TAR Palermo, sez. II, sentenza breve 2021-11-02, n. 202102998

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. II, sentenza breve 2021-11-02, n. 202102998
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202102998
Data del deposito : 2 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/11/2021

N. 02998/2021 REG.PROV.COLL.

N. 01667/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1667 del 2021, proposto da
S P, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Carini, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

dell’ordinanza di ingiunzione a demolire n.54 del 01.06.2021, prat. n. 14/2008/V, emessa dalla Città di Carini - Ripartizione X^ Abusivismo e repressione – fascia Costiera- Patrimonio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Carini;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2021 il cons. Nicola Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


Con ricorso notificato in data 1° settembre 2021, e depositato il successivo 28 settembre, il ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe articolando le censure di: I) Violazione e falsa applicazione art. 20 l.r. 16/04/2003 n.

4 - Mancanza dei presupposti per l'emissione dell'ordine di demolizione;
II) Violazione e carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’emissione del provvedimento;
III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 31, comma 2, D.P.R. n. 380/2001- Eccesso di potere per difetto di istruttoria e dei presupposti per mancata individuazione dell’area da acquisire.

Sostiene il ricorrente che l’ordinanza ingiunzione impugnata sarebbe illegittima in quanto, nell’ordinare la demolizione delle opere realizzate per la chiusura del terrazzo del primo piano, il Comune ha omesso di considerare la previsione dell’art. 20 della legge reg. n. 4 del 2003, che consente la chiusura di terrazze con strutture precarie;
inoltre il provvedimento impugnato sarebbe privo di adeguata motivazione e non conterrebbe la doverosa indicazione dell’area da acquisire, in caso d’inottemperanza all’ordine di demolizione.

Si è costituito il Comune di Carini, depositando memoria di replica alle argomentazioni sviluppate in ricorso.

Alla camera di consiglio, fissata per la trattazione della domanda cautelare proposta da parte ricorrente, il Presidente del Collegio ha rappresentato la possibilità che la controversia venga decisa con sentenza in forma semplificata;
i procuratori delle parti nulla hanno osservato in merito, e il ricorso è stato posto in decisione.

Ritiene preliminarmente il Collegio che il giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., adottata in esito alla camera di consiglio per la trattazione delle istanze cautelari, sussistendone tutti i presupposti;
possibilità, questa, espressamente indicata dal Presidente del Collegio, in occasione della predetta adunanza camerale.

Il ricorso è privo di fondamento.

Rileva preliminarmente il Collegio che, data la lacunosità della documentazione depositata da parte ricorrente, non è chiaro se tutti gli abusi rilevati nella struttura che viene in rilievo siano stati oggetto della domanda di sanatoria ex art. 36 del T.U. n. 380 del 2001, della cui presentazione viene dato atto in seno al ricorso e sulla quale non risulta essere stato adottato alcun atto da parte del Comune di Carini;
appare pertanto plausibile ritenere che tale istanza sia stata respinta, quanto meno in via implicita.

Con il primo motivo di ricorso viene lamentata - in modo alquanto generico – la mancata considerazione della previsione dell’art. 20 della legge reg. n. 4 del 2003, che consente la chiusura di terrazze con strutture precarie.

In ogni caso la norma invocata da parte ricorrente non consente la realizzazione su terrazze di qualsiasi opera edile, in assenza di titolo edilizio abilitativo, ma esclusivamente la realizzazione di limitate chiusure con strutture precarie, che non modifichino la destinazione d’uso delle terrazze stesse.

Una diversa e più ampia lettura della norma che viene in considerazione, non soltanto sarebbe in contrasto con il suo tenore letterale, ma sarebbe del tutto illogica e irragionevole consentendo, a regime, la sostanziale violazione dei principi stessi sui quali si basa la possibilità di realizzare opere edili, quali la necessità del previo permesso e della rispondenza ai parametri edilizi e urbanistici vigenti.

Ciò posto parte ricorrente non fornisce alcuna indicazione, nè elementi di prova, sulla consistenza delle opere realizzate, che, in tesi, non potrebbero non avere natura precaria, e sul fatto che non hanno snaturato la destinazione d’uso del terrazzo in cui sono state realizzate;
non può infatti certamente ritenersi che l’art. 20 della legge reg. n. 4 del 2003 consenta il generale ampliamento dell’immobile interessato, attraverso lo sfruttamento di spazi destinati a terrazza, in assenza di permesso e della sussistenza dei necessari parametri edilizi e urbanistici.

In tali condizioni la censura in esame risulta del tutto generica e non circostanziata e, nei termini in cui è proposta, non può non essere valutata priva di fondamento.

Privo di fondamento è anche il secondo motivo di ricorso sulla base del principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa che si è occupata della questione, secondo il quale un ordine di demolizione è sufficientemente motivato attraverso l’indicazione del carattere abusivo dell’opera realizzata, data la doverosità dell’intervento repressivo del Comune (Cons. di Stato, IV, n. 3330/2020;
T.A.R. Piemonte n. 622/2020;
T.A.R. Lazio, Roma, n. 5400/2021).

Le diverse argomentazioni sviluppate in ricorso - in ragione delle quali nella vicenda in questione tale principio non dovrebbe operare - non sono condivisibili, in quanto, qualsiasi soggetto proprietario di un immobile nel quale sono stati realizzati abusi edilizi, seppur in ipotesi non autore degli stessi, in quanto realizzati dal precedente proprietario, ben avrebbero potuto, e dovuto con un minimo di diligenza, averne percezione al momento dell’acquisto dell’immobile, confrontando i titoli edilizi ottenuti con il suo reale stato di fatto.

Inoltre, per orientamento giurisprudenziale assolutamente prevalente, al quale il Collegio intende dare continuità, il decorso del tempo (anche lungo) tra la realizzazione dell’opera abusiva e il suo accertamento non determina l’insorgenza di uno stato di legittimo affidamento per il privato, né comporta in capo all'Amministrazione alcuno specifico onere di motivazione (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 21 gennaio 2020, n. 277;
Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9;
T.A.R., Sicilia, Palermo, Sez. II, 24/03/2015, n. 713;
T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 luglio 2020, n. 1526).

Con riguardo poi al terzo motivo di ricorso, la costante giurisprudenza amministrativa, alla quale il Collegio intende adeguarsi, ha precisato che non costituisce motivo d’illegittimità di un ordine di demolizione la mancata individuazione dell’area che il comune acquisirebbe, in caso d’inottemperanza a tale ordine, ben potendo tale area essere individuata anche in un successivo momento (ex multis, T.A.R. Napoli, Sez. III, 5 settembre 2017 n. 4249;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-quater, 23 marzo 2018 n. 3299;
T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 30 luglio 2019, n. 1985).

In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

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