TAR Venezia, sez. IV, sentenza 2024-03-11, n. 202400458
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Pubblicato il 11/03/2024
N. 00458/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00695/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 695 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da
C s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato V P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Provincia di Treviso, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati C R, M B e S T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia - Mestre, via Pepe 20;
nei confronti
Consiglio di Bacino Priula, Comune di Villorba, A.R.P.A.V. Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto - Dipartimento di Treviso, A.R.P.A.V. - Dipartimento Provinciale di Treviso, Aulss n. 2 Marca Trevigiana, Comune di Spresiano, Acegasapsamga S.p.A., non costituitisi in giudizio;
Bigaran s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato Gabriele M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Treviso, Vicolo Barberia, n. 5;
Regione del Veneto, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati Giacomo Quarneti, Luisa L, Tito Munari e Francesco Zanlucchi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell’avvocatura regionale in Venezia, Fondamenta S. Lucia, Cannaregio n. 23;
Supestrada Pedemontana Veneta s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio D'Agostino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio sito in Roma, via Giovanni Battista Martini n. 2;
per l'annullamento
A) per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
- del provvedimento della Provincia di Treviso – Settore Ambiente e Pianificazione Territoriale prot. n. 2022/0011947 del 7 marzo 2022 avente ad oggetto “ Contaminazione presso la discarica sita nei comuni di Spresiano via Risorgimento e Villorba via Marconi. Disposizione di procedere ai dell'art. 242 come da 244 del D.Lgs. 152/2006 ”;
B) per quanto riguarda i motivi aggiunti:
- del provvedimento della Provincia di Treviso – Settore Ambiente e Pianificazione Territoriale n. Reg. 134 del 12 giugno 2023, notificato tramite PEC in pari data con nota prot. 2023/34326, avente ad oggetto “ Discarica di via Marconi nel Comune di Villorba e via Risorgimento nel Comune di Spresiano – Approvazione del Piano di Caratterizzazione ex art. 242 D. Lgs 152/2006 ”;
per quanto occorra, dei relativi atti istruttori, quali il verbale della prima Conferenza di Servizi del 14 dicembre 2022ed il verbale della seconda Conferenza di Servizi del 19 aprile 2023.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Treviso, di Bigaran s.r.l., della Regione Veneto e di Supestrada Pedemontana Veneta s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2024 il dott. S M e uditi per le parti i difensori B, giusta delega dell'avv. P, L, T, M e, in sostituzione dell'avv. D'Agostino, M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Provincia di Treviso con provvedimento prot. n. 11947 del 7 marzo 2022, ha individuato, ai sensi dell’art. 244 del D.lgs. n. 152 del 2006, come corresponsabili della contaminazione delle acque di falda presso una discarica sita nel territorio dei Comuni di Spresiano e Villorba, il Comune di Villorba, il Consiglio di Bacino Priula (precedentemente denominato Consorzio Intercomunale Priula), C s.p.a. (d’ora in poi C) e la ditta So.co.tre s.r.l. (d’ora in poi So.co.tre) successivamente denominata Bigaran s.r.l. (d’ora in poi Bigaran), ordinando la presentazione del piano di caratterizzazione del sito ai sensi dell’art. 242, comma 3, del D.lgs. n. 152 del 2006.
Con il ricorso in epigrafe tale provvedimento è impugnato da C.
In passato l’area sulla quale insiste la discarica di Villorba è stata impiegata come cava di prestito di materiali inerti per la costruzione dell’autostrada Mestre-Vittorio Veneto e successivamente è stata utilizzata dal Comune di Villorba per conferirvi i rifiuti urbani, concedendone l’utilizzo anche all’A.M.N.I.U.P. di Padova, ora ACEGASAPSAMGA s.p.a..
La Regione Veneto con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 2803 del 17 dicembre 1991, ha rilasciato al Consorzio Intercomunale Priula, un’autorizzazione per un impianto di smaltimento rifiuti, realizzato e gestito da terzi operatori del settore, al di sopra della precedente discarica per rifiuti solidi urbani.
Il progetto dei lavori, qualificato come di ricomposizione e recupero del sito, prevedeva che So.co.tre, per baulare la discarica, conferisse rifiuti assimilabili ai rifiuti urbani.
Nel marzo 1996, So.co.tre. ha cessato di conferire i rifiuti.
La Provincia di Treviso, con i decreti 30 ottobre 1997 n. 2038 e 21 agosto 1998 n. 2155, ha dato quindi avvio alla fase, successiva alla cessazione del conferimento dei rifiuti, c.d. post mortem , dettando apposite prescrizioni tra le quali era compreso il campionamento semestrale dell’acqua di falda prelevata da pozzi spia.
L’autorizzazione è stata rilasciata dapprima a favore di So.co.tre, quindi al Consorzio Intercomunale Priula, e successivamente, con decreto 30 dicembre 2016 n. 518, a C, cessionaria dei rami aziendali produttivi del Consorzio Intercomunale Priula che ha circoscritto la propria competenza alle funzioni di regolazione, organizzazione, affidamento e direzione del servizio pubblico di gestione integrata dei rifiuti urbani.
Va precisato che il progetto dei lavori eseguiti da So.co.tre. ha previsto la copertura della discarica con uno spessore di 30 cm composto da materiali a bassa permeabilità e con ulteriore spessore di 70 cm di terreno vegetale, che la discarica è priva di un sistema di raccolta del percolato e che il fondo, composto da ghiaia, è privo di impermeabilizzazione, così come le pareti.
Nel frattempo, è stato progettato il tracciato della Superstrada Pedemontana Veneta, che ora attraversa parte del sedime della discarica, dalla quale sono stati rimossi i rifiuti nella misura necessaria a realizzare l’infrastruttura.
In vista di tale operazione, la società Superstrada Pedemontana Veneta s.p.a. (concessionaria per la realizzazione e gestione dell’opera pubblica, d’ora in poi S.P.V.) tra il gennaio e il febbraio 2012 ha eseguito trenta sondaggi (ai quali ne sono seguiti altri nove) con profondità compresa tra cinque e venticinque metri sulla parte del sedime della discarica interessata dai lavori, per misurare lo spessore dello strato di rifiuti, per accertarne la composizione e per estrarre il biogas.
L’indagine svolta da S.P.V. comprendeva la verifica della presenza di percolato sul fondo della discarica utilizzando i pozzi del biogas realizzati dai gestori della stessa e i fori prodotti dai nuovi carotaggi.
A tale ultimo riguardo, nella relazione allegata alla determinazione della Provincia di Treviso 12 dicembre 2017 n. 475 di proroga della gestione post -operativa della discarica sino al 31 dicembre 2018, i tecnici della Provincia – esaminate le analisi effettuate da S.P.V. - hanno rilevato che “ le analisi del liquido estratto dalla discarica evidenziano il superamento dei limiti previsti per lo scarico in acque superficiali. La discarica produce modesti quantitativi di percolato ” e che “ deve essere accertata l’assenza di impatti sulle acque sotterranee mediante il campionamento e l’analisi delle acque di falda dei due piezometri presenti presso la discarica e di un terzo piezometro a valle da individuare/realizzare ”.
In tale contesto, nel corso della Conferenza di servizi istruttoria del 21 ottobre 2020 indetta dalla Regione Veneto sulle questioni tecnico-ambientali inerenti l’attraversamento stradale della discarica, è maturata la decisione di eseguire, prima dell’avvio dei lavori, un monitoraggio “ in bianco ” per confrontare lo stato delle acque sotterranee prima e dopo gli interventi di sbancamento e di rimozione dei rifiuti.
All’esito del monitoraggio delle acque, eseguito da C s.p.a. e da S.P.V. sui piezometri di relativa pertinenza e conclusosi nel gennaio 2021, risultavano superati alcuni dei limiti previsti alla tabella 2 dell’All. 5 alla Parte IV del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, in difformità rispetto alla serie storica dei valori ottenuti dagli altri piezometri preesistenti.
In particolare, le anomalie idrochimiche derivavano dai campioni estratti da S.P.V. attraverso i propri piezometri.
