TAR Napoli, sez. I, sentenza 2021-09-28, n. 202106068
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Testo completo
Pubblicato il 28/09/2021
N. 06068/2021 REG.PROV.COLL.
N. 02468/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2468 del 2021, proposto da
L C, rappresentato e difeso dall'avvocato L T, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Toledo, n. 323.
contro
Comune di Ca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato comunale in persona dell’avv. A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.
nei confronti
Ca Ambiente s.p.a., rappresentato e difeso dall'avvocato A A, con domicilio eletto in Napoli, alla Via Generale Giordano Orsini, n. 46;
M I, rappresentato e difeso dall'avvocato Sabatino Rainone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.
Avverso e per l'accertamento della illegittimità del silenzio
serbato dalla resistente Amministrazione in ordine all'istanza/diffida prot. n. 244/is del 4.3.2021;- nonché per l'accertamento dell'obbligo ad esitare la sopra citata istanza/diffida con un provvedimento espresso e per provvedere nel merito ex art. 31, comma 3, c.p.a.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ca, della Ca Ambiente S.p.A. e di M I;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2021 il dott. M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato all’amministrazione resistente e al controinteressato, L C ha esposto quanto segue:
a) il Sindaco del Comune di Ca, mediante l’avviso prot. n. 0055594 del 30 luglio 2020, ha indetto un bando di concorso ad evidenza pubblica per la nomina dell’amministratore unico della società in house “Ca Ambiente s.p.a.”, società a totale partecipazione del detto Comune;
b) l’odierno ricorrente, avendo interesse a ricoprire tale ruolo, ha presentato la domanda di candidatura in data 14.9.2020;
c) l’incarico è stato, però, conferito all’odierno controinteressato, dott. M I;
d) dopo la proposizione dell’istanza di acceso agli atti e l’instaurazione di una complessa interlocuzione con l’amministrazione, il ricorrente, con istanza prot. n. 244/is del 4 marzo 2021, ha rappresentato che, dal tenore letterale delle precedenti comunicazioni poste in essere dal comune di Ca (in particolare dalla nota prot. n. 12687 del 15 febbraio 2021), risultava che l’Amministrazione non avesse provveduto a verificare la veridicità delle dichiarazioni sostitutive rese dal dott. I prima di provvedere alla nomina dello stesso alla carica di amministratore unico della Società Ca Ambiente s.p.a.;
e) il ricorrente, stante l’esplicito obbligo di legge a provvedere alle verifiche sopra richiamate, ha, dunque, diffidato l’Amministrazione ad operare in tal senso, con l’avvertimento che, in caso di mancato riscontro si sarebbe adita l’Autorità giudiziaria anche ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a.;
f) la sopra citata comunicazione è stata oggetto di un parziale riscontro da parte del comune di Ca, a mezzo della nota prot. n. 24094 del 25 marzo 2021, con cui l’Amministrazione si è limitata a trasmettere il certificato dei carichi pendenti ed il certificato del casellario giudiziale del dott. I senza però in alcun modo riscontrare l’istanza di cui sopra in ordine alle verifiche effettuate con riguardo all’effettivo possesso da parte dell’odierno controinteressato dei requisiti dichiarati in via sostitutiva.
Il ricorrente ha, quindi, proposto il ricorso, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., contestando l’inerzia del comune per i seguenti motivi:
Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 2 e ss. L.241/90, Art. 97 Cost.) - Eccesso di potere - Violazione del giusto procedimento.
Ha, quindi, chiesto di ordinare al comune di Ca ed alla Ca Ambiente s.p.a. di verificare il le dichiarazioni rese dal dott. I in merito al possesso dei requisiti richiesti dall’avviso della procedura oggetto di causa e, laddove appurato il carattere mendace delle stesse, ordinare all’Amministrazione di disporre l’annullamento in autotutela del provvedimento di nomina dell’amministratore.
Le amministrazioni resistenti e il controinteressato hanno eccepito l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso e, comunque, la reiezione dello stesso.
Alla camera di consiglio del 22 settembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Ritiene il collegio che le eccezioni di inammissibilità del ricorso, sollevate sia dalle amministrazioni resistenti che dal controinteressato, siano fondate.
Sussiste, in effetti, un duplice profilo di inammissibilità da cui è affetto il ricorso.
2.1 Sotto il primo profilo, il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione.
La giurisprudenza ormai consolidata delle sezioni unite ha chiarito che “la società il cui capitale è detenuto in tutto o in parte da un ente pubblico non muta la sua natura di soggetto privato dal momento che il suo rapporto con l’ente è di assoluta autonomia. Ne consegue che quando l’ente pubblico nomina e revoca gli amministratori della società non esercita un potere autoritativo, ma l’ordinario potere dell’assemblea quindi le controversie in tema di nomina e revoca degli amministratori di società a partecipazione pubblica competono alla giurisdizione ordinaria (cfr., Cass. civ., sez. un. 18 giugno 2019, n. 16335).
