TAR Brescia, sez. II, sentenza 2018-07-02, n. 201800642

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Brescia, sez. II, sentenza 2018-07-02, n. 201800642
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Brescia
Numero : 201800642
Data del deposito : 2 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/07/2018

N. 00642/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00973/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 973 del 2011, proposto da
M M T e Paolo S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato M F, con domicilio eletto ai sensi dell’art. 25 c.p.a.;

contro

Comune di Ranica, rappresentato e difeso dall'avvocato M G, domiciliato ex lege ai sensi dell’art. 25 c.p.a.;

nei confronti

Arredamenti Coritnovis di C A, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

- dell'ordinanza del 21.4.2011, n. 22, con cui il Comune ha ordinato la demolizione dei locali accessori di pertinenza dell'autofficina ed atti connessi.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ranica;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2018 la dott.ssa M B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in esame, la società odierna ricorrente censura la legittimità del provvedimento con cui, il 21 aprile 2011, il Comune di Ranica ha ordinato la demolizione delle opere accessorie rappresentate da un volume interrato, costruito in adiacenza all’edificio principale, a confine con la proprietà della ditta controinteressata, in quanto realizzate in difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato nel 1974 al dante causa della società M.

Secondo la proprietà l’ordinanza sarebbe illegittima per le seguenti ragioni di diritto:

1. Violazione dell’art. 31 del

DPR

380/2001 e conseguente difetto dei presupposti per l’applicazione della sanzione demolitoria, in quanto la costruzione sarebbe stata realizzata in perfetta conformità rispetto alla licenza edilizia rilasciata nel 1974;

2. Omessa istruttoria e difetto di motivazione, in quanto il Comune non avrebbe chiarito le ragioni per le quali la quota da assumere a riferimento dovrebbe essere quella attuale del mappale 1181 confinante, “quando ben vi potrebbe essere stato un mutamento durante gli oltre 35 anni trascorsi” (così l’ultimo periodo di pag. 4 del ricorso). Se il Comune avesse disposto la necessaria istruttoria si sarebbe avveduto del fatto che la contestata difformità non sarebbe dipesa dalla realizzazione non conforme dell’immobile, bensì dalla presumibile modifica dei luoghi intervenuta successivamente all’edificazione e non imputabile alla ricorrente o al suo dante causa;

3. violazione degli artt. 27, 31 e 38 del

DPR

380/2001, per aver disposto la demolizione di opere realizzate in conformità rispetto al titolo abilitativo, senza annullare la licenza edilizia del 18 marzo 1974, la rappresentazione dello stato dei luoghi della quale non sarebbe mai stata prima contestata e comunque senza rappresentare l’interesse pubblico sotteso alla demolizione, pur a fronte del legittimo affidamento formatosi in capo alla ricorrente, che ha acquistato l’immobile solo nel 2007;

4. violazione degli artt. 31, 32 e 34 del

DPR

380/2001, dell’art. 54 della L.R. 12/2005 e del d.l. n. 70 del 13 maggio 2011, in quanto la contestazione sarebbe riferita a marginali variazioni della linea di andamento naturale del terreno incidente su locali aventi la destinazione, le caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione dell’immobile autorizzato dal Comune.

Parte ricorrente ha, quindi, formulato una generica richiesta del risarcimento del danno, riservandosi di documentare danno emergente e lucro cessante.

Dopo la costituzione formale del Comune e la manifestazione di interesse della ricorrente alla decisione, depositata a seguito della notificazione dell’avviso di perenzione, in vista della pubblica udienza, il Comune, dopo aver chiarito la situazione in fatto (che vede la quota del piano di campagna della proprietà della ricorrente, nel punto addossato al muro di confine, a m. 2,65, contro i 0,90 m della proprietà C), ha eccepito l’irricevibilità per tardività dell’impugnazione dell’ordinanza n. 22 del 21 aprile 2011.

Tale provvedimento, infatti, sarebbe meramente confermativo e integrativo della precedente ordinanza di demolizione n. 28 del 5 agosto 2009.

Nel merito il ricorso sarebbe infondato, in quanto spetterebbe alla ricorrente dimostrare come la licenza del 1974 fosse stata rilasciata sulla scorta di una corretta rappresentazione dello stato dei luoghi.

La società proprietaria ha, quindi, depositato una memoria nella quale ha pedissequamente riproposto gli stessi argomenti di cui al ricorso, senza, peraltro, produrre alcuna integrazione nemmeno rispetto alla prospettazione del danno subito.

