziamento. Infatti, il TAEG, indicatore che consente al consumatore di valutare e calcolare l’esatto importo dell’intera operazione finanziaria, non viene in alcun modo indicato. L’assenza di puntuali indicazioni circa il TAEG non consente quindi al consumatore di effettuare un’adeguata valutazione della effettiva convenienza dell’offerta, perché lo priva della possibilità di avere contezza del costo complessivo dell’operazione, del costo, cioè, inclusivo degli interessi e degli oneri da sostenere per utilizzare il credito. Per il consumatore, infatti, proprio perché trattasi di un settore particolarmente complesso, è fondamentale avere chiara conoscenza di tale elemento per poter valutare sia l’onerosità dell’operazione sia la convenienza della proposta in raffronto ad altre simili ”.
Il Collegio rileva che, ai sensi dell’art. 22 d.lg. 206/2005, è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
La valutazione compiuta dall’Autorità, secondo cui nel messaggio, in assenza di indicazioni sul TAEG, sono omesse informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale si presenta ragionevole e non è inficiata dai vizi di legittimità prospettati.
In primo luogo, occorre considerare che, anche nell’assetto di interessi disciplinato a seguito delle modifiche apportate dal d.lg. 146/2007 al codice del consumo, le norme a tutela del consumo delineano una fattispecie di “pericolo”, essendo preordinate a prevenire le possibili distorsioni delle iniziative commerciali nella fase pubblicitaria, prodromica a quella negoziale, sicché non è richiesto all’Autorità di dare contezza del maturarsi di un pregiudizio economico per i consumatori, essendo sufficiente la potenziale lesione della loro libera determinazione (T.A.R. Lazio, Roma, I, 14 aprile 2009, nn. 3778 e 3779).
La giurisprudenza di questa Sezione, inoltre, ha chiarito che la completezza e la veridicità di un messaggio pubblicitario va verificata nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione commerciale e non già sulla base di ulteriori informazioni che l’operatore pubblicitario renda disponibili solo a “contatto” e, quindi, ad effetto promozionale già avvenuto (ex multis: T.A.R. Lazio, Roma, I, 24 aprile 2009, n. 4138).
L’assenza di puntuali indicazioni in ordine al TAEG, non consentendo al consumatore di effettuare un’adeguata valutazione dell’effettiva convenienza dell’offerta, è senz’altro idonea a determinare un effetto di “aggancio” dei consumatori e, quindi, il contatto dei medesimi, sicché la pratica è potenzialmente idonea a pregiudicare il comportamento economico degli stessi.
Né, le informazioni ulteriori che il professionista può fornire successivamente al consumatore su ogni aspetto dell’operazione possono limitare l’effetto di “aggancio”che è stato già prodotto.
Anche le censure relative alla quantificazione della sanzione risultano infondate.
In ragione della gravità e della durata (il messaggio pubblicitario risulta diffuso nei mesi di giugno, luglio, agosto, settembre ed ottobre 2008), l’AGCM ha ritenuto di irrogare alla ricorrente la sanzione pecuniaria pari ad Euro 20.000,00.
Il Collegio ritiene che la valutazione operata dalla Autorità sia logica e correttamente motivata in relazione alla gravità della violazione con riguardo al delicato settore economico nel quale si inserisce l’offerta in esame.
L’Autorità, infatti, con riguardo alla gravità della violazione, ha tenuto conto dell’entità complessiva del pregiudizio potenziale e, in particolar modo, della debolezza dei destinatari, soggetti che presumibilmente versano in una situazione di particolare debolezza psicologica dovuta alle proprie condizioni economiche nonché della dimensione economica del professionista;con riferimento alla gravità della violazione, inoltre, ha rilevato che la gravità è da ricondurre alla stessa tipologia delle omissioni informative riscontrate e al settore al quale l’offerta si riferisce, atteso che, in tale settore, l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni veicolate si presenta particolarmente stringente, anche in ragione dell’asimmetria informativa in cui versano i consumatori rispetto agli operatori.
D’altra parte, con riguardo all’ampiezza della diffusione ed alla capacità di penetrazione del messaggio, la stessa Autorità ha valutato le modalità del messaggio quali non particolarmente incisive in considerazione della diffusione delle inserzioni sulla stampa locale (distribuita a Carini, Cinisi, Terrasini, Trapani e Marsala).
Quanto, infine, alla censura in merito alla mancata valutazione delle condizioni economiche della Casafin, è sufficiente in questa sede osservare come la concreta sanzione irrogata – vicina al minimo edittale – appare idonea a garantire il pieno rispetto dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e parità di trattamento avuto anche riguardo alla dimensione economica del professionista.
Conseguentemente e per i motivi esposti, il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali tra le parti.