TAR Roma, sez. II, sentenza 2022-11-16, n. 202215176

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2022-11-16, n. 202215176
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202215176
Data del deposito : 16 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/11/2022

N. 15176/2022 REG.PROV.COLL.

N. 03216/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3216 del 2016, proposto dall’Associazione Culturale Laboratorio Sociale Autogestito 100Celle Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avvocati C G e A I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del primo, in Roma, Circonvallazione Trionfale, 1;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato G P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO

- del provvedimento del Dipartimento Patrimonio Sviluppo e Valorizzazione – Direzione Amministrativa U.O. Concessioni – Locazioni a firma del direttore della gestione amministrativa dott. Angelo Gherardi prot. n. 32658 del 15.12.2015 con il quale è stato comunicato il rigetto della richiesta di rinnovo della concessione relativa all’immobile sito in Via Guarcino n. 1 e contestualmente richiesto il rilascio dello stesso entro e non oltre dieci giorni dal ricevimento nonchè l’obbligo di continuare a “ garantire la conservazione e la manutenzione dell’immobile, nonché corrispondere all’Amministrazione capitolina l’indennità d’uso che sarà comunque soggetta a nuova determinazione ” oltre ad ogni altro atto, cognito o incognito, ad essi presupposto, connesso e/o conseguente;

PER QUANTO RIGUARDA I MOTIVI AGGIUNTI

- della nota prot. 7599 del 24 marzo 2016 notificata in data 5 agosto 2016 del Dipartimento Patrimonio Sviluppo e Valorizzazione – Direzione Amministrativa U.O. Concessioni – Locazioni a firma del dirigente dott. Carlo Maria L’Occaso;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 novembre 2022 il dott. M T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso introduttivo tempestivamente notificato in data 19 febbraio 2016 e depositato in data 17 marzo 2016, l’Associazione ricorrente – premesso di aver goduto in regime di concessione dell’“ex casale facchetti” di proprietà comunale sito in Roma, Via Guarcino n. 1, giusta atto concessorio del 7 luglio 2009 avente durata di 6 anni “ e con facoltà di rinnovo per ulteriori anni a richiesta del concessionario ”, nonché di aver richiesto in data 26 gennaio 2015 (in vista della scadenza dei primi 6 anni) il rinnovo della concessione de qua – è insorta avverso il provvedimento con cui Roma Capitale ha frapposto il proprio diniego a detta istanza di rinnovo sulla scorta della seguente motivazione (nota prot. n. 32658 del 15 dicembre 2015, notificata in data 21 dicembre 2015): “ è in corso un riordino gestionale del patrimonio capitolino per procedere all’assegnazione dello stesso in osservanza delle prescrizioni della normativa vigente in materia. Le modalità di attuazione sono state formalizzate nella Deliberazione n. 140 del 30.04.2015 che fissa le linee guida per il riordino del patrimonio in concessione ”.

Il provvedimento impugnato recava, altresì, in uno con il suddetto diniego di rinnovo del rapporto concessorio, anche l’invito al rilascio bonario del bene e l’avvertimento che l’Associazione, fino all’avvio delle procedure di selezione comparativa per la selezione del nuovo concessionario, avrebbe dovuto garantire in qualità di utilizzatrice non soltanto la conservazione e manutenzione dell’edificio, ma anche la corresponsione dell’indennità d’uso, che in ogni caso veniva resa oggetto di rideterminazione, atteso che in base alle indicazioni della magistratura contabile detta indennità deve essere versata – in caso di “ mancanza del perfezionamento del titolo concessorio ” – in misura pari al 100% del valore di mercato, non essendo applicabile il beneficio dell’abbattimento del valore.

Parte ricorrente lamenta l’illegittimità del summenzionato provvedimento reiettivo di Roma Capitale.

A sostegno della domanda di annullamento articolata con il ricorso introduttivo vengono sollevate, in particolare, le censure che di seguito si riassumono:

(i) primo motivo : il diniego di rinnovo della concessione – oltre a contrastare con il diritto di rinnovo previsto dallo stesso atto concessorio de quo – confligge anche con le “ Linee Guida per il riordino, in corso, del patrimonio indisponibile in concessione ” dettate dalla Deliberazione della Giunta Capitolina n. 140 del 2015, le quali favoriscono il rinnovo dei rapporti concessori in corso con soggetti prevalentemente dediti allo svolgimento di funzioni ed attività di interesse pubblico. L’avversato diniego di rinnovo sarebbe inoltre illegittimo in quanto adottato dal Direttore della gestione amministrativa di Roma Capitale in assenza di qualsiasi concerto con i Dipartimenti e Municipi interessati, nonché in violazione del regolamento comunale n. 5625 del 1983, il quale prevede espressamente la possibilità di rinnovo delle concessioni, stabilendo un’apposita procedura per la scelta del contraente e rimettendo espressamente la competenza al Consiglio Comunale;

(ii) secondo motivo : il diniego di rinnovo è inoltre intrinsecamente contraddittorio, in quanto reca da un lato l’invito al rilascio bonario del bene e, dall’altro lato, l’ordine di garantire la conservazione e manutenzione dell’edificio fintanto che non siano avviate le procedure di selezione comparativa dei nuovi concessionari;

(iii) terzo motivo : il diniego di rinnovo è stato peraltro adottato in spregio del tacito rinnovo del rapporto concessorio medio tempore formatosi, tacito rinnovo sostanzialmente legittimato non soltanto dal titolo concessorio di cui si discorre, ma anche dalle indicazioni contenute nella delibera del Consiglio Comunale n. 5625 del 1983 (che prevede la generale possibilità di rinnovo delle concessioni);

(iv) quarto motivo : ai sensi dell’art. 68 della deliberazione del Consiglio Comunale di Roma Capitale n. 10 del 1999, la circoscrizione (ora Municipio) è investita di specifiche competenze, tra le quali quelle afferenti alla gestione dei rapporti concessori aventi ad oggetti beni demaniali o indisponibili di Roma Capitale, di talché il provvedimento impugnato – in quanto adottato dal dirigente della gestione amministrativa (anziché dalla circoscrizione o Municipio) – è viziato da incompetenza;

(v) quinto motivo : il diniego di rinnovo contestato non è stato preceduto dalla doverosa comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ex art. 7 della legge n. 241 del 1990.

Roma Capitale si è ritualmente costituita in giudizio, instando per la reiezione del ricorso ed eccependone – prima ancora dell’infondatezza – l’inammissibilità per carenza di concreta lesività dell’atto impugnato, consistendo quest’ultimo in un mero sollecito al rilascio bonario dell’edificio in vista della prossima indizione di una procedura ad evidenza pubblica per la selezione del nuovo concessionario.

All’esito della camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare promossa con il ricorso introduttivo, il Collegio ha respinto detta istanza nella considerazione “ che, seppur alla sommaria delibazione propria della presente fase cautelare, il gravato provvedimento sembra trovare adeguata giustificazione nell’esigenza di procedere all’affidamento dei beni demaniali, una volta scadute le relative concessioni, sulla base di procedure ad evidenza pubblica ”.

Con successivi motivi aggiunti notificati in data 29 ottobre 2016 e depositati in data 28 novembre 2016, parte ricorrente è poi insorta avverso il successivo atto di avvio del procedimento di riacquisizione forzosa dell’edificio (che Roma Capitale ha notificato alla ricorrente in data 5 agosto 2016, una volta preso atto del mancato rinnovo della concessione), sostanzialmente replicando lo stesso tipo di censure già esposte avverso il diniego di rinnovo del rapporto concessorio.

Roma Capitale si è opposta anche al gravame sollevato con i summenzionati motivi aggiunti, eccependone l’inammissibilità per la natura endo-procedimentale dell’atto impugnato, nonché l’infondatezza.

All’esito della camera di consiglio fissata per la trattazione della nuova istanza cautelare promossa con i motivi aggiunti, il Collegio ha respinto detta istanza nella considerazione che l’atto gravato con motivi aggiunti è privo di autonoma lesività.

All’udienza pubblica del 9 novembre 2022, il Collegio – previa discussione della causa – introitava quest’ultima in decisione.

DIRITTO

In via pregiudiziale, corre l’obbligo di rilevare che l’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti è fondata, in quanto l’atto con essi impugnato è soltanto l’atto di impulso del procedimento amministrativo di riacquisizione forzosa dell’immobile, di talché esso è inidoneo a determinare qualsiasi concreta lesione della sfera giuridica dell’Associazione ricorrente.

Ne discende che il gravame proposto con i motivi aggiunti è inammissibile per carenza di interesse ad agire.

Diversamente è a dirsi, invece, con riferimento all’eccezione di inammissibilità proposta in relazione al ricorso introduttivo.

Al riguardo, deve osservarsi che la nota impugnata con detto ricorso ha un contenuto eterogeneo, in quanto reca: (i) l’esplicito diniego del rinnovo della concessione richiesto dalla ricorrente;
(ii) l’invito al rilascio bonario del compendio immobiliare;
(iii) l’avvertimento che l’Associazione, a seguito del mancato rinnovo e in caso di mancato rilascio, avrebbe dovuto garantire in qualità di utilizzatrice non soltanto la conservazione e manutenzione dell’edificio, ma anche la corresponsione dell’indennità d’uso, che in ogni caso veniva resa oggetto di rideterminazione.

Se con riferimento alla seconda e alla terza delle suddette previsioni può effettivamente condividersi l’assenza di lesività dell’atto, il quale non comporta l’immediata disposizione di sgombero dell’immobile, né tanto meno l’immediato obbligo (alternativo al rilascio) di garantire la manutenzione dell’immobile con rideterminazione dell’indennità d’uso, diversamente tuttavia deve ritenersi con riguardo alla prima disposizione.

Con l’atto impugnato l’Amministrazione frappone infatti, per la prima volta, un espresso diniego all’istanza di rinnovo della concessione avanzata dalla ricorrente nel 2015, per cui la nota presenta, sotto questo profilo, un immediato carattere lesivo.

L’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo va, perciò, rigettata.

Venendo al merito, va scrutinato preliminarmente il quarto motivo di ricorso, con cui parte ricorrente si duole, inter alia , di un presunto vizio di incompetenza, nella considerazione che l’atto di diniego di rinnovo del rapporto concessorio sarebbe stato erroneamente adottato dal Dirigente comunale anziché dalla Circoscrizione (ora Municipio).

Al riguardo, il Collegio non può che rifarsi al noto e autorevole arresto giurisprudenziale di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 27 aprile n. 2015, con cui si evidenzia come debba essere delibata in via prioritaria, in quanto di carattere assorbente ex lege , la censura di incompetenza, non potendo il giudice pronunciarsi su poteri amministrativi non ancora esercitati nel rispetto del principio costituzionale di separazione dei poteri e di riserva di amministrazione (cfr. art. 34, comma 2, c.p.a.).

Nel caso di specie, il Collegio ritiene che il vizio di incompetenza sia insussistente, atteso che le disposizioni regolamentari invocate da parte ricorrente (in tesi configuranti una competenza della Circoscrizione ad adottare gli atti di gestione del rapporto concessorio, vedasi regolamenti comunali del 1983, 1996 e 1999) sono superate dalle norme di legge ordinaria racchiuse nel d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL), norme non soltanto di rango superiore rispetto a quelle sub-primarie invocate da controparte, ma anche successive nel tempo, indi indubitabilmente soverchianti sia forza del criterio gerarchico che in forza di quello temporale.

