TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2009-04-07, n. 200900224

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2009-04-07, n. 200900224
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Reggio Calabria
Numero : 200900224
Data del deposito : 7 aprile 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01021/2007 REG.RIC.

N. 00224/2009 REG.SEN.

N. 01021/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1021 del 2007, proposto da:
Sud Edil di Timpano F &
C. S.a.s., rappresentato e difeso dall'avv. A Panuccio, con domicilio eletto presso A Panuccio Avv. in Reggio Calabria, via P. Foti, 1;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliata per legge in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15;
Prefetto di Reggio Calabria;
Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria, rappresentato e difeso dall'avv. D B, con domicilio eletto presso D B Avv. C/O Amm.Prov.Rc in , via S.Anna Ii.Tr.,Spirito Santo.;

nei confronti di

Sammarco G Costruzioni Generali Srl in proprio e N.Q.;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

- della nota prot. n.44688/07W/Area I del 2 agosto 2007, con cui la Prefettura U.T.G. di Reggio Calabria ha rilasciato alla Provincia di Reggio Calabria informazioni antimafia ex art.10 D.P.R. n.252 /1998 a carico del ricorrente, di natura interdittiva;- della nota prot. 70743 del 21 agosto 2007, con cui la Provincia di Reggio Calabria ha ordinato all'ATI Sammarco 'la sospensione di ogni attività concessa in subappalto all'impresa Sud Edilâ¿?;.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25/03/2009 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Ricorre l’impresa “Sud Edil” di Timpano F sas, avverso gli atti ed i provvedimenti dell’Autorità, con i quali è stata emessa una misura interdittiva ex art. 10 DPR 252/1998 a suo carico.

Espone, in fatto, di essere subappaltatrice dell’ATI “Sammarco G Costruzioni Generali srl (mandataria) – Tecnostrade srl – ICOP srl – Perrone geom. G”nei lavori relativi al collegamento tra la SS 18, lo svincolo autostradale di Rosario e la S.G.C. Ionio-Tirreno, giusta autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Reggio Calabria, quale Amministrazione committente, con determinazione nr. 1378 di RG del 3 luglio 2007. Con nota prot. n. 70743 del 21 agosto 2007 la Provincia di Reggio Calabria comunicava all’ATI Sammarco di avere ricevuto dall’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di RC, una informativa antimafia datata 2 agosto 2007 n. 44688 rilasciata, con effetti interdittivi, nei confronti della ricorrente e disponeva la “sospensione di ogni attività concessa in subappalto all’impresa SUD EDIL”.

La ricorrente effettuava accesso agli atti, a seguito dei quali acquisiva conoscenza dell’informativa antimafia, ma non delle informazioni di polizia sulle quali la prima è fondata. Le ragioni dell’informativa venivano individuate dall’Autorità con riferimento “alla pluralità di relazioni del nominato con soggetti pregiudicati o.comunque, ritenuti elementi, a vario titolo, inserito in organizzazioni criminali”. Il socio, poi, è “indicato dalle forze di polizia come soggetto di spicco di consorteria mafiosa”.

La ricorrente evidenzia in atti come già una precedente informativa antimafia, rilasciata dalla Prefettura di Reggio Calabria con nota del 15.11.2006, n. prot. 63057/2006/W/Area, era stata impugnata di fronte a questo TAR (ricorso nr. RG 126/2007). In quella sede veniva accolta la domanda cautelare (ord.nr. 155/07) ritenendo l’informativa impugnata basata su “elementi di fatto assolutamente evanescenti e privi di ogni serio riscontro indiziario”. L’ordinanza di primo grado veniva confermata in appello (udienza camerale del 31 luglio 2007). Tali circostanze renderebbero, a giudizio della ricorrente, assai inverosimile che l’informativa odierna possa essere fondata su elementi nuovi e diversi da quelli giudicati precedentemente.

Per tali motivazioni, la ricorrente ha dunque proposto l’odierno gravame che risulta affidato alle seguenti censure: I) Violazione dell’art. 7 l. 241/90;
eccesso di potere per carenza di motivazione, illogicità;
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 dlgs 490/1994 e dell’art. 10 del DPR n. 252/1998;
violazione e falsa applicazione della Circolare del Ministero dell’Interno n. 559 del 1998;
eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, irragionevolezza, omessa motivazione. Eccesso di potere per contraddittorietà.

