TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2020-05-29, n. 202005757

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2020-05-29, n. 202005757
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202005757
Data del deposito : 29 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/05/2020

N. 05757/2020 REG.PROV.COLL.

N. 10732/2019 REG.RIC.

N. 10738/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10732 del 2019, proposto da
Immobilflora S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dei Beni e delle Attivita` Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio, non costituita in giudizio;
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Nicola Sabato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



sul ricorso numero di registro generale 10738 del 2019, proposto da
McDonald's Development Italy Llc, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Riccardo Delli Santi, Mauro Renna, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Riccardo Delli Santi in Roma, via di Monserrato 25;

contro

Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio, non costituita in giudizio;
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Nicola Sabato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Codacons, Associazione Articolo 32-97, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Gino Giuliano, Carlo Rienzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio C/O Codacons Carlo Rienzi in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 73;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 10732 del 2019:

del provvedimento del Direttore Generale della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del 30.07.2019, notificato in data 05.08.2019, (prot. n. 21238) recante in oggetto “Roma, Municipio I. Progetto di riqualificazione e risanamento ambientale di un'area sita in via guido Baccelli n. 85 (NCEU: foglio 520, partt. 25, 28, 29, 40, 41, 42, 68, 69;
richiedente: Stefano Ceccarelli). Annullamento del parere della Soprintendenza speciale Archeologica, belle arti e paesaggio di Roma prot. n. 15395 del 24 luglio 2018 e contestuale avocazione del procedimento di valutazione dell'intervento a farsi, anche ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004, nonche´ della complessiva attivita` di tutela concernente detta area” (doc. 1 – Provvedimento di annullamento Direzione Generale A.B.A.P. del 30.07.2019);

del provvedimento del medesimo Direttore Generale della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, del 31.07.2019, (prot. n. 21509), notificato in pari data, con il quale e` stata ordinata la “sospensione dei lavori ai sensi dell'articolo 150, comma 1, del D.Lgs. n. 42/2014, adottato in esercizio del potere di cui all'art. 16, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 165/2001 e dell'art. 2, comma 1, secondo periodo, del D.M. n. 44/2016” relativamente alla medesima area (doc. 2 – Provvedimento di sospensione Direzione Generale A.B.A.P. del 30.07.2019);

di ogni altro atto o provvedimento anteriore, preordinato, connesso e consequenziale, ancorche´ non conosciuto e, in particolare, per quanto occorrer possa:

della Comunicazione di avvio del procedimento di annullamento del Comune di Roma Capitale del 02.08.2019 (prot. n. 130509) relativa al procedimento di richiesta di autorizzazione paesaggistica prot. n. QI/34899 del 28.02.2018 (doc. 3 – Comunicazione avvio del procedimento di annullamento del Dipartimento P.A.U. prot. n. 130509 del 02.08.2019);

dell'art. 40 delle NTA del PTP 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica ed acquedotti” approvato con Delibera di Consiglio Regionale n. 70/2010;

dell'art. 2, comma 1, secondo periodo, del D.M. n. 44/2016, ove inteso nel senso di attribuire al Diretto Generale della Direzione generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio il potere di annullamento degli atti ritenuti illegittimi dei Soprintendenti;

nonché, quanto al ricorso n. 10738 del 2019:

del provvedimento del Direttore Generale della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del 30.07.2019, notificato in data 05.08.2019, (prot. n. 21238) recante in oggetto “Roma, Municipio I. Progetto di riqualificazione e risanamento ambientale di un'area sita in via guido Baccelli n. 85 (NCEU: foglio 520, partt. 25, 28, 29, 40, 41, 42, 68, 69;
richiedente: Stefano Ceccarelli). Annullamento del parere della Soprintendenza speciale Archeologica, belle arti e paesaggio di Roma prot. n. 15395 del 24 luglio 2018 e contestuale avocazione del procedimento di valutazione dell'intervento a farsi, anche ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004, nonché della complessiva attività di tutela concernente detta area”;

del provvedimento del medesimo Direttore Generale della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, del 31.07.2019, (prot. n. 21509), notificato in pari data, con il quale è stata ordinata la “sospensione dei lavori ai sensi dell'articolo 150, comma 1, del D.Lgs. n. 42/2014, adottato in esercizio del potere di cui all'art. 16, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 165/2001 e dell'art. 2, comma 1, secondo periodo, del D.M. n. 44/2016” relativamente alla medesima area;

di ogni altro atto o provvedimento anteriore, preordinato, connesso e consequenziale, ancorché non conosciuto e, in particolare, per quanto occorrer possa:

della Comunicazione di avvio del procedimento di annullamento del Comune di Roma Capitale del 02.08.2019 (prot. n. 130509) relativa al procedimento di richiesta di autorizzazione paesaggistica prot. n. QI/34899 del 28.02.2018;

dell'art. 40 delle NTA del PTP 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica ed acquedotti” approvato con Delibera di Consiglio Regionale n. 70/2010;

dell'art. 2, comma 1, secondo periodo, del D.M. n. 44/2016, ove inteso nel senso di attribuire al Direttore Generale della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio il potere di annullamento degli atti ritenuti illegittimi dei Soprintendenti.


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali;

Visto l’atto di intervento ad opponendum di Codacons;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista la richiesta congiunta delle parti di trattenere in decisione le cause ai sensi dell’art. 84 CPA;

Relatore la dott.ssa F R alla Camera di Consiglio del 7.4.2020 tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 84 DL 18/2020, conv. in L. n. 27/2020;


FATTO

Con ricorso n. 10732/2019 la società ricorrente premette di essere proprietaria di un compendio immobiliare sito in Roma, Via Guido Baccelli n. 85 costituto da vari fabbricati contraddistinti in N.C.E.U. del Comune di Roma al foglio 520, particelle nn. 28, 29, 40, 41, 42, 68, 69 e di aver concluso con la società Mc Donald’s Italia un contratto preliminare di locazione finalizzata alla conduzione di un pubblico esercizio di ristorazione (tipologia “fast food con modalità drive thru ”) in un edificio inserito all’interno del compendio (distinto al foglio 520, particelle nn. 29 e 42) per cui erano stati avviati dei lavori di riadattamento dell’immobile, ottenendo diversi nulla osta e parere favorevoli ritenuti sufficienti alla realizzazione dell’intervento.

Con il predetto ricorso vengono impugnati il provvedimento del 30.07.2019 con cui la Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio ha disposto l’annullamento del parere favorevole all’intervento già espresso dalla competente Soprintendenza, nonché l’ordine di sospensione dei lavori in parola, disposto in data 31.7.2019 dalla medesima Direzione Generale che ha condizionato la ripresa dei lavori al previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 Cod BBCC.

Con ricorso n. 10738/2019 la società Mc Donald’s Italia, affittuaria dell’immobile in parola, impugna i medesimi provvedimenti, ribadendo la ricostruzione dei fatti operata dalla proprietaria dell’immobile con il ricorso soprarichiamato e deducendo gli stessi motivi di censura posti a fondamento del gravame.

