TAR L'Aquila, sez. I, sentenza 2020-12-04, n. 202000493
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Pubblicato il 04/12/2020
N. 00493/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00279/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 279 del 2019, proposto da
R M, rappresentato e difeso dall'avvocato M C M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Valle Castellana, rappresentato e difeso dagli avvocati C S e L S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
P L, B C non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
- Deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Valle Castellana n. 14 del 5.4.19, pubblicata il 17.4.19 fino al 2.5.19, con la quale è stato approvato il regolamento comunale di disciplina dei terreni ad uso pascoli ricadenti sul demanio civico della Frazione di San Vito e di ogni altro atto conseguente e presupposto,in particolare
- assegnazione dei terreni pascolivi gravati da uso civico della Frazione San Vito alla allevatrice Mancini Giovanna con prot. 3441 del 10.5.19 del Comune di Valle Castellana
- deliberazione della Giunta Comunale n. 39 del 16.4.19, pubblicata dal 9.5.19, con la quale sono state stabilite le tariffe per la fida pascolo dell'anno 2019 e, comunque, di ogni altro atto presupposto e conseguente conosciuto e non conosciuto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Valle Castellana;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2020 il dott. Mario Gabriele Perpetuini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente è una imprenditrice agricola allevatrice di capi ovini che esercita la sua attività in Fraz. San Vito di Valle Castellana.
In data 5 aprile 2019 il Comune di Valle Castellana, alla presenza di 6 dei 10 membri dell’Assemblea Consiliare, approvava il Regolamento Comunale di disciplina dei terreni ad uso pascolo siti nella frazione di San Vito del Comune.
La Deliberazione Consiliare intendeva regolamentare l’utilizzo dei terreni montani ubicati nella località di San Vito e gravati dal diritto di uso civico di pascolo.
Avverso il citato provvedimento insorge la ricorrente proponendo il ricorso in epigrafe sostenuto dai seguenti motivi:
1) “Violazione di legge (t.u.e.l. D.lgs. 267/2000 artt. 77 e 78, art. 97 costituzione)” ;
2) “Violazione di legge (l. N. 1766/1927;r.d. N. 332/28, art. 3 ed art. 41 costituzione, l.r. Abruzzo n. 25/88)” ;
3) “Eccesso di potere per disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, illogicità ed irragionevolezza”.
Alla camera di consiglio del 24 luglio 2019, questo collegio ha accolto la domanda di adozione di misure cautelari proposta dalla ricorrente.
All’udienza pubblica del 18 novembre 2020 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.§. Con il provvedimento impugnato il Comune di Valle Castellana ha approvato un regolamento comunale sui criteri di utilizzo dei demani civici della frazione San Vito stabilendo, all'art. 5, che l'assegnazione dei pascoli sarebbe avvenuta “in modo proporzionale al numero dei capi secondo il rapporto UBA (unità bovina adulta) pari ad 1UBA/1Ha (ettaro)” e che “nell'eventualità in cui i capi da immettere al pascolo dichiarati risultino esuberanti rispetto ai territori disponibili, verrà stabilita una percentuale di riduzione dei capi eguale per tutti i richiedenti” .
La capacità del terreno, calcolata sul rapporto 1 UBA/1 Ha, era tuttavia sufficiente ad ospitare solamente 1150 capi sicché si procedeva, come da regolamento, ad individuare una percentuale di diminuzione fissa da applicare a tutti i richiedenti.
La percentuale veniva individuata nel 40% sicché ogni allevatore otteneva il permesso di pascolo per il 60% del proprio gregge.
Ritenuta l’illegittimità della delibera consiliare n. 14/2019, la ricorrente proponeva il presente gravame chiedendo, previa sospensione, l’annullamento del provvedimento e il risarcimento del danno susseguente alla sua adozione.
Con ordinanza n.n150/2019, questo collegio riteneva di accogliere la richiesta di tutela cautelare.
2.§ L’eccezione di giurisdizione sollevata dalla parte resistente è infondata considerato che, come affermato dal Consiglio di Stato nell’ordinanza n. 5027/2019, “la controversia non rientra nella cognizione del Commissario Regionale per il riordinamento e la liquidazione degli usi civici, in quanto non investe, neppure in via preliminare, la natura civica del bene, ma riguarda il regolamento con il quale il Comune ha stabilito i criteri per la concessione del diritto di pascolo sulle aree demaniali” .
3.§. Con un primo motivo di ricorso si sostiene che il Regolamento approvato con la Delibera n. 14 del 05.04.2019 sarebbe illegittimo in quanto proposto e votato da un assessore in conflitto di interessi.
La ricorrente, infatti, ritiene che l’Assessore Caterini avrebbe dovuto astenersi dal partecipare alla votazione atteso che anch’egli esercita l’attività di allevatore usufruendo altresì di alcune terre civiche site nella frazione di Macchia da Sole.
La censura deve essere disattesa.
La regola dell’astensione del Consigliere Comunale, quale emerge dal tenore letterale dell’art. 78 comma 2 del D.Lgs. 276/2000, presuppone un interesse concreto ed attuale all’adozione dell’atto amministrativo dovendosi configurare una situazione di conflitto lì dove sia rinvenibile una correlazione diretta tra il contenuto dell’atto e l’interesse proprio del Consigliere o dei suoi parenti.
Nel caso di specie, il regolamento disciplina le modalità di assegnazione ai fini pascolivi delle terre civiche ricadenti nella frazione di San vito ai soli residenti in tale località sicché il Consigliere Caterini, essendo residente nella frazione Macchia da Sole, non ricava alcun vantaggio dalla regola distributiva introdotta dalla disciplina regolamentare che, giova ribadirlo, è riservata ai soli residenti della località.
