TAR Pescara, sez. I, sentenza breve 2012-11-30, n. 201200513
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 00513/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00468/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 468 del 2012, proposto da:
C M, rappresentato e difeso dall'avv. P M, con domicilio eletto presso P M in Pescara, via Roma, 138;
contro
Ministero dell'Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata per legge in L'Aquila, via Buccio di Ranallo S.Domenico;Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza;
per l'annullamento
del decreto del 6 luglio 2012 con cui il Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, ha destituito il ricorrente dall'amministrazione di P.S.;della deliberazione del 16 maggio 2012 con la quale il Consiglio provinciale di disciplina della Questura di Pescara ha proposto nei confronti del ricorrente stesso l'applicazione della sanzione disciplinare della destituzione;nonchè di ogni altro atto presupposto, consequenziale e connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2012 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi per le parti i difensori l'avv. Roberto Serino, su delega dell'avv. P M e l'avv. distrettuale dello Stato Anna Buscemi per il Ministero resistente;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Il ricorrente impugna il provvedimento del 6 luglio 2012, con il quale il capo della Polizia ha decretato la destituzione del medesimo dall’amministrazione della Pubblica Sicurezza, ai sensi dell’articolo 7 nn. 1,2,3, e 4 del d.p.r. n.737 del 1981, in virtù della sentenza n.632 del 2010 del GIP del Tribunale di Pescara, che lo ha condannato per i reati di cui agli articoli 416 commi 1 e 3, 61 n.2, 110, 317, e 328 codice penale.
Nel ricorso, si lamenta che l’amministrazione non avrebbe adeguatamente valutato la gravità della condotta sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, richiamandosi pedissequamente ai fatti accertati dal giudice penale;non avrebbe tenuto conto, poi, della concessione delle circostanze attenuanti, degli ottimi precedenti di servizio del ricorrente;avrebbe utilizzato formule di stile nell’apprezzamento della gravità delle violazioni in relazione alla lesione degli interesse dell’amministrazione stessa.
Infine si cita, in modo peraltro generico, la circostanza di un caso analogo, che sarebbe stato deciso nel 1997, con sanzione più mite (sospensione dal servizio per la durata di mesi 6), nonostante il dipendente fosse stato condannato per i reati di cui agli articoli 476,490,315 c.p.
Il ricorso è infondato.
Il sistema sanzionatorio delle condotte del personale di polizia non conformi ai compiti di servizio prevede regole più rigorose a presidio della legalità, cui tali condotte devono necessariamente ispirarsi, atteso che esse coinvolgono in via diretta e immediata la dignità, il prestigio e l'immagine dell'Amministrazione, e, soprattutto, conseguentemente, la fiducia del cittadino verso un’istituzione che dovrebbe essere, appunto, presidio della legalità, della sicurezza e ordine pubblico (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 28 maggio 2012, n. 3101).
A tal proposito, l’articolo 7 del d.p.r. n.737 del 1981 prevede la destituzione dell'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, nei casi in cui la cui la condotta del medesimo abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio;tale articolo, inoltre, elenca una serie di casi in cui tale incompatibilità si verifica.
Tra essi, sono elencati nel medesimo articolo 7 cit., tra l’altro, atti compiuti in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento.
Ciò premesso, la partecipazione ad un associazione per delinquere, dedita peraltro alla commissione di reati sfruttando il metus che deriva dall’appartenenza ad un corpo dotato di poteri repressivi, è evidentemente un comportamento del tutto incompatibile e antitetico ai compiti e doveri di un tutore dell’ordine e della sicurezza pubblica (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 28 maggio 2012, n. 3101).
Di qui la sufficienza del richiamo ai fatti accertati dal giudice penale.
Quanto alla presunta disparità di trattamento, è sufficiente rilevare che il motivo, oltre ad essere genericamente proposto, si riferisce a situazione del tutto diversa, poiché riguarda fattispecie di reato diverse, tra le quali non è ricompresa l’associazione per delinquere e la concussione.
Ciò, senza considerare che, in ogni caso, la disparità di trattamento è un vizio presuntivo che cede di fronte all’accertamento diretto della legittimità del provvedimento di cui si controverte.
La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio.