TAR Roma, sez. I, sentenza 2022-10-03, n. 202212511

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2022-10-03, n. 202212511
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202212511
Data del deposito : 3 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/10/2022

N. 12511/2022 REG.PROV.COLL.

N. 03479/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3479 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Csm - Consiglio Superiore della Magistratura, Ministero della Giustizia, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della delibera del CSM che ha negato il superamento della terza valutazione di professionalità a decorrere dal 23.06.2006, con successivo onere di rivalutazione del periodo dal 23.06.2006 al 23.06.2008 e del DM di recepimento, oltre ad ogni altro connesso e presupposto;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Csm - Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 giugno 2022 il dott. Filippo Maria Tropiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Il ricorrente ha impugnato la delibera indicata in epigrafe, con la quale il Consiglio Superiore della Magistratura gli ha negato il superamento della terza valutazione di professionalità a decorrere dal 23 giugno 2006, mandando al Consiglio Giudiziario di Palermo di procedere alla rivalutazione per il periodo che va dal 23 giugno 2006 al 23 giugno 2008. Ha altresì impugnato il susseguente decreto del Ministro della Giustizia che ha recepito la delibera del CSM.

Ha dedotto in ricorso:

- di essere magistrato dal 23.6.1995 e di essere attualmente sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo;

- di avere svolto le stesse funzioni presso il Tribunale di Caltanissetta all’inizio del periodo che rileva ai fini della terza valutazione di professionalità (23.6.2001 - 23.6.2006);

- di essere stato destinato fuori ruolo presso il Ministero della Giustizia, ove ha prestato servizio dal 3 dicembre 2001 al 10 gennaio 2007 (in particolare, dal febbraio 2002, come coordinatore del servizio centrale di Polizia Giudiziaria del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e, dall’aprile 2002, come direttore di detto Ufficio).

Ha ricordato nell’atto introduttivo che:

- nel maggio 2007 l’ANSA riferiva di una interrogazione al Ministero della Giustizia con la quale una parlamentare chiedeva di “fare chiarezza sull'attività paragiudiziaria presumibilmente assicurata, senza alcuna rete di garanzia, dal personale del Capo di Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria posto alle dirette dipendenze del Capo del Dipartimento e del Direttore dell'Ufficio ispettivo”;

- che l’interrogazione si riferiva ad una misura adottata dal ricorrente nella sua qualità di Direttore dell'Ufficio per l’attività ispettiva e del controllo avente ad oggetto la creazione di “un polo centralizzato capace di bloccare i possibili canali di collegamento tra detenuti anche in carceri diverse, appartenenti alla criminalità organizzata: obiettivo che era stato sottoposto per un confronto alla DNA”;

- che, pertanto, in ordine alle attività ispettive del DAP fu, quindi, aperta un’indagine dalla Procura di Roma, sfociata in un processo conclusosi con una sentenza dichiarativa della prescrizione dei reati;
- che nella detta decisione si sottolineava che l’impossibilità di pronunciare una sentenza di assoluzione era legata allo stato del dibattimento in cui erano state acquisite le sole prove dell’accusa;

- che, per gli stessi fatti, era stato avviato un procedimento disciplinare da parte del CSM, sospeso nelle more del processo penale e conclusosi con sentenza n. 48/2017 del 20 marzo 2017, con la quale il ricorrente veniva assolto dalle incolpazioni al primo capo, contrassegnate con i nn. 1, 2 e 3, mentre veniva dichiarato di non doversi procedere, per tardività dell’incolpazione, in relazione all’addebito n. 4;

- che, definito il procedimento disciplinare, veniva riavviato il procedimento per l’attribuzione della terza valutazione di professionalità, medio tempore sospeso, come anche quelli riguardanti le successive valutazioni (4^, 5^ e 6^) già maturate, rispettivamente, il 23.6.2006, il 23.6.2010, il 23.6.2014 ed il 23.6.2018;

- che tale procedimento di valutazione, avviato dal C.S.M. nella sua precedente composizione proseguiva davanti alla IV Commissione con riunioni interlocutorie nel 2019 e che era stata acquisita la sentenza penale, una memoria difensiva presentata dall’interessato nel procedimento disciplinare e successivamente copia delle memorie, degli interrogatori e dei documenti prodotti dalle parti nel citato procedimento disciplinare;

- che, all’esito dell’istruttoria, la commissione rilevava nel profilo del ricorrente “criticità in relazione ai parametri dell'indipendenza, equilibrio e imparzialità che possono portare a un giudizio difforme da quello espresso dal Consiglio Giudiziario”.

Ha infine ricordato l’istante in ricorso che il Plenum ha recepito la proposta della Commissione e, nella seduta del 13 febbraio 2020, ha deliberato il mancato superamento della valutazione per la nomina a magistrato di Corte d'Appello e per il superamento della terza valutazione di professionalità con obbligo del Consiglio giudiziario di Palermo di procedere a rivalutazione per il periodo dal 23 giugno 2006 al 23 giugno 2008.

La delibera gravata, dal canto suo, dopo avere ricostruito la storia professionale dell’esponente, richiama i pareri favorevoli resi dal Consiglio di Amministrazione del Ministero della Giustizia, dal Consiglio Giudiziario presso la Corte d’Appello di Caltanissetta per il periodo 24 giugno 1995-2 dicembre 2001, dal Consiglio Giudiziario presso la Corte d’Appello di Palermo per il conferimento di funzioni semidirettive.

Il provvedimento dà conto del procedimento penale iscritto a carico del ricorrente dalla Procura di Roma, indicandone le imputazioni e il relativo esito e ricostruisce altresì il procedimento disciplinare, comprese le incolpazioni elevate e le prove acquisite. L’atto ha ripercorso il procedimento di valutazione, davanti alla IV Commissione, menzionando la comunicazione inviata al ricorrente circa la sussistenza di criticità in ordine ai requisiti di indipendenza e imparzialità e ai criteri di valutazione seguiti dall’Organo, ed ha concluso in senso negativo, come in atti.

Tanto premesso, l’istante ha articolato dell’atto introduttivo i seguenti motivi di doglianza:

- Violazione dell’art. 10 bis L. 241/1990 - Violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio;

- Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 5 L. 25 luglio 1966, n. 570 - Disciplina della nomina a magistrato di Corte d’appello) e della circolare n. P.-1603/2003 del 30 luglio 2003, par. 10 – Illogicità manifesta Eccesso di potere per sviamento;

- Eccesso di potere per illogicità manifesta;

-Violazione dell’art. 1 co. 2 e 4 L. 25 luglio 1966, n. 570 – Difetto di motivazione – Violazione dell’art. 3 L. 241/1990;
Violazione del giudicato disciplinare – Eccesso di potere per contraddittorietà con precedente manifestazione;

Eccesso di potere per travisamento dei fatti.

Violazione sotto altro profilo dell’art. 1 co. 5 L. 25 luglio 1966, n. 570 in relazione all’art. 110 Cost.

Il ricorrente ha concluso dunque per l’annullamento della delibera e del DM successivo, viziato da invalidità derivata.

Si è costituita l’amministrazione intimata, contestando il ricorso e chiedendone il rigetto.

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 1° giugno 2022.

2. Tutto ciò premesso in fatto, il Collegio reputa opportuno tracciare il quadro normativo di riferimento che disciplina le valutazioni di professionalità del ricorrente, in relazione al periodo d’interesse, ovvero il quinquennio dal 23 giugno 2001 al 23 giugno 2006.

Deve essere richiamata la Circolare n. P - 1275/1985 ed il capo XX della Circolare successiva n. P - 20691 dell’8 ottobre 2007, adottata dopo la riforma dell’ordinamento giudiziario operata nel 2006, la quale prevede al punto 1.2 che “… per la valutazione dell’attività svolta dal magistrato sino alla data di entrata in vigore della presente circolare, il Consiglio superiore della magistratura applica la Circolare n. P-1275/1985 recante Criteri per la formulazione dei pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati;
per la valutazione dell’attività svolta successivamente a tale data, si applicano le disposizioni previste dal D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160, e successive modifiche così come disciplinate dalla presente Circolare”.

In particolare, con riferimento ai procedimenti di valutazione pendenti alla data del 31 luglio 2007, il punto 2.1 di detta circolare stabilisce che “i magistrati che, al momento dell’entrata in vigore della L. n. 111/2007, hanno già maturato il diritto alla valutazione secondo le previgenti qualifiche di magistrato di tribunale, di magistrato di appello, di magistrato di cassazione e di magistrato idoneo all’esercizio delle funzioni direttive superiori, per i quali non sia intervenuta la relativa delibera Consiliare, sono valutati sulla base dei criteri dettati dalla Circolare n. P1275/1985 recante i criteri per la formulazione dei pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati. In tali ipotesi, i Consigli giudiziari redigono, ove non vi abbiano già provveduto, i pareri previsti dalla Circolare n. P-1275/1985. In caso di esito positivo, ad eccezione di quella di nomina a magistrato di tribunale, la delibera contiene specifica menzione dell’intervenuto conseguimento, rispettivamente, della terza, con relativa decorrenza, della quinta e della settima valutazione di professionalità”.

Ciò ricordato, sia la circolare del 1985 sia il successivo quadro di riferimento attribuiscono rilevanza ai cd. prerequisiti di cui il soggetto deve essere munito, e cioè l’indipendenza, l’imparzialità e l’equilibrio.

Si tratta di precondizioni di diretta derivazione costituzionale, le quali presuppongono l’assenza di elementi o di fatti che incidono sulle caratteristiche essenziali dell’attitudine professionale del magistrato, e cioè la capacità di esercitare le sue funzioni in maniera indipendente da ingerenze interne o esterne, in posizione di terzietà e con atteggiamento equilibrato.

Infatti, il Capo II della circolare (disposizioni generali) specifica (al n. 1) che “Ogni parere deve proporsi la ricostruzione completa delle qualità del magistrato direttamente rilevanti nell’ambito dell’esercizio della professione o di uno specifico ufficio o funzione.

L’indipendenza e l’imparzialità, quali principi costituzionali dell’esercizio della funzione giurisdizionale, sono essenziali elementi di valutazione dell’attività professionale del magistrato” ed al n. 2 che “Gli elementi di fatto rilevanti non potranno mai attenere alla sfera privata del magistrato salvo che siano provvisti di rilievo ai fini dell’art. 2 legge delle guarentigie o di rilievo disciplinare o penale. In questo caso il C.G. dovrà menzionarli e, quando si tratta di comportamenti compresi nel periodo da valutare o in periodo anteriore, dovrà considerare se incidano tuttora sulle qualità professionali del magistrato”.

Quanto, nello specifico, alla valutazione per la nomina di magistrato d’appello, il Capo III prevede alla lettera c) che i parametri, dei quali deve tener conto il parere, sono “laboriosità, capacità, diligenza, preparazione” e che essi “… vanno ricostruiti secondo le indicazioni sub B)” (preparazione, capacità, operosità e diligenza, equilibrio), valutando l’attività svolta dal magistrato nell’ultimo quinquennio, ma tenendo conto anche dei precedenti professionali in quanto possano conservare incidenza attuale ai fini della nomina”.

3. Tanto premesso in ordine al quadro normativo di riferimento, il Collegio reputa infondati il primo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in quanto tra loro collegati.

Sotto il profilo procedimentale, va disattesa, in primis, la doglianza con cui si contesta la violazione dell’articolo 10 bis della legge sul procedimento amministrativo.

Nel giudizio di valutazione di cui si verte, laddove il CSM concluda per un giudizio negativo nei confronti del magistrato, non è infatti prevista la necessità di alcuna contestazione preventiva. In ogni caso, l’Organo di autogoverno ha comunque puntualmente informato l’esponente del fatto che, espletata l’istruttoria ed acquisiti gli atti del procedimento penale e di quello disciplinare, gli esiti della valutazione deponevano per l’assenza del parametro dell’indipendenza e dell’imparzialità.

Il CSM, nella spendita del suo potere tecnico-discrezionale, ha considerato significativi i comportamenti disciplinarmente accertati, i quali influivano sulla professionalità del magistrato. In particolare, l’Organo di autogoverno ha valorizzato il fatto che il ricorrente avesse ricevuto informative riservate inerenti a fatti di criminalità organizzata e gestito tali notizie in autonomina, senza coinvolgere né il DAP né la competente autorità giudiziaria.

Oltre a ciò, il CSM ha evidenziato, in senso negativo, che il ricorrente, nell’occasione, ha direttamente informato il Sisde, arrogandosi competenze non di sua spettanza e ha consentito incontri all’interno ed all’esterno del carcere tra un detenuto e i medesimi Servizi, affinché il primo fornisse delle informazioni confidenziali ai secondi.

Ne è risultata, nel ragionamento coerente adottato dal Consiglio, una figura di magistrato carente sotto il profilo dell’indipendenza e dell’imparzialità, vale a dire una personalità incline ad agire “fuori dagli schemi”, che non si interfaccia con gli organi competenti e che, per converso, gestisce informazioni riservate in maniera informale.

Il sindacato giurisdizionale sulla valutazione del CSM, come trasfusa nella delibera gravata, si arresta a uno scrutinio estrinseco, non sostitutivo, nei limiti in cui non siano ravvisabili palesi illogicità ovvero manifesti travisamenti di fatti, evenienze che palesemente non ricorrono nel caso di specie. La considerazione delle riferite criticità comportamentali è stata infatti plausibilmente condotta dal Consiglio, che ne ha ritratto il descritto deficit nei prerequisiti.

4. Infondati sono altresì il secondo e il quarto motivo di doglianza.

In sintesi, il ricorrente deduce che la valutazione dell’attività espletata fuori ruolo dovrebbe essere svolta alla luce di altri criteri, ontologicamente differenti rispetto a quelli che presiedono alla valutazione dell’attività propriamente giurisdizionale.

Detto altrimenti, secondo l’istante, un conto è l’attività da giudice, altro è l’attività amministrativa svolta presso il Ministero, tal che quest’ultima non sarebbe ancorata alla sussistenza di quei prerequisiti che invece sono le precondizioni dell’attività giurisdizionale.

L’assunto non convince.

Come correttamente osservato dalla difesa erariale, il magistrato e, per così dire, il suo in sé, resta tale e immutabile, sia quando svolge l’ordinario lavoro giurisdizionale sia quando esercita funzioni amministrative in posizione di fuori ruolo.

Non è dato rinvenire alcuna disposizione che differenzi le due valutazioni in ragione della differente attività svolta. Anzi, l’articolo 199 dell’ordinamento giudiziario prevede che il servizio espletato dai magistrati presso il Ministero è ad ogni effetto parificato a quello prestato presso gli uffici giudiziari e dunque le carenze rilevate nella valutazione della professionalità dell’istante attengono ai requisiti basilari che connotano l’essenza del magistrato, che devono sempre sussistere, qualsivoglia attività esso si trovi momentaneamente a svolgere.

Del resto l’articolo 11, comma 16, del d.lgs. 160/2006 espressamente prevede che i parametri di cui al comma 2 del medesimo articolo 11 si applicano per valutare i magistrati in ruolo ed anche per valutare la professionalità di quelli in posizione in posizione di fuori ruolo: il mantenimento dei prerequisiti di imparzialità e di indipendenza è onere generale del magistrato e regola deontologica che deve essere osservata in ogni comportamento istituzionale o extraistituzionale.

Del tutto correttamente dunque il CSM ha valutato il periodo nel quale il ricorrente ha esercitato anche funzioni amministrative presso il DAP del Ministero della Giustizia, alla luce dei criteri generali valevoli sempre e comunque.

5. Anche la quinta doglianza non può essere condivisa.

Non è esatto che la delibera non abbia tenuto presenti i pareri espressi sull’attività espletata dal ricorrente. Il CSM, piuttosto, ha osservato, anche qui in modo del tutto plausibile, che il parere del Consiglio giudiziario della Corte d’Appello di Caltanissetta si riferiva ad un periodo di tempo molto limitato, mentre l’istante ha svolto funzioni fuori ruolo presso il riferito Dipartimento dal 3 dicembre 2001 al 23 luglio 2007. Inoltre, consta dalla delibera che il CSM ha altresì tenuto in considerazione il parere del Consiglio di amministrazione del Ministero della Giustizia, il quale pur contiene giudizi positivi sull’operato dell’esponente, sotto il profilo delle palesate doti organizzative emerse durante l’attività di direzione dell’ufficio.

Gli è, tuttavia, che il CSM ha dovuto altresì valutare la condotta dell’esponente, come emersa dai fatti disciplinari, giungendo a non condividere il giudizio conclusivo espresso dai predetti organi e lo ha fatto in base ad un ragionamento che resta immune da apparente irragionevolezza.

Del resto, non può non ricordarsi come spetti solo al CSM la valutazione di professionalità del magistrato, mediante esercizio di un potere del tutto autonomo rispetto ai pareri espressi dagli altri organi, i quali possono solo concorrere ma non vincolare il giudizio finale sull’esaminando magistrato.

6. Anche il sesto motivo di ricorso non può essere positivamente apprezzato.

Alcun contrasto è dato rinvenire tra la delibera gravata e la sentenza disciplinare n. 48 del 2017.

Sul punto, è sufficiente ribadire la differenza esistente tra il procedimento disciplinare e il procedimento su cui si verte.

Il primo mutua un’ottica processuale e si conclude, all’esito dell’istruttoria, con un’affermazione di colpevolezza ovvero di proscioglimento dell’incolpato. Il secondo procedimento è del tutto indipendente e, nel suo ambito, ben possono essere valorizzati gli stessi fatti storici emersi in un giudizio disciplinare esitato in una assoluzione, i quali vengano riguardati sotto altra prospettiva, nella misura in cui da essi si possa dedurre un’incidenza negativa sulla valutazione di professionalità del soggetto.

