TAR Napoli, sez. II, sentenza 2009-09-14, n. 200904964

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. II, sentenza 2009-09-14, n. 200904964
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 200904964
Data del deposito : 14 settembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05129/2006 REG.RIC.

N. 04964/2009 REG.SEN.

N. 05129/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 5129 del 2006, integrato da motivi aggiunti, proposto da: A I, rappresentato e difeso dagli Avv. A C, S P e R S, presso i quali elettivamente domicilia in Napoli alla via A. D’Isernia n°38;

contro

Comune di Scisciano, n.c.;

nei confronti di

Gardenia Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro – tempore, rappresentata e difesa dal Prof. Avv. A P e, con lo stesso, elettivamente domiciliata in Napoli alla via C. Poerio n°98;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

quanto al ricorso principale:

1) del permesso di costruire n°1/2006, prot.llo n. 234/06 del 5.5.2006, con il quale il Comune di Scisciano ha assentito l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di un fabbricato sito alla via Garibaldi n°1;

2) di ogni altro atto sotteso, connesso, preordinato e conseguente, ivi compreso il parere dell’U.T.C. del 27.4.2006, il parere sanitario, il piano di recupero approvato con d.p.r.g. n. 7301 del 13.7.1994

quanto ai motivi aggiunti

1) della d.i.a. in variante n. 3/2007 presentata con atto n. 22 del 2.1.2007;

2) del certificato di agibilità rilasciato in data 20.12.07;


Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Gardenia Costruzioni S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28/05/2009 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con il gravame in epigrafe, il ricorrente impugna il permesso di costruire n°1/2006, prot.llo n. 234/06 del 5.5.2006, con il quale il Comune di Scisciano ha assentito l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di un fabbricato sito alla via Garibaldi n°1.

In particolare, l’intervento edilizio prevede la conservazione di tutta la parte dell’edificio prospiciente la via Garibaldi e l’abbattimento e la ricostruzione in sito della parte retrostante, in cattive condizioni statiche ed igienico – sanitarie.

L’area di sedime ricade in zona A/11 del locale P.R.G. ed è identificata come unità UMS n°6 nella scheda allegata al piano di recupero.

Sulla scorta delle suddette premesse in fatto, il ricorrente, con il gravame in epigrafe, ha articolato le seguenti censure:

1) i dati di progetto non corrisponderebbero a quelli della scheda allegata al piano di recupero, con aumento di volumetria (1712,84) rispetto a quella preesistente (1633);

2) risulterebbe illegittimamente autorizzato uno scorporo di volumetria per la realizzazione di altri manufatti;
in tal modo il Comune avrebbe assentito opere non rientranti nel concetto di ristrutturazione;

3) l’intervento, comportando variazioni per sagoma, volumi e collocazione non potrebbe essere qualificato come di ristrutturazione edilizia

4) per effetto dell’abbassamento dei solai si sarebbe verificato un disallineamento dei prospetti rispetto ai fabbricati contigui;

5) risulterebbe illegittimamente autorizzato il mutamento di destinazione d’uso dei locali al piano terra ( vecchio cellaio e comodi rurali trasformati in unità abitative e locale commerciale)

6) la realizzazione della scala comporterebbe un aumento di volumetria e non rispetterebbe le distanze dall’immobile di proprietà del ricorrente;

7) non potrebbero essere realizzati volumi interrati e parcheggi, in quanto non preesistenti.

Si è costituita in giudizio la Gardenia Costruzioni s.r.l., che ha concluso per l’inammissibilità ovvero l’infondatezza del proposto gravame.

Questo Tribunale, con ordinanza n°541/2007, assunta all’esito dell’udienza del 5.7.2007, ha disposto incombenti istruttori, all’uopo onerando l’Ufficio del Genio Civile della Regione Campania. Analogo provvedimento istruttorio è stato disposto con ordinanza n. 66 dell’1.2.2008 ed, infine, con ordinanza n. 499 del 4.6.2008.

Con determina n. 563997 dell’1.7.2008 il dirigente del settore provinciale genio civile della Regione Campania ha designato per l’espletamento dell’incarico il geom. L V, il quale, dopo aver chiesto ed ottenuto una proroga di 60 gg, ha depositato la relazione di c.t.u.

All’esito dei suddetti accertamenti tecnici emergeva che, successivamente al permesso di costruire n. 1/06, era stata rilasciata una d.i.a. in variante (n. 3/2007), nonché il certificato di agibilità, avverso i quali il ricorrente proponeva motivi aggiunti.

