TAR Venezia, sez. I, sentenza 2024-07-18, n. 202401918

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2024-07-18, n. 202401918
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202401918
Data del deposito : 18 luglio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2024

N. 01918/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00526/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 526 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati V F e G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

-OMISSIS-, non costituito in giudizio;
Ministero dell'Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, San Marco 63;

per l'annullamento

del provvedimento di sospensione senza diritto alla retribuzione né a qualsiasi altra forma di emolumento ex art. 2, comma 3, del d.l. 172/21 e/o ex art 4- ter comma 3 del d.l. 44/2021, emesso nei confronti dei ricorrenti dal -OMISSIS-


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2024 il dott. Alberto Ramon e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti, appartenenti al Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di -OMISSIS-, hanno impugnato i rispettivi atti di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale e contestuale sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, con conseguente perdita della retribuzione e di altro compenso o emolumento, adottati ex art. 4- ter , comma 3, del d.l. 1 aprile 2021, n. 44, dai Comandi di appartenenza.

2. Nella prospettazione dei ricorrenti, i provvedimenti di sospensione sarebbero illegittimi stante la violazione – da parte della legislazione speciale imponente l’obbligo vaccinale, vale a dire l’art. 4- ter , comma 1, del d.l. n. 44 del 2021 – del diritto al consenso libero e informato, a sua volta sancito, rispetto ai trattamenti sanitari, dall’art. 32 della Costituzione, dall’art. 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, nonché, nel diritto internazionale ed eurounitario, dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, ratificata in Italia con la legge 28 marzo 2001, n. 145, dalla Dichiarazione di Helsinki della World Medical Association del 1964, dall’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, dalla Risoluzione n. 2361/2021 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa.

In specie, la manifestazione di volontà del vaccinando di sottoporsi alla somministrazione del farmaco anti SARS-CoV-2 non potrebbe considerarsi libera poiché coartata attraverso la minaccia di subire un danno grave e ingiusto, quale è la sospensione dal lavoro senza diritto alla retribuzione. Inoltre, con riguardo ai vaccini in discussione, mancherebbe un’informazione completa ed efficace finalizzata a porre il paziente nelle condizioni di esercitare il proprio diritto di autodeterminazione. Difatti l’acquisizione del consenso per l’esecuzione della vaccinazione in esame si risolverebbe nella sottoscrizione – senza l’assistenza di un medico e, dunque, senza che il vaccinando riceva alcuna informazione in merito ad eventuali rischi e benefici della vaccinazione ed eventuali cure alternative – di un modulo preconfezionato, caratterizzato principalmente da una espressione di volontà determinata da una “minaccia”.

Sotto un differente profilo, i ricorrenti osservano come il legislatore avrebbe imposto un obbligo materialmente irrealizzabile, atteso che ad oggi non esisterebbe sul mercato un vaccino atto a determinare immunizzazione dal contrarre l’infezione da SARS-CoV-2.

2.1. I ricorrenti articolano ulteriori contestazioni sulla legittimità dell’obbligo vaccinale, per violazione diretta della Costituzione o per contrasto con il diritto internazionale ed eurounitario, di seguito esposte:

- “ Natura sperimentale del farmaco (dlgs n. 211/2003), violazione dell’art. 32 Costituzione ”. I farmaci utilizzati per la vaccinazione

contro

SARS-CoV-2 utilizzerebbero una terapia genica, del tutto nuova e differente da qualsiasi altro vaccino sino ad oggi utilizzato: ciò contrasterebbe con l’art. 9, comma 6, del d.lgs. n. 211 del 2003, il quale vieta sperimentazioni di terapia genica che portino a modifiche del patrimonio genetico germinale del soggetto.

- “ Illegittimità dell’obbligo di vaccinazione anti SARS-CoV-2 per impossibilità di realizzare la sua ratio – violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione ”. La finalità sottesa alle misure introdotte dall’art. 4- ter del d.l. n. 44 del 2021 – vale a dire il contenimento dell’infezione – rappresenterebbe un obiettivo impossibile da attuare attraverso l’obbligo vaccinale perché il farmaco, di natura sperimentale, non avrebbe le qualità di un vaccino, cioè non servirebbe a immunizzare il soggetto inoculato dalla contrazione della infezione da SARS-CoV-2 e dal consequenziale sviluppo della malattia Covid-19, così come dalla conseguente trasmissione dell’infezione ad altri soggetti. Il siero quindi costituirebbe uno strumento di tutela della salute personale e non collettiva, atteso che non immunizza e non impedisce il contagio e in alcuni casi non protegge neppure degli effetti severi della malattia.

- “ Violazione del diritto - dovere alla prescrizione medica del trattamento ”. In base alle indicazioni fornite sul sito del Ministero della Salute, il siero in discussione dovrebbe essere soggetto a prescrizione medica: incombente che, nella pratica della campagna vaccinale, sarebbe stato eluso.

- “ Pericolosità della vaccinazione per gli eventi avversi, violazione del diritto alla salute psico-fisica ”. L’obbligo alla vaccinazione non potrebbe essere disposto ex lege a causa dei rischi di eventi avversi derivanti dalla sua inoculazione.

- “ Violazione del diritto alla retribuzione, violazione artt. 4, 30, 31 e 36 della Costituzione ”. La normativa emergenziale in esame contrasterebbe financo con il diritto alla dignità umana e al lavoro, nella parte in cui non prevede la corresponsione di un assegno alimentare a favore dei lavoratori sospesi a causa della mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale.

- “ Disparità di trattamento, violazione artt. 2, 3, Costituzione ”. Secondo la disciplina posta dal d.l. n. 44 del 2021, la adibizione a mansioni diverse del personale non vaccinato, poiché esentato ovvero in situazione di “differibilità”, è prerogativa dei soli sanitari, senza che tale possibilità sia invece prevista per il personale docente, scolastico, militare, di polizia ed amministrativo in strutture sanitarie. Inoltre, tale differenziazione sarebbe irragionevole, posto che sarebbe più agevole destinare tali ultimi lavoratori a mansioni diverse da quelle ordinariamente svolte, che non comportino contatti con soggetti fragili o ne riducano drasticamente le occasioni.

- “ Eccesso di potere, illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza – violazione art. 78 Costituzione ”. Lo stato di emergenza giustificato dalla diffusione del virus SARS-CoV-2, di durata superiore ai due anni a causa di diverse proroghe, non troverebbe legittimazione nell'ordinamento giuridico, in quanto mancherebbero i presupposti all’uopo richiesti dagli artt. 24 e 7 del d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile).

2.2. Al termine dell’esposizione delle plurime doglianze sopra riportate, i ricorrenti – allo scopo di precisare il thema decidendum – hanno chiarito che “ il presente ricorso verte in particolar modo [sull’] illegittimità dell’obbligo vaccinale ”. Obbligo che sarebbe stato imposto alla loro categoria di appartenenza (cioè i Vigili del Fuoco) in violazione:

- degli artt. 2 e 3 della Costituzione, attesa la discriminazione che sarebbe stata introdotta tra individui vaccinati e non vaccinati e tra appartenenti alle diverse categorie lavorative, alcune delle quali escluse dall’inoculazione obbligatoria;

- dell’art. 32 della Costituzione, posto che la legislazione d’emergenza, da un lato, avrebbe imposto la somministrazione del vaccino in presenza di numerosi (e sottostimati) casi di reazioni avverse ai sieri anti virus, gravi e gravissime, quando non esiziali;
dall’altro lato, avrebbe permesso la sperimentazione dei medesimi sieri oltre il rispetto della dignità umana;

- degli artt. 4, 30, 31 e 36 della Costituzione, in quanto l’inottemperanza all’obbligo vaccinale avrebbe comportato l’esclusione dal lavoro con privazione della retribuzione.

2.3. In forza dei suddetti rilievi, i ricorrenti hanno chiesto, nel merito, l’annullamento degli atti gravati e, in via incidentale, la remissione della questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 4- ter del d.l. n. 44 del 2021, stante l’asserita violazione degli artt. 2, 3, 4, 30, 31, 32 e 36 della Costituzione.

3. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso.

4. All’udienza pubblica del 6 marzo 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Le censure avanzate dai ricorrenti – seppur dirette contro singoli provvedimenti amministrativi fondati sull’art. 4- ter del d.l. n. 44 del 2021 – mirano invero a contestare la legittimità costituzionale della medesima disposizione legislativa, là dove impone alla categoria professionale di appartenenza dei ricorrenti l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione anti SARS-CoV-2, prevedendo come conseguenza, per il caso di inosservanza, l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza alcuna retribuzione né altro compenso o emolumento.

Gli argomenti di rilevanza giuridica individuabili nel gravame – i quali appaiono mescolati a una variegata e disomogenea serie di parametri della più diversa estrazione e tipologia (disposizioni normative europee, atti internazionali di hard law e di soft law , articoli scientifici, fatti di cronaca – trovano puntuale e analitica confutazione nella sentenza della Corte costituzionale n. 14 del 2023, i cui principi (pur riferiti all’obbligo vaccinale del personale sanitario) assumono valenza generale (cfr. T.A.R. Marche, Sez. I, 17 aprile 2023, n. 240;
T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 27 febbraio 2023, n. 73).

Con la succitata pronuncia è stato chiarito che, considerato l’ineliminabile (almeno allo stato) rischio di eventi avversi, comune a tutti i vaccini, la decisione di imporre un determinato trattamento sanitario attiene alla sfera della discrezionalità del legislatore, da esercitare in maniera non irragionevole (sentenza n. 118 del 1996). A tal proposito, il rischio remoto di eventi avversi anche gravi non può, in quanto tale, reputarsi non tollerabile, costituendo piuttosto titolo per l'indennizzo, legislativamente riconosciuto.

La Consulta, inoltre, ha puntualizzato che la scelta del legislatore in merito all’imposizione dell’obbligo vaccinale è fondata sui dati scientifici forniti dalle autorità di settore – non sostituibili con i dati provenienti da fonti diverse, ancorché riferibili a “esperti” del settore – che hanno attestato la piena efficacia del vaccino e l’idoneità dell’obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus.

Quanto poi alla proporzionalità della misura, la Corte Costituzionale ha evidenziato che la conseguenza individuata dal legislatore per il mancato adempimento dell’obbligo – sospensione dall’attività lavorativa, con reintegro al venir meno dell’inadempimento dell’obbligo e, comunque, dello stato di crisi epidemiologica – appare funzionale allo scopo perseguito e non eccessiva in termini di sacrificio per il destinatario, giacché non determina conseguenze irreversibili.

5.1. Con la successiva sentenza n. 15 del 2023, la Corte Costituzionale ha specificato che la previsione dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 – anziché del più mite obbligo di sottoporsi ai relativi test diagnostici (c.d. tampone) – non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili.

Infatti, disattendendo le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali ordinari di Brescia, di Catania e di Padova, la Corte ha affermato che la normativa censurata ha operato un contemperamento non irragionevole del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività, in una situazione in cui era necessario assumere iniziative che consentissero di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione.

Il sacrificio imposto agli operatori sanitari – ma il principio è applicabile, come già evidenziato, anche ai Vigili del Fuoco – non ha ecceduto quanto indispensabile per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stato costantemente modulato in base all’andamento della situazione sanitaria, peraltro rivelandosi idoneo a questi stessi fini. La mancata osservanza dell’obbligo vaccinale ha così riversato i suoi effetti sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, determinando la temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere mansioni implicanti contatti interpersonali o che comportassero, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio.

D’altra parte nessuna diversità di trattamento può riscontrarsi tra chi decida di sottoporsi al vaccino e chi, senza giustificato motivo, rifiuti la somministrazione, trattandosi di situazioni non equivalenti rispetto alla finalità di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, perseguita dal legislatore ( ex multis, Cons. Stato, Sez. I, 12 luglio 2023, n. 1218).

