TAR Roma, sez. II, sentenza 2015-01-22, n. 201501134
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N. 01134/2015 REG.PROV.COLL.
N. 11591/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11591 del 2003, proposto da:
S.p.a. Rti Reti Televisive Italiane, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. L M e G R, con domicilio eletto presso il primo in Roma, Via Panama, 58 (come da atto di costituzione di nuovo difensore in data 21 febbraio 2011;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dello Sviluppo Economico (già delle Comunicazioni), Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, e presso la stessa domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
in parte qua, del d.P.C.M. 8 luglio 2003 recante la “ fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici magnetici ed elettromagnetici generati da frequenze comprese tra i 100 KHz e 300 GHz”;
nonché di ogni ulteriore atto anteriore, conseguente ovvero comunque coordinato e/o connesso a quello sopra indicato;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dello Sviluppo Economico (già delle Comunicazioni) e dell’Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2014 il Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso indicato in epigrafe, la Società istante, concessionaria per la radio telediffusione su scala nazionale ed interessata alla corretta applicazione delle norme relative all’esercizio tecnico degli impianti, censurava il decreto sopra specificato per i seguenti profili:
1 – violazione degli artt. 1 e 18 comma 2, l. n. 223 del 1990 e dell’art. 1 comma 6, lett. a), n. 15, l. n. 249 del 1997, poiché il gravato provvedimento non può che avere una portata integrativa della disciplina dettata dal precedente d.i. 10 settembre 1998, n. 381;
2 – violazione dell’art. 18, comma 3, l. n. 223 del 1990 e della l. n. 110 del 1983 per la mancata prescrizione del contraddittorio nelle operazioni di rilevazione e di misurazione;
3 – eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifesta in ordine alla riduzione a conformità.
Essa, pertanto, chiedeva l’annullamento in parte del provvedimento gravato.
Si costituivano le Amministrazioni intimate per resistere al ricorso. Con successiva memoria, le stesse eccepivano l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica alle Associazioni dei consumatori, asseritamente parti necessarie, nonchè il difetto di legittimazione passiva del Ministero evocato e dell’AGCOM. L’Avvocatura erariale, chiedeva, peraltro, la riunione con altro ricorso proposto avverso il medesimo atto.
La Società istante, con memoria del 14 novembre 2014 replicava alle eccezioni e dava atto dell’avvenuta cessazione della materia del contendere in ordine ai primi due motivi di ricorso, a seguito dell’abrogazione della l. 6 agosto 1990 n. 223, ad opera della l. 3 maggio 2004 n. 112, recante “Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a., nonché delega al Governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione” e, in seguito del d.lgs. 31 luglio 2005 n. 177, recante il t.u. dei servizi di media audiovisivi e radiofonici.
All’udienza di discussione la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
I – In via preliminare osserva il Collegio che – concordemente a quanto rilevato da parte ricorrente – deve essere respinta l’istanza di riunione avanzata dalle Amministrazioni resistenti con il R.G. n. 12383/03, proposto da altri ricorrenti avverso il medesimo d.P.C.M., poiché detto ricorso è stato dichiarato perento con provvedimento del 14 maggio 2007.
II – Non può essere condivisa, poi, l’eccepita inammissibilità del ricorso per mancata notifica alle Associazioni dei consumatori, che non possono essere ritenute parti necessarie del presente giudizio, diretto a contestare il decreto gravato relativamente a profili meramente tecnici connessi ai criteri da utilizzare per conseguire il rispetto dei limiti di campo elettromagnetico.
III – Per quanto concerne la richiesta di estromissione avanzata dall’AGCOM, deve rilevarsi che sia tale Autorità che il Ministero dello Sviluppo Economico, evocati in giudizio, effettivamente non rivestono la qualità di Amministrazioni emananti il provvedimento gravato. Nella specie che occupa, infatti, il d.P.C.M. è provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Ambiente, di concerto con il Ministro della Sanità. Se, da un lato, dunque, deve ritenersi non necessario, ai fini dell’ammissibilità del gravame, il coinvolgimento delle altre Amministrazioni intervenute in sede endoprocedimentale, come sostenuto da parte della Società istante, tuttavia, non può procedersi all’estromissione delle Amministrazioni – Sviluppo Economico e AGCOM evocate in giudizio – che risultano Amministrazioni interessate in concreto all’applicazione dei metodi di indagine contemplati dal decreto, in quanto gli atti applicativi dei metodi e dei limiti ivi indicati non possono che comportare l’obbligo di conforme applicazione per i soggetti tenuti al controllo. Spetta all’AGCOM, infatti, l’attività di controllo e vigilanza sulle emissioni elettromagnetiche, e al Ministero dello Sviluppo Economico - Direzione generale per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico - Divisione I, il controllo delle emissioni radioelettriche e la sorveglianza sui mercato degli apparati. In tale senso, le Amministrazioni evocate, in effetti, assumono la veste di soggetti controinteressati, in quanto tenuti alla corretta applicazione della disciplina dettata dal decreto.