L’efficacia del Regolamento impugnato entro il bacino territoriale della frazione di San Vito e la residenza del Consigliere Caterini in una diversa frazione escludono l’esistenza di un conflitto di interessi per l’assenza di qualsiasi utilità ritraibile dalla disciplina introdotta.
In definitiva non si può ravvisare alcun conflitto di interesse considerato che il Regolamento impugnato riguarda i pascoli sul demanio civico di San Vito e che agli stessi sono ammessi i soli residenti di tale località.
4.§. Con il secondo ed il terzo motivo di censura, che in considerazione della loro connessione logico giuridica si ritiene di poter scrutinare congiuntamente, si lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto asseritamente lesivo dei propri interessi relativamente allo sfruttamento dei terreni pascolivi e, nello specifico, a causa di una iniqua ripartizione della superficie di terreno disponibile.
La censura è fondata nei termini di cui appresso.
L'art. 4 della L. n. 1766/1927 recita: “Per gli effetti della presente legge i diritti di cui all'art. 1 sono distinti in due classi:
1) essenziali, se il personale esercizio si riconosca necessario per i bisogni della vita;
2) utili, se comprendano in modo prevalente carattere e scopo di industria.
Appartengono alla 1ª classe i diritti di pascere e abbeverare il proprio bestiame, raccogliere legna per uso domestico o di personale lavoro, seminare mediante corrisposta al proprietario.
Alla 2ª classe appartengono, congiunti con i precedenti o da soli, i diritti di raccogliere o trarre dal fondo altri prodotti da poterne fare commercio, i diritti di pascere in comunione del proprietario e per fine anche di speculazione;ed in generale i diritti di servirsi del fondo in modo da ricavarne vantaggi economici, che eccedano quelli che sono necessari al sostentamento personale e famigliare” .
Assegnare ad un allevatore di un piccolo gregge di appena 250 capi una estensione territoriale per farlo pascere ridotta così da potervi portare solo la metà del proprio gregge potrebbe astrattamente violare la natura di diritto essenziale ai bisogni della vita del piccolo allevatore. La ricorrente con un gregge di appena 250 capi svolge l'attività per fare fronte ai bisogni della famiglia e non certo per scopo di industria o “per trarne vantaggi economici che eccedano quelli che sono necessari al sostentamento personale e familiare” .
La sopravvenuta insufficienza di terre civiche destinabili al pascolo rispetto alla consistenza numerica delle greggi degli allevatori ha reso inevitabile l’adozione di un criterio di riparto che l’Amministrazione Comunale ha individuato nell’applicazione al numero dei capi posseduti da ciascun allevatore di una aliquota in riduzione.
Il meccanismo proporzionale seguito (riduzione dei capi mediante la medesima quota percentuale), se in astratto potrebbe essere ritenuto idoneo a contemperare le esigenze degli allevatori, nel caso di specie sconta un difetto di istruttoria in quanto, non tenendo conto della natura essenziale del diritto di uso civico, non individua il numero minimo di capi necessari a soddisfare i cc.dd. “bisogni essenziali”.
Il criterio proporzionale, dunque, non risulta astrattamente incompatibile con la natura essenziale del diritto di uso civico ma, al fine di evitare che una riduzione proporzionale dei capi porti alla conseguenza di non garantire il “sostentamento personale e famigliare”, cosa che si verificherebbe in tutti i casi in cui a concorrere allo sfruttamento dei terreni vi fosse un allevatore con numerosi capi, è necessario che l’Amministrazione individui il numero di capi ritenuti necessari per il soddisfacimento dei bisogni essenziali garantendo, quindi, a tutti l’autorizzazione minima per quel numero capi.
5.§. Quanto al risarcimento del danno patito, il Collegio rileva che l’accertata illegittimità di un atto amministrativo non può giustificare, in assenza di prova degli altri elementi della fattispecie risarcitoria, l’accoglimento della proposta domanda di risarcimento danni.
La fattispecie, infatti, deve ricondursi all’art. 2043 c.c. con conseguente onere in capo al ricorrente di provare in giudizio non solo il danno subito ma anche il nesso di causalità e la colpa dell’Amministrazione.
Quanto all’elemento soggettivo, la colpa deve essere accertata in senso oggettivo, tenendo conto dei vizi che hanno determinato l’illegittimità del provvedimento, della gravità delle violazioni commesse in relazione all’ampiezza del potere discrezionale esercitato, dei precedenti giurisprudenziali, dell’univocità o meno del dato normativo, delle condizioni concrete e dell’eventuale apporto dei privati. Ne discende che ove si accerti che l’errore in cui sia incorsa l’amministrazione, e dal quale è scaturita l’illegittimità provvedimentale, sia scusabile, ovvero indotto da equivocità del dato normativo, da contrasti giurisprudenziali, da interpretazioni divergenti fornite da altri organi amministrativi, dalle risultanze di istruttorie procedimentali ovvero dalla particolare complessità e difficoltà dell’azione amministrativa, deve essere esclusa la colpa.
Nel caso di specie deve ritenersi che l’illegittimità del provvedimento deve ricondursi alla particolare complessità e difficoltà dell’azione amministrativa per cui, in assenza dell’elemento soggettivo, deve essere escluso il risarcimento del danno da attività provvedimentale illegittima.
6.§. Per i motivi predetti, deve essere accolta la domanda annullatoria e respinta quella risarcitoria.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.