Resiste in giudizio la società controinteressata.

All’udienza del 28.5.2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.

Va, anzitutto, disattesa l’eccezione secondo cui il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile per mancanza di interesse ad agire.

Sul punto, è sufficiente obiettare, in aderenza ad un diffuso orientamento giurisprudenziale, che, a seguito del rilascio di un titolo concessorio di natura edilizia, la posizione legittimante alla impugnativa sussiste in capo a coloro che si trovino in una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato e che facciano valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, quale è quello della osservanza delle prescrizioni regolatrici dell'edificazione. Pertanto non occorre procedere ad alcuna ulteriore indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione;
infatti l'esistenza della posizione legittimante come sopra, abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche che assume violate, a prescindere da qualsivoglia esame sul tipo di lesione che i lavori in concreto potrebbero arrecare (cfr. ad es. Consiglio Stato sez. V, 18 settembre 1998, n. 1289).

Tale indirizzo ermeneutico è tuttora seguito dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, secondo cui la possibilità per chiunque di ricorrere contro il rilascio della concessione edilizia, anche in sanatoria , siccome previsto dall'art. 31 comma 9, l. 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dall'art. 10, l. 6 agosto 1967 n. 765, non configura un nuovo tipo di azione popolare, ma riconosce una posizione di interesse che consente l'impugnativa a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona (residenza, possesso o detenzione di immobili, o altro titolo di frequentazione), senza richiedere la prova di un danno specifico, essendo insito nella violazione edilizia il danno a tutti i membri di quella collettività (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 19 settembre 2008 , n. 4528;
T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 06 giugno 2008 , n. 1228;
Consiglio Stato , sez. V, 07 maggio 2008 , n. 2086).

In applicazione dei richiamati postulati giurisprudenziali, e ricorrendone i presupposti, sussistono, pur dopo l’abrogazione dell’art. 31 della legge n. 1150/1942, gli elementi che prefigurano l’interesse come qualificato e differenziato rispetto a quello della generalità dei cittadini con conseguente legittimazione a ricorrere avverso il titolo di assentimento che si reputi in contrasto con la normativa edilizio-urbanistica.

E ciò vieppiù trova applicazione nei casi, come quello in esame, in cui la proprietà attorea confina con gli immobili ristrutturare, circostanza questa evincibile dalla stessa relazione tecnica prodotta dalla parte controinteressata in cui viene menzionata (e rappresentata con foto) la contigua abitazione del ricorrente I A per dimostrare la coincidenza delle altezze del piano terra dei due fabbricati confinanti.

Peraltro, sempre nella medesima relazione depositata il 19.1.2009, a fol. 1, nella ricostruzione della vicenda si fa presente che, “per l’immobile della società controinteressata, è stato richiesto permesso di costruzione finalizzato alla sua ristrutturazione attraverso il mantenimento della parte su via Garibaldi e l’abbattimento e la ricostruzione, in situ, della parte interna a confine con beni Iovane Giacomo…..”.

Acclarato ciò, non pare che possa essere revocata in dubbio la posizione differenziata in cui viene a trovarsi il proprietario dell’immobile confinante col luogo oggetto dell’assentito intervento edilizio, con piena legittimazione a sindacare la conformità dell’attività edilizia esplicata nel raggio attiguo alla sua proprietà rispetto al prescritto assetto urbanistico-edilizio, atteso che il vulnus a siffatto assetto, tenuto conto della stretta attiguità delle proprietà, si concreta inevitabilmente, ex se, in un pregiudizio per il confinante.

E’ evidente infatti che, esprimendo il costituito assetto urbanistico-edilizio la scelta da seguire per l’ordinata ed organizzata edificazione che tiene conto anche degli aspetti attinenti al metodo ed alla tipologia dello sviluppo edilizio e dei connessi effetti sull’ambiente, la non conformità dell’edificazione a siffatto assetto, oltre a rappresentare un vulnus all’interesse generale, arreca di per sè pregiudizio al proprietario confinante che, proprio perché è confinante, ha interesse diretto e qualificato a conservare il detto assetto così come normativamente costituito (cfr. Tar Salerno n. 2060 del 21.11.2006).

Del pari, priva di pregio si rivela l’ulteriore eccezione sollevata dalla società La Gardenia di irricevibilità dei motivi aggiunti articolati dal ricorrente avverso la d.i.a. in variante ed il certificato di agibilità, atti che il sig. Iovane ha dichiarato di aver conosciuto solo a seguito del deposito in giudizio della relazione tecnica d’ufficio.

Né è possibile convalidare la diversa ricostruzione accreditata dalla società controinteressata, non essendo la tesi da essa sostenuta (di una pregressa conoscenza di tali atti da parte del ricorrente) suffragata da elementi probatori affidabili: la stessa esecuzione delle opere, inquadrandosi nel contesto di un vasto e complesso intervento di ristrutturazione, non poteva evidentemente consentire al ricorrente di apprezzare le variazioni apportate all’originario progetto.

Quanto al merito, s’impone in via preliminare una ricognizione della disciplina urbanistica applicabile all’intervento edilizio in questione.

Ai suddetti fini, mette conto evidenziare che l’area di sedime ricade in zona A/11 del locale P.R.G, in riferimento alla quale l’art. 19 delle n.t.a. ammette gli interventi di demolizione e ricostruzione solo in presenza di piani esecutivi, che, comunque, giammai avrebbero potuto consentire aumenti delle volumetrie preesistenti.

Segnatamente, la disposizione in esame prescrive che “i fabbricati privi di valore storico potranno, dopo la redazione dei previsti piani esecutivi, essere demoliti e ricostruiti, conservando la medesima volumetria, gli allineamenti preesistenti sul fronte stradale, l’altezza preesistente ed il medesimo peso insediativo”.

La disciplina di dettaglio è stata poi affidata al piano di recupero (n. 2 comparto A) che, oltre a registrare lo stato di fatto del singolo fabbricato, ha dimensionato gli interventi consentiti conformandoli in via di sintesi attraverso apposite schede riferite ad “unità minime”, di studio e di intervento. Segnatamente, in relazione al fabbricato in argomento, viene in rilievo la scheda UMS n°6, la quale riporta come intervento consentito quello di “ristrutturazione edilizia”.

Orbene, appare utile riportare, per quanto di più diretto interesse, anzitutto, il contenuto precettivo della corrispondente previsione del Piano di Recupero (art. 5 punto 5), la quale, rubricata “interventi di ristrutturazione edilizia”, così ne definisce la tipologia ed i contenuti: “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”.

“Sono pertanto consentiti anche interventi radicali (abbattimento e ricostruzione in sito) e all’interno dell’organismo edilizio per il recupero strutturale senza che si verifichino aumento delle volumetrie esistenti”.

“Sono consentiti con tali interventi modifiche alle destinazioni d’uso compatibili con la funzione abitativa…..Negli interventi di ristrutturazione edilizia è consentito:

- omissis

- introdurre nell’organismo edilizio nuove scale, ascensori e montacarichi;

- traslare i solai privi di valore architettonico purchè non incidano nelle cortine di prospetto con modifiche di aggetti ed aperture, in particolare quando contribuiscono ad alterare allineamenti già definiti da edifici contigui;

- omissis”.

Vale aggiungere che l’art. 12 del Piano di recupero, nell’ulteriormente definire i parametri urbanistici dell’intervento in argomento, precisa che l’indice massimo di fabbricabilità fondiaria deve essere pari a quello già esistente. Del pari, anche l’altezza degli edifici deve essere pari a quella esistente, con la precisazione che, nel caso di edifici con corpi di fabbrica aventi altezze diverse, l’altezza massima consentita dovrà essere pari a quella massima preesistente nel rispetto del rapporto di copertura e del volume preesistente.

Orbene, appare di tutta evidenza, sulla base di una piana lettura delle richiamate disposizioni, come la disciplina urbanistica locale, nelle sue articolazioni tipiche di piano generale e piano esecutivo, si muova nel solco della legge n. 457 del 5.8.1978, poi assorbita nel t.u. del d.p.r. 380/2001, riproponendo gli schemi classificatori noti dell’istituto della ristrutturazione.

Segnatamente, il mentovato regime urbanistico – di cui la scheda UMS n. 6 avrebbe dovuto rappresentare solo un momento di sintesi - richiamato nelle parti di più diretto interesse riflette, con assoluto nitore, la funzione essenzialmente conservativa dell’intervento in argomento (id est ristrutturazione edilizia) ripetutamente prescrivendo, da un lato, l’indefettibile necessità di assicurare la conservazione della stessa volumetria ed un indice massimo di fabbricabilità fondiaria pari a quello esistente e, dall’altro, il divieto di aggravare il carico urbanistico, lasciando immutato il medesimo piano insediativo.

