TAR Venezia, sez. III, sentenza 2024-06-25, n. 202401606

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. III, sentenza 2024-06-25, n. 202401606
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202401606
Data del deposito : 25 giugno 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/06/2024

N. 01606/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00481/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 481 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati S U, M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, non costituito in giudizio;

per l'accertamento

del diritto del ricorrente ad essere risarcito del danno dallo stesso subito per avere il Ministero della Difesa disatteso il proprio obbligo di sicurezza nel corso delle operazioni di sminamento a seguito della guerra -OMISSIS-;

nonché per la condanna del Ministero resistente all'integrale risarcimento del danno subito dal ricorrente a causa dell'insufficienza delle informazioni e dei dispositivi di protezione individuale forniti in presenza di gravi rischi alla salute.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 11 giugno 2024 il dott. Andrea Gana e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Visto l'art. 36, co. 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, premesso di avere svolto -OMISSIS-nella -OMISSIS-dal -OMISSIS-al -OMISSIS-, ha allegato:

- di essere stato imbarcato sul “-OMISSIS-” (dal mese di maggio 1999 al mese di agosto 1999) e di avere svolto attività di sminamento nei territori della -OMISSIS- occupandosi del disinnesco di mine, di munizioni e di ordigni inesplosi, anche contenenti uranio impoverito;

- che tali attività venivano eseguite in un ambiente inquinato da esalazioni e residui tossici derivanti dalla combustione ed ossidazione dei metalli pesanti, causate dall’impatto e dalle esplosioni degli ordigni brillati, senza l’utilizzo di alcun dispositivo di protezione individuale e senza alcuna informazione circa i rischi per la salute correlati all’esposizione e all’inalazione di tali sostanze;

- che, in aggiunta a quanto descritto, era costante l’esposizione a solventi e diluenti, in ambienti chiusi e non aerati nel corso delle operazioni quotidiane di pulizia delle armi in dotazione, ai fumi di scarico dei mezzi dedicati al trasporto e infine, alle conseguenze della sottoposizione a molteplici vaccinazioni;

- di essere stato ricoverato, al termine delle missioni, presso -OMISSIS-, dove, gli è stato diagnosticato, in data 07 dicembre 2000, un “-OMISSIS-” , -OMISSIS-;

- di avere ottenuto, a seguito di visita medico presso la CMO della -OMISSIS-nel febbraio del 2002, l’accertamento della dipendenza da causa di servizio della descritta infermità, quantificata dalla Commissione nel 26% di invalidità oltre al 10% di danno morale, per un totale del 36%;

- che, nel procedimento per il riconoscimento della causa di servizio, il COMFORDRAG, Servizio Sanitario, attivatosi su richiesta -OMISSIS- ha affermato nel proprio parere positivo che “[…]Allo stato attuale delle informazioni circa la potenziale radioattività degli ordigni oggetto di ricerca e recupero da parte delle-OMISSIS- della -OMISSIS-per periodo immediatamente successivo-OMISSIS-, non è mai stata esclusa ufficialmente tale possibilità. In mancanza di informazioni più precise in merito, esistendo la coincidenza tra il periodo di imbarco del richiedente e l’impegno dell’Unità su cui si trovava imbarcato nella zona delle operazioni incriminata, si può sospettare che tale esposizione possa essere avvenuta ed aver agito come causa o concausa scatenate”;

- di avere in seguito ottenuto il riconoscimento della pensione di privilegio e dei benefici previsti dalla legge per le vittime del dovere;

- che nelle analisi effettuate -OMISSIS- è stata accertata la presenza di detriti metallici non biodegradabili e non biocompatibili, di dimensioni nanometriche, composti da cromo e ferro e da cromo e bismuto;

- che l’art. 1, comma primo, lett.c) del DPR 3 marzo 2009, n. 37 “Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all’estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali, a norma dell’articolo 2, commi 78 e 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 individua proprio tali residui fra gli elementi chimici metallici ad alta massa atomica ed elevata densità il cui assorbimento nell’organismo è alla base di degenerazioni cellulari che si evolvono in patologie oncologiche del tipo riportato;

- che la quantificazione del danno fornita dalla CMO non è corretta, dovendo essere stimata una percentuale di invalidità non inferiore al 70%, come da perizia di parte allegata, considerati gli esiti degli interventi chirurgici ai quali si è sottoposto, le ricadute psicologiche della patologia e la necessità di prevedere la personalizzazione del danno in misura massima.