Nella parte in fatto le ricorrenti premettono che l’immobile in contestazione, originariamente realizzato in virtù di una licenza edilizia del 24.02.1970 (per la costruzione di una serra), successivamente era stato oggetto di interventi di ampliamento e cambio di destinazione d’uso abusivamente realizzati, per i quali erano stati rilasciati titoli abilitativi in sanatoria ai sensi della Legge n. 47/1985. Attualmente l’immobile è composto da una porzione di 453,00 mq, con destinazione d’uso commerciale, una porzione di 104,00 mq, con destinazione d’uso ufficio, una porzione di 165,00 mq, adibita a serra, e che esso è attualmente destinato ad attività florovivaistica, esercitata dalla proprietaria.

Le ricorrenti precisano, ancora, che l’immobile ricade in area classificata nell’ambito “Paesaggio dei Centri e Nuclei Storici con relativa fascia di rispetto di 150 m” nella Tavola A del Piano Territoriale Paesaggistico Regionale (adottato dalla Giunta Regionale con atti n. 556 del 25.07.2007 e n. 1025 del 21.12.2007), non rientra tra i “Beni Paesaggistici” elencati nella Tavola D del PTPR, bensì tra quelli individuati ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 42/2004, essendo ricompreso tra gli “Insediamenti urbani storici e territori contermini compresi in una fascia di profondità di 150 m – (Tavola B) disciplinato dall’art. 43 delle norme del PTPR) i Beni iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO (riportati alla Tavola C),

Le ricorrenti precisano che i lavori in contestazione consistono in un “intervento di restauro conservativo, con cambio d’uso, da commerciale/servizi (uffici) a pubblico esercizio dell’edificio” , finalizzato ad adeguare l’edificio all’attività di fast food , secondo un progetto di “riqualificazione e la riconfigurazione funzionale dell’immobile e generale risanamento ambientale dell’area di intervento limitrofa” s ul quale s’erano pronunciate favorevolmente le seguenti Amministrazioni: la Regione Lazio con nota prot. n. 575669 del 24.12.2015;
la Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica di Roma (da qui S.S.C.A.A.r.R.) con nota prot. n. 2064 del 06.02.2017;
la Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali (da qui Soprintendenza Capitolina) con nota prot. n. 22245 del 17.08.2017;
il Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica – U.O. Permessi di Costruire – Ufficio Autorizzazioni Paesaggistiche del Comune di Roma (da qui Dipartimento P.A.U.) con nota prot. 34899 del 28.2.2018;
la Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma (da qui S.A.B.A.P.) con nota prot. n. 15395 del 24.07.2018.

In data 15.2.2019 le società ricorrenti hanno concluso il contratto definitivo di locazione dell’immobile, ritenuto adatto all’attività di ristorazione in parola una volta realizzato l’intervento, ritenuto approvato a seguito del silenzio serbato dall’Amministrazione sulla “SCIA alternativa al permesso di costruire” prot. n. 206704 del 31.10.2018, con conseguente perfezionamento del titolo abilitativo in data 1.12.2018 per decorso il termine di 30 giorni di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 380/2001.

Dopo aver presentato una SCIA in variante prot. n. 93645, in data 8.5.2019 veniva dato avvio ai lavori in parola, che venivano fatti oggetto di proteste ed esposti da parte di cittadini ed associazioni che sollecitavano l’intervento repressivo del Ministero.

Secondo le ricorrenti è solo per placare tali proteste che il Direttore Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio avrebbe adottato i provvedimenti impugnati con cui ha disposto l’immediata sospensione dei lavori, ha avocato il potere di provvedere, disponendo l’annullamento d’ufficio del parere favorevole precedentemente reso dalla Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma con nota prot. n. 15395 del 24 luglio 2018 e diffidato a non riprendere i lavori fino al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica prescritta dall’art. 146 del Codice Beni Culturali, ed ha altresì sollecitato il Comune a provvedere alle relative valutazioni, comunicandone le risultanze al predetto Direttore Generale.

Deducono, pertanto:

con riferimento all’esercizio del potere di avocazione e sostituzione esercitato dal Direttore Generale: 1) “Nullità per difetto di attribuzione e carenza di potere. Incompetenza. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies della L. n. 241/1990 ss.mm.ii. Violazione del principio di legalità e di gerarchia delle fonti del diritto. Violazione dell’art. 97 Cost. Violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del D.Lgs. n. 165/2001 e dell’art 2 del D.M. n. 44/2016. Difetto di motivazione per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 241/1990 e ss.mm.ii. Esercizio arbitrario del potere. In subordine violazione da parte dell’art. 2 del D.M. n. 44/2016 dell’art. 21 nonies della L. n. 241/1990 ss.mm.ii, degli artt. 16 e 17 del D.Lgs. n. 165/2001, dell’art. 16 del D.L. n. 66/2014, convertito con L. n. 89/2014, dell’art. 1, comma 327, della legge n. 208/2015, dell’art. 97 Cost., nonché del principio di legalità e di gerarchia delle fonti del diritto.”

Con il primo motivo le ricorrenti eccepiscono innanzitutto l’incompetenza del Direttore Generale, sostenendo che esso non avrebbe alcun potere di annullare il parere reso dal Soprintendente e di avocare a sé una procedura autorizzativa già definitivamente conclusa in senso favorevole agli interessati.

Secondo le ricorrenti il Direttore Generale non può ritenersi investito dei poteri di cui all’art. 16, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 165/2001 e all’art. 2, comma 1, secondo periodo, del D.M. n. 44/2016. Né potrebbe far ricorso al potere di annullamento in autotutela previsto dall’art. 21 nonies della L. n. 241/1990 che spetta solo dall’organo che ha emanato l’atto in parola “ovvero da altro organo previsto dalla legge” (ipotesi eccezionale che, appunto, nel caso in esame, non ricorre dato che l’art. 16, co. 1, lett. e), del d.lgs. n. 165/2001 attribuisce al Direttore Generale un potere sostitutivo in caso di inerzia dei dirigenti, evenienza non verificatasi nella fattispecie, in cui, al contrario, tutte le autorità competenti s’erano pronunciate, peraltro in senso favorevole).

Escludono inoltre che il potere esercitato dal Direttore Generale possa trovare adeguato fondamento nell’’art. 2 del D.M. n. 44/2016, trattandosi di un decreto ministeriale di natura non regolamentare – che si limita a conferire al Direttore generale “poteri di indirizzo, coordinamento, controllo”, ma senza alcuna posizione di supremazia gerarchica né poteri di annullamento d’ufficio degli atti delle autorità “sotto-ordinate” –che non può alterare l’assetto delle competenze sancito dagli artt. 16 e 17 D.Lgs. n. 165/01 - confermato anche in sede di riorganizzazione del MiBAC (art. 1, comma 327, della L. 208/2015, c.d. “legge di stabilità 2016”) – che riconosce ai dirigenti di seconda fascia una sfera di autonomia rispetto ai dirigenti superiori e competenze proprie.