D’altro canto, ogni altra soluzione ermeneutica – che indulga in una lettura estensiva delle coordinate normative di riferimento - incorrerebbe nelle previsioni del disposto di cui all’art. 3 del d.p.r. 380/2001, che, espressamente dirimendo un conflitto di norme in ordine alla qualificazione giuridica degli interventi edilizi, sancisce espressamente che le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.

E’, pertanto, evidente che, in ogni ipotesi di eventuale contrasto (in relazione al profilo in esame) tra la disciplina urbanistica locale e la corrispondente previsione legislativa, nella parte in cui perimetra in modo alquanto rigoroso il contenuto tipico della categoria edilizia cd. della ristrutturazione, debba prevalere, quale norma di rango primario, quest’ultima, con conseguente effetto abrogativo di ogni diversa e precedente disposizione di forza ed efficacia inferiore.

Così ricostruito il quadro della disciplina di riferimento, occorre prendere abbrivio da una considerazione preliminare relativa alla scheda UMS n. 6, che reca un evidente errore di calcolo nella parte in cui indica la volumetria di progetto in mc. 2404,50 (derivata dal prodotto della superficie coperta di mq. 229,00 per un’altezza di m. 10,50) e, dunque, superiore a quella preesistente, pari a mc. 1633, riportata nella medesima scheda.

Tale errore – di immediata percezione – è dipeso dal fatto che l’altezza in questione è stato applicata, in modo indistinto, a tutti i corpi di fabbrica dell’edificio, senza tener conto che vi erano parti di esso (e, segnatamente, del lato interno) in cui l’altezza si arrestava ad una quota di copertura di gran lunga inferiore, pari a mt. 4,60 ovvero a mt. 9,20.

Orbene, appare di tutta evidenza – contrariamente a quanto sostenuto dalla società controinteressata - come giammai il Comune di Scisciano avrebbe potuto obliterare tali circostanze ed esaurire la propria attività delibativa orientandosi in base al solo dato (erroneo) della volumetria di progetto riportata nella precitata scheda, attesa la manifesta inaffidabilità di tale dato, peraltro in evidente contraddizione intrinseca con ulteriori parametri riportati nella medesima scheda ed, in particolare, con quelli relativi all’ammissibilità solo di interventi di ristrutturazione, alla rilevazione della volumetria preesistente (di mc. 1633), del numero dei piani ( 2) e dei vani (n. 9) realizzabili.

Né, peraltro, era possibile dar credito, con inaccettabile pretesa di automaticità, ed in assenza di un’attività di istruttoria direttamente eseguita in loco che consentisse eventualmente di aggiornare i dati di progetto della scheda UMS, ai rilievi effettuati in sede di progettazione dalla stessa società controinteressata, secondo cui la cubatura preesistente sarebbe stata pari a mc 1712,84.

In ragione di ciò, a giudizio del Collegio, il Comune intimato non avrebbe dovuto autorizzare alcun incremento di volumetria rispetto a quella riportata nella scheda di piano ed ufficialmente accertata, pari complessivamente a 1633 mc, peraltro riferiti, indistintamente, a volumi residenziali e non residenziali: e ciò è a dirsi sia rispetto al progetto originariamente assentito, che invece prevedeva una cubatura di mc 1709,60, sia rispetto a quello modificato con d.i.a in variante, che, pur determinando un decremento volumetrico fino a mc. 1660, 44 mc, si colloca pur sempre al di sopra della volumetria consentita (mc. 1633).

Peraltro, ed indipendentemente da quanto appena detto, l’illegittimità dell’avversato permesso di costruire è fatta palese dalla significativa asimmetria che, complessivamente, differenzia l’intervento assentito dagli schemi legali tipici della ristrutturazione.

Come già sopra anticipato, la normativa a cui si deve far riferimento per l’individuazione del concetto di “ristrutturazione edilizia” è quella espressa dall’art. 3 D.P.R. 6/6/2001 n. 380 (T.U. in materia edilizia) nel quale è stato trasfuso l’art. 31 della legge 5/8/1978 n. 457.

Tale ultima disposizione definiva la ristrutturazione edilizia come l’intervento che è “rivolto a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”;
e la disposizione di cui all’art. 31 aggiunge che “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, per ristrutturazione edilizia, s’intende quella che riconduce ogni innovazione (anche di ordine strutturale) pur sempre nell’ambito dell’identità tipologica del fabbricato originario, ripetendone sostanzialmente i più significativi dati e, cioè, volume, superficie, sagoma ed altezza (cfr. ex multis Cons. di Stato – Sez. V – 16/3/2005 n. 1062 e riferimenti ivi);
la medesima giurisprudenza riconduce nell’ambito della ristrutturazione edilizia anche la demolizione e la ricostruzione del manufatto purchè quest’ultima sia fedele alla preesistenza per sagoma, volume e superficie (Cons. di Stato – Sez. IV – 28/7/2005 n. 4011;
id. 7/9/2004 n. 5791), principio, come sopra anticipato, codificato nella lettera dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001.

Ciò che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma - in quest'ultimo caso - con ricostruzione, se non "fedele" (termine espunto dall'attuale disciplina), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (cfr. Consiglio di stato, sez. VI, 16 dicembre 2008 , n. 6214;
per il principio, comunque pacifico, Cons. St., sez. IV, 28.7.2005, n. 4011;
Cons. St., sez. VI, 9.9.2005, n. 4668;
Cons. St., sez. V, 29.5.2006, n. 3229;
Cons. St., sez. V, 30.8.2006, n. 5061;
Cons. St. sez. IV, 26.2.2008, n. 681;
Cons. St., sez. V, 4.3.2008, n. 918;
Cons. St., sez. IV, 16.6.2008, n. 2981).

In relazione a tutto quanto esposto si può, quindi, affermare che, secondo l'indicata disciplina legislativa e nella applicazione che ne fa la giurisprudenza, quando si interviene su un edificio preesistente (senza la sua totale demolizione) un intervento può qualificarsi di ristrutturazione edilizia anche quando porti ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente, purché il complesso edilizio, sul quale si operano gli interventi, rimanga alla fine sostanzialmente il medesimo per forma, volume e altezza. Nel caso, invece, di totale demolizione solo se la successiva ricostruzione è prevista con la stessa volumetria e sagoma dell'immobile preesistente (fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica) l'intervento può inquadrarsi fra le ipotesi di ristrutturazione edilizia, mentre la ricostruzione (dopo la demolizione) di un immobile diverso per volumi o anche solo per la sagoma (a parità di volumi) dall'immobile preesistente comporta la realizzazione di un immobile nuovo e non di un immobile ristrutturato (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 27 febbraio 2009 , n. 1153;
Consiglio Stato , sez. V, 18 dicembre 2008 , n. 6318).

E’ stato efficacemente evidenziato in giurisprudenza che l'apparente duplicità della nozione di ristrutturazione, in effetti, consegue al carattere eccezionale - originariamente frutto di elaborazione giurisprudenziale - della identificabilità di detta tipologia di intervento anche in caso di totale rimozione della struttura preesistente: un’ipotesi, con ogni evidenza, estrema rispetto ad una fattispecie, concernente opere indirizzate a trasformare manufatti già presenti sul territorio, con conseguente minore impatto rispetto ai nuovi insediamenti edificatori. La permanenza della struttura preesistente, d'altra parte, se costituiva garanzia che non vi fosse stravolgimento dello stato dei luoghi, poteva apparire illogica in presenza di gravi carenze strutturali dell'immobile, richiedenti sostituzione delle stesse strutture portanti. In tale ottica si è ammessa la possibilità di ristrutturare anche con integrale rifacimento dell'immobile stesso, quando al mutamento strutturale, imposto da motivi tecnici, corrispondesse un intento sostanzialmente conservativo. Ogni spostamento dai limiti indicati dalla giurisprudenza (poi tradotta in precetto normativo) non può, dunque, che implicare quella più profonda trasformazione del territorio, cui corrisponde la nozione di "nuova edificazione"(cfr. Consiglio di stato, sez. VI, 16 dicembre 2008 , n. 6214).

E, dunque, dalle richiamate disposizioni legislative, e dall’applicazione che delle stesse ha fatto la giurisprudenza, emerge che anche la ristrutturazione edilizia, che implichi la totale demolizione del preesistente manufatto e la sua ricostruzione, comporta la riedizione della sagoma e del volume preesistenti. (Cfr. ancora Cons. di Stato – Sez. IV – 28/7/2005 n. 4011 e Sez.

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