TAR Trieste, sez. I, sentenza 2012-11-30, n. 201200449

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trieste, sez. I, sentenza 2012-11-30, n. 201200449
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trieste
Numero : 201200449
Data del deposito : 30 novembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00398/2009 REG.RIC.

N. 00449/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00398/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 398 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
F P, rappresentato e difeso dagli avv. D A, Francesca Attina' e A P, con domicilio eletto presso Tiziana Benussi in Trieste, viale XX Settembre 3;

contro

Il Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;
la Questura di Udine;

per l'annullamento

-del provvedimento del Questore di Udine, del 15 aprile 2009 notificato il 18 maggio 2009, con il quale è stata respinta l'istanza avanzata dal ricorrente intesa ad ottenere un'autorizzazione per l'apertura di agenzia o filiale di intermediazione ai fini della raccolta e trasmissione dati inerenti proposte negoziali di giocate relative ad eventi sportivi;

della circolare ministeriale dell’8 agosto 2007.

Con i motivi aggiunti depositati in data 22 marzo 2010 il ricorrente estende l'impugnazione alle ulteriori ragioni poste a supporto del diniego impugnato in via principale emerse dagli atti difensivi prodotti dall'Amministrazione resistente.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 novembre 2012 il dott. Enzo Di Sciascio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorrente, fa presente di aver stipulato con una ditta di nazionalità maltese La Stanleybet Malta (a sua volta emanazione di una società inglese la Stanley) un contratto d’intermediazione per conto della stessa nel settore di scommesse su manifestazioni sportive.

Osserva che è comunque la casa madre ad assumersi ogni rischio d'impresa e a scegliere le manifestazioni sportive oggetto delle giocate.

I provvedimenti di diniego sono stati adottati sul presupposto che l'articolo 88 del regio decreto 773 del 1931 consentirebbe il rilascio delle licenze solamente a soggetti già autorizzati tramite concessione dai ministeri;
dal momento che la società maltese di cui l’odierno ricorrente è solo agente intermediario non possiede detta concessione, ciò impedirebbe il rilascio dell'autorizzazione di polizia.

Dopo aver rilevato che il decreto legislativo 251 del 2009, che ha integrato il decreto legislativo 231 del 2007, ha dato attuazione alla direttiva comunitaria, cita a favore una copiosa giurisprudenza e deduce come primo motivo di ricorso la violazione di vari articoli della costituzione, del trattato europeo, della legge 773 del 1931, della legge 73 del 2010, della legge 401 dell'89 nel testo attualmente in vigore e difetto di motivazione.

Il ricorrente illustra di seguito l'evolversi della giurisprudenza italiana e comunitaria che darebbe ragione alla sua posizione.

Rileva in particolare la non necessità di una concessione italiana da parte di un operatore comunitario autorizzato nel Paese di origine e chiede tra l’altro a questo TAR di disapplicare detto art. 88, così come interpretato nel provvedimento qui gravato, alla luce dei principi comunitari.

Nei restanti articolati motivi deduce la violazione sotto vari profili della legge 241 del 1990 e del regio decreto 773 del 1931, il difetto d’istruttoria e di motivazione e la carenza dei presupposti.

Resiste in giudizio il ministero il quale ricostruisce l’evolversi della giurisprudenza sia comunitaria sia nazionale giungendo a conclusioni opposte a quelle di parte ricorrente.

Con appositi motivi aggiunti parte ricorrente contesta una presunta integrazione postuma della motivazione, ad opera della difesa erariale;
deduce poi il difetto di istruttoria e di motivazione e la violazione sotto vari profili della legge 241 del 1990.

Illustra infine la giurisprudenza comunitaria in materia.

In vista della discussione in pubblica udienza parte ricorrente, in apposita memoria, illustra la più recente evoluzione giurisprudenziale, in particolare europea.

Anche la parte resistente ha ulteriormente precisato le proprie posizioni.

Con memoria depositata il 12 novembre 2012 parte ricorrente ha chiesto un rinvio della discussione in attesa che sulla questione si pronunci il Consiglio di Stato;
la richiesta non è stata accolta.

Nel corso della pubblica udienza del 14 novembre 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Va preliminarmente osservato come non trova applicazione alla presente controversia l'articolo 9 ter del decreto legge 16 del 2 marzo 2012 convertito con modifiche nella legge 26 aprile 2012 n.44, il quale, modificando l'articolo 135, comma 1, del codice amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, affida le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti emessi dall'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in materia di giochi pubblici con vincita in denaro e quelli emessi dall'autorità di polizia relativi al rilascio di autorizzazioni in materia di giochi pubblici con vincita in denaro alla competenza esclusiva del Tar Lazio.