Con separato capo di domanda viene chiesto il risarcimento dei danni subiti.

Si è costituita l’Amministrazione civile del Ministero dell’Interno, che resiste al ricorso e ne chiede il rigetto, difendendo la legittimità degli atti impugnati. Si è costituita altresì la Provincia di Reggio Calabria che si oppone all’accoglimento del gravame che chiede sia respinto.

Dopo una prima ordinanza interlocutoria, con la quale si è ordinata l’esibizione degli atti di causa necessari ai fini del decidere ed, in particolare, delle informazioni di polizia (ord. nr. 490/07 del 7 novembre 2007), nella camera di consiglio del 13 febbraio 2008 è stata respinta la domanda cautelare (ord. nr. 49/08). Tale decisione non risulta appellata.

Le parti hanno scambiato memorie e documenti.

Alla pubblica udienza del 25 marzo 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con l’odierno gravame, l’impresa ricorrente impugna l’informativa antimafia con valore interdittivo che è stata emessa nei suoi confronti dalla Prefettura di Reggio Calabria, deducendo l’avvenuta violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento (I censura) e, nel merito, l’insufficienza della motivazione e della istruttoria, con conseguente contraddittorietà ed eccesso di potere da parte dell’Autorità, che avrebbe così violato la normativa di riferimento (II censura).

A conferma dell’orientamento che il Tribunale ha espresso in sede cautelare, il ricorso va ritenuto infondato e come tale va respinto.

A tali fini, è opportuno premettere una breve ricostruzione dell’istituto normativo di riferimento, così come delineatosi nella più recente giurisprudenza, non solo di questo Tribunale.

I) Le informative antimafia, possono essere classificate “in tre diverse tipologie a seconda delle circostanze che siano maturate a carico della impresa: a) quando la nota prefettizia comunichi la sussistenza, a carico dei soggetti responsabili dell'impresa, delle cause di divieto o sospensione dei procedimenti indicate nell'all. 1 del citato d.lg. (ex art. 10, l. 31 maggio 1965 n. 575 e succ. mod.);
b) quando la nota prefettizia contenga informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società o imprese interessate;
c) quando la informativa, pur non raggiungendo la soglia di gravità delle prime due (id est: circa i requisiti soggettivi e oggettivi), è caratterizzata da elementi che denotano il pericolo di collegamenti fra l'impresa e la criminalità organizzata (c.d. informativa "atipica" o "supplementare"), elementi che sono comunque valutabili discrezionalmente dalla p.a. in ossequio alle generali esigenze di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa;
quest'ultima tipologia è fondata, in materia di lotta antimafia, su fatti e vicende aventi valore sintomatico ed indiziario, che prescindono da valutazioni di carattere strettamente penalistico” (T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 07 maggio 2004 , n. 375). In proposito, è stato recentemente affermato (TAR Catania, I, 16.01.2009, nr. 88/2009) che il sistema della informativa disciplinato dall'art. 10 comma 2 e 7 del DPR 3.6.1998 e dall'art. 4, comma 4 e 6 del Dlgs 8.8.1994, nr. 490, costituisce uno degli strumenti più importanti ed avanzati di cui l'apparato amministrativo pubblico dispone per difendere le istituzioni e, conseguentemente, la collettività, da organizzazioni criminali come la mafia (cfr. TAR Calabria, Reggio Calabria, 31 gennaio 2007, nr. 69), che si caratterizzano per il peculiare “mimetismo” che consente loro di agire, per lo più, non militarmente contro le istituzioni democratiche, ma sforzandosi di condizionarne l’operato, piegandolo ai propri interessi ed aumentando così, per tale tramite, la propria capacità eversiva e di controllo criminale del territorio.