Ritenendo di dovere approfondire la situazione, la Provincia ha chiesto a S.P.V. chiarimenti sulle caratteristiche dei piezometri impiegati per i campionamenti e ha chiesto l’intervento di A.R.P.A.V..
Nel febbraio 2021 A.R.P.A.V. ha eseguito ulteriori analisi e con nota del 9 marzo 2021 ne ha trasmesso i risultati.
In particolare, i campioni estratti dai piezometri a valle della discarica avevano parametri che superavano sia la concentrazione massima di ferro e manganese prevista dalla tabella 2, di cui all’Allegato 5, della Parte Quarta del D.lgs. n. 152 del 2006, sia la concentrazione massima di ammonio prevista dal Decreto del Ministero dell’Ambiente 16 luglio 2016 di recepimento della direttiva 2014/80/UE della Commissione del 20 giugno 2014 sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento.
A.R.P.A.V., nel parere reso alla Regione il 22 marzo 2021, ha affermato che il quadro idrochimico “ è compatibile con la presenza nelle acque sotterranee di contaminazione organica con tutta probabilità derivante dalle percolazioni della discarica, pur non potendosi escludere sorgenti di diversa natura come perdite fognarie o simili, eventualmente da accertare ”, ha precisato essere “ remota ” la “ possibilità che l’alterazione idrochimica rilevata a valle della discarica possa essere ricondotta a sorgenti di contaminazione diverse dalla infiltrazione di percolati, come emissioni da provenienti da infrastruttura fognaria e/o perdenti ”, ed ha ha suggerito di svolgere alcuni approfondimenti.
S.P.V. ha quindi proseguito nel monitoraggio delle acque sotterranee da marzo 2021 a gennaio 2022, con cadenza bimensile, riscontrato costantemente il superamento dei parametri di ferro, manganese e ammonio.
Il 4 marzo 2021 sono iniziati i lavori per la realizzazione della superstrada.
In parallelo al procedimento di competenza regionale riguardante la superstrada, la Provincia di Treviso ha indetto una conferenza di servizi istruttoria tenutasi il 10 marzo 2021 avente a oggetto le descritte criticità ambientali e, il 5 maggio 2021, ha avviato nei confronti del Comune di Villorba, del Consiglio di bacino Priula e delle società C e Bigaran il procedimento per l’individuazione del responsabile del superamento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione, ai sensi dell’art. 244 del D.Lgs. n. 152/2006.
Il Consiglio di bacino e C, con nota congiunta del 4 giugno 2021, hanno affermato che il responsabile della contaminazione non sarebbe individuabile, con la conseguenza che competerebbe alla Provincia assumere gli atti previsti dalla legge.
A conclusione del procedimento la Provincia, con provvedimento prot. n. 11947 del 7 marzo 2022, ha ritenuto la discarica di Villorba causa della contaminazione della falda secondo il criterio del “ più probabile che non ”, anche all’esito degli ulteriori monitoraggi eseguiti nel frattempo, e ha individuato, ai sensi dell’art. 244 del D.lgs. n. 152 del 2006, come corresponsabili dell’inquinamento il Comune di Villorba, il Consiglio di Bacino Priula (precedentemente denominato Consorzio Intercomunale Priula), C e la ditta So.co.tre successivamente denominata Bigaran, ordinando la presentazione del piano di caratterizzazione ai sensi dell’art. 242, comma 3, del D.lgs. n. 152 del 2006.
Tale provvedimento è impugnato da C con il ricorso introduttivo, nella parte in cui è diretto nei propri confronti, con due motivi.
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli articoli 242, 244 e seguenti del D.lgs. n. 152 del 2006, e del principio “ chi inquina paga ” sancito dall’art. 191 del TFUE, dalla Direttiva 2004/35/CE, e dall’art. 239 del D.lgs. n. 152 del 2006, nonché la carenza di istruttoria ed il difetto di motivazione per due profili.
Secondo C non vi sarebbe certezza che l’alterazione della qualità della falda sia da ricondursi alla discarica, e non emergerebbe da alcun elemento istruttorio, nemmeno indiziario, una correlazione causale tra la propria condotta, che si è limitata alla gestione della sola fase post operativa avvenuta nel rispetto di tutte le norma di settore, e la contaminazione della falda riscontrata nei pozzi a valle della stessa.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la carenza di istruttoria, il travisamento, la carenza di motivazione, l’irragionevolezza e l’illogicità manifesta, nonché l’erronea applicazione del principio di solidarietà tra i destinatari del provvedimento impugnato.
Per quanto concerne i vizi di travisamento e difetto di istruttoria, C evidenzia che Arpav nel proprio parere del 2 marzo 2021, aveva segnalato l’opportunità di ulteriori accertamenti per individuare l’effettiva sorgente della contaminazione e i responsabili della stessa, ma la Provincia, senza svolgere approfondimenti, ha invece concluso nel senso che la fonte dell’inquinamento sia da ricondurre alla discarica imputandone la responsabilità anche a C nonostante il suo ruolo marginale ed irrilevante rispetto all’inquinamento.
Secondo C la Provincia avrebbe errato nel non considerare:
- l’eventuale responsabilità di AMNIUP (ora ACEGAS s.p.a.) che negli anni ’80 ha smaltito rifiuti nella cava priva di impermeabilizzazione;
- l’eventuale esclusiva imputabilità dell’inquinamento ai soggetti (il Comune di Villorba, AMNIUP e So.co.tre) che hanno gestito la discarica nel corso degli anni;
- l’eventuale riconducibilità delle cause dell’inquinamento della falda ai 39 carotaggi eseguiti nel 2012 da SPV direttamente nel corpo della discarica;
- la necessità di svolgere approfondimenti circa l’apporto di altre fonti per la presenza, al confine con le discariche, di fosse biologiche e aziende agricole che hanno utilizzato fertilizzanti organici.
Infine C conclude deducendo l’illegittimità della previsione di una responsabilità di tipo solidale, anziché parziaria commisurata all’effettiva incidenza del ruolo e dell’attività svolta da ciascuno dei soggetti individuati come corresponsabili dell’inquinamento.
Successivamente C ha spontaneamente provveduto ad ottemperare, pur ritenendo di non esservi tenuta, all’ordine di presentare il piano di caratterizzazione in qualità di soggetto non responsabile.
La Provincia, a seguito dello svolgimento di due conferenze di servizi tenutesi il 14 dicembre 2022 e il 19 aprile 2023, con provvedimento n. 134 del 12 giugno 2023, ha approvato il piano ordinando a C, in quanto unico soggetto che ha presentato il piano di caratterizzazione, di inviare entro sei mesi gli esiti delle indagini dallo stesso previste, nonché il documento di analisi di rischio previsto dall’art. 242, comma 4, del D.lgs. n. 152 del 2006 ovvero, qualora non sussistano le condizioni per l’applicazione della analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente e, se necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabile il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito.
Tale provvedimento è impugnato da C, oltre che per illegittimità derivata dai vizi dedotti con il ricorso introduttivo avverso l’atto presupposto, con due motivi per vizi propri.
Con il primo motivo dei motivi aggiunti, la ricorrente lamenta la violazione degli articoli 242, 244, e seguenti del D.lgs. n. 152 del 2006, del principio “ chi inquina paga ”, nonché la contraddittorietà rispetto al provvedimento provinciale prot. n. 2022/0011947 del 7 marzo 2022 impugnato con ricorso introduttivo, perché in modo illogico gli obblighi conseguenti alla presentazione del piano di caratterizzazione sono posti solamente a carico della ricorrente nonostante precedentemente sia stata individuata anche la corresponsabilità di altri soggetti.
Inoltre la ricorrente lamenta che - nonostante nel piano di caratterizzazione sia stata nuovamente segnalata l’opportunità di indagare altre possibili sorgenti potenziali di contaminazione - nella relazione istruttoria che ha preceduto l’adozione del provvedimento finale, si afferma laconicamente che “ per quanto riguarda il contributo ipotizzato dalla ditta delle attività agricole a monte della discarica, al momento non ci sono gli elementi per cambiare le conclusioni della disposizione a procedere ”, reiterando il vizio di difetto di istruttoria e di motivazione.
Con il secondo motivo dei motivi aggiunti, la ricorrente lamenta la violazione degli articoli 197 e da 242 a 250 del D.lgs. n. 152 del 2006, dell’art. 117, comma 2, lett. s, della Costituzione, la nullità ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, per difetto assoluto di attribuzioni, nonché il difetto dei presupposti, la carenza di motivazione e, in via subordinata, l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2000 in relazione agli artt. 117, comma 2, lettera s), 118 e 120 della Costituzione.
Con riguardo a questo motivo la ricorrente premette che la Corte Costituzionale con sentenza 24 luglio 2023, n. 160, ha dichiarato l’incostituzionalità di una norma della Regione Lombardia che conferiva ai Comuni la competenza all’esercizio delle funzioni amministrative in materia di bonifica dei siti inquinati, per la violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s, della Costituzione in relazione alla norma interposta di cui all’art. 242 del D.lgs. n. 152 del 2006 che nella materia dell’ambiente di competenza esclusiva statale, attribuisce tali funzioni direttamente alla Regione senza prevedere la possibilità di un loro conferimento ad altri enti locali.
Pertanto, secondo la ricorrente, i provvedimenti della Provincia oggetto di impugnazione sono illegittimi perché adottati in violazione della normativa statale che riserva la competenza all’esercizio di tali funzioni alla Regione.
C afferma inoltre che la legge regionale e il provvedimento impugnato non possono ritenersi sanati per effetto della norma di cui all’art. 22 del decreto legge 10 agosto 2023, n. 104, convertito in legge 9 ottobre 2023, n. 13, che per sua espressa previsione è applicabile solo a favore delle leggi regionali vigenti alla data della sua entrata in vigore.
Secondo la ricorrente l’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2000, che ha attribuito tale competenza alle Province, deve ritenersi non più vigente perché implicitamente abrogato dalla sopra citata norma statale di cui all’art. 242 del D.lgs. n. 152 del 2006.
In via subordinata, conclude la ricorrente, qualora dovesse ritenersi vigente il conferimento delle funzioni alle Province in forza dell’art. 18 della legge regionale n. 20 del 2007 - che richiama l’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2000 – anche tale norma dovrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 25, 117, comma 2, lett. s), 118 e 120 della Costituzione, perché contrasta con la normativa statale dal momento che non tiene conto del “ principio di adeguatezza ”, e non disciplina “ i poteri di indirizzo, coordinamento e controllo sulle funzioni da parte della Regione ”, nonché “ l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte della Regione in caso di verificata inerzia nell'esercizio delle medesime ”, come espressamente richiesto dal sopra citato art. 22, comma 1, prima parte, del decreto legge n. 104 del 2023 convertito in legge n. 13 del 2023.
Si è costituita in giudizio la Provincia di Treviso replicando puntualmente alle censure proposte e chiedendo la reiezione del ricorso.
Si è altresì costituita in giudizio la Regione Veneto che, nel richiedere il rigetto del ricorso, ha incentrato le proprie difese sulla dimostrazione della perdurante vigenza delle disposizioni che attribuiscono alla Province le competenze in materia di bonifica dei siti inquinati, e della manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale sollevata.
Si sono infine costituite in giudizio le controinteressate Bigaran e SPV chiedendo la reiezione del ricorso. Quest’ultima ha altresì eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva e l’inammissibilità del ricorso.
Alla pubblica udienza del 25 gennaio 2024, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Viene all’esame il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto da C avverso il provvedimento della Provincia di Treviso prot. n. 11947 del 7 marzo 2022 prot. n. 11947, assunto ai sensi degli artt. 242 e 244 del D.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui individua la ricorrente tra i responsabili della contaminazione presso la discarica sita nel territorio dei Comuni di Spresiano - via Risorgimento e Villorba, e avverso il decreto della Provincia di Treviso n. 134 del 12 giugno 2023, recante l’approvazione del piano di caratterizzazione nel frattempo predisposto dall’odierna ricorrente C ai sensi dell’art. 242, comma 3, del D.lgs. n. 152 del 2006.
2. La ricorrente ha chiesto di rinviare l’esame della controversia ad altra data per consentirne la trattazione congiunta con i ricorsi proposti avverso il medesimo provvedimento impugnato in questa sede dagli altri soggetti che la Provincia ha individuato come corresponsabili della contaminazione.
Il Collegio ritiene di non accogliere l’istanza.
Al riguardo va osservato che l’art. 73, comma 1 bis , cod. proc. amm. prevede che “ Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che dispone il rinvio ”.
Il Collegio ritiene che le situazioni eccezionali alle quali si riferisce tale norma possano “ essere integrate solo da gravi ragioni idonee a incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti ” (in questo senso Consiglio della Giustizia Amministrativa, 31 gennaio 2022, n. 153).
Nel caso di specie non sono ravvisabili ragioni di tale eccezionale consistenza, né sussistono ragioni che rendano opportuna una trattazione congiunta dei ricorsi, in quanto il provvedimento di individuazione dei soggetti responsabili della contaminazione costituisce un atto plurimo ad effetti scindibili, posto che a ciascuno dei destinatari è imputata una condotta a sé stante rispetto a quella degli altri.
Ne deriva che anche le posizioni processuali dei soggetti che la Provincia di Treviso ha individuato come responsabili sono scindibili.
In particolare, la decisione in ordine alla legittimità o meno dell’attribuzione della responsabilità di uno di essi non è suscettibile di influenzare il giudizio sulla responsabilità altrui, atteso che, come detto, vengono in rilievo condotte tra loro differenti, ancorché concorrenti.
3. Sempre in via preliminare va esaminata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da S.P.V..
L’eccezione non è condivisibile.
La Provincia ha individuato nell’odierna ricorrente uno dei soggetti corresponsabili dell’inquinamento, mentre non ha affermato la sussistenza di un’analoga responsabilità in capo ad S.P.V..
Alcune delle censure proposte sono volte a lamentare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui non hanno indagato un’eventuale responsabilità di S.P.V. nella contaminazione della falda per aver messo in contatto il percolato con le acque sotterranee mediante i numerosi carotaggi eseguiti nella discarica per poter realizzare l’infrastruttura stradale.
Pertanto S.P.V. riveste i presupposti di carattere formale, in quanto è menzionata dai provvedimenti impugnati dei quali è stata anche notiziata, e sostanziale, in quanto titolare di un interesse qualificato al mantenimento del provvedimento impugnato, per essere qualificata come controinteressata in senso tecnico (circa i presupposti per la qualifica di controinteressato in senso tecnico ex pluribus cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 6 ottobre 2022, n. 917).
L’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da S.P.V. è pertanto infondata.
3.1 Va parimenti respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata da S.P.V. per mancanza del requisito della specificità dei motivi previsto dall’art. 40, comma 1, lett. d), cod. proc. amm., atteso che dalle censure proposte sono puntualmente evincibili i profili di illegittimità dedotti.
4. Nel merito il ricorso deve essere respinto.
Prioritariamente deve essere affrontata la censura, proposta con il secondo motivo dei motivi aggiunti, riguardante la competenza ad assumere il provvedimento impugnato che, secondo la ricorrente, sarebbe nullo per difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, o comunque illegittimo, in quanto adottato dalla Provincia di Treviso anziché dalla Regione.
La censura è infondata.
Al riguardo osserva il Collegio che, prima della riforma del Titolo V della Costituzione attuata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, non era in discussione la facoltà della Regione di delegare alla Provincia le funzioni in materia ambientale.
In particolare, per quanto riguarda la Regione Veneto, l’art. 6, comma 2, della legge regionale 21 gennaio 2000 n. 3, recante la delega della Regione alle province delle funzioni in materia di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati prevedeva che “ sono delegate alle province le funzioni regionali in materia di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 22/1997, fatta salva l'istituzione dell'apposito fondo regionale di cui al comma 9 dell'articolo 17, nonché le funzioni regionali di cui ai commi 14 e 15-ter del medesimo articolo ”.
A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 117, comma 2, lett. s), Cost. a introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, la materia “ tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali ” è divenuta di competenza esclusiva dello Stato.
L’art. 242 del D.Lgs. n. 152 del 2006, ha affidato alle Regioni, senza previsione della possibilità di conferimento ad altri enti locali, le funzioni in materia di bonifiche.
L’entrata in vigore della norma da ultimo menzionata ha determinato l’abrogazione delle norme regionali preesistenti che non riservavano la competenza alla Regione e, per quanto riguarda la Regione Veneto, ha comportato l’abrogazione dell’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2000, ai sensi di quanto prevede l’art. 1, comma 2, della legge n. 131 del 2003, secondo cui “ le disposizioni normative regionali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni statali in materia, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale ”.
Tuttavia, contrariamente a quanto dedotto da C nel ricorso introduttivo, l’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2000, non è stata l’ultima norma che nella Regione Veneto ha disciplinato la materia (diversamente dal caso esaminato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 2 del 2024 che riguarda la Regione Lazio).
Infatti il legislatore regionale successivamente all’entrata in vigore del D.lgs. n. 152 del 2006, ha approvato la legge regionale 16 agosto 2007 n. 20 recante “ Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di difesa del suolo, lavori pubblici e ambiente ”, il cui art. 18 prevede che “ Fino all’entrata in vigore della legge regionale di riordino della disciplina di tutela ambientale, la Regione, le province ed i comuni esercitano le competenze amministrative in materia di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati di cui agli articoli 4, 6 e 7 della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 ‘Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti’ e successive modificazioni, nonché le competenze amministrative in materia di tutela dell’atmosfera e delle acque di cui agli articoli 4, 5 e 6 della legge regionale 16 aprile 1985, n. 33 ‘Norme per la tutela dell’ambiente’ e successive modificazioni ”.
Tale norma non ha utilizzato la tecnica redazionale consistente nell’espressa riscrittura del conferimento delle competenze in materia di bonifiche alle Province ma, producendo comunque effetti del tutto equivalenti, ha operato un rinvio materiale e recettizio alle disposizioni di cui all’art. 6 della legge regionale n. 3 del 2000, novando la fonte e determinandone la reviviscenza ex nunc , con la conseguenza che, per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 18 della legge regionale n. 20 del 2007, nella Regione Veneto le competenze in materia di bonifiche sono state – e sono tutt’ora – legittimamente esercitate dalle Province.
È vero che, come dedotto dalla parte ricorrente, alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale n. 189 del 2021 e 160 del 2023, sarebbe ragionevole ora dubitare della legittimità costituzionale di una tale norma per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto si pone in contrasto con la normativa statale che, nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di ambiente, con l’art. 242 del D.Lgs. n. 152 del 2006, ha affidato le funzioni amministrative in materia di bonifiche alle Regioni.
Tuttavia è necessario tener conto che il legislatore statale è intervenuto nella materia con l’art. 22 del decreto legge n. 104 del 2023 convertito in legge n. 136 del 2023, che contiene due disposizioni.
Con una prima previsione che riguarda la futura attività legislativa delle Regioni viene disposto che “ Le Regioni possono conferire, con legge, le funzioni amministrative di cui agli articoli 194, comma 6, lettera a), 208, 242 e 242-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, agli enti locali di cui all'articolo 114 della Costituzione, tenendo conto in particolare del principio di adeguatezza. La medesima legge disciplina i poteri di indirizzo, coordinamento e controllo sulle funzioni da parte della Regione, il supporto tecnico-amministrativo agli enti cui sono trasferite le funzioni e l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte della Regione in caso di verificata inerzia nell'esercizio delle medesime ”;con una seconda disposizione contenuta nel medesimo comma, viene prevista una sanatoria in favore delle leggi regionali che, come accaduto nella Regione Veneto, prima dell’entrata in vigore del sopra citato decreto legge, avevano già provveduto in questo senso, prevedendo che “ Sono fatte salve le disposizioni regionali, vigenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, che hanno trasferito le funzioni amministrative predette ”.
È evidente che tale disciplina sopravvenuta si applica alla Regione Veneto che ha attribuito la competenza ad esercitare le funzioni amministrative in materia di bonifiche alle Province con l’art. 18 della legge regionale n. 20 del 2007, norma tutt’ora vigente perché successiva al D.lgs. n. 152 del 2006.
Conseguentemente non risulta attualmente prospettabile un contrasto con l’art. 117, comma 1, lett. s), della Costituzione alla luce della norma statale interposta dettata in materia di competenza esclusiva statale, prevista dall’art. 22 del decreto legge n. 104 del 2023 convertito in legge n. 136 del 2023, che consente, sia per il futuro, sia con riguardo alle norme regionali vigenti alla data della sua entrata in vigore, il conferimento delle funzioni amministrative in materia di bonifiche alle Province.
Su tali premesse risulta manifestamente infondata anche la questione di illegittimità costituzionale prospettata dalla parte ricorrente nella memoria di replica, con cui sostiene che la norma di cui all’art. 18 della legge regionale n. 20 del 2007, dovrebbe considerarsi costituzionalmente illegittima perché non ha disciplinato i poteri di indirizzo, coordinamento e controllo da parte della Regione.
Infatti, come sopra ricordato, l’art. 22 del decreto legge n. 104 del 2023 convertito in legge n. 136 del 2023, si compone di due diverse disposizioni. Solo la prima, che riguarda le nuove leggi che saranno adottate dalle Regioni successivamente alla sua entrata in vigore - e quindi esula dalla fattispecie in esame - richiede che le leggi regionali disciplinino i poteri di indirizzo, coordinamento e controllo da parte della Regione, mentre la seconda parte dispone una sanatoria per le leggi regionali vigenti senza prevedere particolari condizioni o adempimenti.
Il secondo motivo dei motivi aggiunti, con il quale la parte ricorrente ha dedotto l’incompetenza della Provincia ad adottare i provvedimenti impugnati, è pertanto infondato.
5. Passando ora allo scrutinio del ricorso introduttivo, prima di esaminare partitamente i motivi di cui esso si compone, pare opportuno dare conto dei consolidati indirizzi della giurisprudenza nazionale maturati in accordo con la giurisprudenza eurounitaria e condivisi dal Collegio, in materia di accertamento della responsabilità della contaminazione delle matrici ambientali.
Va innanzitutto ricordato che l’autorità amministrativa, nel condurre procedimenti riguardanti casi di inquinamento ambientale e dovendo quindi risolvere questioni tecniche di particolare complessità dispone di una discrezionalità tecnica molto ampia, sindacabile in sede giurisdizionale solo nel caso di risultati abnormi, o comunque manifestamente illogici (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. IV, 31 ottobre 2023 n. 1531, che richiama Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3424;Consiglio di Stato, Sez. II, 7 settembre 2020 n. 5379;Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36.)
Sotto ulteriore fondamentale profilo, la nozione di “ causa ” rilevante ai fini della concreta attuazione del principio secondo cui “ chi inquina paga ” rileva in termini di aumento del rischio, nel senso di contribuzione al rischio di verificarsi dell’inquinamento (C.G.U.E. in causa C-188/07).
È poi unanimemente condiviso l’indirizzo secondo cui “ l’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti - accertamento che evidentemente rileva per decidere se determinati interventi per eliminarlo siano giustificati - si basa sul criterio del ‘più probabile che non’, ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione ” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 18 dicembre 2023, n. 10964, che richiama Consiglio di Stato, Ad. plen. n. 10 del 2019 e Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2021 n.172).
In materia ambientale, nell’accertamento del nesso di causalità non trova quindi applicazione il criterio penalistico dell’“ oltre ogni ragionevole dubbio ”.
Nel corso del procedimento di individuazione del soggetto responsabile - e in particolare nell’accertamento del nesso di causalità - il criterio del “ più probabile che non ” consente l’amministrazione di avvalersi delle presunzioni semplici ai sensi dell’art. 2727 cod. civ. (di recente cfr. T.A.R. Brescia, sez. I, 14 giugno 2023, n. 522).
Vale a dire che la prova della contaminazione può essere data anche in via indiretta.
Al riguardo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che “ l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione ” (C.G.U.E., 4 marzo 2015, in causa C- 534/13).
6. Alla luce di tali premesse è possibile trattare i singoli motivi.
Con una prima censura contenuta nel primo motivo del ricorso introduttivo, C sostiene che non sarebbe stato verificato con sufficiente certezza che l’alterazione della qualità della falda sia da ricondursi alla discarica.
L’assunto non può essere condiviso.
Sotto un primo profilo il quadro probatorio emerso dall’istruttoria conduce inequivocabilmente a ritenere che la contaminazione della falda dipende dalla discarica, secondo il criterio del “ più probabile che non ”.
Lo si evince dal parere di A.R.P.A.V. del 22 marzo 2021, il quale pure prospetta la possibile interferenza tra la falda acquifera e infrastrutture fognarie o pozzi perdenti, definendo tuttavia “ remota ” tale ipotesi.
Inoltre il monitoraggio eseguito tra il marzo 2021 e il gennaio 2022 mediante i piezometri presenti sull’area della discarica, i cui esiti hanno confermato l’esistenza della contaminazione, ha rilevato la presenza di “ macrocontaminanti e macrodescrittori tipici di contaminazioni delle acque di falda da percolati di discarica per rifiuti urbani come è la discarica in questione ”.
In tale contesto ritenere che la Provincia avrebbe dovuto svolgere ulteriori indagini sul sistema di smaltimento dei reflui delle abitazioni dei dintorni significherebbe accedere all’idea che l’imputazione dell’accertamento del nesso di causalità debba avvenire secondo il criterio dell’“ oltre ogni ragionevole dubbio ” che, come detto, non trova applicazione nei procedimenti amministrativi.
La censura con la quale la ricorrente contesta la correttezza delle conclusioni cui è giunta l’Amministrazione circa la riconducibilità dell’inquinamento della falda dalla discarica è pertanto infondata.
6.1 Con una seconda censura proposta nell’ambito del primo motivo del ricorso introduttivo, la ricorrente sostiene la sussistenza dei vizi di difetto di istruttoria e di motivazione perché il provvedimento impugnato si limita ad indicare il ruolo di C quale gestore della fase post operativa della discarica, senza evidenziare quale sarebbe stato il suo contributo causale alla contaminazione, e senza provare, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, quale sia la colpa addebitabile alla sua condotta.
Al riguardo la ricorrente evidenzia di aver svolto tutte le attività di vigilanza e monitoraggio nel rispetto della normativa vigente e con le modalità autorizzate dall’Amministrazione senza mai ricevere alcuna contestazione, e che i piezometri per il monitoraggio della qualità delle acque sotterranee dalla stessa apposti non hanno mai evidenziato il superamento dei livelli di contaminazione ammessi.
6.2 Si tratta di censure che, alla luce delle disposizioni eurounitarie e della normativa nazionale di recepimento, non possono essere condivise.
Gli articoli 242 e 244 del D.lgs. n. 152 del 2006, in base ai quali è stato adottato il provvedimento impugnato, individuano nel “ responsabile ” della contaminazione il soggetto nei cui confronti è possibile disporre l’obbligo di bonifica, senza indicare quale sia il titolo di imputazione, di carattere soggettivo o oggettivo della responsabilità a cui si riferiscono le norme.
Il Collegio ritiene necessario operare una ricostruzione della normativa della parte sesta del D.lgs. n. 152 del 2006 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, per individuare le disposizioni che, distinguendo in quali casi sia ravvisabile un titolo di imputazione di tipo soggettivo o oggettivo, svolgono una funzione integrativa delle norme degli articoli 242 e 244 che si riferiscono genericamente al “ responsabile ” della contaminazione.
Sul punto va infatti osservato che le operazioni materiali necessarie per la bonifica di un sito inquinato, coincidono con gli interventi necessari al risarcimento in forma specifica del danno ambientale (anche se non li esauriscono nell’ipotesi in cui all’esito della bonifica permanga un danno. Infatti l’avvio delle attività di bonifica era prevista espressamente dall’art. 303, comma 1, lett. i, del D.lgs. n. 152 del 2016, come causa di esonero dalla responsabilità risarcitoria. Tale norma è stata abrogata per adeguarsi alla procedura di infrazione 2007/4679, con cui la Commissione europea ha contestato, tra l’altro, che l’art. 4 della direttiva non considera la bonifica come fattispecie in grado di dispensare in via generale dagli obblighi di riparazione).
È pertanto evidente che i presupposti soggettivi che giustificano l’obbligo di bonifica debbano coincidere con i presupposti soggettivi che giustificano l’obbligo di risarcimento in forma specifica, tenuto conto della tendenziale sovrapponibilità degli interventi di ripristino ambientale necessari ad ottenere il raggiungimento degli obiettivi della bonifica e del risarcimento in forma specifica.
6.3 La direttiva 2004/35/CE “ sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale ”:
- all’art. 3, paragrafo 1, lett. a), prevede, per il danno ambientale causato dalle attività pericolose elencate nell’allegato III - tra cui rientrano le operazioni di gestione di rifiuti e le attività di gestione dei siti di discarica - una forma di responsabilità oggettiva;
- all’art. 3, paragrafo 1, lett. b), prevede, per il danno ambientale causato da attività diverse da quelle pericolose dell’allegato III, che l’autore risponda solamente in caso di comportamento doloso o colposo.
L’art. 8 della direttiva prevede inoltre che la responsabilità oggettiva per il danno ambientale causato dalle attività pericolose, non abbia carattere assoluto.
L’art. 8 al paragrafo 3 prevede infatti che l’interessato, con un’inversione dell’onere della prova, possa provare l’esistenza di circostanze idonee ad escludere il nesso causale (il fatto del terzo) o che assumano valenza scriminante (l’ordine dell’autorità), e al paragrafo 4 consente agli Stati membri di prevedere delle forme di esonero dalla responsabilità se l’interessato, anche in questo caso con un’inversione dell’onere della prova, sia in grado di dimostrare che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e il danno ambientale è stato causato in base ad un’autorizzazione legittima dell’autorità, o a seguito dell’impiego di un prodotto che al momento in cui è stato utilizzato non era considerato probabile causa di pregiudizi per l’ambiente.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia, in un caso in cui era stata interrogata dal Consiglio di Stato per ottenere chiarimenti circa la corretta interpretazione del principio eurounitario “ chi inquina paga ” rispetto alla normativa nazionale da applicare ad un procedimento amministrativo di bonifica di un sito inquinato, con la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Corte, 9 marzo 2010, resa nella causa C-378/08, Raffinerie Mediterranee ERG s.p.a., ha chiarito:
- al paragrafo 63 che “ nel caso di attività professionali comprese nell’allegato III alla direttiva 2004/35, la responsabilità ambientale degli operatori attivi in questi ambiti è loro imputata in via oggettiva ”;
- al paragrafo 65 e al terzo punto del dispositivo, che occorre interpretare “ gli artt. 3, n. 1, 4, n. 5, e 11, n. 2, della direttiva 2004/35 nel senso che, quando decide di imporre misure di riparazione ad operatori le cui attività siano elencate nell’allegato III a detta direttiva, l’autorità competente non è tenuta a dimostrare né un comportamento doloso o colposo, né un intento doloso in capo agli operatori le cui attività siano ritenute all’origine del danno ambientale. Viceversa, spetta a questa autorità, da un lato, ricercare preventivamente l’origine dell’accertato inquinamento, attività riguardo alla quale detta autorità dispone di un potere discrezionale in merito alle procedure e ai mezzi cui fare ricorso, nonché alla durata di una ricerca siffatta. Dall’altro, questa autorità è tenuta a dimostrare, in osservanza delle norme nazionali in materia di prova, l’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui sono dirette le misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi ”.
6.4 Il legislatore nazionale nel recepire la direttiva comunitaria inizialmente aveva previsto un criterio di imputazione di tipo soggettivo anche per le attività pericolose ai sensi dell’allegato III della direttiva.
Infatti il testo originario dell’art. 311 del D.lgs. n. 152 del 2006, prevedeva che “ chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato all’effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione ”.
La Commissione europea ha avviato la procedura di infrazione 2007/4679 osservando che “ alcune norme della Direttiva 2004/35/CE, in materia di danno ambientale, non sono state correttamente recepite dal Decreto Legislativo n. 152/06, che ha attuato la Direttiva in oggetto. In particolare, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva suddetta, è previsto che l'autore di un danno ambientale, per aver esercitato le attività elencate all'allegato III, debba rispondere del pregiudizio causato all’ambiente in base ad una responsabilità di tipo ‘oggettivo’, quindi a prescindere dalla sussistenza degli elementi psicologici del dolo o della colpa. Tale responsabilità, quindi, si affermerebbe automaticamente in virtù dell'esistenza di un nesso causale fra l'attività ed il danno. Viceversa, nel caso in cui il danno ambientale risulti imputabile all'esercizio di attività non menzionate nell'allegato III, la Direttiva stabilisce una limitazione di responsabilità, in quanto quest'ultima si determina non per il mero fatto oggettivo del danno e della sua riconducibilità all'attività pericolosa, (il "nesso causale" di cui sopra), ma a condizione che sussistano, altresì, gli estremi del dolo o della colpa dell'agente. Per converso, il predetto Decreto di attuazione dispone che, anche ove il danno sia riconducibile all'esercizio delle attività di cui all'allegato III, la responsabilità venga ammessa solo nei casi di dolo o colpa dell'operatore ”.
Il legislatore nazionale, per porre rimedio alla procedura di infrazione, ha quindi adeguato l’ordinamento nazionale a quello eurounitario con l’art. 25 della legge n. 97 del 2013, rubricato “Modifiche alla parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente. Procedura di infrazione 2007/4679 ”, distinguendo il titolo di responsabilità di tipo oggettivo e soggettivo a seconda che il danno ambientale sia causato o meno da un’attività pericolosa.
È stato quindi introdotto l’art. 298 bis della parte sesta del D.lgs. n. 152 del 2006, il quale prevede che la responsabilità in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente, che normalmente deve avvenire in forma specifica, trovi applicazione:
“ a) al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell'allegato 5 alla stessa parte sesta e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività;
b) al danno ambientale causato da un’attività diversa da quelle elencate nell'allegato 5 alla stessa parte sesta e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività, in caso di comportamento doloso o colposo ”.
Inoltre è stato modificato l’art. 311, comma 2, del D.lgs. n. 152 del 2006, prevedendo che “ quando si verifica un danno ambientale cagionato dagli operatori le cui attività sono elencate nell'allegato 5 alla presente parte sesta, gli stessi sono obbligati all'adozione delle misure di riparazione di cui all'allegato 3 alla medesima parte sesta secondo i criteri ivi previsti, da effettuare entro il termine congruo di cui all'articolo 314, comma 2, del presente decreto. Ai medesimi obblighi è tenuto chiunque altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa ”.
In questo modo è stato recepito nell’ordinamento il principio di derivazione eurounitaria della responsabilità oggettiva per le attività pericolose, che costituiscono un numerus clausus , di cui all’allegato 5 del D.lgs. n. 152 del 2006, che corrisponde all’allegato III della direttiva 2004/35/CE.
Va anche sottolineato che il legislatore nazionale nel dare attuazione alle disposizioni dell’art. 8 della direttiva, non ha configurato come assoluta tale responsabilità oggettiva per le attività pericolose, ma ha ammesso delle forme di esonero.
Infatti l’art. 308, comma 4, ha previsto che non sono a carico dell’operatore i costi di ripristino, qualora lo stesso, con un’inversione dell’onere della prova, possa “ provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno:
a) è stato causato da un terzo e si è verificato nonostante l'esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee;
b) è conseguenza dell'osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversi da quelli impartiti a seguito di un'emissione o di un incidente imputabili all'operatore;in tal caso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio adotta le misure necessarie per consentire all'operatore il recupero dei costi sostenuti ”.
Al comma 5 del medesimo art. 308, il legislatore ha altresì previsto che non sono a carico dell’operatore i costi di ripristino, qualora lo stesso sia in grado di dimostrare, anche in questo caso con un’inversione dell’onere della prova, due distinti presupposti, ovvero “ che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l'intervento preventivo a tutela dell'ambiente è stato causato da:
a) un'emissione o un evento espressamente consentiti da un'autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunità europea di cui all'allegato 5 della parte sesta del presente decreto, applicabili alla data dell'emissione o dell'evento e in piena conformità alle condizioni ivi previste;
b) un'emissione o un'attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un'attività che l'operatore dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell'emissione o dell'esecuzione dell'attività ”.
La giurisprudenza è concorde nell’ammettere l’esistenza di tali forme di responsabilità oggettiva negli obblighi di bonifica (oltre alla menzionata pronuncia C.G.U.E. Grande Corte, 9 marzo 2010, resa in causa C-378/08, Raffinerie Mediterranee ERG s.p.a., punto 65 della motivazione e terzo punto del dispositivo, cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen. ord. 25 settembre 2013, n. 21, punti 19, 20 e 25;Cass. Sez. Un. 1 febbraio 2023, n. 3077, punti 13 e 15 in diritto;per una chiara distinzione del diverso titolo di imputazione per le attività pericolose cfr. T.A.R. Toscana, Sez. II, 13 marzo 2023, n. 270, punto 4.5 in diritto;cfr. altresì Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2023, n. 11208, punto 2.4 in diritto;T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 18 luglio 2023, n. 1879, punto 11.6 in diritto).
6.5 Pertanto laddove gli articoli 242 e 244 del D.lgs. n. 152 del 2006, individuano il soggetto obbligato alla bonifica dei siti contaminati nel “ responsabile ” dell’inquinamento, devono essere integrati con i criteri di imputazione di derivazione comunitaria recepiti dalla parte sesta del D.lgs. n. 152 del 2006 i quali implicano la necessaria distinzione tra attività pericolose ed attività non pericolose.
Alla luce di tali premesse, ai fini della legittima adozione di un ordine di bonifica di un sito inquinato, si può affermare che:
- in caso di attività pericolose è sufficiente che l’Amministrazione accerti in termini oggettivi la responsabilità di un operatore nella contaminazione di un sito, provando l’evento della contaminazione e, secondo il principio del “ più probabile che non ”, l’esistenza di un nesso causale tra la condotta attiva o omissiva dell’operatore e l’inquinamento riscontrato, senza essere tenuta a dimostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa;
- l’operatore, alla luce dell’inversione dell’onere della prova prevista dalla norma, può dimostrare, fornendone la prova rigorosa, che sussistono le circostanze ed i presupposti che elidono il nesso causale o le esimenti contemplate dall’art. 308, commi 4 e 5, del D.lgs. n. 152 del 2006;
- poiché il giudizio che si svolge innanzi al giudice amministrativo ha carattere impugnatorio, dato che ha ad oggetto lo scrutinio di legittimità o meno dell’ordine di bonifica e non è un giudizio sul rapporto come quello che si svolge innanzi al giudice ordinario sulla domanda di risarcimento, la prova delle circostanze che esonerano dalla responsabilità di cui all’art. 308, commi 4 e 5, del D.lgs. n. 152 del 2006, deve essere data dall’interessato in sede procedimentale e non in giudizio;il giudice amministrativo può infatti solamente verificare se la mancata considerazione di tali circostanze da parte dell’Amministrazione possa o meno risultare sintomatica di un vizio di difetto di istruttoria e di motivazione, ferma restando la possibilità di un’eventuale riedizione dell’attività amministrativa alla luce degli elementi inizialmente non considerati in modo adeguato;
- solo nel caso di attività non pericolose, e quindi non comprese tra quelle contemplate dall’allegato 5 alla parte sesta del D.lgs. n. 152 del 2006, l’Amministrazione, nell’individuare il responsabile dell’inquinamento destinatario dell’ordine di bonifica, deve provare non solo in termini oggettivi l’evento della contaminazione e, secondo il principio del “ più probabile che non ”, l’esistenza di un nesso causale tra la condotta attiva o omissiva dell’operatore e l’inquinamento riscontrato, ma anche l’elemento soggettivo del dolo o della colpa.
7. Applicando tali disposizioni alla fattispecie in esame si rivelano infondate le censure con le quali la ricorrente lamenta la sussistenza dei vizi di difetto di istruttoria e di motivazione perché il provvedimento impugnato si limita ad indicare il ruolo di C quale gestore della fase post operativa della discarica, senza evidenziare quale sia stato il suo contributo causale alla contaminazione, e senza provare quale sia, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la colpa addebitabile alla propria condotta, che secondo la ricorrente sarebbe da escludere perché ha svolto la propria attività in modo conforme alle autorizzazioni rilasciate ed alle norme vigenti senza subire contestazioni da parte dell’Amministrazione.
7.1 C svolge un’attività pericolosa ai sensi dell’allegato 5 alla parte sesta del D.lgs. n. 152 del 2006, in quanto gestisce la fase post operativa della discarica (l’allegato al punto 2 menziona, tra le attività pericolose le “ operazioni di gestione dei rifiuti, compresi la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento di rifiuti e di rifiuti pericolosi, nonché la supervisione di tali operazioni e i controlli successivi sui siti di smaltimento ”).
Come sopra ricordato, in una fattispecie come quella all’esame, ai fini dell’affermazione di una responsabilità di C nell’inquinamento, è sufficiente che l’Amministrazione dimostri in termini oggettivi la sua responsabilità nella contaminazione del sito, senza essere tenuta a dimostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa.
Nel caso di specie, come precedentemente precisato nel punto 6 della sentenza a cui si rinvia, è stata riscontrata, e non è contestata, l’esistenza della contaminazione della falda e, secondo il criterio del “ più probabile che non ”, deve ritenersi anche provata la sua origine dal percolato della discarica.
C, alla luce della normativa di cui al D.lgs. n. 36 del 2003, in quanto gestore della discarica nella fase post operativa, è il soggetto sul quale gravano specifici obblighi di controllo e vigilanza.
L’art. 12, comma 3, del D.lgs. n. 36 del 2003, dispone che la chiusura della discarica non comporta una minore responsabilità per il gestore relativamente alle condizioni stabilite dall'autorizzazione e che “ anche dopo la chiusura definitiva della discarica, il gestore è responsabile della manutenzione, della sorveglianza e del controllo nella fase di gestione post-operativa per tutto il tempo durante il quale la discarica può comportare rischi per l 'ambiente ”.
L’art. 13 del D.lgs. n. 36 del 2003, inoltre prevede:
- al comma 1 che nella gestione e dopo la chiusura della discarica debbano essere rispettati “ i tempi, le modalità, i criteri e le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione e dai piani di gestione operativa, post-operativa e di ripristino ambientale (…) nonché le norme in materia di gestione dei rifiuti, di scarichi idrici e tutela delle acque, di emissioni in atmosfera, di rumore, di igiene e salubrità degli ambienti di lavoro, di sicurezza, e prevenzione incendi;deve, inoltre, essere assicurata. la manutenzione ordinaria e straordinaria di tutte le opere funzionali ed impiantistiche della discarica ”;
- al comma 2 che “ la manutenzione, la sorveglianza e i controlli della discarica devono essere assicurati anche nella fase della gestione successiva alla chiusura, fino a che l'ente territoriale competente accerti che la discarica non comporta rischi per la salute e l'ambiente. In particolare, devono essere garantiti i controlli e le analisi del biogas, del percolato e delle acque di falda che possano essere interessate ”.
- al comma 6 che “ il gestore deve, inoltre, notificare all'autorità competente anche eventuali significativi effetti negativi sull'ambiente riscontrati a seguito delle procedure di sorveglianza e controllo e deve conformarsi alla decisione dell'autorità competente sulla natura delle misure correttive e sui termini di attuazione delle medesime ”;
- al comma 6 bis che per ottenere la fine del periodo di gestione post operativa deve essere documentata un’effettiva assenza di rischio con particolare riguardo al biogas e al percolato dimostrando, per quest’ultimo, “ che il potere inquinante del percolato estratto è trascurabile, ovvero che per almeno due anni consecutivi la produzione del percolato è annullata ”.
Come emerge dalle norme citate, la vita di una discarica non termina pertanto con la fine della sua fase attiva, ma prosegue nella fase di chiusura e si conclude in quella di gestione post operativa, che viene individuata per un periodo non inferiore a trent’anni. Anche nella fase post operativa, al pari di quella precedente, gravano sul gestore precisi obblighi a tutela dell’ambiente.
Ne consegue che la ricorrente deve ritenersi aver concorso a causare la contaminazione della falda che, in quanto gestore della fase post operativa della discarica, aveva l’obbligo giuridico di impedire.
7.2 Sussistono pertanto tutti i presupposti perché possa ritenersi dimostrata la responsabilità di C, ai sensi degli articoli 242 e 244 del D.lgs. n. 152 del 2006, secondo un criterio di imputazione di tipo oggettivo, nella contaminazione della falda, fermo restando che, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, non era onere dell’Amministrazione provare anche lo stato soggettivo del dolo o della colpa.
Peraltro la ricorrente non ha dimostrato in sede procedimentale la ricorrenza delle circostanze idonee ad elidere il nesso causale o delle esimenti contemplate dall’art. 308, commi 4 e 5, del D.lgs. n. 152 del 2006.
Infatti a seguito della comunicazione di avvio del procedimento, il Consorzio di bacino della Priula e C si sono limitate a redigere congiuntamente una brevissima nota con la quale si sono limitate ad affermare che nel periodo della gestione operativa non si sono verificate situazioni di potenziale inquinamento, che la situazione di inquinamento accertata nella porzione della discarica interessata dai lavori di realizzazione dell’infrastruttura stradale della “ Pedemontana ” era già nota agli enti competenti, che non vi sono misure di emergenza da porre in essere e che a loro avviso non è individuabile il soggetto responsabile della contaminazione (cfr. doc. 18 allegato alle difese dalla parte ricorrente).
È evidente che da tali generiche affermazioni non può ritenersi integrata la prova rigorosa richiesta dall’art. 308, commi 4 e 5 del D.lgs. n. 152 del 2006, necessaria ad elidere la responsabilità di tipo oggettivo prevista per lo svolgimento di un’attività pericolosa, e risultano inconferenti sia l’affermazione di C di aver sempre rispettato le prescrizioni della gestione post mortem della discarica senza ricevere alcuna contestazione, sia la circostanza che nel corso della fase post operativa non è stata riscontrata la contaminazione della falda.
Va infatti osservato che le ragioni della mancata adesione dell’Amministrazione alle posizioni illustrate in sede procedimentale da C emergono dal complesso della motivazione e degli atti istruttori richiamati per relationem .
La dedotta assenza di contestazioni circa il mancato rispetto dell’autorizzazione e delle norme ambientali, potrebbe infatti essere idonea ad escludere la colpa specifica (riscontrabile, come è noto, in caso di inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline), ma non è idonea ad escludere la colpa generica riscontrabile nel caso di mancanza di diligenza, prudenza o perizia, da valutare secondo il criterio della diligenza qualificata esigibile da chi, come il gestore della fase post operativa di una discarica, svolge professionalmente questa attività che rientra nel novero di quelle pericolose di cui all’allegato 5 della parte sesta del D.lgs. n. 152 del 2006, e deve pertanto assicurare che la stessa non rappresenti un danno o un pericolo di danno per l’ambiente e non determini un aggravamento del danno già prodotto.
Parimenti priva di rilievo, alla luce del contenuto del provvedimento impugnato nella parte in cui alle pagine 7 e 8 confuta la memoria procedimentale, è la circostanza della mancata rilevazione della contaminazione prima dell’esecuzione dei lavori di realizzazione dell’infrastruttura stradale.
Nel caso in esame risulta infatti accertato che, secondo il progetto presentato dal Consorzio Intercomunale “ Priula ” approvato nel 1991, la copertura della discarica è stata realizzata con materiali a bassa permeabilità e con terreno vegetale, perché allora si riteneva che tale modalità di realizzazione della copertura fosse sufficiente, grazie ai fenomeni di evapotraspirazione e di ruscellamento superficiale, all’eliminazione del fenomeno dell’infiltrazione di acque nei rifiuti che comporta la produzione del percolato.
È invece accaduto che la copertura ha lasciato filtrare l’acqua che ha raggiunto i rifiuti.
Mancando un’impermeabilizzazione del fondo e delle pareti della discarica, l’acqua ha quindi generato del percolato che è fluito nella falda acquifera.
Nel corso dell’istruttoria è stato chiarito, e la circostanza ha trovato conferma nel piano di caratterizzazione presentato da C, che il mancato riscontro della contaminazione nel corso degli anni è dovuta alla circostanza che i piezometri “storici” (P1, P2, P3) realizzati dalla ricorrente, sono stati eseguiti in una porzione più profonda con tratto filtrante tra 22 e 25 m, mentre i piezometri successivi eseguiti nel 2021 (401, 402, 403, 404, 405 e 406) sono stati spinti ad una minore profondità compresa tra 9 e 20 m.
Pertanto, tenuto conto che è stata rilevata la presenza di uno strato argilloso nel sottosuolo che risulta separare parzialmente il comportamento idraulico tra la porzione più profonda (21,5 – 25 m dal piano campagna) rispetto a quella più superficiale, non assume un valore particolarmente significativo circa la mancanza di contaminanti, l’assenza di criticità registrata nel corso degli anni prima degli accertamenti svolti da S.P.V., posto che il diverso posizionamento e la diversa profondità dei piezometri, così come la profondità e la direzione di deflusso della falda, sono elementi idonei ad incidere significativamente sulla capacità di rilevare la presenza della contaminazione.
In questo contesto è plausibile, secondo il criterio del “ più probabile che non ” che le indagini precedentemente svolte siano state semplicemente inidonee ad intercettare l’inquinamento già esistente.
Pertanto il provvedimento impugnato che ha affermato la responsabilità di C nella contaminazione della falda ricorrendo ad un criterio di imputazione di tipo oggettivo, risulta sufficientemente motivato, e la ricorrente non ha dimostrato in sede procedimentale la sussistenza delle cause di esonero della responsabilità previste dall’art. 308, commi 4 e 5, del D.lgs. n. 152 del 2006.
Conseguentemente tutte le censure proposte con il primo motivo si rivelano infondate.
8. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo la ricorrente lamenta il difetto di istruttoria in quanto l’Amministrazione avrebbe omesso di indagare altre possibili cause dell’inquinamento non riconducibili al percolato della discarica.
La censura non può trovare positivo riscontro alla luce delle considerazioni già svolte in occasione dell’esame del primo motivo, in quanto la ricorrente non allega elementi idonei a dimostrare la manifesta erroneità o la manifesta irragionevolezza del percorso istruttorio-motivazionale e delle conclusioni a cui è pervenuta la Provincia nell’esercizio della discrezionalità tecnica di cui è titolare in materia.
Infatti dal quadro probatorio acquisito all’istruttoria, emerge che la contaminazione della falda dipende dalla discarica secondo il criterio del “ più probabile che non ”.
L’Arpav, come sopra ricordato, nella nota del 23 marzo 2021 ha rilevato la contaminazione della falda con i parametri “ ferro ” e “ manganese ” evidenziando che la stessa doveva ritenersi con tutta probabilità “ derivante dalle percolazioni della discarica ”, qualificando come “ remota ” la possibilità di individuare altre sorgenti, e i risultati analitici compiuti nel periodo marzo 2021 – gennaio 2022, hanno confermato la presenza degli inquinanti tipici di una discarica di rifiuti solidi urbani.
Secondo C la Provincia avrebbe inoltre omesso di indagare la possibilità che la contaminazione possa essere attribuibile ad S.P.V. per aver eseguito numerosi carotaggi nella discarica per poter realizzare l’infrastruttura stradale.
Si tratta di un argomento che non può essere condiviso perché formulato in modo generico e dubitativo, e che non è supportato da alcun elemento di fatto circa la possibilità che tali perforazioni siano state eseguite in modo non corretto, o che siano state l’unica causa della contaminazione che, come accertato in base al criterio del “ più probabile che non ”, è stata determinata dal percolato presente nella discarica non impermeabilizzata nella copertura, nel fondo e nelle pareti.
Sul punto va osservato che anche il paragrafo 7.3 del piano di caratterizzazione approvato, redatto per conto della stessa ricorrente (cfr. la pag. 31 del piano di cui al doc. 44 allegato alle difese della Provincia), menziona in termini esclusivamente ipotetici l’esistenza di altre potenziali sorgenti di contaminazione.
Le censure con le quali la ricorrente lamenta un difetto di istruttoria perché non sarebbero state indagate altre possibili fonti della contaminazione, sono pertanto infondate.
8.1 Con un’ulteriore censura proposta nell’ambito del secondo motivo del ricorso introduttivo, C sostiene che l’Amministrazione non avrebbe potuto individuare una responsabilità di tipo solidale tra più soggetti corresponsabili della contaminazione della falda.
Si tratta di un argomento non condivisibile in quanto per procedere all’individuazione dei responsabili della contaminazione e alle operazioni di bonifica, finalizzati alla tutela di interessi sensibili che necessitano di interventi solleciti per evitare l’ampliarsi del danno ambientale, non è necessario, in caso di corresponsabilità nella causazione dell’inquinamento, attendere l’evolversi di complesse indagini volte ad individuare, ove possibile, l’esatto contributo dei corresponsabili, fermo restando che il soggetto che pone in essere gli interventi di bonifica può sempre agire in rivalsa, ai sensi dell’art. 253, comma 4, seconda parte, del D.lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del corresponsabile o dei corresponsabili nella misura a loro imputabile (sul punto cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2021, n. 172, paragrafo 19.2.1 in diritto;negli stessi termini T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 marzo 2023, n. 340, paragrafo 2.5 in diritto).
Il secondo motivo del ricorso introduttivo è pertanto infondato.
9. Parimenti privo di fondamento è anche il primo motivo dei motivi aggiunti, con il quale la ricorrente sostiene che è illegittimo l’ordine, contenuto nel provvedimento di approvazione del piano di caratterizzazione, rivolto solamente a C, di inviare gli esiti del piano di caratterizzazione eseguito nonché il documento di analisi di rischio, in quanto unico soggetto che ha presentato il piano di caratterizzazione.
Infatti le disposizioni di cui agli artt. 242 e seguenti del D.lgs. n. 152 del 2006 delineano un procedimento a formazione progressiva, nell’ambito del quale sono individuabili diverse fasi procedimentali connesse, ma distinte tra loro.
Prescrivendo l’invio degli esiti del piano di caratterizzazione, la Provincia si è limitata a dar corso all’esecuzione delle previsioni di questo specifico atto, che sono volte ad acquisire elementi istruttori prodromici e strumentali alla progettazione dei lavori di bonifica.
Poiché si tratta di un adempimento che non è in alcun modo idoneo ad escludere l’imputabilità degli oneri di bonifica agli altri soggetti che sono stati individuati come corresponsabili della contaminazione, nei cui confronti C può agire in regresso, la prescrizione risulta immune dai vizi dedotti.
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo in favore della Provincia di Treviso, della Regione Veneto e della Superstrada Pedemontana Veneta s.p.a., mentre vengono compensate nei confronti di Bigaran s.r.l., la quale, essendo individuata come corresponsabile dell’inquinamento, riveste una posizione sostanziale analoga a quella della parte ricorrente.