III – Svolte siffatte precisazioni, deve circoscriversi l’esame del ricorso, al terzo motivo, poiché i primi due motivi risultano superati dall’abrogazione, come sopra evidenziata, della l. n. 223 del 1990 – rispetto alla quale erano stati formulati - ad opera dello jus superveniens. Rispetto ai primi due motivi, come dedotto dalla stessa Società ricorrente con memoria per la discussione del merito e ribadito in udienza pubblica, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
IV – Passando, dunque, all’esame del terzo motivo, la Società ricorrente si duole della contraddittorietà ed illogicità della prescrizione di cui all’art. 5 del decreto impugnato che, dispone, che “nel caso di esposizioni multiple generate da più impianti, la somma dei relativi contributi normalizzati, definiti in allegato C, deve essere minore di uno. In caso contrario si dovrà attuare la riduzione a conformità secondo quanto descritto nell’allegato C”. In tale allegato, è prescritto poi che, in ipotesi di superamento, i segnali debbano essere ridotti in modo che la sommatoria dei contributi risulti eguale o inferiore a 0,8.
Ulteriormente, la parte istante lamenta la mancanza di previsione della gradualità della riduzione in ragione della entità del contributo di inquinamento.
Il Collegio non può non soffermarsi sulla circostanza che, con il gravame in esame, la Società ha impugnato l’atto generale ed astratto, chiedendo, tuttavia, con formula di rito, l’annullamento degli atti conseguenti. Non risultano motivi aggiunti avverso i singoli atti applicativi che – come evidenziato nella memoria del 4 novembre 2014 – sono stati via via emessi da altri enti preposti al controllo, attualizzando e rendendo concreto l’interesse di parte istante in ordine alla riduzione delle emissioni in forza del metodo contestato con il gravame qui in esame.
Tuttavia, la giurisprudenza (Consiglio di Stato Sez. Quarta, decisione 17.04.2002 n° 2032) ha avuto modo di precisare che non può ritenersi che le disposizioni regolamentari non siano immediatamente lesive fino all'adozione dei provvedimenti applicativi, quando rispetto alle previsioni contenute nelle norme denunciate in giudizio non residui – come nella specie in cui si tratta di applicare dei calcoli fissati dal decreto gravato - alcuno spazio deliberativo all'organo preposto alla concreta applicazione, trattandosi non di semplice direttiva, ma di un vero e proprio obbligo.
Da ciò consegue l'immediata lesività delle disposizioni censurate per la sfera soggettiva della Società ricorrente.
V - Nell’esame del merito, va rilevato che, secondo quanto esposto nelle premesse stesse del decreto in esame, “il Governo ha già provveduto, in ottemperanza all’art. 1, comma 6, della legge 31 luglio 1997, n. 249, a fissare i limiti di esposizione”, “con il decreto interministeriale 10 settembre 1998, n. 381”, ne consegue che - come espressamente indicato – il decreto oggetto di contenzioso ha la sola funzione di “completare il campo di applicazione come richiesto dalla legge quadro n. 36 del 22 febbraio 2001”.
Da tale constatazione discende necessariamente che non si rinviene nella finalità della disciplina, alcun elemento idoneo ad indicare che il decreto in menzione avesse una valenza di revisione dei limiti di esposizione per la protezione della popolazione.
Svolte siffatte considerazioni, i limiti non possono che essere quelli indicati nelle tabelle di cui all. B del decreto, che per l’appunto richiamano quelli precedentemente fissati. Con la conseguenza che, in ragione di tali limiti, si giustifica la disposizione di cui all’art. 5 che prevede in caso di emissioni multiple che la somma sia minore di uno.
Tuttavia, detta disposizione non trova, poi, ragionevole coordinamento con la successiva prescrizione, contenuta nell’all. C, richiamato dal cit. art. 5, con riferimento alla riduzione a conformità, in cui è prescritta una riduzione in modo che i vari segnali risultino inferiori a 0,8 “ai fini di una maggior tutela della popolazione”.
Tale riduzione, dunque, non ha la sua giustificazione nella disciplina statale. Né l’ulteriore limitazione appare suffragata da alcuna ‘ratio’ di modifica dei precedenti valori indicati nella disciplina già emanata, (limite di uno) – come precisato – e posta a protezione della popolazione.
Tali considerazioni suffragano la censura di parte ricorrente con riferimento alla irragionevole difformità di disposizione relativa ai valori limite nell’ambito della riduzione a conformità.
Seppure si verte chiaramente in un’area di discrezionalità tecnica, relativamente alla quale sono noti i limiti di sindacato in sede giurisdizionale, nella specie le valutazioni svolte dall’Amministrazione appaiono non conformi ai canoni di logicità e ragionevolezza, rispetto ai quali deve essere esercitato il potere amministrativo (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 3554/2004) . Ne consegue che risulta fondato il vizio di eccesso di potere sollevato da parte istante.
Per tutto quanto sin qui considerato, il ricorso va accolto in parte e, per l’effetto, il decreto deve essere annullato – in parte qua - con riferimento al valore previsto di riduzione nell’ambito del procedimento di riduzione a conformità di cui all’allegato C, fatte salve le ulteriori valutazioni ed i provvedimenti che l’Amministrazione vorrà emanare, anche al fine di garantire il rispetto del principio - nazionale e sovrannazionale con portata ormai generale - di proporzionalità nella riduzione delle emissioni in ragione dell’apporto inquinante.
La complessità della fattispecie esaminata giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.