TAR Catanzaro, sez. II, sentenza 2017-01-18, n. 201700068

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catanzaro, sez. II, sentenza 2017-01-18, n. 201700068
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catanzaro
Numero : 201700068
Data del deposito : 18 gennaio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/01/2017

N. 00068/2017 REG.PROV.COLL.

N. 01035/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1035 del 2013, proposto da:
G S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati I D B, G M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. I D B in Catanzaro, via Alberti N. 20;

contro

Comune di Caraffa di Catanzaro, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;

nei confronti di

Associazione Temporanea Costituita Tra Le Imprese Ing. S M, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato L S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Raffaele Fioresta in Catanzaro, via del Commercio, 2;

per l'annullamento

della determinazione del Settore tecnico comunale del Comune di Caraffa di Catanzaro n.74 del 17 giugno 2013, reg. gen. 205, con la quale è stata dichiarata l’esclusione dalla gara per la “ Cantierizzazione e realizzazione del progetto preliminare del sito Vrasù ” della ditta G s.r.l.;
è stato rettificato il verbale di gara del 18 dicembre 2012 con il quale la ditta Gerardino era stata ammessa alla gara, nonché il verbale di gara del 5 marzo 2013 con il quale la ditta Gerardino era stata dichiarata aggiudicataria provvisoria del servizio in appalto;
è stata dichiarata aggiudicataria definitiva l’Associazione Temporanea di Imprese Ing. S M;

nonché per l’annullamento di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso, compresa, ove occorrer possa, la nota del responsabile del settore tecnico comunale del Comune di Caraffa di Catanzaro prot. n.2154 del 13 maggio 2013;

per la dichiarazione di inefficacia dell’eventuale contratto di appalto stipulato dal Comune di Caraffa di Catanzaro con l’ATI Ing. S M e per la consequenziale dichiarazione del diritto della G s.r.l. a vedere pronunciata in suo favore l’aggiudicazione definitiva della gara e a veder stipulato il relativo contratto di appalto;

in via subordinata, per il risarcimento del danno patito dalla società ricorrente per la mancata aggiudicazione della gara in suo favore, da quantificarsi nella misura del mancato utile di impresa.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Associazione Temporanea Costituita Tra Le Imprese Ing. S M;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2017 la dott.ssa G A S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. G s.r.l. contesta la sua esclusione dalla gara per la “ Cantierizzazione e realizzazione del progetto preliminare del sito Vrasù " del Comune di Caraffa;
contesta, altresì, la successiva aggiudicazione definitiva in favore dell’Associazione Temporanea di Imprese Ing. S M;
chiede, quindi, l’annullamento degli atti impugnati, la dichiarazione di inefficacia dell’eventuale contratto di appalto stipulato, la dichiarazione del diritto della stessa all’aggiudicazione e, in via subordinata, il risarcimento dei danni subiti.

Ha premesso che, ammessa alla gara e dichiarata aggiudicataria provvisoria (verbale di gara del 5 marzo 2013), veniva informata dal Comune, con nota prot. n.2154 del 13 maggio 2013, del ricorso del sig. M, titolare dell’ATI omonima, con cui questi contestava la legittimità della detta aggiudicazione provvisoria per carenza della certificazione di cui all’art.38, non essendo state prodotte dalla G s.r.l. le certificazioni di tutti i soci di maggioranza.

Ha esposto che ricevuta tale comunicazione, con cui il Comune informava la ricorrente che il ricorso del M appariva meritevole d’accoglimento, la stessa contestava la fondatezza del ricorso e trasmetteva al Comune, in data 4 giugno 2013, le dichiarazioni degli altri due soci G Camillo e G Rosanna.

Ha rappresentato che ciononostante il Comune, ritenute inammissibili le ulteriori certificazioni in quanto trasmesse oltre i termini fissati, dichiarava l’esclusione della ditta G srl e procedeva all’aggiudicazione in favore della RPT M.

