TAR Lecce, sez. III, sentenza 2014-02-26, n. 201400661

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. III, sentenza 2014-02-26, n. 201400661
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 201400661
Data del deposito : 26 febbraio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00032/2010 REG.RIC.

N. 00661/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00032/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 32 del 2010, proposto da:
Socoge Srl, rappresentata e difesa dagli avv. A V, M S, M C L, con domicilio eletto presso l’avv. Vantaggiato in Lecce, via Zanardelli 7;

contro

Comune di Lecce, rappresentato e difeso dall'avv. P L P, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via Imbriani 36;

per l'annullamento

della determina n. 1274/2009 del 20.10.2009 con cui il Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Lecce ha provveduto all’annullamento della concessione edilizia 317/2002 e successive varianti con permesso n. 759/06 e DIA n. 271/09 “limitatamente ai fabbricati individuati con lettere A e C nella parte concernente la destinazione d’uso direzionale ai piani 1, 2, 3, 4 e commerciale al piano terra” nonché di ogni altro atto connesso, consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Lecce;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2013 il dott. Luca De Gennaro e uditi per le parti gli avv.ti Vantaggiato, Lenoci e Portaluri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La Socoge srl, proprietaria di lotti posti nel comparto PPA, zona B14 del Comune di Lecce, ha ottenuto nel 2002 successivamente all’approvazione di un piano di lottizzazione convenzionata, una concessione edilizia (concessione n. 317/2002), per la costruzione di alcuni fabbricati costituiti da tre corpi (A, B, C) con destinazione prevalente a uffici e studi professionali e, relativamente al piano terra, ad attività commerciale.

Il progetto è stato poi interessato da un permesso in variante del 2006 (n. 759/2006) e da una DIA del 2009 (n. 271/2009) per la realizzazione di alcune modifiche al progetto originario.

Il progetto è stato interamente attuato secondo le autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune di Lecce.

Una volta terminato l’opera edilizia, con nota del 21.7.2009, l’Amministrazione ha comunicato all’odierna deducente l’avvio del procedimento di annullamento dei titoli edilizi rilasciati, sul presupposto che gli immobili autorizzati e realizzati eccedano i limiti stabiliti dalla normativa urbanistica per le destinazioni ad uso direzionale e commerciale nella zona B.

Con la suindicata determina n. 1274/2009 del 20.10.2009, conclusiva del procedimento di autotutela, il Comune di Lecce, ricevute le controdeduzioni della Socoge srl, ha dunque annullato i titoli edilizi per i fabbricati A e C nella parte relativa alla destinazione d’uso, ritenendo illegittimi i titoli edilizi rilasciati con l’obiettivo dichiarato di assicurare le “generali ragioni di armonia pianificatoria” e in particolare un “uso razionale del territorio in relazione al carico urbanistico espresso dai vari insediamenti antropici”.

Avverso il suddetto provvedimento è insorta la Socoge con il presente ricorso, articolando le seguenti censure:

- sviamento di potere, incompetenza dell’organo, violazione dei principi in materia di assetto e disciplina del territorio;

- violazione ed errata applicazione delle NTA del PRG di Lecce e del PdL comparto 4, sviamento, violazione dei principi in materia di pianificazione;

- violazione e falsa applicazione art. 3 DM 1444/1968, violazione delle norme sul piano;

- travisamento dei fatti erroneità manifesta, errata applicazione della norma di piano;

- sviamento di potere, difetto di assoluto e di motivazione, omessa comparazione degli interessi, violazione art. 21 nonies L. 241/1990, mancata applicazione art. 9 ult. Comma NTA del PRG.

Si è costituito il Comune di Lecce chiedendo la reiezione del ricorso.

All’udienza del 19 dicembre 2013 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Il ricorso è fondato.

Ritiene il Collegio che trattandosi di provvedimento di autotutela, si possa prescindere dalla ricognizione della normativa urbanistica applicabile all’area in oggetto e verificare direttamente e prioritariamente se sussistono i presupposti necessari per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio;
in particolare se tale potere sia sorretto da una motivazione congrua ed esaustiva.

Con il quinto motivo di doglianza, a cui si riconosce dunque natura assorbente, si lamenta che nell’annullare il titolo edilizio a distanza di anni dal rilascio l’Amministrazione non abbia tenuto in conto dell’affidamento ingenerato nel privato e che nell’esercizio discrezionale del potere di autotutela le ragioni dell’interesse pubblico non siano state adeguate ponderate alla luce degli interessi privati incisi.

Il motivo merita accoglimento.

Ai sensi dell'art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990 n. 241 “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell' articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato”.

L'esercizio del potere di autotutela da parte dell'Amministrazione, richiede pertanto che quest'ultima, oltre ad accertare entro un termine ragionevole l'illegittimità dell'atto, debba altresì valutare la sussistenza di un interesse pubblico all'annullamento, attuale e prevalente sulle posizioni giuridiche private costituitesi e consolidatesi medio tempore ;
risulta quindi insufficiente l’identificazione dell’interesse pubblico nel mero ripristino della legalità violata;
anzi il carattere tipicamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio impone una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, dei quali occorre dare adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento di ritiro, soprattutto ogni qualvolta la posizione del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata, suscitando un ragionevole affidamento sulla legittimità del titolo stesso, affidamento indotto dallo operato degli stessi uffici comunali.

