TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-01-17, n. 202300836

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. IV, sentenza 2023-01-17, n. 202300836
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202300836
Data del deposito : 17 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/01/2023

N. 00836/2023 REG.PROV.COLL.

N. 07658/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7658 del 2021, proposto da
D L, rappresentato e difeso dall'avvocato R M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via Paolo Emilio, 34;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, rappresentato e difeso dagli avvocati A D M e A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, Via Cesare Beccaria, 29

per l'annullamento

dei provvedimenti di liquidazione del trattamento di fine servizio, della pensione e delle altre indennità dovute al momento del congedo, nella parte in cui assumono nella base pensionabile le voci stipendiali decurtate per effetto del decreto legge n. 78/2010;
ha chiesto, altresì, l’accertamento del diritto a “ vedersi computare, ai fini della determinazione della base contributiva e di calcolo del T.F.S., della pensione e delle altre indennità dovute in ragione del congedo, il trattamento economico dirigenziale e le classi e gli scatti stipendiali non corrisposti durante il c.d. blocco retributivo in forza dei commi 1 e 21 dell’articolo 9, d.l. n. 78/2010, i cui effetti sono stati prorogati dall’articolo 1, comma 1, lettera a), d.p.r. n. 122/2013 e dall’articolo 1, comma 256, l. n. 190/2014, nonché versare le correlate ritenute previdenziali ed assistenziali;
ed alla connessa riliquidazione del t.f.s., della pensione e delle altre indennità dovute in ragione dell’anzianità di servizio maturata e della qualifica conseguita
”.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2023 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il dott. D L, Generale di Brigata della Guardia di Finanza, posto in congedo in data 31.5.2012 nella posizione di “ausiliaria” e collocato nella “riserva” con decorrenza 1.6.2017, ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti di liquidazione del trattamento di fine servizio, della pensione e delle altre indennità dovute al momento del congedo, nella parte in cui assumono nella base pensionabile le voci stipendiali decurtate per effetto del decreto legge n. 78/2010;
ha chiesto, altresì, l’accertamento del diritto a “ vedersi computare, ai fini della determinazione della base contributiva e di calcolo del T.F.S., della pensione e delle altre indennità dovute in ragione del congedo, il trattamento economico dirigenziale e le classi e gli scatti stipendiali non corrisposti durante il c.d. blocco retributivo in forza dei commi 1 e 21 dell’articolo 9, d.l. n. 78/2010, i cui effetti sono stati prorogati dall’articolo 1, comma 1, lettera a), d.p.r. n. 122/2013 e dall’articolo 1, comma 256, l. n. 190/2014, nonché versare le correlate ritenute previdenziali ed assistenziali;
ed alla connessa riliquidazione del t.f.s., della pensione e delle altre indennità dovute in ragione dell’anzianità di servizio maturata e della qualifica conseguita
”.

Il ricorrente ha esposto che “ avendo maturato tutti i necessari presupposti giuridici (…) dal 3.10.2011 avrebbe avuto diritto al Trattamento economico dirigenziale (dei 25 anni dalla nomina ad Ufficiale) ed alle Classi e Scatti stipendiali dovuti, comprese le correlate ritenute percentuali ai fini assistenziali e previdenziali;
che, invece, non gli sono stati erogati in quanto maturati, in costanza di rapporto, durante il periodo del c.d. blocco retributivo
” (cfr. pag. 3);
ha soggiunto che le disposizioni legislative che hanno imposto il contestato regime sono state, in effetti, ritenute legittime dalla Corte Costituzionale, ma “ nel caso in cui il blocco degli stipendi avesse determinato effetti irreversibili e di fatto permanenti – come poi è accaduto nel caso in esame – le norme de quibus non avrebbero potuto superare il vaglio di costituzionalità: d’altronde, lo stesso d.l. n. 78/2010 già escludeva qualsivoglia riflesso di risparmio derivante dalla generazione di effetti permanenti sul trattamento pensionistico ”;
ha, quindi, evidenziato che “ con l’approvazione della c.d. “legge di stabilità 2015” (n. 190/2014), essendo cessati dall’01.01.2015 gli effetti economici negativi prodotti dal c.d. “blocco retributivo” – ad eccezione di quelli relativi agli adeguamenti automatici degli stipendi per il personale non contrattualizzato (sistema di classi e scatti - adeguamento ISTAT), ulteriormente prorogati al 31.12.15 – le Amministrazioni interessate hanno provveduto ad adeguare il trattamento economico al solo personale in attività di servizio al 1° gennaio 2015 che, durante il precedente quadriennio, aveva maturato i requisiti giuridici per il riconoscimento dei relativi benefici, senza diritto alla percezione di arretrati ”: un intervento riequilibratore che, però, non sarebbe stato operato “ per il personale che invece, come nel caso del ricorrente, era stato congedato durante il periodo che va dall’1.01.2011 al 31.12.2014 ”, nel senso che “ gli effetti economici negativi di cui sopra (…) hanno prodotto decurtazioni irreversibili sull’ammontare dei trattamenti pensionistici dovuti (T.F.S., Pensione e Indennità correlate all’anzianità di servizio maturata e alla qualifica conseguita), in considerazione del fatto che i relativi importi sono stati calcolati senza tenere conto degli incrementi stipendiali maturati nel predetto periodo: essendo la determinazione dei suddetti trattamenti pensionistici correlata all’ultimo stipendio percepito (quello in godimento al momento del congedo), gli incrementi stipendiali assoggetti al relativo “blocco” non sono stati valorizzati a tal fine ” (cfr. pag. 7);
pertanto, il ricorrente avrebbe ottenuto un trattamento pensionistico (€. 7.299,63 mensili) notevolmente inferiore a quanto ritenuto legittimo e prospettando “ la riparazione mediante la rideterminazione della relativa base imponibile ai fini della riliquidazione del trattamento di fine servizio (per una maggiore somma pari a circa 30.000.00 euro lorde), della pensione (per una maggiore somma pari a circa 11.000.00 euro lordi annui) e delle altre indennità dovute in ragione dell’anzianità di servizio maturata e della qualifica conseguita (ammontanti a circa 6.000,00 euro lorde) ” (cfr. pag. 8).