La ricorrente s.r.l. ha, quindi, impugnato gli atti in epigrafe, deducendo i seguenti motivi:

I) Violazione della lex specialis ed in particolare degli artt. 3, 4 e 5 dell’avviso pubblico;
Violazione del principio del favor partecipationis;
Eccesso di potere per violazione del procedimento, per contraddittorietà tra provvedimenti e per ingiustizia manifesta
: il comportamento tenuto dalla società ricorrente sarebbe conforme alle previsioni degli atti di gara e la rilevata carenza di cui all’art.38 sarebbe certamente riconducibile, almeno in parte, ad un’ambigua formulazione del bando e ad un altrettanto ambiguo svolgimento del procedimento;

II) Violazione dell’art.46 del D.Lgvo 163/2006. Eccesso di potere per violazione del procedimento, per difetto di istruttoria e per violazione del principio di proporzionalità : a) ai sensi dell’art.46 del Codice dei Contratti Pubblici, in presenza, come nel caso, di dichiarazioni ex art.38 non omesse ma incomplete, l’amministrazione appaltante avrebbe dovuto consentire l’integrazione;
b) l’amministrazione è stata messa in condizione di conoscere la composizione della società e di richiedere le certificazioni necessarie relativamente a tutti i soggetti ritenuti rilevanti ai fini della verifica di eventuali cause di esclusione;
c) comunque, la società, prima dell’esclusione, aveva inviato al Comune le dichiarazioni degli altri due soci.

2. Si è costituita la controinteressata Associazione Temporanea d’Imprese con capogruppo S M.

Non si è invece costituita l’amministrazione intimata.

3. Con ordinanza collegiale n.863 del 23 agosto 2013 si sono posti incombenti istruttori a carico dell’amministrazione.

3.1. Quest’ultima ha adempiuto all’ordinanza collegiale in data 29 settembre 2013 e, a seguito della camera di consiglio del 10 ottobre 2013, con ordinanza cautelare n.503/2013 il Collegio ha respinto l’istanza in quanto “ essendo stata omessa la dichiarazione ex art.38 d. lgs. N.163/2006 con riferimento a due soci della ditta ricorrente, è mancata la dimostrazione della specifica questione trattata …”.

3.2. In vista della pubblica udienza la società ricorrente ha prodotto memoria, richiamando la giurisprudenza alla luce della quale, essendo, nel caso, i tre soci paritari, nessuno di essi era tenuto a presentare le richieste dichiarazioni;
ha altresì prodotto documentazione.

4. Alla pubblica udienza del giorno 11 gennaio 2016 il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e va accolto come di seguito specificato.

Rileva il Collegio che l’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, a seguito delle modifiche introdotte con la L. 12 luglio 2011, n. 106, di conversione del D.L. n. 70-2011, ha esteso l’obbligo di rendere le dichiarazioni di cui ai commi b), c), tra gli altri, anche “ al socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci ”, in ossequio alla ratio di estendere l’obbligo dichiarativo dell’insussistenza di pregiudizi penali, non solo all’amministratore de iure , ma anche ai soci che detengono il controllo di fatto della società.

Come definitivamente acclarato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione del 6 novembre 2013, n. 24 (intervenuta successivamente all’indizione della gara in esame), l’espressione socio di maggioranza di cui alle lett. b), c) e m-ter) dell’art. 38, comma 1, del d.lgs. n. n. 163-2006 si intende riferita, oltre che al socio titolare di più del 50% del capitale sociale, anche ai due soci titolari ciascuno del 50% del capitale sociale o, se i soci sono tre, al socio titolare del 50%, muovendo dal presupposto che, attraverso l’obbligo delle dichiarazioni per il socio di maggioranza, la norma vuole garantire che non partecipino alla gara concorrenti in forma societaria i cui soci, idonei ad influenzare, in termini decisivi e ineludibili, le decisioni societarie, non posseggano i requisiti morali minimi previsti dalla legge.