Nell’ambito di tale motivazione assume dunque importanza centrale il principio dell’affidamento del privato che, per quanto riguarda i permessi edilizi, non può che essere valutato, in applicazione del citato art. 21-nonies, alla luce 1) del tempo trascorso dal rilascio del permesso 2) dello stato effettivo dell’edificazione e 3) della riconoscibilità dell’illegittimità dell’atto.

In relazione al primo aspetto occorre quindi evidenziare che l’annullamento del titolo giunge quando la situazione edilizia appare decisamente consolidata;
il progetto de quo, che costituisce pacificamente un intervento edilizio di ampie dimensioni (circa 14.000 mq di superficie), è già stato interamente realizzato;
in merito a questa circostanza la motivazione del provvedimento non effettua alcuna valutazione, nonostante che l’Amministrazione come già osservato sia tenuta a comparare l’invocato interesse pubblico con le ragioni del privato il quale, nel caso di specie ha già effettuato un investimento di portata rilevante.

Anche se infatti l’annullamento concerne solamente la destinazione d’uso degli immobili, e non l’edificazione in sé, nessuna valutazione è stata compiuta sulla possibilità di riconversione del fabbricato ad una destinazione residenziale ed eventualmente sui connessi oneri economici che la stessa comporterebbe.

Quanto al tempo trascorso, la concessione edilizia originaria, che già conteneva i presunti vizi contestati (avendo le successive varianti inciso su aspetti non interessati dalle contestazioni del Comune), è stata rilasciata nel 2002 ovvero sette anni prima della decisione comunale di ritirare il titolo edilizio;
si tratta dunque di un periodo di tempo obiettivamente esteso che risulta ictu oculi oltre il parametro del “termine ragionevole” fissato dal citato art. 21-nonies.

Il Collegio non condivide peraltro l’opinione della difesa comunale secondo cui il parametro temporale su cui misurare la tempestività dell’annullamento sia quello di dieci anni fissato dall’art. 39 DPR 380/20001 (“entro dieci anni dalla loro adozione le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione, possono essere annullati dalla regione”);
tale norma ha pacificamente un carattere eccezionale, carattere che consente alla Regione, soggetto diverso da quello che ha rilasciato il permesso, di ripristinare la legalità violata, nell’esercizio di una funzione di controllo esterno da esercitarsi sul piano urbanistico-edilizio. Nel caso di specie l’applicazione analogica di tale norma, nella parte in cui prevede un termine decennale, deve dunque ritenersi impedita dal fatto che è lo stesso Comune che ha assunto l’atto a disporne il ritiro, circostanza che rende la fattispecie obiettivamente distinta da quella invocata con riferimento al richiamato art. 39.

Quanto alla riconoscibilità del vizio si osserva che la ricognizione del Comune della disciplina urbanistica - volta anche a smentire la precedente posizione degli uffici comunali - appare in ogni caso complessa ed articolata sulla base di un testo normativo certamente non univoco: la lettura del Comune della normativa comunale - a fronte di enunciati generali che paiono consentire l’edificazione ad uso uffici senza tetto massimo (art. 53 NTA: “in tale zona sono consentite le seguenti destinazioni: residenza, uffici privati e studi professionali”) - ricostruisce l’illegittimità della destinazione non residenziale impressa dalla concessione 317/2002 prima sulla base di una disposizione generica (art. 53 cit.: l’area ha “destinazione prevalentemente residenziale”) e poi di un enunciato particolare, relativo solamente alle superfici già esistenti (art. 53: “è vietata la conversione delle attuali superfici con destinazione residenziale ed altre destinazioni di tipo direzionale e commerciale”);
infine sulla base dell’eterointegrazione della normativa urbanistica comunale con le disposizione del DM 1444/1968 (art. 3) lamenta l’impatto urbanistico della costruzione autorizzata alla luce dell’insufficiente dimensionamento qualitativo e quantitativo delle aree a standards a disposizione degli insediamenti residenziali.

In disparte dell’attendibilità della tesi comunale secondo cui nel comparto sarebbe limitata la destinazione di tipo direzionale o commerciale ad una misura “compatibile con la residenza”, è evidente che la ricostruzione appare quantomeno articolata e di non immediata evidenza, almeno da una prospettiva ex ante riferibile all’epoca del rilascio del titolo edilizio, ove di tali questioni interpretative nessuno ha fatto cenno;
a fronte di tale ricognizione e in questa prospettiva il Comune ha dunque quantomeno omesso di motivare in merito alla lesione dell’affidamento che il titolare riponeva ragionevolmente nel permesso edilizio annullato.

Sotto questo profilo poi il Comune ha poi omesso di motivare in maniera compiuta sulla possibilità di recupero degli standards urbanistici;
gli uffici comunali non valutano infatti alcuna alternativa che consenta il mantenimento di quanto realizzato con la destinazione originaria posto che nessun approfondimento istruttorio viene svolto per accertare se, in quale misura possano essere comunque realizzati in concreto gli standard indicati dal DM 1444/1968 per finalità residenziali, anche valutando gli interventi autorizzati o autorizzabili all’interno della medesima zona.

In conclusione, vista l’illegittimità del provvedimento di annullamento, il ricorso viene accolto e per l’effetto viene annullato l’atto impugnato.

Sussistono, data la particolarità della vicenda, giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti.

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