Non vi è alcuna contraddizione dunque tra il provvedimento de quo e la decisione assunta dalla Sezione disciplinare del CSM, così come non si dà contraddizione tutte le volte in cui una amministrazione recepisca fatti e condotte da altri procedimenti (secondo la regola generale di diritto della cd. “doppia qualifica del fatto”) per riqualificarli in funzione di altri tipi di valutazione che essa debba svolgere (si pensi emblematicamente alle gare d’appalto, nelle quali l’amministrazione può ritrarre elementi escludenti a carico del concorrente pur attingendoli da procedimenti penali conclusi poi con assoluzione). L’istruttoria svolta nell’ambito del giudizio de quo, si ribadisce, ha appurato che il ricorrente, nella sua qualità di direttore dell’ufficio ispettivo del DAP, ha ricevuto informalmente notizie riservate e le ha gestite in maniera anomala, senza farle transitare per i canali formali previsti dalla legge.

Va ricordato che, nell’ambito del procedimento disciplinare, è emerso che il ricorrente, nella sua qualità di direttore dell’ufficio ispettivo del DAP, ha ricevuto in più occasioni e sempre “informalmente” dal direttore della Casa Circondariale di Sulmona informative “riservate” relative alle propalazioni rese dal detenuto -OMISSIS-, aventi ad oggetto notizie riguardanti dinamiche e assetti associativi dell’organizzazione criminale camorristica ed ipotesi di reato concernenti fatti di criminalità organizzata, nonché notizie relative alla cattura di pericolosi latitanti.

E’altresì emerso che l’istante ha mancato di informare l’autorità giudiziaria competente ed in particolare la D.D.A. presso la Procura della Repubblica di Napoli, impegnata nella cattura del latitante cui facevano riferimento le informazioni confidenziali ricevute dal detenuto.

E’pure risultato che l’istante ha veicolato tali informazioni al SISDE e che l’istituto, d’intesa con il ricorrente, ha avviato attività finalizzate a verificare la fondatezza delle informazioni ricevute e a ricercare il latitante in questione (tali ricerche si sarebbero protratte per due anni circa senza che l’Autorità Giudiziaria ne fosse resa edotta).

Dunque, anche se il procedimento disciplinare è terminato con l’assoluzione del ricorrente (sia dall’incolpazione per falso per soppressione, sia da quella per falso ideologico), le condotte anzidette sono state considerate decisive per la valutazione di professionalità, con riguardo ai parametri dell’imparzialità e dell’indipendenza, pregiudicati dalla condotta “eccentrica” del magistrato rispetto ai propri doveri.

7. Anche il settimo motivo di ricorso è infondato.

Ed invero, il fatto che il Sisde, nell’ambito della sua competenza generale, abbia potuto ritenere rilevanti le informazioni ricevute dal ricorrente non significa che la condotta di quest’ultimo non abbia deviato dai normali canoni deontologici, posto che l’istante, si ripete, ha gestito informalmente delle notizie delicatissime provenienti dal carcere di Sulmona, iniziando una relazione non ufficiale con il riferito istituto e mancando di informare l’autorità giudiziaria competente delle notizie riguardanti fatti e persone per i quali la stessa stava procedendo.

8. Altrettali considerazioni in punto di infondatezza vanno fatte per l’ultimo motivo di gravame, con il quale il ricorrente contesta che, in sostanza, il CSM avrebbe interferito con le competenze ministeriali, posto che sarebbe solo il Ministro a poter sindacare l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.

Anche sotto tale profilo, la tesi difensiva muove da una prospettiva errata.

Il CSM infatti non ha interferito con le prerogative del Ministero, ma, più semplicemente, nell’ambito della sua competenza, ha dedotto dal descritto anomalo svolgimento delle funzioni amministrative presso il DAP talune significative criticità comportamentali che hanno inciso negativamente sulla valutazione de qua.

Un conto è l’attività svolta dal Consiglio di amministrazione del Ministero che valuta i magistrati per l’attività pertinente alle attribuzioni ministeriali, altro è l’autonomo giudizio del CSM, cui solo compete la valutazione finale sulla professionalità dei magistrati, che, come detto, ben può essere apprezzata anche alla luce di risultanze provenienti da altri contesti non prettamente giurisdizionali, come accaduto nel caso di specie.

9. Alla luce delle superiori considerazioni, tutti i motivi di ricorso sono infondati e, per l’effetto, il gravame va rigettato.

Sussistono i presupposti di legge, tuttavia, per compensare le spese di lite dalle parti in causa.

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