In particolare, con riferimento al caso in cui vi siano tre soci e nessuno di essi partecipi al 50%, “la percentuale della partecipazione di ciascun socio è variabile secondo le diverse situazioni concrete inclusa l’ipotesi che un socio sia titolare del 49% e gli altri due concorrano, con la propria partecipazione, a raggiungere il restante 51%. Ne consegue che nessun socio ha potere determinante poiché ognuno può essere sostituito da uno degli altri due per raggiungere la maggioranza decisionale;
ciascun socio può perciò concorrere ad adottare la decisione ma non è mai esclusivamente e sempre da solo determinante, poiché se uno dei tre soci è contrario a una decisione questa può essere comunque assunta per accordo tra gli altri due, potendo ogni socio accordarsi con ciascuno degli altri in quanto non costretto a consentire con uno solo di essi data la ripartizione del capitale sociale (cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2013, n. 3963). Nessuno dei soci ha perciò l’obbligo delle dichiarazioni poiché nessuno esercita un potere decisionale condizionante in quanto imprescindibile, tale perciò da farne qualificare la relativa posizione sostanziale come quella di un socio di maggioranza;
il concorso alle decisioni di volta in volta possibile da parte di ciascun socio non autorizza infatti la conclusione che ognuno di essi debba rendere le previste dichiarazioni, poiché la latitudine interpretativa consentita dalla norma, che comunque si riferisce al “socio di maggioranza”, non è tale da giustificare l’obbligo delle dichiarazioni per il socio che non sia di maggioranza neanche nel significato sostanziale di cui si è detto ...
” (Consiglio di Stato, Ad. Plen. 6 novembre 2013, n.24;
cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 25 luglio 2013, n.3963;
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 11 ottobre 2012, n.2514).

1.1. O, alla luce dei suddetti principi, non sussisteva alcun obbligo in capo agli altri due soci (non maggioritari) di produrre la dichiarazione in questione.

A ciò si aggiunga che, in un caso, come quello in esame, in cui il tenore letterale della lex specialis non era inequivocabile nello statuire l’esclusione, a fronte di eventuali dubbi interpretativi, l’amministrazione avrebbe dovuto far ricorso all’istituto del soccorso istruttorio ex art. 46 d.lgs. n. 163/2006 (nel testo ratione temporis vigente) per sanare eventuali omissioni delle dichiarazioni degli altri soci e verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali in capo anche agli stessi.

Peraltro, in data anteriore alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria, il Comune aveva ricevuto da parte ricorrente le dichiarazioni ex art.38 cit. degli altri due soci della G s.r.l., ovvero di G Camillo e di G Rosanna, dimodochè la revoca dell’aggiudicazione provvisoria e l’esclusione della ricorrente risultano essere state disposte per ragioni meramente formali, peraltro insussistenti per come su detto.

2. Quanto alla richiesta annullatoria con declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente nelle more stipulato, si osserva quanto segue.

Va, innanzitutto, rilevato che il Collegio non è stato informato della sopravvenuta stipula del contratto nelle more del giudizio;
tuttavia il Collegio ritiene di non dichiarare l’inefficacia del contratto (eventualmente stipulato), sulla base di quanto emerso in giudizio ossia che l’amministrazione, pur non avendo allora stipulato il contratto, aveva consegnato i lavori alla controinteressata “ stante anche l‘urgenza data dal pericolo della scadenza dei termini e della decadenza deal finanziamento ” e tenuto conto, altresì, del lasso di tempo intercorso.

3. Venendo alla domanda di risarcimento del danno, essa deve trovare accoglimento, in quanto si riscontra la presenza di tutti gli elementi integranti la fattispecie risarcitoria.

3.1. Vi è, in primo luogo, l’accertata condotta illegittima dell’amministrazione.

Vi è la lesione, non iure e contra ius , dell’interesse al bene della vita vantato dalla ricorrente.

Infatti, laddove l’amministrazione avesse correttamente fatto applicazione degli artt. 38 e 46 cit., il servizio in questione sarebbe stato aggiudicato definitivamente alla ricorrente (come da aggiudicazione provvisoria illegittimamente revocata e nella sussistenza di tutti i requisiti, invero nel caso non contestati).

Vi è, infine, un nesso eziologico tra la condotta illegittima e la lesione.

3.2. In ordine all’elemento soggettivo della fattispecie di responsabilità dell’amministrazione va, poi, ricordato che, secondo un incontroverso orientamento giurisprudenziale, nel settore degli appalti pubblici non grava sul ricorrente danneggiato l'onere di provare che il danno derivante dal provvedimento amministrativo illegittimo è conseguenza di un comportamento colposo dell'Amministrazione e pertanto questa non può sottrarsi all'obbligo di risarcire i danni cagionati dal suo provvedimento illegittimo adducendo l'inesistenza di dolo o colpa da parte sua. Tale principio, sancito dalla Corte di giustizia CE con sentenza 30 settembre 2010, causa C-314/09, deve trovare generale applicazione alla materia degli appalti pubblici (nel medesimo senso Cons. Stato, Sez. V, 8 novembre 2012, n. 5685;
T.A.R. Calabria – Catanzaro, Sez. II, 17 dicembre 2011, n. 1616;
T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 11 gennaio 2016, n.3;
T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 13 novembre 2015 n.2616).