Affinché questo strumento di tutela sia realmente efficace, però, è necessario che sia utilizzato con estrema attenzione e rigore, perchè il suo meccanismo incide nel delicato equilibrio, proprio dell'Ordinamento democratico, che sussiste tra diritti di difesa e di libertà di impresa da un lato, ed esigenze di politica preventiva, di pubblica sicurezza e repressiva, dall'altro.

Il rischio concreto di un cattivo uso di questo potere è, pertanto, che una immotivata ed irrazionale compressione dei diritti di difesa da un lato e di libertà di impresa dall’altro, così come l’adozione di una politica repressiva criptica, opaca e poco trasparente, finisca per rendere inefficace il contrasto alla criminalità organizzata sul piano della protezione dei poteri della P.A. dai tentativi di condizionamento: in altri termini, si corre il rischio, inaccettabile, di allontanare la società civile dalle Istituzioni democratiche, producendo disaffezione rispetto alla cultura della legalità, che va promossa e non imposta e che è vitale solo in quanto sorretta da un convinto sostenimento.

In definitiva, l’uso non appropriato del potere interdittivo rischia di compromettere il rapporto di fiducia della comunità proprio verso quelle Istituzioni che più sono chiamate a tutelarla, tutte quelle volte in cui sia utilizzato senza che i destinatari della misura siano effettivamente posti in grado di comprenderne appieno il significato, sia per la sostanziale correttezza dell’apprezzamento di merito dell’Autorità, sia per la efficace e trasparente rappresentazione di tale apprezzamento.

Il potere interdittivo proprio dell’Autorità in questa delicata materia è infatti particolarmente invasivo, posto che “è pacifico che nella complessa materia, delimitata dall'art. 1, l. 31 maggio 1965 n. 575, siano state introdotte cautele e garanzie più avanzate di quelle meramente penalistiche, al fine di proteggere la collettività da fenomeni criminosi di vasta portata, spesso incidenti sull'esercizio di attività economiche e imprenditoriali, in misura tale da alterare interi settori dell'economia nazionale. Alla gravità della situazione sono state pertanto contrapposte - soprattutto nel delicato settore degli appalti pubblici - misure eccezionali, che anche in presenza di soli elementi indiziari, circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, consentono di limitare la libera iniziativa di impresa, pur costituzionalmente garantita, ma da bilanciare (in conformità all'art. 41 commi 2 e 3, cost.), con principi di pari rango costituzionale, quali la sicurezza e il corretto indirizzo dell'attività economica;
quanto sopra, nei termini previsti dal legislatore e quindi, per quanto qui interessa, in base al prudente apprezzamento del Prefetto e degli organi di polizia, il cui giudizio - ove espresso nei termini di legge - è sindacabile solo per illogicità manifesta o travisamento dei fatti” (Consiglio Stato , sez. VI, 25 giugno 2008 , n. 3214)

E’ in questo quadro, che la giurisprudenza ha chiarito che la Prefettura, nell’istituto in esame, è titolare di un potere discrezionale, che comporta una valutazione lata di interessi contrapposti, ossia quello relativo, da un lato, alla libertà di impresa e quello relativo alla tutela dell’uso delle risorse pubbliche (TAR Calabria, Reggio Calabria, 28 febbraio 2007, nr. 197) e tale potere, dati i delicati interessi che la materia coinvolge, va esercitato con le necessarie cautele (Cons. St. IV 4 maggio 2004, n. 2783;
V, 27 giugno 2006, n. 4135;
cfr. anche Consiglio Stato , sez. VI, 21 ottobre 2005 , n. 5952), tanto che “l'Amministrazione deve assumere una posizione di imparzialità in conformità a quanto previsto dall'art. 97 Cost., posizione che, pur non rivestendo quel carattere di terzietà proprio del potere giurisdizionale, deve ciononostante imporre una valutazione complessiva di tutti gli elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria, e quindi anche quelli che potrebbero condurre ad una giudizio liberatorio dell'impresa soggetta a verifica” (TAR Veneto, Venezia, I, 7 marzo 2008, nr. 567). Nel merito, “le informazioni del Prefetto in merito alla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell'impresa, che ai sensi degli artt. 4 d.lg. 8 agosto 1994, n. 490 e 10 d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 costituiscono condizione per la stipulazione di contratti con la pubblica amministrazione ovvero per concessioni ed erogazioni, non devono provare l'intervenuta infiltrazione, essendo questa un quid pluris, ma devono sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza” (TAR Campania, Napoli, III, 6 dicembre 2007, nr. 19691), fermo restando che non è sufficiente il mero sospetto, ma sono necessari accertamenti fondati su oggettivi elementi atti a far denotare il rischio concreto di condizionamenti (TAR Calabria, sent. nr. 72/2008 citata, 28 agosto 2006, nr. 1391).