Il ricorrente ha, in particolare, stigmatizzato la disparità di trattamento che deriverebbe dalla circostanza che “ la progressione economica non gli è stata mai attribuita durante il servizio ” e che, quindi, “ non riconoscerla - a decorrere dal 1° gennaio 2015 - anche ai fini pensionistici, determina un ingiusto e iniquo consolidamento degli effetti economici negativi previsti dal d.l. 78/2010, determinando un’irrazionale e definitiva decurtazione dell’emolumento, stigmatizzata anche dalla Consulta ” (cfr. pag. 8);
in sostanza, “ la disciplina vigente al momento del collocamento in quiescenza (…) stabiliva, infatti, che le progressioni di carriera disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, solo ai fini giuridici. Però, a causa del “naturale” raggiungimento dei limiti d’età egli si è visto costretto ad andare in quiescenza proprio durante il blocco, così non usufruendo degli effetti economici che per legge, vigente al momento del suo collocamento in quiescenza, gli sarebbero spettati a decorrere dall’1.1.2015, ove non fosse stato posto in congedo ” (cfr. pag. 12);
di contro, l’applicazione di una interpretazione costituzionalmente orientata sostanzierebbe il presupposto giuridico che osta al pieno riconoscimento degli emolumenti oggetto del contendere: il che ha condotto il ricorrente ha chiedere, ove necessario, la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale afferente ai commi 1 e 21 dell’art. 9 del DL 78/2010.

Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’economia e delle finanze (13.8.2021) e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (24.9.2021), quest’ultimo eccependo, preliminarmente, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore della Corte dei Conti quale giurisdizione afferente le pensioni pubbliche e, nel merito, opponendo che “ la progressione di carriera nel periodo di riferimento, infatti, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 9, co. 1 e 21, d.l.78/2010 con conseguente efficacia solo giuridica (ma non economica) della promozione ” (cfr. pag. 3) e sottolineando che le questioni di merito oggetto del giudizio sarebbero state definite dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 200/2018.

In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per l’11 gennaio 2023, le parti hanno depositato le rispettive memorie e repliche.

In particolare:

- nella memoria depositata il 7.11.2022 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’economia e delle finanze hanno, preliminarmente, opposto il loro difetto di legittimazione passiva per i profili pensionistici, in merito ai quali tale legittimazione sarebbe individuabile soltanto nell’INPS;
hanno, poi, opposto che “ a decorrere dal 01.01.2011, i provvedimenti di promozione intervenuti nel triennio 2011 – 2013 e nell’anno 2014 sono stati adottati ai soli fini giuridici, mentre non hanno potuto produrre effetti sui trattamenti retributivi, pensionistici e di fine servizio, in assenza di qualsiasi possibilità di conferimento per l’intero triennio delle attribuzioni economico-stipendiali superiori ” (cfr. pag. 2);
e che, comunque, “ il legislatore, nel sancire che le progressioni di carriera comunque denominate disposte negli anni 2011, 2012, 2013 e 2014 hanno effetto, per i predetti anni, esclusivamente ai fini giuridici, non ha previsto espressamente alcuna eccezione, né alcuna possibilità di deroga, manifestando perciò anche la volontà di non salvaguardare in fase applicativa alcuna specifica categoria o fattispecie ” (cfr. pag. 4);
ha, inoltre, eccepito la prescrizione dei crediti oggetto della pretesa azionata in giudizio sul presupposto che il ricorrente si sarebbe “ congedato ben prima del quinquennio antecedente la proposizione del ricorso ” (cfr. pag. 7);