In questo quadro, il ricorrente ha chiesto il risarcimento di tutti i danni subiti ex artt. 2087,2043,2050,2051 e 2059 c.c., conseguenti alla condotta tenuta dal Ministero della Difesa considerato, che non ha adottato, in forza dell’art. 2087 c.c., le misure di sicurezza, di prevenzione e di protezione che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro.

Non si è costituito il Ministero della Difesa, nonostante la regolare notifica del ricorso introduttivo.

All’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del 11 giugno 2024, svolta con modalità da remoto, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

La domanda va accolta, nei limiti di seguito precisati.

La controversia si inserisce nel complesso contenzioso conseguito al fenomeno noto come "-OMISSIS-", così denominata dal territorio dell’-OMISSIS-, di ritorno dal quale molti militari hanno sviluppato malattie croniche e spesso terminali, probabilmente a causa dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti dell’uranio impoverito, utilizzato come punta dei proiettili anticarro. Essa è stata a lungo al centro del dibattito nazionale, tanto da confluire in iniziative legislative e determinare la costituzione di numerose Commissioni parlamentari d’inchiesta (Consiglio di Stato, n. 7718/2023).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è ripetutamente soffermata su tale fenomeno, fino ad affermare il principio per il quale “la mancanza di una legge scientifica universalmente valida che stabilisca un nesso diretto fra l’operatività nei contesti caratterizzati dalla presenza di uranio impoverito e l’insorgenza di specifiche patologie tumorali non impedisce il riconoscimento del rapporto causale, posto che la correlazione eziologica, ai fini amministrativi e giudiziari, può basarsi anche su una dimostrazione in termini probabilistico-statistici” (v. Cons. Stato, sez. I consultiva, parere n. 210 del 16 febbraio 2021;
sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1661;
sez. II, 1 luglio 2021, n. 5013).

Più nel dettaglio, si è affermato che «in presenza di elementi statistici rilevanti (come accade allorché il militare abbia prestato servizio in un teatro operativo caratterizzato, come nel caso di specie, da potenziale contaminazione da agenti patogeni) la dipendenza da causa di servizio deve considerarsi accertata, salvo che l’Amministrazione non riesca a dimostrare la sussistenza di fattori esogeni, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l’insorgere dell’infermità. Proprio l’impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto (quanto univoco) di causa-effetto per il riconoscimento del concorso di altri fattori collegati ai contesti fortemente degradati ed inquinati dei teatri operativi, non si rivela pretendibile la dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendo sufficiente la dimostrazione in termini probabilistico-statistici. In tale prospettiva, il verificarsi dell’evento ex se integra elemento sufficiente (criterio di probabilità) a determinare la titolarità, in capo alle vittime delle patologie, agli strumenti indennitari previsti dalla legislazione vigente (compreso il riconoscimento della causa di servizio e della speciale elargizione) in tutti quei casi in cui l’Amministrazione militare non sia in grado di escludere un nesso di causalità» .

