TAR Venezia, sez. IV, sentenza 2024-01-29, n. 202400138

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. IV, sentenza 2024-01-29, n. 202400138
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202400138
Data del deposito : 29 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/01/2024

N. 00138/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01437/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1437 del 2017, proposto da
G 1140 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati C C, I C e M C, con domicilio digitale presso la pec dei difensori e domicilio fisico elettivo presso lo studio I C in Stra alla Piazza Marconi n. 51;

contro

Ministero per i Beni e Attività Culturali e del Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia, con domicilio digitale presso la pec di questa e domicilio fisico domiciliataria ex lege in Venezia alla piazza S. Marco, 63 (Palazzo ex Rea);

nei confronti

Comune di Portogruaro, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

1.del provvedimento di Mi.b.a.c.t. del 6 giugno 2017, n. MIBACT SR-VE DIR-UFF 0005762, di imposizione sull'area dell'ex Consorzio Agrario della dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante ai sensi dell'art. 10, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 42/2004 (c.d. vincolo diretto);

2.del provvedimento di Mi.b.a.c.t. del 6 giugno 2017, n. MIBACT SR-VE DIR-UFF 0005763, di prescrizione di misure di tutela indiretta ai sensi dell'art. 45 d.lgs. n. 42/2004 (c.d. vincolo indiretto).


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e Attività Culturali e del Turismo;

Visti tutti gli atti della causa;

Giudice relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2023 la dott.ssa Ida Raiola e uditi per le parti i difensori Pavan, in sostituzione dell'avv. Cacciavillani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato in data 30/11/2017 -01/12/207 e depositato in data 15/12/2017, la società ricorrente esponeva in fatto:

-che i provvedimenti impugnati avevano ad oggetto l’area e i fabbricati denominati “ex Consorzio Agrario” di Portogruaro, acquistati da G 1140 s.r.l. con atto n. 187301 rep. del 20 novembre 199;

-che l’area era molto estesa e su di essa insistevano alcuni fabbricati costruiti – come era possibile leggere a p. 2 della relazione culturale che accedeva ai provvedimenti impugnati – «dal primo quarto del XX secolo fino alla metà degli anni ’60»;

-che il complesso integrava una «unità produttiva coerente dal punto di vista distributivo e funzionale» ma era caratterizzato da «una sostanziale eterogeneità compositiva»;

-che questa eterogeneità compositiva rappresentava di per sé un valore culturale da proteggere perché «permette di leggere […] la diacronica evoluzione delle differenti facies costruttive»;

-che, come si leggeva ancora nella relazione culturale, che il complesso produttivo era stato «dismesso a metà degli anni Novanta e da allora ha subito un totale abbandono» e che esso era adiacente agli ex Stabilimenti chimici della Perfosfati, sottoposti a vincolo nel 2008 e «sorti nella medesima epoca», con i quali aveva dato vita a un «importante polo industriale»;

-che sul complesso immobiliare erano stati posti un vincolo diretto e dei vincoli indiretti;

-che il vincolo diretto era stato imposto dal provvedimento indicato sub 1) dell’epigrafe sui seguenti immobili: nucleo A1, ossia un villino liberty le cui forme e consistenza attuale risalgono agli anni ’20 del secolo scorso;
nucleo A2, sempre risalente agli anni ’20, immediatamente retrostante e leggermente prospiciente quello denominato A1 (è la porzione di testa di un più esteso fabbricato le cui ulteriori parti, denominata B e C, sono oggetto dei vincoli indiretti di cui al provvedimento impugnato sub 2);
nucleo A3, che è la facciata di un magazzino realizzato «negli anni ’30 per lo stoccaggio di superfosfati», qualificato dal provvedimento impugnato sub 1 come «manifesto della nuova società industriale conformato da una rilevante qualità estetica»;

-che, sugli altri fabbricati, rispettivamente B, C, D ed E e sull’intero scoperto individuato come F, il provvedimento impugnato sub 2) dell’epigrafe aveva impresso dei vincoli indiretti per la ritenuta «necessità di preservare nei propri caratteri distintivi le condizioni di luce, prospettiva e decoro degli immobili individuati e riconosciuti [con il provvedimento impugnato sub 1, di imposizione di vincolo diretto] come beni culturali, così da consentire il mantenimento del rapporto esistente tra le fabbriche storiche e il proprio contesto, sorto a completamento ed emanazione del Consorzio [agrario], nel rispetto dell’immagine storicamente consolidata del luogo e dell’integrità dei beni culturali tutelati»;

-che, per i fabbricati B, C ed E era possibile la demolizione e il recupero o trasferimento dell’ingombro, peraltro «quantificato in termini di volumetria reale o di superficie lorda di pavimento», con destinazioni diversa da quella produttiva ma tenendo conto «degli allineamenti configurati all’interno dell’area»: alias, «sono ammesse modeste traslazioni, ma la volumetria e la superficie lorda di pavimento non possono essere variate né è possibile modificare la conformazione fisica complessiva dell’area. In caso di demolizione e ricostruzione, per l’edificio B è ulteriormente prescritto il mantenimento di sedime, altezza massima e copertura a falde;
per gli edifici C ed E sono ulteriormente prescritti il mantenimento dell’altezza massima esistente;
in ogni caso la ricostruzione deve essere effettuata con materiali e tecniche in armonia e continuità con le tecnologie costruttive utilizzate nel complesso. L’edificio D potrà essere destinato a utilizzo diverso da quello produttivo ma dovrà mantenerne i caratteri tipo-morfologici;
qualora demolito, dovrà essere ricostruito nel rispetto del sedime, delle altezze e delle falde di copertura esistenti, mantenendo anche la geometria del prospetto est. Per l’area F (ossia per le aree scoperte) l’art. 4 del provvedimento dispone che «non sono ammesse né nuove edificazioni, né variazioni, né modellazione del terreno e delle quote altimetriche»;

-che il provvedimento di imposizione di vincolo indiretto disponeva, all’art. 3, che «sono ammessi nell’area gli interventi necessari alla bonifica del sito», peraltro «con assistenza archeologica continuativa»;

-che, infine, l’art. 5 imponeva che fosse «assicurato l’equilibrio dei coni prospettici attualmente percepibili»;

-che entrambi i provvedimenti impugnati davano atto dell’esistenza di un problema di bonifica dell’intero ambito;

-che, per cogliere l’impatto e il concreto significato dei vincoli impugnati, occorreva ripercorrere le tappe dei vari procedimenti che si erano susseguiti a partire dall’abbandono del sito, risalente, come rilevano i provvedimenti impugnati, a decenni orsono;

-che, per l’intero ambito, incluso nel perimetro del p.u.a. 14, G e Comune avevano concluso l’accordo di pianificazione urbanistica del 14 febbraio 2007, registrato l’8 marzo 2007;

-che l’accordo prevedeva la demolizione dei fabbricati esistenti salvo che del villino liberty, tutti in abbandono e in avanzato stato di degrado, il recupero della volumetria esistente, pari a circa mc 27.900, e un incremento di cubatura di mc 5000;

-che essa G si era obbligata, oltre che alla conservazione del villino liberty, alla realizzazione di uffici comunali per mc 11.000 con parcheggi interrati e alla realizzazione e cessione al Comune di una piazza, di una passerella di collegamento tra il p.u.a. 14 e il p.u.a. 13 e di ulteriori parcheggi oltre standard, ovvero di una porzione di opera di pavimentazione d’arredo esterna al perimetro del p.u.a.;

-che, subito dopo la conclusione dell’accordo di pianificazione, indagini eseguite nel maggio del 2007 avevano evidenziato la (mai prima sospettata) presenza di materiali di riporto sotto lo strato pavimentato e specificamente di residui ascrivibili a ceneri di pirite, nonché la sospetta contaminazione da idrocarburi, ossia l’intero sottosuolo era costituito da terreni di riporto contaminati;

-che essa G aveva così inviato alla Provincia, il 17 settembre 2007, la comunicazione di potenziale contaminazione dell’area, ai sensi dell’art. 245 d.lgs. n. 152/2006;

-che, in qualità di proprietaria non responsabile della potenziale contaminazione, essa G aveva sollecitato la Provincia a individuare il soggetto responsabile: il relativo procedimento era stato avviato dalla Provincia con atto 15 maggio 2008, n. 34457 prot. e si era concluso con atto 15 febbraio 2012, n. 14099 prot.;

-che, con tale atto, la Provincia aveva comunicato che la società proprietaria del presunto sito di provenienza delle ceneri di pirite, così come quelle che ne avevano acquisito la proprietà in seguito, non erano più esistenti;
che il deposito di ceneri era ascrivibile a soggetti non identificati e risaliva a un’epoca (anni ’20-’30 del Novecento) in cui non erano ancora in vigore le norme ambientali relative allo smaltimento dei rifiuti industriali;
che l’inquinamento da idrocarburi doveva presumibilmente essere ricondotto all’attività dell’ex Consorzio Agrario nel periodo 1920-1992, dopo il quale il Consorzio Agrario aveva venduto l’area a essa G e si era estinto;

-che la Provincia aveva, pertanto, invitato il Comune ad agire in sostituzione del responsabile, ai sensi dell’art. 250 d.lgs. n. 152/2006, predisponendo ed eseguendo il piano di caratterizzazione del sito e le attività di bonifica che si fossero rese necessarie;

-che la scoperta dell’inquinamento dell’area e la conseguente necessità di sua bonifica avevano reso pacificamente irrealizzabile l’intervento di cui all’accordo di pianificazione del 2007;

-che essa G, essendo comunque interessata all’utilizzo della sua area, si era resa disponibile a farsi carico della caratterizzazione ambientale dell’area;

-che il piano di caratterizzazione dava conto che il sottosuolo era contaminato da ceneri industriali e che l’inquinamento da idrocarburi derivava presumibilmente dal deposito di carburanti e/o dalle caldaie interrate installati dall’ex Consorzio agrario;

-che il piano di caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio erano stati trasmessi agli enti competenti il 14 aprile 2014, sono stati oggetto della conferenza di servizi decisoria del 10 novembre 2015 ed erano stati approvati con delibera di Giunta comunale n. 18/2016;

-che l’analisi di rischio dava atto che «le condizioni di rischio sono soprattutto determinate dallo strato superficiale del terreno e sono sia di tipo tossicologico sia di tipi cancerogeno», mentre per un unico parametro, il selenio, si evidenzia «anche un possibile rischio di contaminazione da falda profonda»;

-che la conferenza di servizi decisoria del 10 novembre 2015 (approvata con delibera di Giunta n. 18/2016) dava atto dell’impegno della proprietà di «presentare, entro sei mesi dall’approvazione dell’analisi di rischio (ai sensi dell’art. 242 d.lgs. n. 152/2006) il progetto di bonifica, che deve essere necessariamente accompagnato da un accordo di programma urbanistico-edilizio, ai sensi dell’art. 246 d.lgs. n. 152/2006, con il quale saranno definite le tempistiche per la realizzazione degli interventi previsti dal progetto di bonifica»;

-che, dunque, del piano di caratterizzazione e dell’analisi di rischio si era fatta carico essa G, pur non essendovi tenuta ai sensi dell’art. 250 d.lgs. n. 156/2006 in quanto proprietaria incolpevole dell’inquinamento,

-che Piano di caratterizzazione e analisi di rischio davano atto della disponibilità di G di farsi carico anche della bonifica del sito, e ciò ovviamente nel quadro delineato dall’art. 246 d.lgs. n. 152/2006, ossia nel quadro di un accordo di programma che definisse modalità e tempistiche della bonifica;

-che gli enti partecipanti alla conferenza di servizi ambientale e il Comune, che ne aveva approvato le risultanze, avevano assunto che l’accordo di programma dovesse avere connotazione anche urbanistico-edilizia;

-che la bonifica era infatti necessaria per esigenze di protezione dell’ambiente e della salute pubblica;
essa costituisce inoltre condizione imprescindibile per il riuso dell’area, che costituisce obiettivo programmatorio pubblico declinato da lustri dal pianificatore comunale;

-che i costi della bonifica, che di per sé avrebbero dovuto gravare sul soggetto pubblico, potevano essere assunti dal privato proprietario incolpevole dell’inquinamento soltanto nel quadro di un accordo, perché così disponeva l’art. 246 d.lgs. n. 152/2006: e detto accordo aveva valenza sia ambientale (bonifica) sia urbanistica, perché è dagli interventi urbanistico-edilizi che il privato avrebbe potuto (forse) ricavare le risorse necessarie per far fronte ai costi di bonifica;

-che rimaneva ovvio, peraltro, che nel proporre un accordo a valenza ambientale (progetto di bonifica) e urbanistico-edilizia, il privato si accollava il rischio di non poter far fronte ai costi della bonifica: non vi era alcuna certezza infatti che la volumetria realizzabile nell’ambito avrebbe trovato collocazione nel mercato;

-che, pertanto il Comune, dando seguito attuativo alla delibera di Giunta n. 18/2016 che approva definitivamente il piano di caratterizzazione e l’analisi di rischio, aveva richiesto a essa G «la bozza progettuale relativa all’area», precisando che essa avrebbe dovuto essere «esaustiva delle volumetrie e delle destinazioni d’uso richieste»;

-che il 29 giugno 2016 essa G aveva così presentato uno schema di accordo di programma recante il progetto preliminare di bonifica e messa in sicurezza permanente ai sensi dell’art. 246 d.lgs. n. 152/2006 e il progetto di recupero urbanistico-edilizio del compendio;

-che la proposta di accordo era congiuntamente e unitariamente proposta di accordo su progetto di bonifica, ex art. 246 d.lgs. n. 152/2006, e proposta di accordo urbanistico-edilizio, ex art. 6 l.r. n. 11/2004, per il recupero urbanistico-edilizio del sito, dal quale essa G avrebbe potuto (forse) ricavare il recupero dei costi di bonifica;

-che questo duplice – ma funzionalmente unitario – contenuto dell’accordo risultava dalla conferenza di servizi decisoria del 10 novembre 2015 e la sua presentazione, con questo duplice ma funzionalmente unitario contenuto, era stata richiesta dal Comune con l’atto del 10 febbraio 2016;

che il progetto di bonifica includeva la demolizione delle pavimentazioni esistenti, perché anche i fabbricati erano stati costruiti su terreni di riporto risultati contaminati;

-che, sotto il profilo urbanistico-edilizio, l’area oggetto di m.i.s.p. – ove ricadevano il nucleo A3, i fabbricati D ed E e l’area F – si prestava a essere utilizzata solo per parcheggio e piazza, essendo oggetto di capping ;
l’area oggetto di bonifica mediante scavo e asporto di terreno inquinato – ove ricadono i nuclei A1, A2, B e C – si prestava invece a essere oggetto di successiva ri-edificazione;

-che, data l’esiguità dell’area che si presta a ospitare la ri-edificazione, una volta effettuata la bonifica, secondo le modalità del relativo progetto, solo una parte della volumetria esistente, pari a 27.900 mc, avrebbe potuto essere recuperata, ovviamente con una collocazione compatibile con il progetto di bonifica, che rendeva inutilizzabile l’area oggetto di m.i.s.p.;

-che la volumetria recuperabile nell’ambito era dunque inferiore a quella esistente, ma nondimeno sufficiente a consentire in prospettiva – per la spes della proprietà di collocazione sul mercato il recupero dei costi della bonifica, pari a circa € 2,5 milioni;

-che gli obiettivi di pubblico interesse della proposta – bonifica e recupero a una qualche fruizione di un’area abbandonata e degradata – erano contemperati, nella proposta di accordo, con l’esigenza del proponente di recuperare in situ una parte della volumetria esistente, da collocare sul mercato, e dalla cui vendita soltanto esso avrebbe potuto recuperare i costi della bonifica che, pur non essendovi tenuto, aveva dichiarato di essere disposto ad accollarsi;

-che, sulla proposta di accordo il Comune si era pronunciato con delibera di Giunta n. 108/2016;

-che ivi il Comune aveva ricordato il proprio obiettivo strategico di «rivitalizzazione dell’area», già espresso negli strumenti urbanistici vigenti;
aveva preso atto della impossibilità di attuazione dell’accordo urbanistico del 2007, a causa dell’emersione del problema dell’inquinamento;
aveva preso atto della «sopravvenuta necessità di interesse pubblico all’attuazione del piano di caratterizzazione del sito»;
aveva preso atto che la proposta di accordo presentata da G «si situa nel procedimento di caratterizzazione e bonifica e ne rappresenta il completamento» e che essa aveva contenuto anche urbanistico - edilizio e aveva così dettato le «linee guida da attuare nella stesura dell’accordo di programma», evidenziando che «la proposta deve essere tale da rendere attuabile la fruizione di uno spazio che da tanto tempo è inutilizzato e degradato»;

-che, con nota del 28 ottobre 2016, il dirigente dell’area tecnica del Comune aveva chiesto alla Soprintendenza, in vista della definizione dei contenuti del futuro accordo di programma, «cortese collaborazione nel merito della verifica di eventuali vincoli di cui al d.lgs. n. 42/2004 sull’area in esame»;

-che ne era scaturito l’atto della Soprintendenza 2 febbraio 2017, n. 2359 prot., con il quale, a valle della ricognizione dell’insussistenza di alcun vincolo, “leggeva” nella nota comunale del 28 ottobre 2016 la «richiesta [del Comune] a sancire l’implicito riconoscimento di valori storico-testimoniali negli immobili afferenti al compendio dell’ex Consorzio Agrario», riconoscendo nel compendio il ruolo di «cerniera tra la ex Stazione, gli ex Stabilimenti Chimici della Perfosfati (oggetto di tutela diretta per effetto di decreto del 29 ottobre 2008) e il centro storico»;

-che ne erano scaturiti anche gli atti 31 gennaio 2017, n. 2118 e n. 2121, con i quali la Soprintendenza aveva comunicato l’avvio di due procedimenti di apposizione di vincolo: uno, c.d. diretto, sui nuclei A1, A2 e A3, l’altro, c.d. indiretto, sui fabbricati B, C, D ed E e sull’area F;

che essa ricorrente aveva partecipato ai relativi procedimenti con memoria del 21 aprile, cui la Soprintendenza ha controdedotto negativamente;

-che, con i provvedimenti qui impugnati, il Ministero aveva condiviso le controdeduzioni della Soprintendenza e aveva imposto sull’area e sui fabbricati vincoli c.d. diretti e indiretti;

-che erano stati sottoposti a vincolo diretto i fabbricati (porzioni) A1, A2 e A3 e a vincolo indiretto i fabbricati B, C, D, E nonché l’area F, con i differenziati gradi di tutela meglio innanzi descritti;

-che il provvedimento di imposizione del vincolo disponeva che sono «ammessi gli interventi necessari alla bonifica del sito»: i quali peraltro sarebbero stati possibili, alla stregua del piano di bonifica, soltanto previo abbattimento dei fabbricati esistenti;

-che, infatti, cozzavano irrimediabilmente con la bonifica mediante asporto del terreno inquinato – che il piano di caratterizzazione evidenziava essere anche al di sotto dei fabbricati – il vincolo diretto sui nuclei A1 e A2;

-che cozzavano irrimediabilmente con la bonifica mediante m.i.s.p. il vincolo diretto sul corpo di fabbrica A3, il vincolo indiretto di mantenimento del sedime per i fabbricati D ed E e il vincolo indiretto per le aree F, per i quali il progetto di bonifica prevede il capping ;

-che cozzavano irrimediabilmente con la sostenibilità economica dell’intera operazione di bonifica e riuso del compendio il vincolo indiretto che imponeva, per l’ipotesi di demolizione dei fabbricati B e C, la ricostruzione sul sedime e con le medesime altezze: in tal modo sarebbe infatti realizzabile solo una piccola parte della volumetria necessaria per sostenere i costi della bonifica;

Tanto premesso in fatto, la società ricorrente prospettava le seguenti censure in diritto:

Violazione del principio di proporzionalità e del principio di bilanciamento necessario di interessi pubblici compresenti in una fattispecie unitaria - Eccesso di potere per erroneità di presupposto, carenza di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà in quanto il Ministero per i Beni e le Attività Culturali( e del Turismo), nell’apporre i vincoli in contestazione, non avrebbe tenuto in considerazione non già e non solo l’interesse del privato proprietario, quanto altri interessi pubblici concorrenti e di rango costituzionale: l’interesse pubblico (e generale) alla bonifica dell’area;
l’interesse del Comune alla riqualificazione urbanistica di un’area centralissima ormai da decenni abbandonata e degradata;
l’interesse finanziario pubblico a che non sia l’ente pubblico a sostenere i costi del progetto di bonifica e dell’attuazione della bonifica.

Si costituiva in resistenza il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Con ordinanza cautelare del 18/01/2018 n. 11 - confermata in sede di appello cautelare da Cons. Stato, 23/03/2028, n. 1357 ord. - l’istanza cautelare veniva respinta, sul rilievo che l’appetibilità economica dell’intervento di bonifica e riuso dell’area esulava dalle valutazioni dell’autorità preposta in sede di procedimento vincolistico della stessa ed era naturalmente recessiva rispetto all’interesse alla conservazione dei valori da tutelare, per cui il relativo apprezzamento di convenienza e sostenibilità per l’operatore economico non poteva che seguire l’imposizione della tutela restando condizionato dai contenuti della stessa in relazione alle modalità di intervento con essi compatibili (definibili ex post anche con la partecipazione di tutti gli interessi coinvolti).

All’udienza pubblica del 14 dicembre 2023 la causa passava in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e va respinto.

Il Collegio osserva – come peraltro già evidenziato in sede di delibazione sull’istanza cautelare (ord. caut. n.11/2018) – che si rivelano prima facie infondate le doglianze attoree, le quali si appuntano sull’omessa considerazione, da parte dell’autorità tutoria in sede di adozione dei provvedimenti di vincolo diretto e indiretto sul cespite immobiliare costituito dall’area e dai fabbricati denominati “ex Consorzio Agrario” di Portogruaro, sia dell’interesse facente capo al privato (essa società ricorrente), interessato al recupero del cespite sia degli altri interessi pubblici concorrenti e di rango costituzionale, quali: a) l’interesse pubblico (e generale) alla bonifica dell’area;
b)l’interesse del Comune alla riqualificazione urbanistica di un’area centralissima ormai da decenni abbandonata e degradata;
c) l’interesse finanziario pubblico a che non sia l’ente pubblico a sostenere i costi del progetto di bonifica e dell’attuazione della bonifica.

Focalizzandosi sul punto nodale della questione posta dall’impugnativa in esame – e ciò in ossequio al fondamentale canone di chiarezza e sinteticità degli atti del giudice e delle parti (art.3, comma 2, c.p.a., art. 121 c.p.c.) - va affermata la non pertinenza al novero delle attribuzioni dell’autorità ministeriale chiamata a determinarsi circa il grado di tutela da approntare a beni ascrivibili alla categoria dei beni culturali, la considerazione e la ponderazione di altri interessi (diversi, cioè, da quello volto alla conservazione del bene in uno alle sue caratteristiche tipologiche) eventualmente coinvolti nella fattispecie, la cui considerazione e ponderazione spetta, invece, all’Amministrazione investita del procedimento o dei procedimenti volti al recupero dell’area, previa – come nel caso di specie – bonifica della stessa, e alla sua diversa futura utilizzazione (Amministrazione procedente).

Nella delineata prospettiva si è precisato, ad opera del giudice amministrativo, che legittimamente è possibile apporre un vincolo indiretto, in forza dell’art. 45 del d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 e s.m.i. sull'area circostante ad un bene culturale, atteso che tale tipologia di vincolo è posta a tutela dell'intero ambiente potenzialmente interagente con il bene culturale e può essere apposta anche al fine di consentire di comprendere l'importanza dei luoghi in cui si inseriscono gli immobili tutelati da un vincolo diretto garantendone una conservazione pressoché integrale (Cons. Stato, sez. VI, 30/06/2021, n. 4923).

D’altra parte, nessun dubbio circa l’ambito funzionale della tutela del patrimonio culturale può sorgere dall’esegesi delle seguenti previsioni contenute nel d.lgs. 22/01/2004 n.42 (c.d. Codice dei Beni Culturali):

-la tutela consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione (art.3, comma 1);

-la valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. In riferimento al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati (art.6, comma 1);
la valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze (art.6, comma 2);
la Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale (art.6, comma 3).

In base al compendio normativo appena richiamato appare chiaro che interessi diversi da quello diretto alla protezione e alla conservazione del bene culturale per fini di pubblica fruizione non possono che essere considerati e assumere rilievo, precipuamente a fini di valorizzazione del bene culturale (art.6 d.lgs. n. 42/2004), se ed in quanto funzionali a tali finalità e non interferenti con la loro realizzazione.

Ne consegue il respingimento del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

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