Dal quadro della giurisprudenza che si è appena delineato, emerge dunque che, a mente dell’art. 10, comma 7 del DPR 252 del 03/06/1998, le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa sono da ragioni di divieto ex lege costituite: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli articoli 629, 644, 648-bis, e 648-ter del codice penale, o dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale;
b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di cui agli articoli 2-bis, 2-ter, 3-bis e 3-quater della legge 31 maggio 1965, n. 575;
da ragioni di opportunità, costituite c) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell'Interno, ovvero richiesti ai prefetti competenti per quelli da effettuarsi in altra provincia.

Ora, appare evidente che tra le diverse fattispecie disciplinate dalla disposizione appena riportata, quella indicata alla lettera “c” implica una attenta valutazione dei fatti, un accurato apprezzamento dell’ interesse pubblico, una correlativa valutazione degli interessi privati contrapposti (quelli della impresa a mantenere l'appalto), e pertanto una appropriata valutazione degli elementi di fatto che sono emersi nel procedimento a seguito delle informative di Polizia o degli altri elementi acquisiti dall'Autorità procedente, dalle quali si desuma l’oggettività di un “rischio” di ingerenza: si tratta infatti di una fattispecie normativa a contenuto aperto, che rimanda alle situazioni di fatto, volta per volta considerate, assegnando alla Prefettura procedente un esplicito potere-dovere (procedimentalizzato) di apprezzare tutti gli elementi atti a far desumere la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa (TAR Catania, I, sent. nr. 88/09 cit.), i quali devono essere tali da denotare un effettivo, anche se non già concretizzato, “pericolo” di infiltrazione o anche solo “possibilità” di condizionamento. Si sottolinea che tale “pericolo” deve avere i connotati oggettivi di una potenzialità, e può concretizzarsi anche in una “apparenza” di condizioni tali da destare il fondato sospetto nei terzi, secondo l’”id quod plerumque accidit”, ossia secondo un criterio probabilistico comune, che la conduzione dell’azienda possa essere coessenziale ad interessi mafiosi.

Il giudizio della Prefettura è dunque un apprezzamento sulla esistenza di situazioni di fatto atte, di per sé, a far emergere una oggettiva rilevanza ai fini della possibilità di condizionamento della impresa.

II) A giudizio del Collegio, ciò è proprio quanto si è verificato nella fattispecie in esame, ove l’accertamento dell’Autorità ha evidenziato elementi plurimi che, considerati tutti insieme e riferiti al socio della impresa, denotano una evidente possibilità di condizionamento, perché concretizzano un contesto ambientale niente affatto indifferente per l’impresa, e suscettibile di condizionarne l’operato, alla luce del sistema normativo come sopra ricostruito (così come ritenuto, peraltro, in sede cautelare con l’ordinanza nr. 49/08, la cui motivazione è particolarmente accurata). Infatti, il socio accomandatario della società ha avuto, nel tempo, una serie reiterata e costante di frequentazioni, accompagnate da offerte di lavoro e dunque di relazioni non meramente occasionali, con esponenti della locale malavita mafiosa, tali da rappresentare, se non una condotta di rilevanza penale la cui rilevanza non può essere acclarata in questa sede, di certo una contiguità che, di per sé, è indicatore oggettivo di possibile comunanza di interessi e tanto basta a giustificare la misura interdittiva impugnata.