Anche recentemente, soffermandosi anche sulla natura della responsabilità in esame, la giurisprudenza del giudice d’appello (cfr., in particolare, Consiglio di Stato, Sez. II, 15 marzo 2024, n. 2502) ha osservato quanto segue: «nel quadro di una responsabilità contrattuale posta a garanzia di beni primari, nell’ambito di un ordinamento di settore connotato dall’insindacabilità degli ordini, il rischio causale ignoto grava sull’Amministrazione, non sul singolo militare. Del resto, la causa ignota, categoria gnoseologica e non ontologica, non è altro che la conseguenza dell’attuale ignoranza scientifica circa i nessi eziologici: è cioè, un dato umano, relativo e dinamico, non una realtà naturale, assoluta e fissa. Pertanto, l’Amministrazione, nell’accertare i presupposti sostanziali della dipendenza della patologia da causa di servizio, è gravata da un onere d’istruttoria e di motivazione assai stringente, circa la sussistenza, in concreto, delle circostanze straordinarie e dei fatti di servizio che hanno esposto il militare ad un maggior rischio rispetto alle condizioni ordinarie d’attività. Nei casi delicati qual è quello in esame, all’interessato basta dimostrare l’insorgenza della malattia in termini probabilistico-statistici, non essendo sempre possibile stabilire un nesso diretto di causalità tra l’insorgenza della malattia oncologica ed i contesti operativi complessi o degradati sotto il profilo bellico o ambientale in cui il militare è stato chiamato ad operare … Infatti, rilevante è la circostanza che il militare abbia prestato servizio in missione all’estero, in un paese contaminato a causa dell’utilizzo di armi all’uranio impoverito. Il Collegio osserva che sulla tematica in questione si segnalano numerose pronunce di questo giudice d’appello, tra le quali la n. - OMISSIS - di questa Sezione II, che si è occupata in maniera specifica dei teatri di guerra caratterizzati da un utilizzo massiccio di munizionamento bellico pesante (tra cui quello all’uranio impoverito), che ha causato un irreversibile inquinamento bellico, atmosferico, ambientale, alimentare;
la Sezione ha al riguardo tenuto conto degli studi che hanno esplicitato il meccanismo attraverso il quale l’elevata combustione di tali armi, oltre al deposito di radioattività diffusa (che entra nella catena alimentare e nelle acque e la cui contaminazione “risulta praticamente eterna” con conseguenze di tipo mutagenetico, cancerogenetico e teratogenetico), comporta la fusione di particelle chimiche (nanoparticelle di metalli pesanti che si generano dalle esplosioni di proiettili ed ordigni bellici pesanti, nonché di munizionamento con DU). In particolare, l’uranio forma leghe con rame, zinco, mercurio, titanio, tungsteno, manganese, ferro, zirconio, niobio ed altri metalli, che si depositavano al suolo anche a chilometri di distanza, attraverso i venti, penetravano nelle falde ed entravano nella catena alimentare.

L’Amministrazione avrebbe quindi dovuto adeguatamente indagare la situazione ambientale tenendo conto del possibile inquinamento da esalazioni e residui tossici derivanti dalla combustione e ossidazione dei metalli pesanti causate dall’impatto e dall’esplosione delle munizioni utilizzate per le operazioni belliche, fra le quali si annoverano quelle con uranio impoverito (“depleto” o “DU”), anche in territori limitrofi».

Ad analoghe conclusioni è già prevenuto anche questo Tribunale (cfr., in particolare, T.A.R. Veneto, Sez. I, 14 ottobre 2021, n. 1166).

Peraltro, nel caso in esame, i principi enunciati devono essere specificati alla luce anche della complessa questione del rapporto e della differenza intercorrente tra rimedi indennitari e diritto al risarcimento del danno ex art. 2087 c.c., eventualmente spettante al militare che rivendichi la causa di servizio;
in particolare, tale questione ha interessato la giurisprudenza soprattutto sotto il profilo della individuazione del diverso livello di intensità dell’onere probatorio degli elementi costitutivi del diritto e del divieto di cumulo tra le somme riconducibili a tali (distinti) titoli causali (c.d. meccanismo della compensatio lucri cum damno ).

Sul punto, sintetizzando gli approdi di un dibattito ermeneutico decisamente elaborato, deve essere affermata la diversa entità dell’onere della prova gravante sul dipendente che avanzi richiesta di equo indennizzo rispetto a chi presenti istanza risarcitoria: nel primo caso, infatti, non occorre dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico (per quanto di interesse, fra esposizione a uranio impoverito o ad altri metalli pesanti e neoplasia), mentre siffatto accertamento è sempre necessario ove l’interessato svolga una domanda risarcitoria, ossia assuma la commissione, da parte dell’Amministrazione, di un illecito civile, consistente nella colpevole esposizione del dipendente ad una comprovata fonte di rischio in assenza di adeguate forme di protezione, con conseguente contrazione di infermità.

Tanto premesso, va ancora precisato che la responsabilità del datore di lavoro, posta dal ricorrente a fondamento della domanda giudiziale, ha natura contrattuale e rinviene la propria fonte nel contratto di lavoro che, ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., è integrato dall’articolo 2087 cod. civ., ove sono previsti doveri di prestazione finalizzati ad assicurare la tutela della salute del lavoratore (v. ancora Cons. Stato, Adunanza Plenaria, n. 1 del 2018, cit.).

