TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2013-04-30, n. 201302264

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2013-04-30, n. 201302264
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201302264
Data del deposito : 30 aprile 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05615/2008 REG.RIC.

N. 02264/2013 REG.PROV.COLL.

N. 05615/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5615 del 2008, proposto da:
La Speranza S.r.l., in persona del rappresentante legale p.t. sig. M M, rappresentata e difesa dagli avv. C R, E R, P R, G R, con loro elettivamente domiciliata in Napoli, via C. Console, 3 c/o l’avv. L D L;

contro

Comune di Anacapri in persona del Sindaco p.t., non costituito;

per l'annullamento

dell’ordinanza di demolizione n. 10312 del 09.07.2008;

dell’ordinanza di sospensione dei lavori n. 10349 del 09.07.2008;

dell’ordinanza di sospensione del lavori n. 8215 del 28.05.2008,

tutte emesse dal Comune di Anacapri in relazione ad opere costruire senza titolo edilizio in Anacapri alla via Migliera nonché di tutti gli atti prodromici, presupposti e consequenziali.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2013 il dott. L C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


FATTO e DIRITTO

1.1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, LA SPERANZA s.r.l., nella persona del legale rappresentante Michele MARESCA, impugnava l’ordinanza di demolizione n. 10312 del 09.07.2008, l’ordinanza di sospensione dei lavori n. 10349 del 09.07.2008, l’ordinanza di sospensione del lavori n. 8215 del 28.05.2008, emesse dal Comune di Anacapri in relazione ad opere costruire senza titolo edilizio in Anacapri alla via Migliera;
alla base dei provvedimenti la considerazione dell’abusività dell’opera e dell’insistenza sul territorio isolano del vincolo paesaggistico (cfr. in particolare l’ordinanza di sospensione dei lavori resa dal servizio tutela beni ambientali n. prot. 10349 del 09.07.2008 e l’ordinanza n. 8215 del 28.05.2008 richiamata dal provvedimento di demolizione).

1.2. In particolare, il ricorrente esponeva in ricorso le seguenti censure, meglio descritte nella parte in diritto: 1) violazione e falsa applicazione dell'art. 38 l. 47/1985 richiamato dall'art. 39 l.724/1994, eccesso di potere per presupposto erroneo;
2) violazione e falsa applicazione dell'art. 31 co. 2 d.p.r, 380/2001, violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e ss. L.47/1985, dell'art. 39 l. 724/94 e delle richiamate disposizioni contenute nei capi IV e V della l. 47/85, violazione degli artt. 22 e 37 d.p.r. 380/2001, eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento dei fatti e omessa istruttoria;
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e segg. L. 241/90;
violazione del giusto procedimento;
4) violazione dell'art. 3 l. 241/90. Eccesso di potere per difetto di motivazione contraddittorietà, omessa istruttoria.

1.3. In conclusione, il ricorrente chiedeva l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

1.4. Nessuno si costituiva per il Comune di Anacapri.

1.5. All’esito dell’udienza di trattazione del 17.04.2013, il Collegio tratteneva la causa in decisione.

2.1. Come accennato nell’esposizione che precede, il Comune di Anacapri, mediante i provvedimenti impugnati, prima sospendeva i lavori e, poi, ordinava la demolizione di alcune opere realizzate in Anacapri alla via Migliera. In particolare, i provvedimenti attingevano: il «completamento del fabbricato oggetto di istanze di condono edilizio n. 248/85 e n.734/1995»;
«l’ampliamento» del medesimo manufatto di circa mq 20»;
le «opere di sistemazione esterna per pavimentazione area di corte per circa mq. 80 e la posa in opera di due colonne ornamentali con sovrastante installazione di pergolato in legno».

3.1. La prima censura è relativa alla pretesa illegittimità degli atti in quanto le opere sarebbero comprese nelle istanze di condono n. 248/1986 e 734/1995 e, quindi, qualunque attività sanzionatoria sulle opere in questione dovrebbe intendersi sospesa ai sensi degli artt. 38 L. 47/1985 e 39 L. 724/1994.