Le ricorrenti ritengono che il predetto art. 2, ove prevede un potere di avocazione nei circoscritti casi di “necessità e urgenza”, e previa informativa al Segretario generale, ha carattere eccezionale e derogatorio, per cui non può essere interpretato estensivamente fino a farvi rientrare anche il potere di annullamento d’ufficio, pertanto ne chiedono l’annullamento ove interpretato in tal senso.

In ogni caso eccepiscono che non sussistono neppure i presupposti di necessità ed urgenza per l’esercizio di tale potere, prospettando lo sviamento di potere, ritenendo che “il Ministero abbia improvvisamente riscontrato la massima urgenza alla luce della deriva mediatica che non gradisce la realizzazione in sito di un ristorante McDonald’s. Si badi bene che il marchio, e non la tipologia del servizio, ha suscitato la deriva di cui trattasi”;

con riferimento al provvedimento di sospensione del Direttore Generale prot. n. 21509 del 21.07.2019: 2) “ Violazione di legge: violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 146 del D.Lgs. n. 42/2004;
violazione e falsa applicazione dell’art. 134, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 42/2004;
violazione e falsa applicazione degli artt. 150 e 160 del D.Lgs. n. 42/2004;
violazione e falsa applicazione dell’art. 40 delle NTA del PTP 15/12;
violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, lett. c) e 7, commi 1 e 5, delle norme del PTPR;
omessa applicazione dell’art. 43, comma 15, delle norme del PTPR;
violazione dell’art. 24 delle NTA del PRG di Roma e del Protocollo di Intesa tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Comune di Roma prot. n. 57701 del 08.09.2009;
violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Legge n. 240/1999 e ss.mm.ii.. Violazione della Circolare del Dipartimento Territorio della Regione Lazio prot. n. 94875 del 19.06.2009. Eccesso di potere per: grave difetto di presupposti, contraddittorietà, irragionevolezza, violazione del giusto procedimento, carenza di istruttoria. Grave sviamento di potere. Arbitrarietà. Falsità. Violazione dei principi di certezza del diritto. Violazione dell’art. 97 della Costituzione.

Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano l’illegittimità del provvedimento di “sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 150 comma 1 del D.Lgs n. 42/2004” prot. n. 21509 del 31.07.2019, innanzitutto denunciandone “ la contraddittorietà intrinseca ” ritenendo che il provvedimento inibitorio sarebbe stato “assunto non già sulla base di un vincolo di tutela presupposto, ma sulla base di un vincolo che – in eventualità – deve essere ancora apposto” . A tale riguardo ricordano che i provvedimenti cautelari assunti ai sensi dell’art. 150 del D.Lgs. n. 42/2004 perdono la loro efficacia se entro novanta giorni non sia avviato il procedimento per vincolare l’area.

Inoltre sostengono che il Direttore Generale non avrebbe individuato correttamente la normativa applicabile, in quanto avrebbe adottato la misura cautelare tenendo conto unicamente delle previsioni del PTP – che include l’area di intervento all’interno delle tutele orientate con TOc.3, in attuazione dell’art. 143 del D.Lgs. n. 42/2004 e ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 42/2004 – senza tener conto della prevalenza delle previsioni del PTPR adottato (ai sensi dell’art. 7, comma 5, delle norme del PTPR). Quest’ultimo per l’area nella Città storica del PRG di Roma e, quindi, nell’Area del Patrimonio UNESCO, prevede una “disciplina speciale”, all’art. 43 comma 15 stabilendo che “Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli insediamenti urbani storici ricadenti fra i beni paesaggistici di cui all’art.134 comma 1 lettera a) del Codice, per i quali valgono le modalità di tutela dei “Paesaggi” e alle parti ricadenti negli insediamenti storici iscritti nella lista del Patrimonio dell’Unesco (..) per i quali è prescritta la redazione del Piano generale di gestione per la tutela e la valorizzazione previsto dalla Convenzione UNESCO”. Siccome il PTPR per tali aree “rimanda esclusivamente alle disposizioni di tutela recate dal Piano Generale di gestione UNESCO” e detto piano non è stato ancora approvato, non era necessario richiedere l’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146, comma 5, del D.Lgs. n. 42/2004, essendo sufficiente acquisire il parere consultivo della Soprintendenza prescritto dall’art. 24 delle NTA del PRG.

Secondo le ricorrenti, nelle more dell’adozione del Piano di Gestione per la tutela e valorizzazione del sito UNESCO, trova applicazione la disciplina sui “Progetti relativi ad immobili non vincolati ai sensi del D.L.N. 42/2004 ricadenti nella parte di Città Storica dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità” contenuta nel Protocollo di intesa prot. n. 57701 del 8.09.2009, che al punto C prevede che “i progetti relativi a tali immobili ove riguardino invece interventi di categoria MS, RC devono essere obbligatoriamente sottoposti al parere consultivo della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, solo se interessano le parti comuni o private, con rilevanza esterna”. Siccome nel caso in esame la predetta Soprintendenza s’era espressa favorevolmente con nota prot. n. 15395 del 24.07.2018, il progetto doveva ritenersi munito di tutte le autorizzazioni previste dalla normativa vigente.

Pertanto, ad avviso delle ricorrenti, il Direttore Generale con l’annullamento del predetto parere sarebbe incorso nello sviamento di potere, dato che ha sospeso un’attività edilizia legittima, in assenza di vincolo (che, ove effettivamente esistente, avrebbe comportato l’esercizio del potere repressivo di cui all’art. 160 del D.Lgs n. 42/2004 anziché del potere cautelare di cui all’art. 150) perché “ consapevole che la giurisprudenza amministrativa non consente l’imposizione di un vincolo su un immobile oggetto di un titolo edilizio consolidato, valido ed efficace e in corso di esecuzione” . Pertanto il Direttore Generale avrebbe disposto l’annullamento d’ufficio in autotutela al fine di “rimuovere un ostacolo” all’avvio del procedimento di vincolo, al fine di evitare gli attacchi mediatici, agendo per “pregiudizio”, dato che il “pericolo” è stato ravvisato non nell’intervento che interessa l’immobile in contestazione, bensì dall’avversione al marchio della ricorrente e, in genere, alla tipologia di ristorazione fast food;

Con riferimento al provvedimento di annullamento in autotutela determinato dal Direttore Generale, prot. n. 21238 del 30.07.2019, vengono dedotte le seguenti censure:

3.a (rectius 3) “ Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della L. n. 241/1990 ss.mm.ii. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990 ss.mm.ii. Difetto di motivazione. Violazione dell’art. 41 della Carta di Nizza. Violazione dell’art. 97 Cost. Arbitrarietà dell’esercizio del potere.”

Le ricorrenti premettono di aver operato una inversione logica delle censure, attaccando prima il provvedimento di sospensione lavori prot. n. 21509 del 21.07.2019 – con il secondo mezzo di gravame – e poi il provvedimento prot. n. 21238 del 30.07.2019 di annullamento in autotutela del parere della Soprintendenza – al fine di rispettare “l’ordine cronologico secondo il quale i provvedimenti impugnati sono stati notificati (…) da cui emerge la caotica gestione del procedimento”

Con il terzo motivo le società ricorrenti lamentano che il Direttore Generale ha disposto l’annullamento in autotutela del parere della Soprintendenza in erronea applicazione degli artt. 21 octies della L. n. 241/1990;
l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento nel caso in esame ha impedito di rappresentare “circostanze favorevoli determinanti”, in particolare, che l’area in esame era esentata dall’obbligo di autorizzazione paesaggistica;
non sussistevano i presupposti prescritti dall’art. 21 nonies della L. n. 241/,1990 per l’annullamento d’ufficio, dato che il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza non era affetto da alcuna illegittimità;
in ogni caso il Direttore generale avrebbe prima dovuto effettuare una valutazione comparativa degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, indicando le ragioni della prevalenza dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto rispetto all’esigenza di tutelare il legittimo affidamento sul perfezionamento del titolo abilitativo maturato dalla società proprietaria, nel rispetto dei principi del diritto comunitario (art. 41 della Carta di Nizza) e dell’art. 97 Costituzione.

3 b (rectius 4) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 7 e 43 PTPR. Violazione e falsa applicazione dell’art. 40, lett. c.4), delle NTA del PTP 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica ed acquedotti”. Violazione e falsa applicazione dell’art. 24 delle NTA del PRG. Violazione e falsa applicazione degli artt. 134, comma 1, 143 e 146 D.Lgs. n. 42/2004. Violazione e falsa applicazione della circolare Regione Lazio n. 94875 del 2009. Arbitrarietà dell’esercizio del potere. Eccesso di potere per: grave difetto di presupposti, contraddittorietà, irragionevolezza, violazione del giusto procedimento, carenza di istruttoria. Grave sviamento di potere. Arbitrarietà. Falsità. Violazione dei principi di certezza del diritto. Violazione dell’art. 97 della Costituzione.”

Con il quarto motivo le ricorrenti riprendono nuovamente le censure d’ordine sostanziale già prospettate sopra, ribadendo che il Direttore Generale ha errato a ritenere che il progetto in parola dovesse essere sottoposto all’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 come previsto dall’art. 40, lett. c.4), delle NTA del PTP 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica ed acquedotti” che per la sottozona TOc.3 prescrivono tale titolo, dato che tale prescrizione del PTP non era più applicabile a causa della prevalenza delle Norme del PTPR. Quest’ultimo, dall’art. 7, comma 5, delle NA prevede che: “Per la parte del territorio interessato dai beni paesaggistici, immobili ed aree tipizzati e individuati dal PTPR ai sensi dell’articolo 134 comma 1 lettera c del Codice si applica, a decorrere dalla adozione, esclusivamente la disciplina di tutela del PTPR, anche in presenza di classificazione per zona ai fini della tutela contenuta nei PTP vigenti”. Sebbene l’art. 43 impone, in generale, l’obbligo della previa autorizzazione ai sensi dell’art.146, tuttavia, al comma 15 detta una apposita disposizione “derogatoria” per i siti Unesco, precisando che: “Le disposizioni del presente articolo non si applicano (...) alle parti ricadenti negli insediamenti storici iscritti nella lista del Patrimonio dell’Unesco (…) per i quali è prescritta la redazione del Piano generale di gestione per la tutela e la valorizzazione previsto dalla Convenzione Unesco”. La prevalenza del Piano Generale Unesco è stata d’altronde espressamente affermata dalla Regione D.G. Territorio e Urbanistica con Circolare prot. n. 94875 del 19.06.2009, che è stata ignorata dal Direttore Generale.

3 c (rectius: quinto) “Difetto di presupposti e travisamento dei fatti. Difetto di motivazione.

Il provvedimento di annullamento del Direttore Generale non indica le ragioni per cui il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza con nota n. 15935/2018 sarebbe illegittimo.”

Con il quinto mezzo di gravame le ricorrenti lamentano che i rilievi mossi dal Direttore Generale sono del tutto assiomatici ed insufficienti, in quanto si limita ad asserire che il parere è “viziato sotto il profilo funzionale da travisamento ed erronea valutazione dei fatti da esso presupposti” in riferimento “all’asserita compatibilità dell’intervento di che trattasi, in rapporto con il contesto della Città Storica” e che è “contraddittorio, essendo, una tale asserzione, peraltro non motivata, in patente contrasto con il rilevante interesse archeologico del contesto territoriale di riferimento”;
peraltro detto “rilevante interesse archeologico” non è in alcun modo precisato. Inoltre il predetto non avrebbe tenuto conto del fatto che “l’intervento edilizio oggetto della SCIA alternativa prot. n. 93645 del 08.05.2019 concerne volumetrie preesistenti e legittime” e che la Soprintendenza Archeologica “ha espresso un puntuale benestare con proprio parere prot. n. 2064 del 06.02.2017” (che non è interessato da procedimenti di annullamento). Il provvedimento impugnato non è assistito da un’adeguata motivazione in merito al “patente contrasto” delle opere edilizie previste dal progetto approvato con l’interesse archeologico del contesto territoriale di riferimento e si fonda unicamente sull’erroneo presupposto che l’autorizzazione paesaggistica prevista ex art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 sarebbe necessaria perché richiesta dal PTP predetto.

3 d (rectius: sesto). “ Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della L. n. 241/1990 ss.mm.ii. Difetto di motivazione. Illegittimità derivata.”

Con il sesto motivo le ricorrenti censurano l’operato del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica del Comune, lamentando che, a seguito dei provvedimenti del Mibac impugnati, il Comune avrebbe, a sua volta, dato avvio al procedimento di annullamento in via di autotutela - come comunicato con nota prot. n. 130509 del 02.08.2019 - aderendo supinamente alle posizioni del Mibac, incorrendo in illegittimità derivata.

In via subordinata, “Violazione e falsa applicazione dell’art. 81 delle NTA del PTP 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica ed acquedotti”. Violazione e falsa applicazione dell’art. 150 del D.Lgs. n. 42/2004. Violazione a falsa applicazione degli artt. 143 e 149 del D.Lgs. n. 42/2004.

Con il settimo ed ultimo motivo, le ricorrenti asseriscono che, anche a voler riconoscere persistente efficacia al PTP, ove prevede la necessità dell’autorizzazione prevista dall’art. 146 del D.Lgs n. 42/2004, tale previsione ha natura di “mera dichiarazione programmatica priva di disciplina e, quindi, di efficacia prescrittiva. Le prescrizioni di delocalizzazione, infatti, dovranno essere disciplinate da specifici Piani attuativi, secondo quanto previsto dall’art. 81, comma 1, delle NTA del PTP.”

Inoltre, in via altrettanto subordinata, lamentano che l’autorizzazione prevista dall’art. 146 del D.Lgs n. 42/2004 non sarebbe stata, in ogni caso, necessaria trattandosi di lavori di restauro conservativo. Secondo le ricorrenti si tratta di “Interventi non soggetti ad autorizzazione” rientranti nell’ambito dell’art. 149, lett. a) D.Lgs. n. 42/2004 (“interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici”), per cui non sarebbe necessaria alcuna autorizzazione paesaggistica.