In relazione a tale aspetto, l’obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro deve essere definito facendo riferimento alle misure disponibili tecnologicamente più avanzate, “imponendo il continuo adattamento e aggiornamento delle misure di prevenzione ai nuovi ritrovati dell’esperienza e della tecnica, in modo che siano prevenuti non solo i rischi conosciuti ma anche quelli ancora ipotetici e non del tutto noti, mentre non sono opponibili in senso contrario considerazioni di carattere puramente economico” (così ancora Consiglio di Stato, sentenza n. 6952 del 2018).

Sul piano strutturale, la qualificazione dell’illecito come ascrivibile alla responsabilità da inadempimento del datore di lavoro implica, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., che il lavoratore deve provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’inadempimento del datore di lavoro e i danni conseguenza;
il datore di lavoro deve provare l’assenza di colpa e pertanto di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (v. ancora Cons. Stato, Adunanza Plenaria n. 1 del 2018;
Cass. civ., sez. lav., 15 giugno 2017, n. 14865). In altre parole, sul lavoratore che lamenti di avere subito un danno alla salute a causa dell’attività lavorativa svolta incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro: solo se il lavoratore ha fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile all’inosservanza di tali obblighi.

Con riferimento agli obblighi di prestazione che ricadono sull’Amministrazione militare in relazione all’invio di militari all’estero, la giurisprudenza, dai cui principi non è ragione di discostarsi, ha già avuto modo di affermare come al dovere del militare di esporsi al "pericolo bellico" si contrapponga lo speculare dovere dell’Amministrazione di proteggere il cittadino-soldato da altre forme prevedibili e prevenibili di insidie non strettamente correlate al coinvolgimento in un conflitto, apprestando i necessari presidi sanitari di prevenzione e cura e dotandolo di equipaggiamento adeguato o, quanto meno, non del tutto incongruo rispetto al contesto (Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2020, n. 7560 e n. 7564).

Con specifico riferimento alle missioni all’estero (cosiddette "missioni di pace"), ha talvolta addirittura affermato che "l’Amministrazione versa pertanto in una condizione di responsabilità lato sensu di posizione, cui fa eccezione il solo rischio oggettivamente imprevedibile - giuridicamente qualificabile alla stessa stregua del caso fortuito - ma in cui viceversa rientra il rischio da esposizione ad elementi che, benché non ancora scientificamente acclarati come sicuro fattore eziopatogenetico, ciononostante lo possano essere, secondo un giudizio di non implausibilità logico-razionale: la diligentia cui è tenuta l’Amministrazione si situa in tali casi ad un livello massimo” (Consiglio di Stato, sentenze n. 7560 e n. 7564 del 2020).

Insomma, allorché vengano inviati militari in missione all’estero l’Amministrazione della difesa è tenuta: ad informarsi preventivamente della concreta ed effettiva situazione (militare, politica, sociale, sanitaria, ambientale) del contesto operativo;
ad accertarsi della piena idoneità psico-fisica dei militari, adottando tutte le opportune profilassi;
a fornire al personale tutti gli strumenti di protezione individuale ragionevolmente utili al fine di prevenire i possibili rischi, ivi inclusi quelli connotati da una bassa probabilità statistica (v. anche, Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2020, n. 7557).

Ebbene, facendo applicazione delle delineate coordinate ermeneutiche, la domanda del ricorrente è da ritenersi fondata nella parte in cui è volta ad accertare la responsabilità dell’Amministrazione secondo il criterio del “più probabile del non” ,

La stessa Amministrazione Militare ha riconosciuto la -OMISSIS-manifestatasi a carico del ricorrente sia come dipendente da causa di servizio, sia come riconducibile alle particolari condizioni ambientali ed operative di missione, con conseguente equiparazione dello stesso alle vittime del dovere.

Queste circostanze danno contezza dell’evidente riconoscimento di un nesso tra le gravissime infermità contratte dal ricorrente ed il servizio prestato dallo stesso in territori che, all’epoca dei fatti, erano contaminati dall’uranio impoverito;
a ciò si è aggiunta la mancata adozione di misure di sicurezza e di protezione idonee ad evitare l’esposizione alle nano-particelle.