- nella memoria del 7.12.2022 il ricorrente ha replicato di aver interrotto la prescrizione mediante la notificazione, in data 6.2.2017, della diffida volta ad ottenere gli emolumenti in questione;
ha, inoltre, replicato all’eccezione di difetto di legittimazione sull’assunto che, nella specie, sarebbe ravvisabile un liticonsorzio necessario tra le Amministrazioni intimate;
ha, sempre in via preliminare, replicato all’eccezione di difetto di giurisdizione richiamando la disciplina di cui all’art. 133 c.p.a. con riferimento ai rapporti di lavoro;

- nella memoria del 9.12.2022 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’economia e delle finanze hanno eccepito l’irricevibilità del ricorso sulla base di un richiamo, contenuto in una nota del 17.5.2017, ad un provvedimento lesivo che sarebbe stato già notificato;
hanno, inoltre, eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio ne bis in idem, e ciò sul presupposto che “ la Corte dei Conti, adita dal ricorrente con il gravame (…) – con il quale erano già stati impugnati, peraltro, gli atti oggetto dell’odierno ricorso al T.A.R. Lazio – con sentenza passata in giudicato (…) sul medesimo petitum ” si sarebbe pronunciata “ rigettando per infondatezza le richieste avanzate dall’interessato ” (cfr. pag. 4);
per il resto, hanno ribadito l’infondatezza del ricorso.

All’udienza pubblica dell’11 gennaio 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Preliminarmente, va respinta l’eccezione di irricevibilità, dal momento che la nota del 17.5.2017, opposta dalla difesa erariale quale documento che comproverebbe l’avvenuta notificazione di un provvedimento di diniego del riconoscimento degli emolumenti controversi, non è corredata da alcun, ulteriore, atto che, appunto, possa sostanziare la conferma del contenuto dispositivo.

Sempre in via preliminare, va, invece, parzialmente accolta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio ne bis in idem.

La difesa erariale ha depositato, infatti, la sentenza n. 538 del 31 ottobre 2019, con cui la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei Conti, nella quale è evidenziato che il ricorrente, dopo aver esposto di essere stato “ collocato in congedo per limiti di servizio il 4/10/2011 ” e che “ nel periodo in questione era intervenuto il cd. blocco del tetto salariale ossia degli incrementi correlati alle progressioni in carriera conseguite nel medesimo periodo ”, ha (già) chiesto “ il riconoscimento del proprio diritto all'attribuzione degli emolumenti pensionabili derivanti dalla progressione in carriera avvenuta durante il blocco retributivo, perpetrato ad opera dell'art. 9 della legge 122/2010;
ciò, ai fini della determinazione della base di calcolo della pensione e del TFS
”;
il giudice contabile, con tale pronuncia, ha dichiarato il “ difetto della giurisdizione (…) in ordine al solo capo della domanda concernente la determinazione del TFS, il ordine al quale è competente il giudice del rapporto di servizio ” e, nel merito, ha respinto il ricorso.

Pertanto, l’unico profilo di ammissibilità del ricorso è rappresentato dalla domanda di accertamento della base del trattamento di fine servizio, laddove la cognizione su qualsiasi altro emolumento è preclusa dal giudicato formatosi sulla predetta sentenza.

Da respingere, sebbene parzialmente, è l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, opposta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell’economia e delle finanze;
ciò in quanto soltanto la prima di tali Amministrazioni è da ritenere estranea al rapporto di immedesimazione organica del ricorrente, mentre il Ministero resistente si configura alla stregua del datore di lavoro pubblico.

Venendo al merito, il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Il ricorrente, con istanza del 6.2.2017, ha chiesto la rivalutazione del trattamento pensionistico per gli anni 2012 e 2013 e relativi adeguamenti per gli anni 2014 e 2015, nonché i “ danni economici determinatisi per effetto del D.L. nr. 78/2010 (…) per coloro che sono andati in pensione con lo stipendio congelato per effetto della mancata percezione dell’assegno di funzione, delle parametrazioni +25, del trattamento dirigenziale, del trattamento che ha subito la decurtazione del T.F.S., delle altre indennità e del trattamento pensionistico ”.

L’art. 9, comma 21 del DL 78/2010, convertito dalla legge 122/2010, ha previsto che “ i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici ”.