4. Occorre, pertanto, accertare e liquidare i pregiudizi subiti dalla società ricorrente.

4.1. La prima voce in rilevo è il lucro cessante, che la società ricorrente stima nella misura di € 14.777,16, assumendo a riferimento le giustificazioni fornite dalla stessa all’amministrazione ove veniva quantificato il profitto nella detta misura, non contestata dall’amministrazione.

Ritiene il Collegio che, nella determinazione di tale voce di danno, occorra tener conto dei seguenti elementi: a) il lucro cessante va individuato in quella parte di corrispettivo eccedente rispetto al costo dei fattori di produzione impiegati per l’erogazione della prestazione;
b) nel caso di specie, nelle giustificazioni veniva specificato che il profitto sarebbe stato di € 14.777,13;
c) non risultano contestazioni da parte dell’amministrazione su tale voce né nel corso del procedimento amministrativo né in corso di giudizio.

Alla stregua di quanto sopra, si può affermare che, laddove il servizio di cui si discute fosse stato correttamente aggiudicato alla società ricorrente, il lucro che essa avrebbe ricavato dalla prestazione del servizio sarebbe stato quantificabile nella misura di € 14.777,13.

4.2. Ai fini risarcitori, tale importo va diminuito (nella misura, ritenuta equa, della metà) secondo il noto principio dell’ aliunde perceptum vel percipiendum , per cui, onde evitare che, a seguito del risarcimento, l'impresa danneggiata possa trovarsi in una situazione addirittura migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovata in assenza dell'illecito, va detratto dall'importo dovuto a titolo risarcitorio quanto percepito o quanto avrebbe potuto percepire grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l'appalto in contestazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681).

Infatti, l'onere di provare (l'assenza del) l 'aliunde perceptum vel percipiendum grava non sull'amministrazione, ma sull'impresa: e ciò in ragione della presunzione, secondo l' id quod plerumque accidit , che l'imprenditore normalmente diligente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma persegue occasioni contrattuali alternative, dalla cui esecuzione trae il relativo utile (Cons. Stato, Sez. VI, 15 ottobre 2012, n. 5279;
Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1681).

Nel caso in esame, tale prova non è stata fornita e pertanto il danno risarcibile può essere determinato in € 7.388,57 (€ 14.777,13/ 2).

4.3. E’ dovuto, altresì, il risarcimento del danno curriculare.

Infatti, deve ammettersi che l'impresa illegittimamente privata dell'esecuzione di un appalto possa rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale;
infatti, l'interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un'impresa, va ben oltre l'interesse all'esecuzione dell'opera in sé e al relativo incasso, posto che alla mancata esecuzione di un'opera appaltata si ricollegano indirettamente nocumenti all'immagine della società ed al suo radicamento nel mercato, per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operano su medesimo target di mercato, dichiarate, in modo illegittimo, aggiudicatarie della gara (Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751).

Tale danno non può che essere quantificato in via equitativa, nella misura che si reputa equa di € 350,00 (si noti che nella giurisprudenza il danno curriculare viene liquidato in una misura variabile tra l’1% ed il 5% del lucro o dell’importo globale dell’appalto;
Consiglio di Stato, sez. VI, 10 dicembre 2015, n.5611).

Non appare invece accoglibile, in quanto non ancorata ad alcun dato normativo e comunque sproporzionata rispetto al danno subito, la pretesa della ricorrente di liquidare il detto danno nella misura percentuale del 20% del valore complessivo delle gare di appalto a cui la società avrebbe potuto partecipare (come indicate dalla ricorrente).

4.4. Il danno complessivo, al cui risarcimento deve essere condannato il Comune di Caraffa di Catanzaro ammonta, dunque, ad € 7.738,57 [(€ 14.777,13/ 2) + € 350,00].

Trattandosi di debito di valore, su tale importo sono dovuti la rivalutazione secondo l’indice ISTAT dei prezzi al consumo (FOI) e gli interessi corrispettivi, da computarsi al saggio legale sulla somma annualmente rivalutata, con decorrenza dalla data di cristallizzazione del danno, da individuare nel giorno di stipula del contratto oggetto della procedura concorsuale, sino alla data di pubblicazione della presente sentenza.

5. Le spese di lite seguono il principio della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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