Si aggiunga poi, che, ulteriore elemento fondante del nesso causale è desumibile dalla circostanza che il Ministero della Difesa, anche con decreto del 23 luglio 2012, ha concesso al ricorrente l’elargizione dell’assegno vitalizio speciale previsti per i militari "equiparati alle vittime del dovere", ove viene espressamente riconosciuta la dipendenza della malattia contratta dal medesimo da causa di servizio "in quanto riconducibile alle particolari condizioni ambientali operative cui è stato esposto" nel periodo della sua missione.

In sintesi, dunque, è accertato che l’Amministrazione abbia inviato in missione il militare in zone caratterizzate dall’utilizzo di armamenti all’uranio impoverito e dalla presenza di ordigni bellici pesanti, zone nelle quali il militare ha operato, per quanto consta in atti, senza alcun specifico mezzo di protezione e senza che siano state effettivamente adottate le necessarie misure di prevenzione.

È cioè ragionevole dedurre - come già affermato in relazione a fattispecie analoghe riferite al medesimo contesto - che vi fosse da parte dell’Amministrazione la conoscenza, ancorché generica, dei possibili impatti negativi sulla salute dei militari della presenza in quelle zone di guerra e che tuttavia non fossero state in concreto assunte tutte le misure precauzionali possibili per la tutela della salute dal rischio espositivo per i militari mandati in missione

Ai fini della quantificazione del danno subito, tuttavia, il Collegio non ritiene di potersi attenere alle affermazioni unilaterali del consulente di parte (che ha stimato una percentuale di invalidità del 70%) in misura ampiamente superiore a quella determinata dalla CMO.

A tale scopo, risulta necessario nominare un verificatore, ai sensi dell’articolo 66 cod. proc. amm., che il Collegio ritiene di individuare nella persona del Dirigente preposto all’Unità Operativa Complessa di medicina legale e tossicologica dell’Azienda Ospedale Università di Padova (in Padova), con facoltà di delega ad altro professionista in servizio presso l’Ente, specializzato nella patologia tumorale da cui è affetto il ricorrente.

Il verificatore, entro il 31 luglio 2024, provvederà, assicurando il contraddittorio tra le parti, ad accertare il danno, patrimoniale e non patrimoniale, sofferto dal militare con la valutazione in termini di punteggio o di percentuale dell’incidenza sulla integrità psico-fisica dello stesso dall’insorgenza della patologia, nonché a quantificarlo in termini monetari facendo applicazione delle attuali tabelle predisposte dal Tribunale di Milano.

A tale scopo, acquisita tutta la documentazione agli atti del fascicolo, sottoporrà il ricorrente a visita medica specialistica, in data da concordare con lo stesso (direttamente o per il tramite del suo difensore) con un congruo preavviso. Le parti potranno designare un proprio consulente tecnico, che potrà presenziare alla visita, nonché formulare osservazioni entro 7 giorni dalla ricezione della bozza di relazione, che il verificatore avrà cura di trasmettere loro.

Il verificatore applicherà nella quantificazione del danno il principio della “ compensatio lucri cum damno” , ovverosia la sottrazione dal risarcimento del danno del quantum già ottenuto in via indennitaria, secondo le indicazioni fornite in merito dal Ministero della Difesa e come sopra espressamente indicate.

All’esito delle operazioni, il verificatore redigerà apposita dettagliata e motivata relazione da depositarsi entro il termine del 31 luglio 2024, dando conto delle eventuali osservazioni dei consulenti delle parti.

Il Collegio ritiene altresì opportuno, ai sensi dell’art. 66, comma 3, cod. proc. amm, prevedere un anticipo sul compenso spettante al verificatore, quantificato in euro 1.000,00 (euro mille/00), ponendolo provvisoriamente a carico del ricorrente, ferma restando la liquidazione dell’importo complessivo, in esito alla definizione della causa, con la sentenza o con separato provvedimento monocratico, previa presentazione, unitamente alla relazione, di apposita nota da parte del verificatore medesimo.

Pertanto, la definizione di tale residuo aspetto della controversia e la regolazione delle spese di lite devono essere rinviate all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del 5 novembre 2024, che si terrà all’esito della verificazione.

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