In entrambe le cause si sono costituiti in giudizio il Ministero intimato, che resiste solo formalmente, ed il Comune, che invece, con memoria scritta, eccepisce la natura di mera comunicazione dei propri atti impugnati e comunque ne afferma la correttezza, specificando di essersi attenuto alle prescrizioni sul regime autorizzatorio dei siti UNESCO.

È intervenuto ad opponendum il Codacons, che ritiene che il Ministero abbia legittimamente adottato gli atti repressivi impugnati, data la necessità dell’autorizzazione per qualunque intervento di modificazione su area vincolata, qual è quella in esame, tutelata dal PTP n. 15/12 “Valle della Caffarella, Appia antica e Acquedotti”.

In vista dell’udienza il Comune ha depositato una memoria conclusionale con cui ha eccepito l’inammissibilità dell’impugnativa nei propri confronti e/o, in subordine, l’improcedibilità per non essere stati impugnati gli atti conclusivi dei propri procedimenti;
chiedendo comunque il rigetto dei ricorsi.

In vista della trattazione del merito le ricorrenti hanno depositato articolate memorie conclusionali e di replica e note di udienza ai sensi dell’art. 84 CPA.

Le cause sono state trattenute in decisione ai sensi dell’art. 84 CPA in data 7.4.2020.

DIRITTO

Va in via preliminare disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe, sussistendo evidenti ragioni di connessione soggettive ed oggettiva.

Sempre in via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile l’impugnativa degli atti indicati in epigrafe sub c), avverso la nota prot. n. 130509 del 02.08.2019 con cui il Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica del Comune ha comunicato l’avvio del procedimento di annullamento d’ufficio, in via di autotutela, dei titoli abilitativi precedentemente rilasciati.

Si tratta, infatti, di atti privi di valenza provvedimentale, aventi natura di mera comunicazione, funzionalmente volti a consentire la partecipazione al procedimento di competenza dell’autorità comunale.

Risultano pertanto inammissibili, per difetto di attualità dell’interesse data la mancata attitudine lesiva dell’atto impugnato, le censure dedotte con il sesto motivo di ricorso avverso detto atto di comunicazione.

Quanto alle difese dell’operato del Comune relativamente alla vicenda urbanistica, il Collegio le ritiene non pertinenti alla presente controversia in quanto attengono a diversa, ulteriore ed autonoma vicenda amministrativa che potrà essere oggetto di eventuale contenzioso e che non influisce sulla decisione della causa in esame. Questa, infatti, riguarda unicamente le contestazioni che le parti ricorrenti hanno sollevato nei confronti dell’Amministrazione dei Beni Culturali, che ha annullato i precedenti atti, mentre il Comune, ha in quest’ultimo procedimento emanato solo atti favorevoli alle medesime parti ricorrenti , ancorché poi difenda le determinazioni finali assunte dal Ministero.

Con tali precisazioni, possono essere esaminate le censure dedotte avverso i provvedimenti della Direzione Generale Archeologia Belle arti e Paesaggio.

Innanzitutto, vanno disattese le censure dedotte con il primo mezzo di gravame, con cui le ricorrenti eccepiscono l’incompetenza del Direttore Generale, sostenendo che il predetto organo sia privo del potere di avocare il potere di pronunciarsi sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento in contestazione ed annullare ai sensi dell’art. 21 nonies della L. n. 241/1990 il parere favorevole già espresso dalla Soprintendenza.

Secondo le ricorrenti il Direttore Generale avrebbe agito esorbitando dalla propria sfera di attribuzioni facendo applicazione dell’art. 16, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 165/2001, in assenza dei presupposti che legittimano il potere sostitutivo del Direttore Generale, cioè dello stato di inerzia dei dirigenti, quando invece la Soprintendenza non sarebbe affatto rimasta inerte, essendosi pronunciata con un parere favorevole. Inoltre, contestano che tale parere possa trovare adeguata “base giuridica” nell’art. 2, comma 1, del D.M. n. 44/2016, dato che, trattandosi di decreto ministeriale di natura non regolamentare, non potrebbe alterare il riparto di competenze tra dirigenti di prima e seconda fascia sancito da fonte di rango superiore, cioè dagli artt. 16 e 17 D.Lgs. n. 165/01.

La doglianza non può essere condivisa.

Innanzitutto non risulta condivisibile la tesi di fondo secondo cui il potere di avocazione non potrebbe essere attivato in caso di gravi violazioni dell’ordine giuridico, essendo, al contrario, l’adozione di misure atte a ripristinare l’ordine giuridico violato - quali, in particolare l’annullamento di provvedimenti contra legem , come nel caso in esame – la ragione del potere di intervento del vertice dell’apparato sancito con norma di chiusura proprio a salvaguardia dei beni di rilievo costituzionale affidati alle cure dell’Amministrazione.

In tale prospettiva, la speciale disciplina dell’organizzazione dell’Amministrazione dei beni culturali prevede espressamente, all’art. 15 del Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni culturali, adottato con D.P.C.M. 29.8.2014 n. 171, che “La Direzione generale Belle arti e paesaggio svolge le funzioni e i compiti relativi alla tutela dei beni storici, artistici (….) ed alla tutela del paesaggio. Con riferimento all'attività di tutela esercitata dalle Soprintendenze Belle Arti e Paesaggio, la Direzione generale esercita i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo e, solo in caso di necessità ed urgenza, informato il Segretario generale, avocazione e sostituzione, anche su proposta del Segretario regionale”.

Ciò in coerenza con la particolare struttura organizzativa del Ministero dei Beni Culturali che si caratterizza per l’articolazione in Soprintendenze, e che, nel sistema confermato dagli artt. 31 e 35, ribadisce che le Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio sono organi periferici del Ministero, configurando un rapporto di sottoposizione di queste alla vigilanza della Direzione Generale che, pertanto, ha poteri non solo di indirizzo, ma anche di sostituzione nell’adozione di provvedimenti soprintendentizi.

Tale regolamento, emanato ai sensi dell'art. 16, co. 4, DL 24.4.2014, n. 66 (conv. Legge 23.6.2014, n. 89), costituisce la normativa speciale applicabile ratione temporis, essendo in vigore al momento dell’adozione dell’atto impugnato, fino alla sua abrogazione ad opera dall'art. 41, comma 1, D.P.C.M. 19.6. 2019, n. 76, che peraltro conferma i poteri di abrogazione e sostituzione sopraricordati dall’entrata in vigore del nuovo regolamento.

Quanto alla contestazione dell’insussistenza nel caso specifico dei presupposti “necessità e urgenza” previsti per l’attivazione del potere di avocazione, la prospettazione delle ricorrenti non è condivisibile.

Le ragioni che hanno indotto la Direzione generale ad intervenire sono stati espressamente indicati e consistono nell’aver la Soprintendenza espresso l’assenso alla realizzazione dell’intervento in contestazione al di fuori del procedimento per l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 Codice, ritenuta un adempimento imprescindibile per assicurare la compatibilità dei lavori di trasformazione dell’immobile in locale adibito all’esercizio di attività di ristorazione. Quindi si tratta di motivi che costituiscono la “ causa tipica ” del potere esercitato, che trova adeguato fondamento nell’esigenza di bloccare la realizzazione del progetto che incide su un’area tutelata da PTP n. 15/12 Valle della Caffarella, Appia antica e Acquedotti (approvato con delibera del Consiglio Regionale n. 70 del 10.10.2010), inclusa nel Centro Storico tutelato come sito UNESCO, in area attigua alle Terme di Caracalla, complesso storico archeologico monumentale di grande rilevanza e di indiscusso valore identitario, senza sottoporre prima l’intervento in parola a quelle approfondite valutazioni di compatibilità delle opere con i valori simbolici tutelati che sono effettuate mediante l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del d.lgs. 42/2004 (Codice Beni Culturali). Si tratta di verifiche assolutamente necessari per la salvaguardia di un “bene comune” di rilevanza costituzionale che rischia di essere irreparabilmente pregiudicato da interventi “non controllati”. E sotto tale profilo l’intervento del Direttore Generale risultava inoltre un atto dovuto ove si consideri l’esigenza di rispettare gli impegni internazionali scaturenti dall’inserimento dell’area nella “lista del patrimonio mondiale” redatta dall’UNESCO, dato che la “Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale”, firmata a Parigi il 10 novembre 1972 e ratificata con legge 6 aprile 1977, n. 184, obbliga lo Stato di appartenenza ad assicurarne la salvaguardia avvalendosi anche dei contributi economici e tecnici messi a disposizione dall’Unesco;
benefici e riconoscimenti che rischierebbero di essere revocati in caso di perdita o degrado del sito protetto.

In ogni caso non possono essere seguite le tesi delle ricorrenti ove ventilano – senza fornire alcun concreto elemento a supporto della denuncia – che l’annullamento sia frutto di uno sviamento di potere, ipotizzando che le ragioni l’annullamento siano intese a placare le proteste e l’eco mediatica creatasi attorno alla vicenda, che costituisce un mero episodio concomitante, che è servito a portare a conoscenza dei Superiori livelli ministeriali la problematica, ma non ha assunto alcuna efficacia determinante nell’economia delle decisioni della Direzione Generale.

In tale prospettiva vanno disattese anche le censure dedotte con il secondo mezzo di gravame, che investono l’ordinanza di sospensione lavori che, appunto, per le ragioni sopra illustrate, subordina la ripresa dell’attività costruttiva alla verifica della compatibilità dell’intervento con i valori storico-archeologico-identitari espressi dal complesso monumentale adiacente.

È vero che la specifica area interessata dall’intervento non risulta allo stato assoggettata a vincolo diretto, nonostante la prossimità all’importante complesso delle Terme di Caracalla, né da altri vincoli diretti, pur offrendo diversi elementi meritevoli di essere attenzionati quali punti panoramici e bellezze d’insieme con valore paesaggistico di “quadro naturale” ai sensi dell’art. 136 Codice BBCC, oltre che ai sensi dell’art. 7 bis del Codice sulla protezione UNESCO quale “testimonianza materiale” del bene del patrimonio culturale ideale della “Civiltà romana”.

In ogni caso il fatto che l’area in sé non sia vincolata, non varrebbe nemmeno a precludere l’attivazione del potere cautelare, esercitato con l’ordine di sospensione dei lavori adottato con il prot. n. 21509 del 21.07.2019, che può ben anticipare gli effetti di un futuro vincolo sulla zona in questione. In tal senso, d’altronde, depone la stessa nota della Soprindentenza del 26.7.2019 con cui, nel dare atto dell’inesistenza di vincoli archeologici diretti o indiretti sull’area in questione, esprime “disappunto” per tale status giuridico, osservando che tale area “non risulta essere interessata da alcun dispositivo di tutela (----) nonostante sia circondata da numerose preesistenze archeologiche, a sud e ad ovest, quali le Mura Aureliane, l’Acquedotto Antoniniano e la Necropoli della via Imperiale”.

A supporto di tale ricostruzione depone, del resto, l’art. 150 del Codice che così recita: “1. Indipendentemente dall'avvenuta pubblicazione all'albo pretorio prevista dagli articoli 139 e 141, ovvero dall'avvenuta comunicazione prescritta dall'articolo 139, comma 3, la regione o il Ministero hanno facoltà di: a) inibire che si eseguano lavori senza autorizzazione o comunque capaci di recare pregiudizio al paesaggio;
b) ordinare, anche quando non sia intervenuta la diffida prevista alla lettera a), la sospensione di lavori iniziati
.”

L’art. 150 del Codice dei Beni Culturali, dunque, attribuisce espressamente sia alla Regione sia al Ministero il potere di intervenire ed ordinare la sospensione lavori atti ad alterare i valori paesaggistici del territorio attraverso il potere cautelare a tutela sia dei beni già vincolati sia di aree ancora non vincolate, ma che si intende tutelare con l’imminente adozione di un futuro vincolo paesaggistico.

Si tratta, pertanto, di un potere che può essere esercitato anche a salvaguardia di aree o immobili non dichiarati di interesse culturale o paesistico ai sensi degli artt. 10, 13 o 136 del Codice, o non ricadenti tra quelli soggetti a vincolo paesistico-ambientale o archeologico paesistico ex lege di cui all’art. 142 del Codice e nemmeno tra quelli individuati come beni paesaggistici direttamente da un Piano Paesistico ai sensi dell’art. 135 co. 1 lett. c) del Codice.

Ovviamente, trattandosi di una misura cautelare posta a salvaguardia di aree o immobili ancora non vincolati e che si ritiene di dover tutelare con un provvedimento di vincolo paesistico, di cui si avvia il procedimento, anticipandone gli effetti inibitori, il provvedimento cautelare offre solo una tutela interinale all’area ancora non vincolata.

Il provvedimento cautelare in parola infatti può esplicare i suoi effetti solo in un arco di tempo limitato, quello necessario per l’attivazione dei poteri di vincolo, di cui ha effetti prodromici, come sancito dall’art. 150 al co. 2 - “L'inibizione o sospensione dei lavori disposta ai sensi del comma 1 cessa di avere efficacia se entro il termine di novanta giorni non sia stata effettuata la pubblicazione all'albo pretorio della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui all'articolo 138 o all'articolo 141, ovvero non sia stata ricevuta dagli interessati la comunicazione prevista dall'articolo 139, comma 3” - che fa appunto coincidere la cessazione dell’efficacia della misura cautelare con l’avvio del procedimento di vincolo, che, anch’esso produce un immediato effetto di sospensione di qualunque modifica allo stato dei luoghi.

Peraltro, l’area in questione risultava essere comunque già tutelata da vincolo paesistico imposto, ai sensi dell’art. 134 co 1 lett. c), dal PTP 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica ed Acquedotti”, che alle NTA ribadisce l’obbligo di munirsi di autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 146 del Codice BBCC, sicchè l’ordine di sospensione lavori risultava comunque un atto dovuto quanto meno per assicurare il rispetto delle prescrizioni poste dal Piano Paesistico.