Orbene, in base all’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000, un provvedimento – quale quello impugnato con l’odierno ricorso introduttivo – espressione di un potere di amministrazione attiva avente ad oggetto la gestione del patrimonio immobiliare, rientra certamente nella competenza generale della dirigenza ai sensi dell’art. 107 del d.l.gs. n. 267/2000.

Il vizio di incompetenza denunciato con il quarto motivo di impugnazione è quindi infondato.

Esigenze di pregiudizialità logica inducono a scrutinare, a questo punto, il terzo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente afferma che il diniego di rinnovo impugnato sarebbe illegittimo in quanto si infrange contro il tacito rinnovo medio tempore consumatosi a seguito dell’istanza di rinnovo tempestivamente trasmessa dalla ricorrente.

Al riguardo, deve tenersi presente che, come sopra detto, l’atto di concessione stipulato in data 7 luglio 2009 aveva previsto la durata di “ Anni 6 a decorrere dalla stipula del presente atto di concessione con facoltà di rinnovo per ulteriori anni a richiesta del concessionario entro 6 mesi dalla scadenza ”.

In base ai principi, la predetta “ facoltà di rinnovo ” non può essere intesa come un diritto potestativo spettante al concessionario, ma va correttamente inquadrata come una potestà discrezionale dell’Amministrazione, alla quale soltanto è rimessa la valutazione della rispondenza all’interesse pubblico della destinazione del bene patrimoniale indisponibile.

In altri termini, l’atto di concessione si limita a stabilire che, laddove il concessionario abbia interesse al rinnovo, debba farne richiesta entro il termine stabilito, fermo restando che spetta poi all’Amministrazione stabilire se acconsentire alla richiesta.

Sotto altro profilo, deve pure osservarsi che, in coerenza con i principi espressi dalla giurisprudenza, e condivisi dal Collegio, il rilascio o il rinnovo delle concessioni di beni pubblici non può perfezionarsi se non nelle forme prescritte, e in particolare mediante un atto espresso in forma scritta.

In particolare, per costante orientamento, il mero pagamento dei canoni e l’introito delle relative somme da parte dell’Amministrazione, dopo l’intervenuta scadenza del titolo, non può considerarsi di per sé rinnovo tacito della concessione, in mancanza dell’atto formale di rinnovo, costituendo questo soltanto titolo per la detenzione e l’utilizzo del bene demaniale (Cons. Stato, Sez. II, 18 luglio 2019, n. 5076;
Id., Sez. V, 30 luglio 2018, n. 4662;
Id., Sez. VI, 6 agosto 2013, n. 4098).

In considerazione di quanto precede, il terzo motivo di ricorso non può, pertanto, trovare accoglimento, dovendo escludersi che l’atto di concessione stipulato nel 2009 si sia rinnovato per effetto delle istanze presentate a tal fine dalla ricorrente.

È, invece, fondato il primo motivo, nei sensi e nei termini che si illustrano di seguito, ritenendo il Collegio di doversi rideterminare – re melius perpensa e anche alla luce di un recente precedente in termini della Sezione (cfr. n. 2982 del 5 marzo 2020) – rispetto a quanto rilevato in sede cautelare in base ad una cognizione soltanto sommaria della controversia.

Roma Capitale ha rigettato la domanda di rinnovo della concessione, a distanza di molti anni dalla sua presentazione, limitandosi a richiamare il “ riordino gestionale del patrimonio capitolino per procedere all’assegnazione dello stesso in osservanza della normativa vigente in materia ”.

In particolare, quanto alle modalità di attuazione di tale riordino, il provvedimento ha richiamato la deliberazione della Giunta capitolina n. 140 del 30 aprile 2015, recante le “ Linee guida per il riordino, in corso, del patrimonio indisponibile in concessione ”.

