TAR Firenze, sez. III, sentenza 2012-11-09, n. 201201807

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. III, sentenza 2012-11-09, n. 201201807
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201201807
Data del deposito : 9 novembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00653/2010 REG.RIC.

N. 01807/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00653/2010 REG.RIC.

N. 00199/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 653 del 2010 proposto da F F, rappresentato e difeso dall'avv. D B, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, piazza dell'Indipendenza n. 10;

contro

Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F D S e A M, e domiciliato in Firenze, Palazzo Vecchio, piazza Signoria, presso la Direzione dell’Avvocatura comunale;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, e Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Provincie di Firenze, Pistoia e Prato, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, e domiciliati per legge presso la stessa in Firenze, via degli Arazzieri n. 4;

nei confronti di

S. Bernardo di M S R &
C. s.n.c., rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Stancanelli e Antonio Stancanelli, con domicilio eletto presso il loro studio in Firenze, via Masaccio n. 172;



sul ricorso numero di registro generale 199 del 2012, proposto da San Bernardo di M S R &
C. s.n.c., M B e M S R, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Stancanelli e Antonio Stancanelli, con domicilio eletto presso il loro studio in Firenze, via Masaccio n. 172;

contro

Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F D S e A M, con domicilio presso l’Avvocatura comunale, Palazzo Vecchio, piazza della Signoria.

nei confronti di

F F, rappresentato e difeso dagli avvocati D B, Calogero Narese e Fausto Falorni, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Firenze, piazza dell'Indipendenza n. 10;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 653 del 2010:

- della denuncia di inizio di attività edilizia n. 4702/2006, presentata in data 11 agosto 2006;

- di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, tra cui l’autorizzazione paesaggistica n. 467 del 2 gennaio 2008, acquisita dopo il favorevole esame della Soprintendenza in data 26 febbraio 2008 con prot. n. 11813 nonché, in quanto occorra, del regolamento edilizio comunale, nella parte che sarà specificata;

quanto ai motivi aggiunti relativi al ricorso n. 653 del 2010:

- della d.i.a. n. 4702/2006;

- dell’ordinanza comunale n. 129 del 1° aprile 2010, con cui è stata revocata un’ordinanza di sospensione dei lavori, e degli atti connessi;

quanto al ricorso n. 199 del 2012:

- dell'ordinanza n. 831 del 21.11.2011, avente ad oggetto:

la dichiarazione di inefficacia della d.i.a. n. 4702/06 presentata il 11.08.2006 con protocollo n. 44924 e della d.i.a. n. 3733/05 presentata il 4.7.2005 con protocollo n. 37860;

l’ordinanza di demolizione delle opere oggetto delle dia sopra citate, ai sensi dell'art. 134 della L.R. n. 1/2005.


Visti i ricorsi, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Firenze, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Provincie di Firenze, Pistoia e Prato, di F F e della. S. Bernardo di M S R &
C. s.n.c.;

Viste le memorie difensive delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2012 il dott. G B e uditi per le parti i difensori come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’avvocato F F è proprietario dell’unità immobiliare situata in Firenze, via Masaccio n. 135 (foglio n. 80, particella n. 187, sub. 501);
il vialetto di accesso al fabbricato comprendente la predetta unità abitativa confina con il capannone identificato dalla particella n. 455, foglio n. 80.

L’immobile identificato dalle particelle n. 455 e 189 è di proprietà della San Bernardo s.n.c., ed è adibito a centro di riabilitazione dell’Istituto Prosperius s.p.a..

La copertura del capannone facente parte di detto immobile era costituita da eternit, poi incapsulato e ricoperto con guaina. Successivamente in tale capannone, individuato nella particella 455, è stato realizzato un solaio sostitutivo del controsoffitto, previa presentazione al Comune di Firenze della denuncia di inizio attività n. 3733/2005.

La società San Bernardo, in variante all’intervento previsto dalla citata d.i.a. n. 3733/05, ha realizzato una passerella di collegamento tra due solai e tramezzature al di sopra del soppalco esistente onde creare spogliatoi per il personale (si veda la relazione tecnico descrittiva di cui al documento n. 4 depositato in giudizio dalla società San Bernardo).

Con d.i.a. n. 4702 dell’11.8.2006 la ricorrente ha presentato il progetto di parziale sopraelevazione e realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica costituito da piano terreno, piano primo e sottotetto con copertura a volta (documento n. 2 depositato in giudizio dal Comune).

Avverso la d.i.a. del 2006 e la connessa autorizzazione paesaggistica del 2.1.2008 l’avvocato F è insorto, con l’impugnativa n. 653/2010, deducendo varie censure.

In pendenza del gravame il ricorrente ha appreso che il Comune di Firenze, con ordinanza n. 67 del 23.2.2010, aveva disposto la sospensione dei lavori di cui alla d.i.a. n. 4702/2006, e che tale ordinanza era poi stata revocata dal Comune stesso, in autotutela, con provvedimento n. 129 del 1/4/2010.

Quest’ultimo atto è stato impugnato dalla parte ricorrente con motivi aggiunti, incentrati su profili di illegittimità relativi ad esso e su nuove censure riferite alla d.i.a. del 2006.

L’amministrazione, con ordinanza n. 269 dell’8.6.2010, ha reiterato la sospensione dei lavori, sull’assunto che non risultava rilasciata la licenza edilizia per la costruzione del capannone sul quale era in fase di costruzione la sopraelevazione prevista nella d.i.a. n. 4702/2006 e che il fabbricato adiacente era stato autorizzato con destinazione industriale, mentre la d.i.a. indicava la destinazione commerciale.

E’ seguita l’ordinanza n. 831 del 21.11.2011, con la quale il Comune di Firenze, rilevate l’illegittimità urbanistica del capannone preesistente e la mancanza, in entrambe le d.i.a., della dichiarazione di legittimità del fabbricato, ha dichiarato l’inefficacia delle stesse ed ordinato la demolizione delle opere in esse previste.

Avverso tale provvedimento la società San Bernardo, il dottor M B e la dott.sa M S R sono insorti con ricorso n. 199/2012, deducendo varie censure.

Si è costituito in giudizio, in relazione ad entrambi i ricorsi, il Comune di Firenze.

Si sono inoltre costituiti in giudizio, in relazione alla prima impugnativa, la società San Bernardo, la competente Soprintendenza ed il Ministero per i Beni e le Attività culturali, e in relazione alla seconda impugnativa l’avvocato F.

All’udienza dell’11 ottobre 2012 le cause sono state poste in decisione.

DIRITTO

In via preliminare occorre procedere alla riunione dei ricorsi, stante la loro connessione oggettiva.

Per motivi di priorità logica, il Collegio ritiene di procedere alla trattazione del secondo ricorso.

Occorre quindi preliminarmente esaminare le questioni in rito relative al medesimo.

E’ stata eccepita l’inammissibilità del gravame n. 199/2012 in relazione alle censure riguardanti la d.i.a. n. 3733/2005, sull’assunto che quest’ultima è stata presentata non dalla società ricorrente, proprietaria dell’immobile, ma dall’Istituto Prosperius, gestore della struttura, il quale non ha contestato l’ordinanza comunale oggetto di ricorso.

Il rilievo non è condivisibile.

La società ricorrente, quale proprietaria, è lesa dagli effetti scaturenti dall’impugnata ordinanza.

Invero tali effetti, destinati a ripercuotersi sull’integrità dell’immobile de quo e sul suo valore economico, sono espressamente rivolti alla società San Bernardo, essendo la stessa indicata, nell’impugnato provvedimento, come destinataria della declaratoria di inefficacia relativa ad entrambe le d.i.a. e della misura demolitoria.

La difesa della società San Bernardo, con memoria di replica, chiede la cancellazione dell’affermazione della difesa del Comune secondo cui il professionista ha attestato il falso, ritenendola diffamatoria.

Al riguardo il Collegio osserva che la difesa del Comune, nella discussione tra le parti svoltasi nell’odierna udienza pubblica, ha dichiarato di rettificare la parola “falso”.

Il Collegio ritiene che tale rettifica equivalga sostanzialmente alla cancellazione della parola asseritamente offensiva.

Entrando nel merito della trattazione del ricorso n. 199/2012, si osserva quanto segue.

Con la prima censura i ricorrenti lamentano il mancato perseguimento dell’interesse pubblico giustificante l’adozione della gravata ordinanza.

Il motivo è infondato.

Il contestato provvedimento trova motivazione nella circostanza che il capannone, oggetto degli interventi edilizi in questione, risulta privo della necessaria licenza edilizia, rendendo così abusive le opere di ristrutturazione e di manutenzione straordinaria previste nella d.i.a..

Pertanto, la contestata azione amministrativa non è stata asservita al perseguimento dell’interesse dei privati autori degli esposti, ma appare funzionale all’interesse pubblico al regolare assetto edilizio e urbanistico, giacchè gli interventi di manutenzione straordinaria o di ristrutturazione edilizia ricadenti su edificio abusivo ripetono le caratteristiche di illiceità del medesimo (TAR Toscana, III, 11.1.2012, n. 25).

Con il secondo rilievo gli istanti sostengono che, poiché l’immobile de quo è stato realizzato prima del 1967, non occorreva documentare l’esistenza della licenza edilizia.

L’assunto non è condivisibile.

Il regime autorizzatorio relativo alla costruzione, avvenuta tra il 1954 e il 1961, del capannone de quo, trova la propria fonte nell’art. 31 della legge n. 1150/1942, il quale prevedeva il rilascio di apposita licenza per le costruzioni ricadenti, come nel caso di specie (documento n. 29 depositato in giudizio dal Comune), nel centro abitato.

Depone in tal senso anche l’art. 31, comma 5, della legge n. 47/1985, il quale fa riferimento, ai fini della possibilità di sanare gli abusi ultimati prima del 1° settembre 1967, alle opere per le quali era richiesto, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 1150/1942 e dei regolamenti edilizi, il rilascio della licenza di costruzione.

La terza doglianza è incentrata sul difetto di motivazione, alla luce del lungo tempo trascorso dalla commissione dell’abuso edilizio.

Il rilievo non può essere accolto.

L’impugnata ordinanza non è preordinata alla rimozione del capannone realizzato oltre 50 anni fa, ma assume ad oggetto le opere previste nelle d.i.a. del 2005 e del 2006, di recente realizzazione.

Pertanto, non avendo il Comune adottato misure repressive avverso manufatti di remota costruzione, non sussiste un particolare obbligo di motivazione scaturente dall’affidamento suscitato dall’esistenza dell’immobile da lungo tempo.

E’ quindi sufficiente la sussistenza dell’interesse pubblico al regolare assetto edilizio, secondo quanto evidenziato nella trattazione della prima censura.

Con il quarto rilievo i ricorrenti osservano che gli artt. 42 e 52 del regolamento edilizio ammettono un incremento di superficie sino al 10% della superficie esistente di fatto, e prescindono quindi dalla necessità di dimostrare la liceità del volume preesistente;
aggiungono che i lavori in questione, limitati alla sopraelevazione dell’esistente, non sono destinati a rendere utilizzabile la parte ritenuta abusiva, con la conseguenza che è giuridicamente irrilevante il fatto dell’impossibilità di dimostrare l’esistenza del titolo legittimante una porzione dell’immobile.

Il motivo è infondato.

Il parametro di raffronto costituito dalla superficie esistente non può coincidere con qualunque spazio costruito, non potendo rilevare superfici abusive, ovvero situazioni di illiceità.

Diversamente opinando, si introdurrebbe una irragionevole equiparazione tra situazioni lecite e illecite, ovvero tra coloro che hanno precedentemente costruito sulla base di regolare titolo edilizio e coloro che hanno realizzato edifici abusivi.

Né rileva la circostanza che le opere della d.i.a., limitate alla sopraelevazione, non valgono a rendere utilizzabile la parte ritenuta abusiva.

Infatti, secondo un principio pacifico in giurisprudenza, gli interventi di manutenzione straordinaria o di ristrutturazione edilizia (incluse le sopraelevazioni) ricadenti su edificio abusivo ripetono le caratteristiche di illiceità del medesimo (TAR Toscana, III, 11.1.2012, n. 25;
TAR Lombardia, Milano, IV, 8.11.2010, n. 7206).

Con la quinta censura gli esponenti affermano che l’adozione dell’impugnato provvedimento, essendo intervenuta dopo la scadenza del termine di 45 giorni dalla notifica dell’ordine di sospensione dei lavori, contrasta con l’art. 129, comma 3, della L.R. n. 1/2005.

L’assunto non è condivisibile.

Il termine di legge per l’emissione dell’atto sanzionatorio, decorrente dall’ordinanza di sospensione dei lavori, ha carattere ordinatorio (TAR Puglia, Lecce, III, n.2651 del 2008;
TAR Toscana, III, 7.6.2012, n. 1099).

Con la sesta doglianza i deducenti sostengono che l’impugnata declaratoria di inefficacia non è prevista dall’ordinamento e lamentano la violazione dell’art. 84 della L.R. n. 1/2005, laddove stabilisce un termine massimo di trenta giorni entro cui può essere esercitato il potere di impedire la prosecuzione delle opere e laddove subordina il divieto di prosecuzione dei lavori alla riscontrata assenza di uno degli atti di cui all’art. 84 comma 2;
osservano altresì che l’amministrazione ha in realtà ritenuto di esercitare la potestà di autotutela prevista dall’art. 19 della legge n. 241/1990, con la conseguenza che avrebbe dovuto rispettare gli artt. 21 quinquies e 21 nonies ivi richiamati.

Il motivo è infondato.

Entrambe le d.i.a. assumono a esplicito presupposto, tra l’altro, la conformità urbanistica delle opere e l’accertato stato di legittimità dell’immobile interessato dai lavori.

Orbene, la natura abusiva del capannone, essendo il medesimo privo della necessaria licenza edilizia, rivela che l’asseverazione di conformità e la dichiarazione di legittimità dell’immobile non corrispondono al reale stato dei fatti.

Il Collegio osserva che l’art. 21 della legge n. 241/1990, richiamando l’art. 483 c.p., prevede l’inefficacia della d.i.a. in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni costituenti reato, mentre nel caso di specie, stante la remota epoca di realizzazione del capannone e, di conseguenza, la non immediata percebilità della mancanza di titolo abilitante, appare da escludere una condotta del privato integrante gli estremi di cui alla citata norma.

Tuttavia l’art. 84, comma 7, della L.R. n. 1/2005 (nel testo applicabile in forza dell’art. 205 quinquies della L.R. n. 1/2005) ammette l’adozione di misure repressive anche dopo il decorso del termine di 20 giorni dalla presentazione della denuncia di inizio attività, qualora “le attestazioni dei professionisti non corrispondano al vero” e costituiscano violazione dell’obbligo di asseverare la regolarità urbanistica delle opere da realizzare, la quale riguarda non solo la coerenza delle stesse rispetto alla relativa disciplina edilizia e urbanistica, ma anche la liceità dell’edificio cui le opere in questione accedono, secondo il già visto principio secondo cui l’illiceità dell’immobile si ripercuote sull’ammissibilità degli interventi edilizi su di esso ricadenti.

In tal modo il citato art. 84 comma 7, legittimando l’ordine di demolire l’opera di ampliamento o ristrutturazione nonostante l’avvenuta presentazione, da oltre 20 giorni, della relativa d.i.a., presuppone l’inefficacia della stessa, ovvero statuisce la non conformazione degli effetti dell’attività a legge, similmente a quanto avviene nel caso previsto dall’art. 21 della legge n. 241/1990.

Né potrebbe ravvisarsi nel caso di specie un provvedimento di autotutela ancorato ai presupposti indicati dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241/1990, giacchè in forza dell’art. 84, comma 7, della L.R. n. 1/2005 “il superamento del termine di venti giorni non preclude la potestà di controllo del Comune e l’adozione dei pertinenti provvedimenti sanzionatori, con la conseguenza che la repressione dell’attività edilizia contrastante con la normativa non deve sottostare all’esercizio dell’autotutela” (TAR Toscana, III, 14.5.2010, n. 1456).

Pertanto la contestata declaratoria di inefficacia non costituisce provvedimento atipico, ma è riconducibile alla citata norma regionale.

Più in generale, secondo un significativo orientamento della giurisprudenza amministrativa, presupposti indefettibili affinchè una d.i.a. possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, II, 9.12.2008, n. 5737;
T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, II, 17.7.2006, n. 142;
Cons. Stato, IV, 24.5.2010, n. 3263;
T.A.R. Lazio, Roma, I, 2.12.2010, n. 35023). Infatti, il decorso del termine di venti giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta. Così opinando, la declaratoria di inefficacia, anche prescindendo dall’art. 84, comma 7, della L.R. n. 1/2005, non è equiparabile ad un potere di autotutela ma ad un potere di verifica della non formazione della d.i.a., con conseguente ordine di demolizione delle opere realizzate sulla base di titolo inefficace, così come d’altronde normativamente previsto per l’ipotesi di mendacio (TAR Puglia, Bari, I, 18.6.2012, n. 1194).

In definitiva, l'esercizio del potere esercitato nel caso di specie non è sottoposto al termine perentorio di venti giorni, che presuppone invece che la d.i.a. sia completa nei suoi elementi essenziali (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 9.12.2008, n. 5737).

Con la settima censura i ricorrenti deducono la violazione del combinato disposto del comma 3 dell’art. 19 e dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, qualora si ravvisasse nel provvedimento impugnato la revoca o l’annullamento d’ufficio.

Il motivo è infondato alla stregua delle considerazioni espresse dal Collegio nella trattazione della precedente doglianza.

L’ottava censura è incentrata sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento relativo alla declaratoria di inefficacia della d.i.a. n. 3733/2005, nonché sull’inidoneità della avvenuta comunicazione di avvio del procedimento di dichiarazione di nullità della d.i.a. n. 4702/06 ad instaurare un valido contraddittorio ai fini dell’adozione dell’impugnata declaratoria di inefficacia di quest’ultima.

Il rilievo non può essere accolto.

Il Collegio rileva che nella fase istruttoria antecedente all’adozione dell’atto impugnato è stata accertata la natura abusiva del corpo di fabbrica in cui è collocata la palestra.

La ricorrente ha avuto modo di interloquire preventivamente, al riguardo, con il Comune, avendo essa presentato varie controdeduzioni su questioni relative alla d.i.a. n. 4702/2006, la quale concerne la sopraelevazione del corpo di fabbrica in cui è collocata la palestra (si vedano ad esempio i documenti n. 22, 23, 24 e 26 depositati in giudizio dal Comune di Firenze), ed essendo stata destinataria di ordinanze di sospensione dei lavori idonee ad attivare il contraddittorio prima dell’adozione della determinazione definitiva (si veda, in particolare, l’ordinanza n. 269 dell’8.6.2010 –documento n. 12 depositato in giudizio dalla società San Bernardo l’8.2.2012-).

Anche la d.i.a. n. 3733/2005 interessa il locale palestra, prevedendovi la realizzazione di un solaio al posto del controsoffitto (si veda la relazione della Procura della repubblica, indirizzata al Comune di Firenze, costituente il documento n. 6 depositato in giudizio dall’avvocato F in data 11.7.2012).

Orbene, poiché entrambi i titoli edilizi prevedono opere ricadenti sulla stessa porzione immobiliare priva di licenza edilizia (zona palestra), le questioni sottese alla rispettiva dichiarazione di inefficacia, incentrate sulla regolarità edilizia dello stesso edificio principale, sono analoghe, con la conseguenza che il contraddittorio svoltosi con l’interessata ai fini della declaratoria di inefficacia della d.i.a. del 2006 vale anche come partecipazione al procedimento riferito alla d.i.a. del 2005.

Quanto alla nota di avvio del procedimento riferita alla nullità, anziché all’inefficacia della d.i.a. del 2006, il Collegio ritiene che la questione che ha indotto l’Ente a dichiarare l’inefficacia della d.i.a. stessa e ad adottare la misura ripristinatoria è stata portata preventivamente a conoscenza della parte interessata, la quale ha avuto modo di dare il proprio apporto al procedimento.

Invero, tra atto preannunciato ed atto finale deve sussistere una relazione di analogia o congruità, ovvero di prevedibilità alla luce delle acquisite ed evidenziate risultanze istruttorie, e non necessariamente di identità assoluta. Nel caso di specie, poiché il contenuto della determinazione conclusiva non appare costituire un esito imprevedibile e discontinuo rispetto a quanto preannunciato, stante il giudizio di inidoneità della d.i.a. ad assolvere al proprio scopo, rilevabile sia nella comunicazione di avvio del procedimento, sia nell’atto finale, l’art. 7 della legge n. 241/1990 appare rispettato.

Con la nona censura la parte istante deduce che la d.i.a. del 2005 riguarda non solo la sopraelevazione del capannone, ma anche interventi estranei alla porzione abusiva dell’edificio, rispetto ai quali appare illogica la declaratoria di inefficacia.

Il rilievo è infondato.

L’affermazione della ricorrente, genericamente espressa, non trova riscontro nella relazione descrittiva allegata alla predetta d.i.a., la quale evidenzia la progettata realizzazione di un solaio al posto del controsoffitto e la connessa modifica degli impianti tecnici;
anche il rapporto della Procura della Repubblica datato 18.5.2010 non lascia trasparire opere progettate ed eseguite riferibili alla porzione immobiliare legittimamente realizzata e non strettamente connesse alla realizzazione del solaio nel locale palestra.

Quanto all’ordine di demolizione, con la decima doglianza gli esponenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 134 della L.R. n. 1/2005, obiettando che la fattispecie in esame non è connotata da assenza di d.i.a., difformità da essa o variazione essenziale, e potendosi a tutto concedere applicare l’art. 138 della L.R. n. 1/2005, disciplinante le conseguenze dell’annullamento del permesso di costruire.

Il rilievo non è condivisibile.

Come visto nella trattazione del sesto motivo di gravame, le d.i.a. presentate sono prive di efficacia, con la conseguenza che trova applicazione la disposizione sanzionatoria relativa alla ristrutturazione edilizia realizzata in assenza di d.i.a., in quanto l’inidoneità di quest’ultima a produrre i propri effetti è equiparabile alla mancanza di titolo edilizio, difettando in entrambi i casi un effetto abilitante.

L’invocata applicazione dell’art. 138 della L.R. n. 1/2005, anche a prescindere dalla suesposta considerazione, non è comunque condivisibile.

Invero la suddetta norma regionale riguarda solo l’annullamento del permesso di costruire conseguente a vizi procedurali (TAR Toscana, III, 27.8.2012, n. 1479), estranei alla fattispecie in esame.

Né potrebbe trovare applicazione l’art. 38, comma 2 bis, del d.p.r. n. 380/2001.

Invero, in analogia con quanto statuito per il permesso di costruire, anche in relazione alla d.i.a. sostitutiva del permesso di costruire l’annullamento del titolo giustificante la sanzione pecuniaria ad effetti sananti ex art. 38, comma 2, del citato d.p.r., deve scaturire da vizi procedurali. Diversamente opinando si perverrebbe ad una irragionevole disparità di trattamento tra atti riguardanti le stesse opere (e cioè tra permesso di costruire e d.i.a. sostitutiva del permesso di costruire), ovvero tra lo speciale regime caducatorio del permesso di costruire, limitato alla sussistenza dei vizi procedurali secondo la lettera dell’art. 38 comma 1, ed il regime caducatorio della d.i.a. genericamente incentrato sulla “inesistenza dei presupposti” secondo la lettera dell’art. 38 comma 2 bis.

Pertanto, il ricorso n. 199/2012 va respinto.

Quanto al ricorso n. 653/2010 il Collegio preliminarmente osserva che è stata eccepita l’inammissibilità del gravame introduttivo sull’assunto che la contestata d.i.a., costituendo atto di natura privata, non ammette l’azione di annullamento.

Il rilievo è fondato.

Il Collegio condivide l’orientamento secondo cui la dichiarazione di inizio attività non ha natura provvedimentale, trattandosi di atto privato, e non è quindi ad essa pertinente la domanda di annullamento (Cons. Stato, IV, 13.5.2010, n. 2139;
TAR Toscana, III, 8.4.2011, n. 656).

Non depone in senso contrario l’impugnazione congiunta dell’assenso paesaggistico, trattandosi di provvedimento impugnato in quanto strettamente connesso alla d.i.a..

Analoghe considerazioni valgono per i motivi aggiunti, nella parte riferita alla d.i.a. n. 4702/2006.

Quanto ai motivi aggiunti relativi al primo ricorso, nella parte avente ad oggetto l’atto di revoca dell’ordinanza di sospensione dei lavori, va accolta l’eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse.

Invero il sopraggiunto provvedimento con cui il Comune ha dichiarato l’inefficacia delle d.i.a. e ordinato la demolizione, stante la reiezione del ricorso n. 199/2012 proposto avverso il medesimo, è definitivamente sostitutivo degli effetti della suddetta revoca, la quale quindi attualmente non può in alcun modo essere lesiva per i ricorrenti.

In conclusione, quanto al ricorso n. 653/2010 l’impugnativa principale va dichiarata inammissibile, mentre i motivi aggiunti vanno dichiarati in parte inammissibili (laddove riferiti alla d.i.a.) e in parte improcedibili (laddove riferiti all’ordinanza di revoca);
il ricorso n. 199/2012 deve essere invece respinto.

Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, inclusi gli onorari difensivi, stante la particolarità e la complessità delle questioni dedotte.

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