TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2011-06-23, n. 201105587

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2011-06-23, n. 201105587
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201105587
Data del deposito : 23 giugno 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06336/2007 REG.RIC.

N. 05587/2011 REG.PROV.COLL.

N. 06336/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6336 del 2007, proposto da:
G V, rappresentato e difeso dall’Avv. S S presso il cui studio in Roma alla Via Emilio Faà di Bruno, n. 4 è elettivamente domiciliato;

contro

il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la cui sede in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12 domicilia ex lege;

per l'annullamento

del decreto in data 10 maggio 2007 con il quale il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha escluso il ricorrente dalle procedure finalizzate all’assunzione nel CPP;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero Giustizia -Dipartimento Amm.Ne Penitenziaria;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 marzo 2011 il dott. P B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato all’Amministrazione della Giustizia in data 5 luglio 2007 e depositato il successivo 13 luglio il ricorrente espone di avere prestato il servizio di leva obbligatorio nel Corpo di Polizia Penitenziaria con la qualifica di agente ausiliario nel 2004 e che al termine del detto servizio di leva, nel 2005, veniva inserito nella apposita graduatoria per l’assunzione definitiva nel Corpo di Polizia Penitenziaria.

Espone, altresì, che trascorsi alcuni anni in data 30 marzo 2007 veniva pubblicato dal Ministero un bando di concorso pubblico per l’assunzione di 494 unità nel ruolo degli agenti ed assistenti, al quale egli presentava formale istanza di partecipazione.

A tale istanza l’Amministrazione rispondeva col decreto di esclusione ricevuto dall’interessato in data 11 maggio 2007 e motivato per la circostanza che in capo al ricorrente mancavano i requisiti di moralità e di condotta di cui all’art. 124, u.c. r.d. n. 12/1941, in quanto egli aveva riportato una condanna con sentenza del Tribunale Civile e Penale di Catanzaro n. 42 del 28 marzo 2006, pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. a seguito del suo coinvolgimento in una rissa.

2. Avverso tale provvedimento l’interessato deduce:

2.1. Violazione di legge;
eccesso di potere, difetto di motivazione e di istruttoria. Lamenta che proprio l’applicazione effettuata dal decreto in parola dell’art. 124 del r.d. n. 12/1941 avrebbe richiesto una motivazione più ponderosa in ordine alla scelta operata dall’Amministrazione di non ammetterlo al concorso, atteso che la sola commissione di un reato non può costituire l’unico presupposto, astrattamente considerato di esclusione dalla selezione, essendo mancata ogni considerazione della oggettiva entità dei fatti contestati, al tempo trascorso dai fatti medesimi, all’età del candidato all’epoca degli stessi, al successivo curriculum. Il decreto avrebbe dovuto compiere una valutazione più completa della condotta presuntivamente censurabile dell’interessato, con la conseguenza che il provvedimento appare adottato in assenza di una compiuta istruttoria.

2.2 Violazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990;
eccesso di potere per carenza di motivazione e difetto di istruttoria. L’interessato insiste sul difetto di motivazione del provvedimento impugnato atteso che essa gli appare non corretta, neppure col suo semplice richiamo alla sentenza di condanna da lui subita.

Conclude per l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

3. L’Amministrazione si è costituita in giudizio ed ha rassegnato opposte conclusioni.

4. Alla Camera di Consiglio del 25 luglio 2007 l’istanza cautelare è stata respinta nella ritenuta insussistenza del fumus, mentre il Consiglio di Stato ha riformato la predetta, nella considerazione che, pur in presenza di una sentenza di patteggiamento, si richiedesse un’autonoma valutazione dei fatti da parte dell’Amministrazione, (sezione IV, ordinanza del 13 novembre 2007, n. 5909/2007).

5. Il ricorso è stato infine trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 31 marzo 2011, alla quale il Collegio ha ritenuto condivisibile la posizione espressa dal Consiglio di Stato, seppure al sommario esame della sede cautelare.

6. In fatto va rappresentato che il ricorrente, a seguito dell’accoglimento della sospensiva, ha sostenuto tutti gli esami del concorso per l’assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria, è stato ammesso a frequentare il corso di formazione con data di inizio del 31 marzo 2008 ed è stato assunto agente di ruolo, servizio che sta a tutt’oggi espletando.

7. La norma di cui all’art. 124 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 relativa al requisito della condotta incensurabile stabilito per l’accesso ai concorsi in magistratura è espressamente richiamata dall’art. 26 della legge 1° febbraio 1989, n. 53 stante il quale per “l’accesso ai posti nella polizia di stato e nelle altre forze di polizia è richiesto il possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l’ammissione ai concorsi in magistratura”.

Ora è vero che il ricorrente ha subito una condanna con patteggiamento ex art. 444 c.p.p. per lesioni ex art. 582 c.p. in continuazione ed in concorso con altri due soggetti, ma è anche vero che la pena per il ricorrente e per uno degli altri aggressori è stata sospesa dal giudice penale avuto riguardo alle “biografie penali” dei due.

E’ noto al Collegio che se l’ammissione con riserva ad un concorso o ad un corso in via cautelare ha il limitato scopo di non precludere all'interessato, per il mero decorso del tempo, gli eventuali effetti favorevoli di una pronuncia di accoglimento del ricorso è però altrettanto vero che l’oggetto dello scrutinio di merito è costituito dal provvedimento lesivo impugnato e non anche dai fatti e dagli atti successivi, che sono stati consentiti solo per cristallizzare la situazione processuale e non per superarla. (Consiglio di Stato, sezione VI, 5 ottobre 2010, n. 7582;
ma anche Consiglio Stato , sez. V, 13 maggio 2011 , n. 2892 ed anche risalente, ma espressiva dello stesso principio: T.A.R. Lazio, sez. III, 4 febbraio 1985, n. 146), sicché, sostanzialmente, la circostanza che il ricorrente sia in servizio da tre anni non può influire sullo scrutinio del decreto impugnato da parte del giudicante.

Nello specifico caso in esame, tuttavia, come sopra accennato, la infondatezza del ricorso e quindi del vizio con esso fatto valere, in ultima analisi, il difetto di motivazione e di istruttoria del ridetto decreto di esclusione, rilevata nella sede cautelare di primo grado, non è stata condivisa dal Consiglio di Stato, sulla base di quella che, tutto sommato, costituisce affermazione di altro principio giurisprudenziale consolidato e cioè che la rilevanza del fatto penale commesso debba essere valutata autonomamente dall’Amministrazione nel procedimento concorsuale.

Al riguardo vi è un precedente specifico sull’argomento: “Pur potendo la sentenza resa ex art. 444, c.p.p. essere autonomamente valutata dalla p.a. ai fini dell'eventuale adozione di provvedimenti nei confronti di dipendenti pubblici, dovendosi ritenere possibile un'autonoma verifica della sussistenza delle prescritte qualità morali e di condotta sulla base sia della medesima sentenza sia di eventuali informazioni assunte, non si può viceversa procedere alla esclusione del dipendente in applicazione diretta del disposto di cui all'art. 5 comma 2, d.lg. 30 ottobre 1992 n. 443, essendo escluso che dalla sentenza ex art. 444, c.p.p. possano discendere tutte le conseguenze proprie e tipiche della sentenza di condanna.” (T.A.R. Liguria, sez. I, 29 maggio 1997 , n. 246).

E’ noto, infatti, che la sentenza di patteggiamento non può dirsi equivalente alla sentenza di condanna e la non equivalenza si desume dalla funzione stessa dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, che non è quella di accertare, con gli effetti propri del giudicato, l'esistenza del reato, bensì quella di risolvere in tempi brevi il procedimento con l'irrogazione della sanzione derivante dall'accordo fra le parti in giudizio, approvato dall'autorità giudicante.

Si può a questo punto obiettare che proprio perché la sentenza di patteggiamento riguarda una particolare modalità di applicazione della pena e la norma concorsuale di cui all’art. 5, comma 2 del d.lgs. n. 443 del 1992 – citata anch’essa nel provvedimento di esclusione impugnato - non consente la partecipazione ai concorsi in Polizia Penitenziaria a coloro che abbiano riportato condanne a pena detentiva, siccome il ricorrente è stato appunto condannato con patteggiamento a due mesi di reclusione, non poteva che essere escluso.

In tal caso è facile obiettare che l’Amministrazione ha omesso di considerare che il ricorrente ha ottenuto il “beneficio della pena sospesa” in considerazione della sua “biografia penale” con la ridetta sentenza del Tribunale Civile e Penale di Catanzaro n. 42 del 2006, circostanze queste delle quali il provvedimento non fa minimamente menzione, appoggiando la motivazione sul puro e semplice dato testuale della norma di cui sopra, con la conseguenza che essa appare del tutto apodittica e sganciata da una accurata lettura della sentenza penale che ne dovrebbe costituire la base.

8. Per le superiori considerazioni il ricorso va accolto e per l’effetto va annullato il decreto del Ministero della Giustizia – DAP in data 10 maggio 2007 di esclusione del ricorrente dalla procedura di assunzione nel CPP bandita con DM pubblicato il 30 marzo 2007, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

9. La delicatezza delle questioni trattate fa ritenere giusti i motivi per la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti.

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