Sempre la Consulta ha ritenuto non contraria ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza anche la scelta legislativa di non prevedere, per i lavoratori che avessero deciso di non vaccinarsi, un obbligo del datore di lavoro di assegnazione a mansioni diverse, a differenza di quanto invece stabilito per coloro che non potessero essere sottoposti a vaccinazione per motivi di salute o per il personale docente ed educativo della scuola.

Così come la Corte Costituzionale, sempre con la sentenza n. 15 del 2023, ha giustificato la mancata erogazione al dipendente sospeso di un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio, ritenendo non comparabile la posizione del lavoratore che non abbia inteso vaccinarsi con quella del lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare: casi questi ultimi in cui l’assegno alimentare può essere erogato.

5.2. Con specifico riferimento al possibile contrasto della disciplina in parola con il diritto dell’Unione Europea e con il diritto internazionale, va evidenziato che la Corte Costituzionale (sentenza n. 14 del 2023) – nel rigettare tale rilievo – ha osservato come in molti altri Paesi europei siano state adottate misure simili a quelle contestate in questa sede. Né va dimenticato che la Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza 8 aprile 2021, cause riunite 47621/13 3867/14 73094/14 19298/15 19306/15 43883/15, ha ribadito come la vaccinazione obbligatoria non costituisca un’ingerenza nella vita privata in violazione dell’art. 8 della Convenzione EDU ove sia: i) conforme a legge;
ii) imposta per uno scopo legittimo, consistente nel proteggere, sia coloro che ricevono la vaccinazione sia coloro che non possono riceverla, dalle malattie che possono comportare un grave rischio per la salute;
iii) necessaria per un “ urgente bisogno sociale ”;
iv) proporzionata allo scopo perseguito;
v) previsto un sistema sanzionatorio proporzionato.

Anche la giurisprudenza (da ultimo, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. V, 26 febbraio 2024, n. 515) ha escluso che la normativa contestata violi il diritto europeo ed internazionale, il che porta ad escludere la necessità del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia U.E., su cui insiste il ricorrente, attraverso la prospettazione di ipotetiche criticità a carico dell’immissione in commercio dei vaccini e delle verifiche effettuate dagli organi preposti;
prospettazione che non intacca però la proporzionalità e la ragionevolezza delle misure di sanità pubblica adottate nel corso dell’emergenza pandemica a tutela della salute collettiva e della conservazione, in tale particolare momento storico, del contesto economico-sociale.

5.3. Con riguardo invece alle valutazioni di carattere asseritamente scientifico avanzate dai ricorrenti – che atterrebbero alla natura dei vaccini immessi in commercio, alla ritenuta mancanza di autorizzazione, al loro carattere sperimentale, alla loro inefficacia, alla possibile insorgenza di eventi avversi –, esse costituiscono questioni tecniche, di ordine sommamente generale, che assumono il rango di problematiche politico-ideologiche. Sulle stesse si è analiticamente espresso il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7045 del 20 ottobre 2021, a cui si è poi uniformata la giurisprudenza successiva alla quale qui si intende dare continuità, ritenendo in alcun modo condivisibili simili contestazioni (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 2 marzo 2022, n. 2455).

6. Da ultimo, è inammissibile per difetto di interesse è la censura con cui i ricorrenti contestano la violazione del Codice della protezione civile (d.lgs. n. 1 del 2018), la quale deriverebbe dalla mancanza dei presupposti per la dichiarazione e la successiva proroga dello stato di emergenza sanitaria.

Il presente giudizio non ha, infatti, ad oggetto gli atti con i quali il Governo ha dichiarato o prorogato l’emergenza epidemiologica, ma provvedimenti in materia di obbligo vaccinale, adottati in applicazione di una normativa ad hoc (peraltro di pari rango legislativo) , rispetto ai quali non assumono diretto rilievo le disposizioni del d.lgs. n. 1 del 2018.

7. Sulla scorta delle ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere respinto.

8. In ragione delle peculiarità della fattispecie e della novità delle questioni sollevate al momento della proposizione del ricorso, sussistono le condizioni per compensare tra le parti le spese del giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi