TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2013-01-19, n. 201300604
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N. 00604/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00198/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 198 del 2009, proposto da:
K M B M (M), rappresentato e difeso dall'avv. P F B, con domicilio eletto presso Michele Bonetti in Roma, via S. Tommaso D'Aquino, 47;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;Prefettura di Vicenza;
per l'annullamento
del decreto del Ministro dell’Interno K10/79795/R datato 15/9/08, notificato il 10/11/08, con il quale è stata respinta la domanda del ricorrente diretta ad ottenere la cittadinanza italiana ai sensi dell’art.9 comma 1 lett. f) della l. 91/92, nonché per l’annullamento di ogni altro provvedimento, ancorchè non conosciuto ad esso presupposto (tra cui la comunicazione ex art. 10 bis della l. 241/90 del Ministero dell’Interno dell’11/5/08 prot. K10/7975/R), nonché per la condanna, all’esito favorevole dell’annullamento di cui sopra, del Ministero dell’Interno a risarcire al ricorrente il danno subito quale conseguenza del provvedimento impugnato, nella misura che si riterrà di giustizia e che si determinerà in corso di causa, anche mediante valutazione equitativa.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2012 il dott. S S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente, cittadino tunisino, residente in Italia dal 1990, con istanza del 19 novembre 2004 ha chiesto la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 comma 1 lett. f) della L. 91/92.
Con nota dell’11 maggio 2008 il Ministero dell’Interno ha inviato il preavviso di diniego, rilevando che dall’attività informativa esperita erano emersi motivi per ritenere che il cittadino straniero fosse una persona pericolosa e non affidabile per la sicurezza della Repubblica.
Il ricorrente, tramite il proprio procuratore, ha chiesto al Ministero di poter conoscere i fatti dai quali desumere detta pericolosità sotto il profilo della sicurezza nazionale, ma l’Amministrazione non ha consentito l’accesso agli atti.
Con il provvedimento impugnato il Ministro dell’Interno ha respinto la domanda del ricorrente ritenendo sussistenti elementi ostativi di pericolo per la sicurezza della Repubblica di cui all’art. 6 comma 1 lett. c) della L. 91/92.
Avverso detto provvedimento il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di impugnazione:
___1. Violazione di legge: violazione dell’art. 3, comma 1 dell’art. 10 bis, comma 1 e dell’art. 24 comma 7 della L. 241/90 anche in relazione alla violazione dell’art. 24 commi 1 e 2 Cost.;Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 6 comma 1 lett. c) della L. 91/92. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 comma 1 lett. d) e 3 lett. b) del D.M. Interno del 10/5/94 n. 415 e dell’art. 24 comma 7 della L. 241/90, anche in relazione all’art. 8 del D.P.R. n. 352/92. Violazione dell’art. 8 comma 1 della L. 91/92, per omessa acquisizione del parere conforme del Consiglio di Stato.
Lamenta il ricorrente che nel caso di specie sarebbe stato violato il suo diritto di difesa non essendo stati enunciati i fatti concreti dai quali è stata desunta la sua pericolosità per la sicurezza della Repubblica. Il Ministero avrebbe potuto evitare di rivelare le fonti documentali ma non gli addebiti, perché altrimenti sarebbe irrimediabilmente frustrato il diritto di difesa, violandosi anche la disciplina sull’accesso in base alla quale è comunque possibile accedere ai documenti per la cura o la difesa dei propri interessi giuridici.
Lamenta, poi, l’omessa acquisizione del parere del Consiglio di Stato, atto necessario in base alla legge in caso di reiezione della domanda di concessione della cittadinanza per ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica.
___2. Eccesso di potere: illogicità manifesta della motivazione, motivazione assente e/o insufficiente, erronea presupposizione di fatti e/o erronea valutazione delle osservazioni di cui all’art. 10 bis seconda parte della L. 241/90.
Lamenta il ricorrente il difetto di motivazione del provvedimento impugnato anche con riferimento alla documentazione inviata e diretta a dimostrare l’erroneità delle valutazioni sulla sua pericolosità per la sicurezza nazionale.
L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
Con l’ordinanza n. 560/2010 il Collegio ha ordinato al Ministero dell’Interno di produrre in giudizio “tutta la documentazione istruttoria sulla base della quale è stato adottato il provvedimento impugnato (con le cautele ritenute necessarie dalla stessa Amministrazione), al fine di consentire al ricorrente di esercitare il proprio diritto di difesa, ed al Tribunale di compiere di dovuti accertamenti sulla legittimità del provvedimento impugnato”.
In ottemperanza all’ordinanza istruttoria, in data 23 agosto 2010, è pervenuta al Tribunale la nota riservata del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione – Direzione Centrali per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze contenente soltanto una brevissima relazione nella quale sono stati genericamente indicati i motivi sui quali si fonda il giudizio di pericolosità per la sicurezza dello Stato.
Detto atto è stato visionato dal difensore del ricorrente all’udienza pubblica del 3 novembre 2010.
La causa è stata quindi cancellata dal ruolo avendo il difensore del ricorrente necessità di svolgere i dovuti approfondimenti su quanto appreso, dovendo valutare altresì se proporre motivi aggiunti.
In data 10 ottobre 2011, il procuratore del ricorrente ha depositato la nuova istanza di fissazione di udienza corredata da documentazione proveniente dalla Tunisia relativa alla legalizzazione del partito politico Movimento Ennahda, e alla certificazione della mancata iscrizione del ricorrente al suddetto partito politico.
All’udienza pubblica dell’11 ottobre 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La richiesta di cittadinanza in esame è stata avanzata per naturalizzazione e negata con il provvedimento impugnato per la ricorrenza di comprovati motivi inerenti la sicurezza della Repubblica.
Preliminarmente appare opportuno richiamare il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa in tema di concessione della cittadinanza, la quale non costituisce atto dovuto in presenza dei presupposti di legge, implicando una valutazione discrezionale dell'amministrazione circa la possibilità che lo straniero sia ammesso a far parte della comunità nazionale (ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 2 giugno 1999, n. 942;T.A.R. Roma Lazio sez. II Quater 19 giugno 2012 n. 5665;Consiglio di Stato sez. III 16 novembre 2011 n. 6046), rilevandosi che le circostanze ostative alla concessione debbono essere adeguatamente documentate nonché corroborate da specifica ed esaustiva motivazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 dicembre 2003, n. 8312;T.A.R. Roma Lazio sez. II Quater 3 novembre 2011 n. 8419).
Nella specie il provvedimento di diniego di concessione della cittadinanza italiana risulta motivato con riferimento all’emersione – in seguito all’esperimento dell’attività informativa – di elementi ostativi di pericolo per la sicurezza della Repubblica ai sensi dell’art. 6 comma 1 lett. c) della L. 91/92;peraltro il richiamo di tale ultima disposizione è stato effettuato, pur trattandosi come detto di cittadinanza ex art. 9 e non di cittadinanza per matrimonio ex art. 5 della ripetuta legge 91/92, al solo scopo di far comprendere all’interessato quali fossero le ragioni ostative alla concessione della cittadinanza.
Con il primo motivo di ricorso lamenta il ricorrente la carenza di motivazione del provvedimento e conseguentemente la violazione del suo diritto di difesa, in quanto non conoscendo i fatti concreti sulla base dei quali sarebbe stato reso il giudizio di pericolosità per la sicurezza della Repubblica, non sarebbe in grado di confutarli.
Sostiene, altresì, che i documenti istruttori dovrebbero poter essere conosciuti in modo di consentire l’esercizio del diritto di difesa.
Lamenta, poi, la mancata acquisizione del parere del Consiglio di Stato.
Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 10 bis della L. 241/90 e l’omessa valutazione della documentazione prodotta a sostegno dell’inesistenza dei motivi addotti per giustificare il diniego.
Il ricorso è infondato.
Deve prioritariamente essere esaminata la censura di difetto di motivazione.
Come sopra rilevato l’Amministrazione ha motivato la propria determinazione con l’esistenza di elementi ostativi per la sicurezza della Repubblica;in seguito all’ordinanza istruttoria di questa Sezione il Ministero ha depositato la nota riservata del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione – Direzione Centrali per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze, datata 22 luglio 2007, dalla quale risulta la vicinanza del ricorrente al movimento tunisino Ennhada e la sua assidua frequentazione di simpatizzanti di detto movimento residenti in Italia, nella zona di Bassano del Grappa.
Dette informazioni sono state acquisite dal Ministero tramite i servizi informativi e dunque si tratta di notizie pervenute dagli organismi preposti ai servizi di sicurezza dello Stato.
Si tratta di notizie di fonte ufficiale, raccolte e vagliate da detti organismi pubblici nell'esercizio delle loro funzioni istituzionali;sulla cui attendibilità non è dato ragionevolmente dubitare, sia perché come detto provengono dagli organi specificamente preparati e adibiti alle indagini della specie sia perché alcun certo e sicuro elemento contrario è stato prodotto dalla parte in proposito.
Non può dunque essere ravvisato alcun vizio nell’operato del Ministero dell'Interno, che si è basato su quelle indagini ed ha prestato fede alla loro provenienza istituzionale (cfr. Consiglio di Stato sez. III, 28 novembre 2011 n. 6289) né sarebbe stata opportuna l’esternazione di maggiori dettagli.
Si può richiamare in proposito su questi temi la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato (cfr., tra le tante, sez. VI, 19 luglio 2005, n. 3841;id. 3 ottobre 2007, n. 5103;Sez. IV, 1° ottobre 1991, n. 761): il provvedimento di diniego non deve necessariamente riportare le notizie che potrebbero in qualche modo compromettere l’attività preventiva o di controllo da parte degli organi a ciò preposti (T.A.R Lombardia Sez. Brescia 3/6/96 n. 654), essendo sufficiente l’indicazione delle ragioni del diniego senza dover indicare tutte le valutazioni interne che hanno condotto al giudizio sfavorevole dell’Amministrazione.
In altre parole, la motivazione è sufficiente - secondo la giurisprudenza - quando consente di comprendere l’iter logico seguito dall’Amministrazione nell’adozione dell’atto, non essendo necessario che vengano espressamente indicate tutte le fonti ed i fatti accertati sulla base dei quali è stato reso il parere negativo.
Gli accertamenti riservati, infatti, non sono stati posti a base di misure limitative della libertà o di altri diritti costituzionalmente garantiti ma hanno dato luogo alla formulazione di una valutazione riferibile al potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (e che può essere risollecitata dopo cinque anni dall'emanazione del diniego, ai sensi dell'art. 8, comma 1, della legge n. 91 del 1992;(cfr. Cons. Stato Sez. VI 29/7/08 n. 3783).
Né può ritenersi che in questo modo venga violato il diritto di difesa dell’interessato, in quanto l’esercizio dei diritti di difesa e garanzia di un processo equo restano soddisfatti dall’ostensione in giudizio delle informative stesse con le cautele previste per la tutela dei documenti classificati (cfr. Cons. Stato Sez. VI 2/3/09 n. 1173;4/12/09 n. 7637).
Quanto al merito della determinazione negativa è principio consolidato in giurisprudenza che l'Amministrazione gode di un' ampia sfera di discrezionalità circa la possibilità di concedere o meno la cittadinanza, con valutazione che si estende non solo alla capacità dello straniero di ottimale inserimento nella comunità nazionale nei profili dell'apporto lavorativo e dell'integrazione economica e sociale, ma anche in ordine all'assenza di "vulnus" per le condizioni di sicurezza dello Stato.
Sotto tale ultimo aspetto ben possono assumere rilievo specifiche frequentazioni dello straniero e l'appartenenza a movimenti che, per posizioni estremistiche, possano incidere sulle condizioni di ordine e di sicurezza pubblica (Cons. St., Sez. VI^, n. 1173/2009;n. 5103 del 03.10.2007).
Nel caso di specie, il giudizio valutativo che ha condotto alla reiezione dell'istanza, riguarda l’esistenza di rapporti tra il ricorrente ed il movimento politico tunisino Ennahda di orientamento islamista.
Al momento dell’adozione del provvedimento impugnato (nel 2008) detto movimento – nel quale erano (e sono ancora oggi) presenti frange fondamentaliste - era illegale;dopo la rivoluzione del 2011 detto partito è stato legalizzato (cfr. documentazione in atti) ed alcuni suoi esponenti sono oggi al governo, come sottolineato dal difensore del ricorrente nella discussione orale.
Da quanto consta al Collegio ancora oggi all’interno del partito convivono sia gli islamici moderati che quelli fondamentalisti;lo stesso presidente del partito – che si qualifica oggi come islamista moderato – è stato in passato esponente dell’islamismo radicale.
Il Ministero, pertanto, accertata la vicinanza del ricorrente a detta organizzazione politica, che presenta al suo interno anche frange estremistiche e fondamentaliste, ha ritenuto di non dover concedere la cittadinanza italiana al ricorrente, sussistendo motivi ostativi ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. c), della legge n. 91/1992.
Detta valutazione non si configura viziata sotto il profilo del difetto di motivazione e non si discosta dai parametri di ragionevolezza, considerato che, in relazione al provvedimento di concessione della cittadinanza - che determina l'acquisizione in via definitiva di detto "status"- l'accertamento dell'assenza di pericolosità sociale si caratterizza per maggiore intensità e rigore (cfr. Consiglio di Stato sez. III, 28 novembre 2011 n. 6289).
Altrettanto infondata è la censura con la quale il ricorrente lamenta la mancata acquisizione del parere del Consiglio di Stato, atteso che detto parere è richiesto dalla legge nel solo caso di diniego di cittadinanza per matrimonio, nel caso in cui ricorrano comprovati motivi inerenti la sicurezza pubblica (art. 6 comma 1 lett. c) della L. 91/92), mentre il procedimento in questione riguarda l’attribuzione della cittadinanza per naturalizzazione e come sopra osservato, il riferimento contenuto nel provvedimento alla suddetta norma è stato effettuato al solo scopo di far comprendere all’interessato quali fossero le ragioni ostative alla concessione della cittadinanza: detto riferimento non implica l’applicazione anche al procedimento di cui all’art. 9 comma 1 lett. f) della disposizione di cui all’art. 8 comma 1 della stessa legge, che si riferisce – come già rilevato - esclusivamente ai procedimenti di concessione della cittadinanza per matrimonio.
Deve essere infine respinto anche il secondo motivo di impugnazione con il quale il ricorrente lamenta la violazione delle norme sul procedimento, sostenendo che l’Amministrazione non avrebbe valutato i documenti e le controdeduzioni prodotti in sede procedimentale, in quanto risulta dallo stesso atto impugnato che l’Amministrazione ha comunicato al ricorrente il preavviso di diniego e che ha provveduto ad esaminare la documentazione e le memorie inviate, non ritenendole, però, idonee a confutare quanto emerso in sede istruttoria.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto perché infondato.
Il rigetto del ricorso comporta la reiezione della domanda risarcitoria, peraltro generica e non suffragata da elementi probatori.
Quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.