In conclusione, il potere inibitorio è stato legittimamente adottato dal Direttore Generale nell’esercizio delle attribuzioni di cui all’art. 150 del Codice, che appunto consente al Ministero (oltre che alla Regione) di inibire i lavori eseguiti senza autorizzazione su beni paesaggistici vincolati o vincolandi, e risulta sostanzialmente giustificato dall’esigenza – espressamente menzionata nello stesso provvedimento - di assicurare il rispetto del procedimento autorizzatorio posto a salvaguardia del bene paesaggistico già tutelato dal PTP.

Per quanto invece riguarda la questione della persistente vigenza di tale PTP e dei suoi rapporti con il PTPR si rinvia all’esame delle censure dedotte con il quarto motivo avverso il provvedimento di annullamento del parere soprintendentizio - che viene contestato soprattutto sotto tale profilo – di cui si anticipa l’esame.

Occorre pertanto affrontare la questione centrale, che investe la correttezza sostanziale del potere esercitato, di stabilire se, nel caso in esame, fosse effettivamente necessaria l’autorizzazione in parola.

Si può già anticipare che la rilevanza costituzionale dei valori tutelati dal vincolo paesistico sopraricordato e le previsioni di legge a tutela di tali beni non consentono al PTPR di vanificare tale vincolo mediante norme derogatorie come quella prevista dall’art. 43 PTPR adottato dalla Regione, il quale dopo aver richiamato, in generale, l’obbligo della previa autorizzazione ai sensi dell’art.146 per tutti gli interventi in area tutelata, introduce, al comma 15, una disposizione “derogatoria” per i siti Unesco statuendo che: “Le disposizioni del presente articolo non si applicano (...) alle parti ricadenti negli insediamenti storici iscritti nella lista del Patrimonio dell’Unesco (…) per i quali è prescritta la redazione del Piano generale di gestione per la tutela e la valorizzazione previsto dalla Convenzione Unesco”.

È evidente che l’obbligo sancito dal legislatore statale all’art. 146 del Codice - e ribadito dal legislatore regionale all’art. 25 della LR n. 24/1998 – di sottoporre i progetti di lavori comportanti l’alterazione dello stato dei luoghi di una località protetta alla valutazione di conformità e compatibilità della competente Soprintendenza, a salvaguardia di beni tutelati dall’art. 9 della Costituzione, ritenuti dal Ministero dei Beni Culturali di interesse assolutamente eccezionale tanto da sollecitarne l’inserimento nella lista UNESCO e da quest’ultimo dichiarati “Patrimonio Comune dell’Umanità” ai sensi della Convenzione firmata a Parigi il 10 novembre 1972 e ratificata con legge 6 aprile 1977, n. 184 (da cui scaturiscono impegni per lo Stato di appartenenza di assicurare la salvaguardia del bene dichiarato tale, come sopra ricordato), non è suscettibile di essere arbitrariamente derogato dallo strumento pianificatorio, previsto dall’art. 135 che può solo dare concreta attuazione a quelle previsioni poste da fonte di rango primario e non disattenderle.

L’art. 43 del PTPR, anziché disciplinare “gli usi compatibili” del territorio, nell’ambito vincolato dal PTP, opera un “rinvio alle prescrizioni d’uso del Piano di Gestione Unesco” che non trova alcun fondamento normativo ed anzi si pone in contrasto con l’art. 135 al co 4 del Codice che prevede che “Per ciascun ambito i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare: d) alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO”.

Il PTPR adottato dalla Regione, pertanto, disattende tale compito nel momento in cui “rinuncia” a prescrivere modalità d’uso a tutela dei siti Unesco, “delegando” la disciplina paesaggistica di questi all’adottando Piano di “gestione e valorizzazione” del sito UNESCO – a cui rinvia - disciplinato dalla legge n. 77/2006, che ha oggetto diverso e che è indirizzato a tutt’altra finalità rispetto a quella perseguita dal PTPR. Pertanto, il rinvio al Piano di Gestione sopraindicato, operato dal PTPR in violazione dell’art. 134 Cod. BBCC (e senza alcun ancoraggio normativo nella legge n. 77/2006), determina un pericoloso “vuoto di tutela” proprio per aree di maggior valore, addirittura di livello “universale” - dichiarate “Patrimonio Comune dell’Umanità” proprio in base al riconoscimento della loro assolutamente “eccezionale” importanza (quindi di un’importanza di grado superiore rispetto all’importanza di grado solo “ notevole ” richiesto nell’ordinamento interno per la sottoposizione a vincolo paesistico ai sensi dell’art. 136 del d.lgs. n. 42/2004) - con evidenti risultati paradossali, inammissibili sul piano logico, ancor prima che giuridico.

Si finirebbe, infatti, per non assicurare a luoghi di valore simbolico “assolutamente eccezionale” per qualunque Popolo della Terra nemmeno la stessa tutela che deve essere garantita ad un qualsiasi “grazioso borgo” vincolato ai sensi dell’art. 136 cod. bbcc. in ragione di un valore molto più modesto del suo “aspetto caratteristico di rilevante valore estetico e tradizionale”, con conseguente palese violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità dei mezzi di tutela rispetto al “valore” del bene tutelato.

Sotto il profilo del diritto internazionale, va infatti ricordato che l’inserimento di un bene nella “lista del patrimonio mondiale” non viene operata d’ufficio dall’UNESCO, ma avviene sulla base della richiesta dello Stato interessato, che, a mezzo del Ministero competente alla tutela dei beni culturali e paesaggistici, sottopone ad un apposito Comitato intergovernativo la richiesta di includere un bene presente nel suo territorio nella predetta lista in considerazione del suo valore “assolutamente eccezionale per l’Umanità intera”.

Risulta pertanto inammissibile che la Regione, che dovrebbe con il proprio PTPR prevedere un elevato grado di tutela di tali beni, ritenuti di interesse “assolutamente eccezionale” dal Ministero che ne ha promosso l’inserimento nella lista UNESCO (e riconosciuti come tali dal Comitato Intergovernativo con la dichiarazione di “patrimonio dell’Umanità”), possa con una previsione come quella dell’art. 43 co. 15 lasciarli del tutto privi di protezione – in contrasto con gli impegni assunti dallo Stato Italiano in base alla Convenzione Unesco - procrastinandone e condizionandone la tutela al momento dell’adozione di un “piano di gestione” che ha oggetto e finalità diverse rispetto al piano paesistico nell’ordinamento interno.

Le considerazioni sopra svolte comportano la reiezione anche delle censure dedotte con i restanti motivi di ricorso, dedotti avverso il provvedimento di annullamento d’ufficio, adottato dal Direttore Generale, avocando a sé il potere di pronunciarsi sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento in questione.

Anche tale provvedimento, infatti, si fonda sulla medesima ragione dell’imprescindibilità dell’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione dell’intervento in contestazione.

Avverso tale provvedimento si ribadiscono le medesime censure sopra esaminate, reiterate anche con il terzo mezzo di gravame, ove la problematica in parola è prospettata sotto il profilo della violazione sostanziale dell’art. 21 nonies della L. n. 241/,1990, per difetto dei presupposti di fatto prescritti per l’annullamento d’ufficio dalla predetta disposizione, ribadita con il quarto motivo (rubricato come 3b) ove si afferma che l’obbligo di previa autorizzazione paesaggistica imposto dal PTP sarebbe inoperante in virtù dell’esclusione sancita dall’art. 43 co. 15 del PTPRP per le aree ricadenti in sito UNESCO, ripreso ed approfondita con il settimo ed ultimo motivo, dedotto in via subordinata, ove si afferma che il PTP, anche a ritenerlo ancora applicabile, non conterrebbe alcuna “prescrizione” immediatamente vincolante che obbligherebbe l’interessato a munirsi di previa autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs n. 42/2004.

Quanto alle censure relative alla “motivazione” dell’atto di autotutela, dedotte con il terzo ed il quinto motivo, con cui si lamenta l’assiomaticità e la contradditorietà della motivazione, e viene persino prospettata la ravvisabilità di un possibile sviamento di potere, sostenendo che il Direttore Generale sarebbe intervenuto per evitare l’attacco mediatico, imponendo un vincolo ad opere già assentite, senza tener conto del legittimo affidamento delle parti interessate, esse risultano del pari infondate alla luce delle considerazioni soprasvolte in sede di esame del primo motivo di ricorso.

Va al riguardo ribadito che l’atto di annullamento d’ufficio in contestazione risultava per il Direttore Generale un atto dovuto una volta riscontrata l’attività costruttiva incidente su un’area inserita nella lista dei siti Unesco, tutelata dal PTP n. 15/12 “Valle della Caffarella, Appia antica e Acquedotti” ai sensi dell’art. 134 co 1 lett. c) del Codice in assenza delle previe valutazioni di compatibilità paesaggistica da parte della competente Soprintendenza prescritte dall’art. 146 Codice.

Tanto più che, come sopra ricordato, l’area in questione era suscettibile di essere protetta anche da ulteriori vincoli, anche sotto il profilo archeologico, come auspicato dalla nota della Soprintendenza del 26.7.2019 con cui nel rilevare l’inesistenza di “vincoli archeologici” (diretti o indiretti) sull’area in questione, esprime “disappunto” per tale status giuridico, osservando che tale area “non risulta essere interessata da alcun dispositivo di tutela (----) nonostante sia circondata da numerose preesistenze archeologiche, a sud e ad ovest, quali le Mura Aureliane, l’Acquedotto Antoniniano e la Necropoli della via Imperiale” - .

Pertanto vanno disattesi anche i restanti profili di censura articolati con il secondo, il terzo ed il quinto motivo ove si lamenta il difetto di motivazione dell’atto impugnato, innanzitutto sotto il profilo della mancata ponderazione del contrapposto interesse privato della ricorrente, che avrebbe fatto “legittimo affidamento” sul titolo autorizzativo rilasciato appena 80 giorni prima, dell’omessa considerazione che l’intervento concerneva “volumetrie preesistenti e legittime” e che sul progetto la Soprintendenza Archeologica aveva “espresso un puntuale benestare con proprio parere prot. n. 2064 del 06.02.2017” che non era stato oggetto di procedimenti di annullamento.

Orbene, per quanto riguarda la motivazione dell’atto di ritiro, il Collegio ritiene che esso risulti adeguatamente fondato sull’esigenza di salvaguardare il valore di un contesto ambientale unico al mondo, espressamente tutelato dal PTP 15/12, che richiede che ogni intervento modificativo dello stato dei luoghi sia quantomeno sottoposto al preventivo controllo di compatibilità da parte delle Autorità competenti secondo le procedure autorizzatorie prescritte a tutela delle aree interessate. Peraltro, l’intervento del Dirigente Generale non preclude la realizzazione dell’intervento in questione, ma semplicemente ne richiede la previa valutazione della compatibilità con i valori paesaggistici espressi dal territorio che costituisce, appunto, l’oggetto dell’autorizzazione prevista dall’art. 146 Codice BBCC. Né le ricorrenti possono pretendere di escludere l’esigenza di tali controlli invocando un legittimo affidamento sulla sufficienza degli atti di assenso e dei nulla osta già ottenuti a titolo diverso: le società in parola erano infatti a conoscenza che della necessità di autorizzazione paesaggistica per realizzare l’intervento in questione in quanto l’area era già vincolata dal PTP 15/12 (Valle della Caffarella), oltre che rientrante nell’ambito del sito UNESCO. In ogni caso, l’esigenza di tutela del preteso “legittimo affidamento sulla realizzabilità dell’opera” non è configurabile ove si consideri l’estrema brevità del periodo di tempo intercorso tra il rilascio dei pareri favorevoli e l’intervento del Direttore Generale.

Infine, l’invocato affidamento va escluso in quanto l’intervento assentito –almeno dalle descrizioni fattane nei vari permessi e nulla osta rilasciati dalle diverse Soprintendenze– concerneva delle DIA aventi ad oggetto interventi di impatto molto limitato (consistenti nel mero rifacimento delle coperture, con bonifica dall’amianto, sostituzione di serramenti ed altre opere meramente interno) prive di impatto ambientale, etc. Pertanto dagli assensi ottenuti non poteva ritenersi autorizzato un intervento completamente diverso, come quello che si stava realizzando, che investe l’esterno dell’edificio e che comporta la demolizione e la ricostruzione dell’edificio esistente, con conseguente diverso impatto ambientale ed alterazione dello stato dei luoghi (esito che invece era escluso negli atti di assenso espressi dalle ripetute Soprintendenze). A tale riguardo va osservato che il progetto dell’intervento è qualificato dalle ricorrenti come intervento di “ riqualificazione e risanamento ambientale”, per cui per la sua realizzazione è stata ritenuta sufficiente una semplice DIA, ma del quale non è stata specificata l’esatta consistenza e questa non si evince nemmeno dagli atti allegati al ricorso (non è stato depositato né il progetto né gli allegati grafici) anche se pare di una certa consistenza visto i costi dell’intervento (a pag. 8 del contratto di appalto lavori viene specificato il corrispettivo preventivato in €. 1.319.672). Pertanto, se gli assensi erano stati acquisiti su un progetto di intervento diverso rispetto a quello in corso di realizzazione, non può essere ravvisato in capo alle ricorrenti alcun affidamento legittimo meritevole di tutela a realizzare un intervento di tipo diverso.

Infine, quanto al lamentato omesso annullamento del “benestare” espresso (peraltro in modo condizionato) dalla Soprintendenza Archeologica, va osservato che si tratta di un rilievo inconducente, dato che il provvedimento di annullamento in contestazione è stato disposto in considerazione della mancanza dell’autorizzazione paesaggistica prevista ex art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 e non per motivi riconducibili all’interesse propriamente archeologico (cioè all’incidenza delle opere sui reperti eventualmente presenti nel sottosuolo) che non erano in discussione nel caso in esame.

In conclusione, l’esame complessivo delle censure dedotte con i ricorsi in epigrafe, previa loro riunione, induce alla infondatezza degli stessi che, pertanto, devono essere respinti.

Sussistono tuttavia giusti motivi, vista la complessità delle questioni esaminate, per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.

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