L’inequivocabile tenore della predetta disposizione osta, perciò, alla possibilità che sia riconosciuto al ricorrente il diritto alla riliquidazione del TFS quale istituto che assomma in sé profili retributivi e previdenziali e che, pertanto, sarebbe suscettibile di essere incrementato in funzione del suo sviluppo di carriera.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 200 del 15 novembre 2018, ha statuito:

a) che “ una volta posta la regola dell’invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di carriera – senza che si dubiti della legittimità costituzionale di tale regola di iniziale immodificabilità in melius della retribuzione, vuoi perché non ne dubita la Corte dei conti rimettente, vuoi perché questa Corte ha già ritenuto non fondate questioni di costituzionalità riguardanti la retribuzione e non già la pensione (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) – la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale è generalizzata e non consente di porre utilmente a raffronto il trattamento pensionistico, spettante ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio in questione, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in quiescenza dopo la scadenza di tale periodo. Così come, con riferimento al blocco della contrattazione collettiva, non potrebbero esser posti in comparazione i trattamenti pensionistici liquidati prima e dopo un incremento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva, una volta cessato il periodo di sospensione ”;

b) che “ una volta che non si dubita dell’adeguatezza della retribuzione spettante al pubblico dipendente “promosso”, la stessa varrà anche sul piano (contributivo e) previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico al quale il dipendente stesso ha diritto, quale che sia il sistema di calcolo, se contributivo o ancora residualmente retributivo. Questa Corte, con riferimento alla stessa disposizione attualmente censurata (art. 9, comma 21, terzo periodo, citato) ha affermato che «non è prevista l’obbligatoria corrispondenza tra grado e funzioni e, conseguentemente, tra grado e trattamento economico collegato all’esercizio delle funzioni» (sentenza n. 304 del 2013). E ha ritenuto anche che non fosse violato il principio di eguaglianza in ragione della denunciata disparità di trattamento tra dipendenti che avevano conseguito una progressione di carriera raggiungendo un grado più elevato prima o dopo l’inizio del blocco stipendiale (sentenza n. 154 del 2014) ”.

Tale pronuncia, che il ricorrente non ha neppure richiamato nei propri scritti, depone per l’infondatezza dell’assunto secondo il quale il diritto al riconoscimento degli emolumenti richiesti (e, sulla scorta dell’esclusivo profilo esaminabile, del diritto alla ridefinizione della determinazione del TFS) troverebbe radicamento in una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa contestata.

Una normativa che, invero, è espressione di discrezionalità legislativa, cioè dell’esercizio di una potestà che – come ha teorizzato la dottrina pubblicistica – è da considerare libera e incondizionata, cosicché quando un atto legislativo risulti costituzionalmente vincolato al perseguimento di determinate finalità pubbliche (nella specie, la giurisprudenza ha evidenziato che l’art. 9 del DL 78/2010 “ mira ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica − sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono − e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio” (TAR Lazio, sentenza nr. 5676/2014) ”, cfr. TAR Lazio, 2 febbraio 2022, n. 1256), la discrezionalità legislativa esprimerà un limite funzionale di natura prevalentemente interna alla produzione normativa.

Quanto ora osservato può essere utilmente sintetizzato dalla legge 87/1953 (“ Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale ”), la quale prevede, all’art. 28, che (perfino) “ il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento ”.

Alla luce della giurisprudenza costituzionale sopra indicata sono, infine, da ritenere manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dal ricorrente.

Con la sentenza n. 310 del 17 dicembre 2013 il Giudice delle leggi ha dichiarato “ la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36 e 53 ”.

Il ricorrente ha richiamato tale pronuncia evidenziando, in sostanza, l’illegittimità correlata al carattere “ eccezionale, transeunte, non arbitrario ” che dovrebbe riguardare gli interventi legislativi che perseguono il contenimento della spesa pubblica;
ma non ha, però, preso in alcun esame la sentenza n. 300/2018, in cui la Corte ha decisivamente sottolineato che “ spetterebbe comunque al legislatore, nell’esercizio discrezionale delle scelte di politica economica e di compatibilità con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica, prevedere eventualmente quanto richiede il giudice rimettente: la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali, e che nello stesso periodo abbiano conseguito una progressione di carriera o un passaggio a un’area superiore ”: una statuizione che, a tutto concedere, comunque precluderebbe al Collegio di riconoscere e attribuire emolumenti totalmente privi di una base di diritto positivo.

In conclusione, il ricorso è, in parte, inammissibile e, in parte, va respinto, nei sensi espressi in motivazione.

Si ravvisano i presupposti per disporre la compensazione delle spese processuali.

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