Le sezioni unite hanno, in particolare, rilevato che la p.a. quando nomina o revoca gli amministratori “non esercita un potere a titolo proprio ma esercita l’ordinario potere dell’assemblea, ad essa surrogandosi, quale organo della società, per autorizzazione della legge o dello statuto”. Inoltre, “l'amministratore di designazione pubblica non è soggetto agli ordini dell'ente nominante ed anzi, per testuale previsione del codice civile (articolo 2449 c.c.), ha i medesimi diritti ed i medesimi obblighi dell'amministratore di nomina assembleare”. Infine, l’equiparazione tra amministratori di nomina assembleare e quelli designati dall’ente pubblico si riscontra anche nell’art. 2449, comma 1, c.c., che chiarisce che la facoltà del compimento dei predetti atti deve essere “conferita al socio pubblico dallo statuto, cioè da un atto fondamentale di natura negoziale (articolo 2328 c.c., comma 3) e che, con l'abrogazione (…) dell'articolo 2450 c.c. - a norma del quale la legge o lo statuto potevano attribuire la nomina e la revoca ad un ente pubblico estraneo al capitale sociale - è stato posto in chiaro che gli atti in questione competono all'ente pubblico uti socius , e dunque iure privatorum e non iure imperii ”.
In questo senso, del resto, depone anche l’art. 1 comma 3 del d.lgs. n. 175 del 2016, il quale dispone l’applicabilità del diritto societario e delle norme generali di diritto privato alle società partecipate in tutti i casi in cui le disposizioni del codice civile non siano espressamente derogate dal testo unico.
Come precisato dalla costante giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. un, ord. 23 gennaio 2015, n. 1237;Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 2011, n. 30167) il confine tra la giurisdizione amministrativa e ordinaria poggia essenzialmente sulla natura del provvedimento impugnato. Al giudice amministrativo vanno attribuite le controversie relative ai provvedimenti unilaterali di natura autoritativa, che sono, di fatto, preliminari rispetto alle successive deliberazioni societarie, “con i quali l'ente pubblico delibera di costituire la società o di parteciparvi o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della stessa o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita della medesima. Al contrario, spettano al giudice ordinario le cause “aventi ad oggetto gli atti societari "a valle" della scelta di fondo dell'utilizzazione del modello societario”, ovvero quelle connesse con l’esercizio da parte dell’ente pubblico delle facoltà proprie del socio, “fra le quali rientrano quelle volte ad accertare l'intera gamma delle patologie e delle inefficacie negoziali inerenti la struttura del contratto sociale, ancorché ad essa estranee e/o sopravvenute e derivanti da irregolarità- illegittimità della procedura amministrativa a monte” (Cass. civ., sez. un. 18 giugno 2019, n. 16335).
Tali principi sono applicabili anche alle società in house che, nonostante la loro peculiare natura, restano soggetti di diritto privato, cui si applica il relativo statuto privatistico, salvo deroghe espresse del legislatore che nella fattispecie non rilevano.
In particolare, le sezioni unite della Corte di Cassazione, con ordinanza del 1° dicembre 2016, n. 24591, hanno attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario le azioni concernenti la nomina o la revoca di amministratori e sindaci delle società a totale o parziale partecipazione pubblica, anche nel caso in cui le società stesse siano costituite secondo il modello in house providing . Per la Corte, i recenti sviluppi normativi (d.l. n. 95/2012 e d.lgs. n. 175/2016) dimostrano la natura privatistica delle società a partecipazione pubblica, anche in house , e impongono, quindi, di ritenere sussistente la giurisdizione ordinaria sulle controversie aventi ad oggetto la nomina e la revoca dell’amministratore.
La riconduzione della materia in questione alla disciplina civilistica è attuata oggi dal d.lgs. n. 175/2016 del quale le sezioni unite segnalano tre disposizioni:
1) quella del terzo comma dell’art. 1, già citata, secondo cui “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali del diritto privato”;
2) quella dell’art. 12 (Responsabilità degli enti partecipanti e dei componenti degli organi delle società partecipate), a norma della quale “I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”;
3) quella dell’art. 14 (Crisi d’impresa di società a partecipazione pubblica), la quale non solo stabilisce che “Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi”, ma, soprattutto, testualmente menziona nell’ultimo comma la “dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti”, facendo così inequivoco ed esplicito riferimento alle società in house , che, appunto, sono le società titolari di affidamenti diretti (cfr. art. 16 I co.).
Disposizioni queste che, secondo le sezioni unite, non solo definitivamente esplicitano la riconduzione delle società a partecipazione pubblica all’ordinario regime civilistico ma, soprattutto, eliminano ogni dubbio circa il fatto che le società in house siano regolate dalla medesima disciplina che regola, in generale, le società partecipate, ad eccezione, quanto alle prime, della giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dai loro a amministratori e dipendenti.
Nessun contrasto, peraltro, sussiste con la pronuncia delle sezioni unite n. 26283/2013, secondo cui le società in house costituiscono in realtà articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi. Tale affermazione, precisano le citate sezioni unite del 2016, va intesa ai limitati fini del riparto di giurisdizione;precisazione, questa, che si riferisce, ovviamente, al riparto di giurisdizione riguardante l’azione di responsabilità per danni arrecati dall’illegittimo comportamento degli organi sociali al patrimonio della società, che costituiva oggetto di quel giudizio.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha, peraltro, chiarito che “Con riferimento alla società cd. "in house providing", le procedure seguite per l'assunzione del personale dipendente sono sottoposte alla giurisdizione ordinaria, e non del giudice amministrativo, ciò in quanto alla scelta del modello privatistico per il perseguimento delle finalità di tali società consegue, per il reclutamento dei dipendenti, l'esclusione dell'obbligo di adottare il regime del pubblico concorso” (cfr., ex plurimis , T.A.R. Roma, (Lazio) sez. I, 07/12/2020, n.13108).
Nel caso di specie, non rileva neanche la circostanza che il ricorrente abbia proposto un ricorso per contestare il silenzio inadempimento del comune che non avrebbe espletato i dovuti controlli sulla procedura.
Il ricorso previsto dall’art. 31 c.p.a. presuppone pur sempre la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo che, ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a., presuppone che nella controversia si faccia questione di interessi legittimi e, salvo nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi.
Non si può, dunque, attraverso l’azione sul silenzio inadempimento estendere la giurisdizione del giudice amministrativo che presuppone sempre l’ordinario riparto di giurisdizione individuato nell’art. 7, comma 1, sulla posizione giuridica soggettiva sussistente (cd. criterio della causa petendi ). L’azione sul silenzio non deroga, e non potrebbe farlo, al normale riparto di giurisdizione, in quanto le azioni contemplate nel Capo II del Titolo III presuppongono – tutte - la sussistenza della giurisdizione amministrativa.
Del resto, mancando interessi legittimi, e non sussistendo alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel caso di specie, non è possibile neanche apprezzare poteri autoritativi dell’amministrazione che, nella fattispecie, come visto, non sussistono, avendo la stessa agito con poteri di natura privata.
Il ricorso è, dunque, inammissibile per difetto di giurisdizione.
2.2. Il ricorso è, però, affetto da un’ulteriore vizio di inammissibilità.
Il ricorrente ha proposto il ricorso avverso l’inerzia dell’amministrazione dopo che quest’ultima aveva già provveduto a nominare il vincitore all’esito della gara. Anche a voler ritenere sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, il ricorrente avrebbe dovuto impugnare il provvedimento di nomina, ai sensi dell’art. 29 c.p.a. nei termini decadenziali ivi previsti. L’inerzia, questa volta del ricorrente, che non ha provveduto a impugnare il provvedimento, ha comportato la necessità di articolare un ricorso sul silenzio che ha il fine ultimo di costringere l’amministrazione a revocare la nomina del dott. I, come, peraltro, ammette lo stesso ricorrente.
La giurisprudenza consolidata ha, però, già chiarito che non sussiste alcun obbligo a provvedere in capo all’amministrazione qualora l’interessato diffidi l’amministrazione ad emanare un provvedimento di autotutela - di annullamento o di revoca - trattandosi, in entrambi i casi, di atti espressione di ampia discrezionalità (cfr., fra le tante, T.A.R. per il Lazio, sez. III, 05/07/2021, n.7870).
2.3. Né valgono a superare detti rilievi le deduzioni svolte dal ricorrente in sede di discussione orale, e finalizzate a confutare l’avviso ex art. 73, co. 3, c.p.a. di possibile inammissibilità del ricorso, secondo le quali l’istanza sulla quale si sarebbe formato l’impugnato silenzio sarebbe stata finalizzata all’assolvimento del generale obbligo amministrativo di verifica delle dichiarazioni sostitutive;ed invero, in tale prospettazione, difetta il requisito della differenziazione della posizione legittimante dell’istanza cui potrebbe conseguire l’obbligo a provvedere.
Ne consegue, pertanto, che il ricorso sarebbe, comunque, inammissibile per assenza dell’obbligo a provvedere in capo all’amministrazione.
Le ragioni che hanno condotto alla presente decisione giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti.