TAR Venezia, sez. III, sentenza 2010-11-16, n. 201006046

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. III, sentenza 2010-11-16, n. 201006046
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201006046
Data del deposito : 16 novembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00905/2009 REG.RIC.

N. 06046/2010 REG.SEN.

N. 00905/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 905 del 2009, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. P F C, con domicilio eletto presso l’avv. Innocenzo Megali in Venezia-Mestre, via Poerio, 19;

contro

Il Ministero dell'interno, in persona del Ministro “pro tempore”, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge in Venezia, San Marco, 63;

per l'annullamento

del decreto del Questore di -OMISSIS- 8 gennaio 2009, prot. n. 11/2009, concernente rigetto di istanza di rinnovo di permesso di soggiorno;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno;

Viste le memorie difensive prodotte a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 28 ottobre 2010 il consigliere M B e uditi per le parti gli avvocati Cristiano Biadene, su delega di Crea, per la parte ricorrente e Greco per l’Amministrazione resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Nelle premesse del decreto impugnato, adottato l’8 gennaio 2009 e notificato il 15 marzo 2009, il Questore di -OMISSIS- precisa che lo straniero:

-nel 1999 è stato condannato, dal Tribunale di -OMISSIS-, a due mesi di reclusione, con sentenza divenuta irrevocabile, per il reato di cui agli articoli 477 e 482 cod. pen. commesso nel 1996;

-nel 2006 è stato rinviato a giudizio, dal GIP del Tribunale di -OMISSIS-, per il reato di associazione per delinquere in materia di -OMISSIS- (peraltro, nella comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/90 si fa riferimento anche al favoreggiamento all’ingresso clandestino e alla permanenza irregolare nel territorio nazionale, circostanza che trova conferma nella relazione dell’Ufficio Immigrazione di -OMISSIS- 11 maggio 2009, in atti);

- contro lo straniero risultano due notizie di reato del 2006, per inosservanza di pene accessorie, in quanto inosservante dell’obbligo di dimora imposto dall’A. G. e in quanto circolava con una -OMISSIS- risultata falsa.

Ciò premesso, il Questore ha ritenuto che lo straniero sia persona socialmente pericolosa, ai sensi dell’art. 1 della l. n. 1423/56.

Nella motivazione del decreto impugnato si richiama anche l’art. 4, comma 3, del t. u. n. 286/98,nella parte in cui dispone che “non è ammesso in Italia lo straniero che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli -OMISSIS-, la libertà -OMISSIS-, il favoreggiamento dell'immigrazione -OMISSIS- verso l'Italia e dell'emigrazione -OMISSIS- dall'Italia verso altri Stati …” .

A sostegno del ricorso lo -OMISSIS- ha dedotto erronea valutazione dei fatti ed erroneità del giudizio della Questura, insufficiente istruttoria, insussistenza della pericolosità sociale e irragionevolezza: un reato di falso commesso nel 1996 non può ragionevolmente fondare un diniego di rinnovo del permesso di soggiorno;
quanto poi al presunto reato di associazione per delinquere in materia di contraffazione di pubblici sigilli, non risulta emessa alcuna decisione definitiva e irrevocabile di condanna, e le ragioni addotte a sostegno dell’apprezzamento di pericolosità sociale sono inconsistenti e non comprovate ;
quanto alle segnalazioni di reato all’A. G. , risalenti al 2006, le stesse necessitano di riscontro, indagini e accertamenti da parte di un P. M. ;
soltanto il carattere definitivo di una sentenza cristallizza un giudizio di pericolosità sociale di un soggetto, ai sensi dell’art. 27, comma 2, Cost. ;
la P. A. , nel decidere, ha sconfinato nell’arbitrio;
il richiamo all’art. 4, comma 3, terzo periodo, del decreto n. 286/98, è erroneo anche perché la disposizione citata va letta in correlazione con l’art. 5, comma 5, del decreto n. 286/98, nella parte in cui quest’ultima norma impone alla P. A. di considerare eventuali nuovi elementi sopraggiunti che consentano il rilascio, o il rinnovo, del titolo di soggiorno;
l’esigenza di verificare la sopravvenienza di elementi che legittimino il rilascio o il rinnovo del permesso imporrebbe alla P. A. , anche nei casi astrattamente riconducibili alle fattispecie ostative di cui al citato art. 4, comma 3, di effettuare un’istruttoria autonoma su circostanze, soggettive e oggettive, preesistenti e sopravvenute, che possano fondare l’accoglimento della istanza di rinnovo. Lo -OMISSIS- ha sempre lavorato regolarmente in Italia, ha moglie e figlio in Italia, l’espletamento di un’istruttoria completa avrebbe dimostrato che era impossibile esprimere un giudizio negativo preclusivo del rinnovo del permesso ;
in ogni caso, la valutazione dei requisiti previsti per il rinnovo del titolo di soggiorno va compiuta alla luce del preminente carattere dell’attualità. Da ultimo il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, del t. u. n. 286/98, nella parte sopra trascritta, letto in correlazione con l’art. 5, comma 5, del t. u. medesimo, in riferimento all’art. 3 Cost. , per violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza .

Con ordinanza 6 maggio 2009, n. 455, la domanda cautelare è stata accolta considerando che, a un primo esame, la pericolosità sociale del ricorrente non risulta essere stata correttamente valutata.

Nel costituirsi in giudizio il 31 marzo 2010 l’Avvocatura dello Stato ha depositato in giudizio una nota di chiarimenti dell’Ufficio Immigrazione della Questura di -OMISSIS- dell’11 maggio 2009, con documenti.

Il 22 luglio 2009 il Questore di -OMISSIS- ha adottato un decreto di conferma del rigetto della istanza di rinnovo del permesso.

2.- Il ricorso è infondato e va respinto. La decisione assunta dal collegio il 6 maggio 2009, nella fase cautelare, “a un sommario esame” degli atti, appare, a questo collegio, suscettibile di un meditato riesame, e ciò anche alla luce della documentata nota di chiarimenti 11 maggio 2009 dell’Ufficio Immigrazione della Questura di -OMISSIS-.

Prima di esaminare il merito della controversia va sottolineata la irrilevanza, ai fini processuali, del decreto, datato 22 luglio 2009, di conferma del rigetto della istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, decreto adottato dal Questore di -OMISSIS- richiamando, tra l’altro, l’ordinanza di sospensiva “propulsiva” del Tar n. 455/09. L’Amministrazione non ha infatti comprovato di avere comunicato questo secondo decreto di diniego allo straniero, ai sensi dell’art. 21 bis della l. n. 241/90. L’analisi del ricorso va imperniata, dunque, anche nella presente fase di merito, solo sul diniego in epigrafe indicato.

A questo riguardo, va rammentato che, come si è detto sopra, al p. 1. , il Questore, nel giustificare il diniego di rinnovo del permesso, ha richiamato sia l’automatismo di cui all’art. 4, comma 3, terzo periodo, del t. u. n. 286 del 1998, sia il giudizio di pericolosità sociale dello straniero, di cui all’art. 1 della l. n. 1423 del 1956. Il decreto impugnato si basa, dunque, su due argomentazioni tra loro autonome. E per costante giurisprudenza –il che esime il Collegio dal fare citazioni specifiche-, quando un provvedimento amministrativo si regge su due capi di motivazione autonomi è sufficiente, per ritenere legittimo l’atto, che uno dei due argomenti che sorreggono l’atto sia immune da censure.

Ora, il richiamo, contenuto nella motivazione del decreto impugnato, all’automatismo di cui all’art. 4, comma 3, terzo periodo, è chiaramente erroneo, atteso che la norma appena citata, la quale introduce una presunzione “ex lege” di pericolosità sociale, menziona, quali elementi ostativi al rinnovo del titolo di soggiorno, le condanne per i reati previsti dall’art. 380, commi 1 e 2, c.p.p. (arresto obbligatorio in flagranza), e altri reati gravi o, comunque, di non scarso rilievo (v. C. cost. , n. 148/07, p. 4.). Nella specie, la sentenza di condanna emessa a carico dello -OMISSIS- nel 1999 per falsità materiale commessa da privato in certificati è relativa a un reato, quello di cui agli articoli 477 e 482 c. p. , che non rientra nell’ambito di applicazione del citato art. 4 comma 3 sui reati ostativi. Quasi inutile aggiungere che neanche ricade nel campo di applicazione suddetto il rinvio a giudizio per associazione per delinquere, non essendo intervenuta sentenza di condanna, neppure di primo grado.

Si tratta allora di stabilire se il giudizio di pericolosità sociale sul quale si regge l’atto impugnato resista alle censure proposte.

Il Collegio ritiene che la valutazione di pericolosità sociale che, ai sensi dell’art. 1 della l. n. 1423/56, il Questore di -OMISSIS- ha posto a base dell’impugnato diniego, non sia illegittima.

A questo proposito va rammentato, in via preliminare e generale, che l’apprezzamento della pericolosità sociale è giudizio caratterizzato da una discrezionalità assai ampia ed è sindacabile dinanzi al giudice amministrativo unicamente nei casi di illogicità e di carenza dei presupposti. Non pare inutile aggiungere, tanto più avendo riguardo alle particolarità della presente controversia, che l’apprezzamento sulla pericolosità sociale può anche prescindere da accertamenti intervenuti in sede penale, terminati con una sentenza di condanna. L’apprezzamento formulato ai sensi dell’art. 1 della l. n. 1423 del 1956 può, cioè, essere legittimamente correlato a comportamenti per i quali è stata accertata in sede penale, con provvedimento di applicazione della custodia cautelare in carcere, la sussistenza, tra l’altro, di gravi indizi di colpevolezza, qualora si tratti –come nella specie- di fatti gravi, idonei a destare allarme sociale nella collettività. Ciò che rileva ai fini della legittimità di un diniego di rinnovo di permesso fondato su una valutazione di pericolosità sociale è che l’atto indichi in modo corretto elementi di fatto sintomatici di una situazione di pericolosità per la sicurezza pubblica.

Nella specie, e nella prospettiva sopra delineata, la valutazione di pericolosità sociale fatta dal Questore di -OMISSIS- appare motivata in maniera sufficiente e non risulta illogica. In particolare, dal rinvio a giudizio, e dall’ordinanza di applicazione di misure cautelari, a carico dello -OMISSIS-, per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento della immigrazione -OMISSIS- e alla falsificazione di documenti (come l’Ufficio Immigrazione di -OMISSIS- ha chiarito con la nota 11 maggio 2009 –v. anche l’ord. GIP Trib. -OMISSIS-, in atti - e si consideri che l’emissione di ordinanze di misure cautelari presuppone la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza) emerge la gravità della condotta illecita attribuita allo straniero e vagliata come esistente da un giudice imparziale e terzo. Insieme con gli altri elementi, peraltro non gravi, indicati nelle premesse del decreto, la condotta suddetta è stata legittimamente considerata sintomo di pericolosità sociale dello straniero. Il fatto-reato per il quale sono stati disposti il rinvio a giudizio e la misura cautelare, pur non essendo recente, non risale neppure a epoca risalente nel tempo. A ciò va aggiunto che il ricorrente non ha prodotto allegazioni significative idonee a comprovare un suo stabile e lecito inserimento lavorativo nel Paese (v. allegati 10, 11, 13, 15, 16, 18 e 19 fasc. ric.). Né può bastare, per superare gli elementi sfavorevoli al ricorrente ricavabili dai dati sopra evidenziati e, in definitiva, per sovvertire la decisione finale del Questore, la dichiarazione di intenti datata 24 marzo 2009, vale a dire successiva all’adozione e alla notifica del diniego, relativa alla assunzione dello -OMISSIS- quale operaio di 3° livello presso la s.r.l. Ital Costruzioni, non appena lo straniero avrà regolarizzato la propria posizione.

Quanto all’esistenza di legami familiari in Italia, l’interesse dello straniero alla conservazione dell’unità del nucleo familiare va bilanciato con altri valori costituzionali, primi fra tutti quelli relativi al mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico, sottesi dalle norme sull’ingresso e sul soggiorno degli stranieri.

In conclusione, gli elementi evidenziati nella motivazione del decreto del Questore sono stati legittimamente considerati sintomi di pericolosità sociale dello straniero, avuto anche riguardo –giova ripeterlo- al fatto che l’apprezzamento della pericolosità sociale è contraddistinto da un’ampia discrezionalità, sindacabile avanti al giudice amministrativo esclusivamente nei ristretti limiti già visti.

Il dubbio di incostituzionalità dell’art. 4, comma 3, del t. u. n. 286/98, nella parte sopra trascritta, letto in correlazione con l’art. 5, comma 5, del t. u. medesimo, in riferimento all’art. 3 Cost. , per violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, è manifestamente inammissibile per irrilevanza giacché, come si è visto, il richiamo, fatto nel decreto impugnato, all’automatismo di cui al citato art. 4, comma 3, è erroneo, sorreggendosi, l’atto, essenzialmente, sull’apprezzamento di pericolosità sociale. In ogni caso, sulla questione di illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, cit. , si rinvia a C. cost. , n. 148/08, che ha dichiarato infondata la questione sollevata.

Resta ferma la possibilità, per il ricorrente, di richiedere alla Questura il riesercizio dell’azione amministrativa e il riesame della propria posizione alla luce di nuovi elementi sopraggiunti eventualmente favorevoli, con riferimento, ad es. , al sopravvenuto possesso di requisiti di reddito adeguati.

Il ricorso va dunque respinto ma le spese possono essere compensate, concorrendo giusti motivi e tenuto anche conto degli esiti differenti della fase cautelare e del giudizio di merito.

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