3.2. Il mezzo è privo di pregio. Infatti, se astrattamente la prospettazione del ricorrente è corretta, in concreto la censura omette del tutto di considerare che i provvedimenti impugnati danno, come si è visto, espressamente conto della pendenza delle due domande di condono e, infatti, si limitano a sanzionare la prosecuzione dei lavori e l’ampliamento dei manufatti originariamente oggetto di condono.

3.3. Sul punto, il ricorrente si limita ad affermare la generica ricomprensione nelle istanze condonistiche delle opere sanzionate, ma non offre alcun elemento di contestazione alle puntuali affermazioni contenute nella parte motiva del provvedimento che, appunto, esclude espressamente la ricorrenza di una simile circostanza. Tale condotta processuale, in virtù del principio dispositivo, vigente come meglio si dirà a breve anche nel processo amministrativo, si traduce in una mancanza di prova che non consente di apprezzare positivamente le asserzioni di parte ricorrente.

3.4. Quanto precede induce a mantener fermo quanto accertato dall’ente in merito alla dato di fatto che le opere in esame non siano ricomprese nelle due menzionate istanze condonistiche.

4.1. Con la seconda censura, il ricorrente afferma che le opere non contemplino alcun aumento di volume né di superficie - trattandosi di opere di completamento o di sistemazione esterna – e sostiene che , in quanto tali, avrebbero potuto essere assentite con mera D.I.A.;
pertanto, sul piano sanzionatorio, avrebbero potuto essere attinte da una mera sanzione pecuniaria e non dalla demolizione (art. 37 D.P.R. 380/2001).

4.2. La censura è infondata per almeno tre ordini di ragioni.

4.3.1. In primo luogo, contraddicendo, in sostanza, quanto affermato in relazione alla prima censura, il ricorrente ammette che si tratti di lavori effettuati in prosecuzione a quelli oggetto della domanda di condono.

4.3.2. Ebbene, nel caso in cui la procedura di sanatoria non sia conclusa trova applicazione l’art. 35 co. 13 della L. 47/1985. La disposizione richiamata prevede che: « decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all'articolo 31 non comprese tra quelle indicate dall'articolo 33. A tal fine l'interessato notifica al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione. L'avvenuto versamento della prima e della seconda rata, seguito da garanzia fideiussoria per il residuo, abilita gli istituti di credito a concedere mutui fondiari ed edilizi. I lavori per il completamento delle opere di cui all'articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti amministrazioni (…) ».

4.3.3. Va detto che, in mancanza dell’attivazione della procedura appena descritta non è possibile proseguire i lavori relativi all’opera abusiva già oggetto di istanza condonistica. Nel caso di specie, la società ricorrente non ha ritenuto di comunicare alcunché al Comune, né, trattandosi di aree sottoposte a vincolo (art. 32 L. 46/1985), è stato acquisito alcun parere delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 15 settembre 1999 , n. 1082);
pertanto, l’ordinanza di rimessione in pristino delle opere di completamento è, come meglio si dirà a breve, doverosa e vincolata. Merita di esser precisato, peraltro, che i lavori in questione tendono non solo al completamento (comunque vietato) della costruzione già in essere, ma anche al suo ampliamento oltre i termini prescritti per la presentazione della domanda di condono. Diversamente opinando, del resto, si consentirebbe di realizzare oltre il termine perentorio fissato dalla legge opere ben diverse e ulteriori rispetto a quelle oggetto di istanza condonistica.

4.4. Per altro verso, una parte delle opere si traduce in un aumento della volumetria ed anche il pergolato, di rilevanti dimensioni, non può ritenersi soggetto all’obbligo della presentazione della sola D.I.A., dovendo per entrambe le opere ritenersi che sia necessario il permesso di costruire (e, comunque, l’autorizzazione paesaggistica).

4.5.1. Inoltre, quand’anche si ritenesse necessaria la sola D.I.A., la sanzione applicabile resterebbe quella della demolizione. Infatti, in territorio sottoposto a vincolo paesaggistico, l’applicazione della sanzione demolitoria ai sensi dell’art. 27 D.P.R. 380/2001 (e non dell’art. 31 del medesimo T.U. pure richiamato dal provvedimento) è, comunque, doverosa a prescindere dal titolo edilizio necessario, essendo, peraltro, incontestato che non sia stata presentata neppure la D.I.A. e che non sia, conseguentemente, stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica (cfr. provv. di sospensione n. 10349 del 09.07.2008 del servizio tutela beni ambientali del comune).

4.5.2. Si osserva, infatti, che l’art. 27 co. 2 D.P.R. 380/2001 (« il dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, (…) nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa. (…) ») non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la semplice D.I.A. in quanto impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico.

4.6. Per tutte le opere contemplate dal provvedimento, ivi compresa la pavimentazione dell’area esterna, quindi, la sanzione demolitoria appare assolutamente doverosa ai sensi del citato art. 27 del D.P.R. 380/2001.

5.1. Dalla vincolatezza del provvedimento di demolizione deriva, altresì, l’infondatezza della terza censura, relativa al mancato rispetto delle garanzie procedimentali di cui alla legge 241/1990, e, in particolare, al mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento che avrebbe impedito alla ricorrente di svolgere le proprie osservazioni nella fase procedimentale.

5.2. Il provvedimento, infatti, come si è visto, non avrebbe potuto assumere alcun altro contenuto e ciò rende irrilevanti le pretese violazioni delle garanzie procedimentali denunciate con il primo mezzo.

5.3. Com’è noto, alla stregua del disposto dell’art. 21 octies della legge 241 del 1990 - di cui qui, nelle descritte condizioni, va fatta indubbia applicazione - non può essere utilmente lamentata la violazione delle diverse garanzie partecipative previste dalla medesima legge sul procedimento (sul punto, ex multis, T.A.R. Campania, questa Sezione, n. 04873/2012, nonché Tar Campania, sez. ottava, 5 maggio 2011, n. 2497 e cfr. ancora, più di recente, Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2012, n. 3969).

6.1. Infine, alla vincolatezza del provvedimento di demolizione, consegue l’infondatezza della quarta e ultima censura con cui si lamenta la carenza di motivazione e il difetto di istruttoria;
come affermato dal costante orientamento giurisprudenziale, tale vincolatezza rende superflua e non dovuta una puntuale motivazione sull’interesse pubblico alla demolizione o sul “danno ambientale”, essendo sufficiente l’aver evidenziato la violazione del regime edilizio-vincolistico (cfr., ex multis, T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 04 agosto 2008 , n. 9718);
l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è ‘in re ipsa’ poiché la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 14 aprile 2010 , n. 1975).

6.2.1. Quanto al lamentato difetto di istruttoria nell’individuazione delle opere, come si è detto, il ricorrente non fornisce neppure un principio di prova in ordine alla pretesa inesattezza delle puntuali asserzioni del Comune.

6.2.2. Sul punto, giova ribadire che il processo amministrativo, pur se sono previsti alcuni poteri di acquisizione officiosa delle prove da parte del Giudice, è fondato sul principio dispositivo dell’onere della prova, di talchè spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti, ogni volta che non ricorra quella disuguaglianza di posizioni tra Amministrazione e privato, che giustifica l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo;
tale principio, peraltro, «non può, comunque, mai ridursi ad un’assoluta e generale inversione dell'onere della prova e comunque non consente al giudice amministrativo di sostituirsi alla parte onerata quando il ricorrente non si trovi nell'impossibilità di provare il fatto posto a base della sua azione» (Consiglio Stato, sez. V, 10 novembre 2010, n. 8006).

6.2.3. Tali principi hanno trovato, peraltro, definitiva consacrazione nel codice del processo amministrativo che all’art. 64 dispone che «spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni» e che i poteri di acquisizione officiosi riguardano le sole «informazioni» e i «documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione».

7.1. Le argomentazioni che precedono dimostrano la palese infondatezza del ricorso che va, pertanto, respinto.

7.2. Nulla per le spese stante la mancata costituzione dell’amministrazione intimata.

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