Al riguardo, deve tuttavia osservarsi che la predetta deliberazione reca – per ammissione anche della stessa difesa capitolina – disposizioni di portata esclusivamente programmatica. Si tratta, infatti, di un provvedimento che mira esclusivamente a dettare, in via generale, le linee d’azione che devono essere seguite dagli Uffici, in attesa del nuovo Regolamento per la gestione del patrimonio, e a stabilire, in questa prospettiva, l’ordine di priorità nelle procedure di riacquisizione.

La deliberazione non reca quindi la disciplina generale dei rapporti concessori, né del resto potrebbe farlo, atteso che l’adozione di atti di natura regolamentare è rimessa esclusivamente al Consiglio comunale (ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lett. a) , del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267).

D’altro canto, la predetta deliberazione non comporta, di per sé, il rigetto di tutte le istanze di rinnovo eventualmente pendenti, ma si limita a indicare in via generale agli Uffici competenti i principi cui informare l’azione amministrativa in relazione alla gestione del patrimonio.

Più in dettaglio, la deliberazione stabilisce, con riferimento al caso di “ intervenuta scadenza dei titoli di utilizzo dei beni ”, “ il percorso tracciato per l’attività di riordino ”, al quale vengono assegnate specifiche priorità. In questo quadro, “ gli utilizzatori quali Enti, Organismi o Associazioni che svolgono comprovate attività socialmente utili di interesse cittadino o municipale, su delega o per conto di Roma Capitale, e Enti ed Organizzazioni internazionali riconosciute dall’ONU ” sono contemplati all’ultimo punto (il quinto) del predetto ordine di priorità, con l’indicazione, quale unica linea d’azione, della necessità di procedere “ nel rispetto del Regolamento sulle Concessioni (Consiglio Comunale n. 5625/1983) ”.

Ciò posto, deve ritenersi che le indicazioni contenute nella predetta deliberazione giuntale n. 140 del 2015 non siano idonee, di per sé sole, a sorreggere il diniego di rinnovo del titolo concessorio disposto nei confronti della ricorrente.

Va, infatti, rilevata la peculiarità della posizione dell’Associazione, la quale utilizza locali messi a disposizione da Roma Capitale per lo svolgimento, senza fine di lucro, di attività di rilevanza sociale indiscussa e riconosciuta dalla stessa Amministrazione.

In una tale situazione, deve ritenersi che la valutazione dell’istanza di rinnovo della concessione non potesse risolversi nel mero e meccanico rinvio agli indirizzi generali inerenti alla riacquisizione degli immobili utilizzati senza titolo, di cui alla deliberazione della Giunta capitolina n. 140 del 2015;
deliberazione che comunque indica le Associazioni “ che svolgono comprovate attività socialmente utili di interesse cittadino o municipale, su delega o per conto di Roma Capitale ” all’ultimo posto tra le priorità di riacquisizione e rinvia per il resto al Regolamento del 1983.

Il diniego del rinnovo della concessione avrebbe richiesto infatti una specifica valutazione della situazione concreta.

Nell’ambito di tale necessaria ponderazione, l’Amministrazione avrebbe dovuto tenere conto della circostanza che il mancato rinnovo della concessione avrebbe comportato la cessazione delle numerose attività di rilevanza sociale svolte dall’Associazione.

Il provvedimento impugnato è perciò illegittimo perché non costituisce il frutto di un’adeguata ponderazione esternata mediante idonea motivazione.

Il primo motivo di ricorso è quindi fondato, nei termini sopra illustrati, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi di gravame non ancora scrutinati.

Ne discende l’annullamento del provvedimento reiettivo impugnato per difetto di motivazione, salvo il potere di Roma Capitale di rideterminarsi sulla vicenda de qua , nel rispetto del vincolo conformativo discendente dalla presente sentenza.

Conclusivamente, quindi, il ricorso introduttivo va accolto, mentre i motivi aggiunti vanno dichiarati inammissibili per carenza di interesse ad agire.

Tenuto conto della complessità e della peculiarità del caso, va disposta la compensazione delle spese del giudizio, salvo il rimborso, in favore della ricorrente, del contributo unificato eventualmente versato.

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