Giova, a tale proposito, riportare il testo della motivazione della suddetta ordinanza cautelare, che al Collegio pare esaustivo di ogni altra riflessione in merito, posto che si è ritenuto che “il socio accomandatario: a) ha formulato nel 1997 un’offerta di lavoro in favore di B F (deferito all’autorità giudiziaria per associazione a delinquere e altro) e nel 1999 altra offerta in favore di T F (deferito all’autorità giudiziaria per associazione a delinquere e altro);
b) è stato controllato in compagnia con B A (interessato da ordinanza di custodia per associazione a delinquere, ancorché successivamente assolto per non aver commesso il fatto), figlio di G (già sorvegliato speciale, gravato da vicende penali per armi, associazione a delinquere, lesioni aggravate, minacce, furto, falsa testimonianza, sequestro di persona a scopo di estorsione, spari in luogo pubblico, danneggiamento, favoreggiamento e altro, arrestato a Modena nel 2006) e nipote di F (già sorvegliato speciale, gravato da vicende penali per reati contro il patrimonio, porto e detenzione armi, lesioni, estorsione, rapina, associazione mafiosa e altro);
c) è stato controllato con M G (arrestato per detenzione e porto illegale di armi e arrestato in Svizzera in quanto ritenuto responsabile di favoreggiamento nei confronti di F M, capo dell’omonima cosca mafiosa): d) è stato controllato con I G (deferito per associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, porto e detenzione illegale di armi, turbativa d’asta, interessato – ancorché successivamente assolto – da procedimento per associazione mafiosa), figlio di G (già sorvegliato, deferito per porto illegale, violenza privata, furto, pascolo abusivo, omicidio premeditato, detenzione e spaccio banconote false, guida senza patente, estorsione, violazione della sorveglianza speciale, associazione per delinquere, danneggiamento, ritenuto elemento di spicco di cosca mafiosa): e) è stato controllato con Perrone G, con pregiudizi per associazione a delinquere”.

Gli elementi di fatto indicati nella suddetta motivazione, costituiscono dunque un evidente quadro di contesto, nel quale emerge una situazione complessiva di frequentazioni del socio della impresa ricorrente che sono, per esperienza comune, suscettibili di porre nel dubbio la trasparenza delle scelte personali dell’imprenditore medesimo.

Si tenga presente che tale fattispecie diviene rilevante, ai fini dell’applicazione della misura interdittiva in esame, proprio in considerazione del contesto territoriale, ovvero in considerazione di quel tipo di condizionamento che la malavita organizzata che opera nel territorio di riferimento è capace di produrre, e che è caratterizzato soprattutto dalla importanza dei rapporti familiari e dai rapporti diretti e personali che traggono origine dalla “forza” della organizzazione mafiosa, ragione per cui le “frequentazioni” costituiscono un veicolo tipico di possibile influenza mafiosa e diventano rilevanti, ai fini dell’istituto in esame, laddove non occasionali.

In tal senso, la posizione dell’imprenditore che vuole contrattare con la P.A. non è indifferente alle persone che frequenta: egli, al contrario, è responsabile delle relazioni sociali e d’affari che pone in essere, nelle quali è tenuto alla massima diligenza, proprio perché, per il loro tramite e secondo comune esperienza, si espone al rischio di condizionamenti o anche solo all’apparenza di tale rischio che, di per sé, è sufficiente a concretizzare un pericolo di condizionamento atto a giustificare le misure interdittive del genere di quelle in esame.

Si deve quindi affermare che, ai fini dell’applicazione di una misura interdittiva ex art. 10, comma 7, lett. “c” del DPR 252 del 03/06/1998, in funzione della prevenzione di influenze di natura mafiosa ed, in particolare, di quella particolare formazione mafiosa rappresentata dalla c.d. “ndrangheta”, è elemento idoneo a palesare la possibilità di condizionamenti mafiosi della impresa, un quadro articolato e coerente, prolungato o costante nel tempo, di frequentazioni del socio o dell’imprenditore, o di suoi collaboratori aventi poteri dispositivi o comunque tali da poter impegnare l’azienda, anche di fatto, con elementi della malavita che si trovino, a loro volta, in condizioni ostative alla instaurazione di rapporti con la P.A.

Il ricorso è pertanto infondato e come tale va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in euro 2.000,00 oltre IVA e CPA come per legge.

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