Il Comune, dopo aver sostenuto che la seconda ordinanza sarebbe la mera ripetizione della prima, con la sola aggiunta della ricognizione delle aree di sedime che sarebbero state confiscate nell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, ha ribadito l’eccezione di inammissibilità del ricorso e, ancor più, della domanda risarcitoria, data la sua inconsistenza in assenza di qualsiasi principio di prova del danno subito (in specie tenuto conto che l’ordinanza non è stata mai eseguita).

Parte ricorrente ha replicato, sostenendo l’infondatezza dell’eccezione in rito e delle tesi sostenute dal Comune al fine di dimostrare la legittimità del provvedimento impugnato, integrandone anche la motivazione.

Alla pubblica udienza, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in esame, la società proprietaria dell’immobile realizzato nel 1968 e modificato nel 1974, con la costruzione dell’accessorio così come esistente nel 2009, quando il Comune ha provveduto alla verifica dello stato dei luoghi, avversa il provvedimento con cui le è stata ordinata la demolizione di tale corpo aggiunto all’edificio principale, posto nello spazio esistente tra le la parte interrata di quest’ultimo e il muro di confine con la proprietà controinteressata.

Tale manufatto avrebbe dovuto essere realizzato come interrato e tale risulta, di fatto, ma, secondo il Comune, ciò sarebbe il risultato di una non corretta rappresentazione dello stato dei luoghi in occasione della presentazione della domanda per il rilascio della licenza edilizia del 1974: la costruzione risulterebbe interrata solo perché il profilo del terreno sarebbe stato elevato, come sarebbe dimostrato dal fatto che nella proprietà della ricorrente la linea naturale del terreno si colloca a 2,65 metri rispetto al piano di campagna, mentre al di là del muro divisorio, nella proprietà controinteressata, essa è posta a 1,35 metri e nella licenza edilizia n. 38/1968 risultava collocata a 1,50 metri.

In concreto, dunque, se ne può dedurre che il manufatto, che ha una conformazione inclinata, con il lato più basso posto a ridosso del muro di confine risulta interrato solo in ragione del fatto che nella proprietà ricorrente il livello del terreno è stato innalzato, non essendo ragionevole ritenere che la proprietà confinante abbia scavato per abbassare la quota del terreno, in controtendenza rispetto all’andamento naturale di esso tra le due strade, nello spazio tra le quali sono ricomprese le proprietà M e C, che determina un dislivello di 1,5 metri tra la via Marconi, su cui si affaccia l’autofficina e la via Carducci, su cui si affaccia la proprietà C.

Il punto nodale della controversia deve, dunque, essere individuato nello stabilire se il dante causa dell’odierna ricorrente abbia dichiarato una quota di campagna non conforme a quella reale, al fine di far risultare interrato un fabbricato che è, invece, sporgente di oltre un metro.

Circostanza, questa, che determinerebbe l’illegittimità del titolo edilizio rilasciato nel 1974 con riferimento a tale manufatto e, dunque, la natura abusiva della sua realizzazione, avvenuta in conformità a un titolo rilasciato sulla scorta di una falsa rappresentazione della realtà.

Ciò premesso, il ricorso – il quale potrebbe essere fondato nella parte in cui deduce l’illegittimità dell’ordinanza dovuta al fatto che non vi sarebbe stata alcuna illegittima esecuzione di lavori in difformità dal titolo, ma la loro realizzazione in conformità a un titolo illegittimo, che, dunque, in quanto tale, avrebbe dovuto essere annullato prima di ordinare la demolizione delle opere - deve, però, essere dichiarato inammissibile.

L’ordine impugnato, infatti, non è che la reiterazione della precedente ordinanza di demolizione, risalente al 2009 e mai impugnata dalla odierna ricorrente. Ne risulta l’acquiescenza rispetto alla dichiarazione di abusività del manufatto, che non può ritenersi superata per il mero fatto che il Comune abbia concesso una sorta di proroga del termine per eseguire l’ordine.

Come tale deve intendersi la reiterazione dell’ordine demolitorio che ha come suo unico ed esclusivo presupposto la mera constatazione della mancata esecuzione di quello già impartito nel 2009 e non contestato.

Dal tenore letterale del provvedimento appare palese, infatti, come non vi sia stata alcuna nuova istruttoria e tantomeno alcuna nuova valutazione dell’interesse pubblico, presupposto per l’esercizio del potere. L’unico contenuto aggiunto è rappresentato dall’indicazione dell’area di sedime, presupposto necessario per poter procedere alla demolizione d’ufficio e all’acquisizione coattiva dell’area, ma non anche per la legittimità dell’ordine di demolizione (in tal senso, cfr.

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