Invero, a parte le eventuali questioni di costituzionalità della norma citata, va osservato che, sulla base di noti principi riguardanti la giurisdizione e la competenza, enunciati tra l'altro dall'articolo 5 del codice di procedura civile, la presente controversia rimane radicata presso l'organo giudiziario competente al momento della domanda e quindi presso questo Tribunale amministrativo.

Sempre ratione temporis non si applica alla presente controversia l’articolo 10 del decreto legge 2 marzo 2012 n 16 convertito nella legge 26 aprile 2012 n. 44.

2. Oggetto del presente ricorso è il provvedimento del Questore di Udine datato 15 aprile 2009 e notificato 18 maggio successivo che ha respinto l'istanza avanzata dalla parte ricorrente per ottenere l'autorizzazione ad esercitare l'attività d’intermediazione inerente a scommesse.

Il diniego del Questore risulta motivato con la mancanza in capo al richiedente (nonché alla Stanley di cui egli si dichiara mero intermediario) della titolarità di una concessione ministeriale e della conseguente licenza di polizia;
in sostanza, per poter esercitare l’attività di scommesse, anche se in via d’intermediazione rispetto a una società comunitaria, nel caso la Stanley di Malta, sarebbe necessario, ad avviso della Questura, essere in possesso sia del titolo concessorio (Monopoli di Stato) sia di quello autorizzatorio (Questura).

In altri termini, la carenza di una concessione rilasciata dai Monopoli di Stato alla Stanley impedisce il rilascio dell’autorizzazione di polizia alla parte richiedente, sulla base dell’art 88 del TULPS.

Ed è appunto sulla non necessità di una concessione italiana da parte di un operatore comunitario autorizzato nel Paese di origine che si appuntano le principali censure di parte ricorrente, che chiede tra l’altro a questo TAR di disapplicare detto art. 88, così come interpretato nel provvedimento qui gravato, alla luce dei principi comunitari di libera concorrenza e di non discriminazione.

3. Va premesso che sulla base della normativa vigente, in particolare dell'art. 2, commi 2 bis e 2 ter, del d.l. n. 40 del 2010, convertito nella legge n. 73 del 2010, il gioco con vincita in denaro può essere raccolto dai soggetti titolari di valida concessione rilasciata dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato esclusivamente nelle sedi e con le modalità previste dalla relativa convenzione di concessione, con esclusione di qualsiasi altra sede, modalità o apparecchiatura che ne permetta la partecipazione telematica.

Inoltre la normativa citata, con disposizione interpretativa e quindi retroattiva, ha stabilito che l'articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che la licenza ivi prevista, ove rilasciata per esercizi commerciali nei quali si svolge l'esercizio e la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro, è da intendersi efficace solo a seguito del rilascio ai titolari dei medesimi esercizi di apposita concessione per l'esercizio e la raccolta di tali giochi.

Quindi, ai fini su indicati, non vale più alcuna distinzione tra intermediari delegati e titolari, nonché tra l’utilizzo di sistemi telematici o altri, necessitando in ogni caso la compresenza sia della concessione sia dell’autorizzazione.

4. Questo collegio, nell'esaminare la complessa questione, non ignora certo l’evolversi della giurisprudenza nazionale ed europea in materia, rilevando in via preliminare come essa non sia affatto univoca nelle sue conclusioni, né tantomeno tutta favorevole alle tesi di parte ricorrente.

Basti ricordare la sentenza del Tar Puglia Bari n. 712 del 2012, la quale, in tale materia, ha radicalmente modificato l’orientamento espresso dal medesimo Tar con la sentenza 1072 del 2011;
nel medesimo senso la sentenza del Tar Lecce n. 258 del 2012.

Tra le tante pronunce in senso favorevole alla tesi del ricorrente, va menzionato il Tar Sardegna, con la pronuncia 1240 del 2011 e le altre ivi richiamate.

Il TAR Abruzzo - Aquila – con la sentenza 434 del 2009, ha dichiarato invece inammissibile un ricorso di una ditta la quale aveva stipulato un contratto con la Stanleybet.

5. Sempre in via preliminare, conviene effettuare un breve excursus della normativa applicabile in materia, modificata anche recentemente per adeguarsi alla normativa e ai principi europei.

Innanzitutto viene in rilievo l'articolo 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, il quale, nel testo attualmente in vigore, prevede che la licenza per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari autorizzati da parte dei ministeri o di altri ai quali la legge riserva la facoltà di organizzare e gestire le scommesse, nonché soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione.

In sostanza, per esercitare in Italia l’attività di scommesse è necessario possedere sia la concessione sia l’autorizzazione.

6. L'art. 1 del d.lgt n. 496 del 1948 prevede poi che l'organizzazione e l'esercizio di giuochi di abilità e di concorsi pronostici, per i quali si corrisponda una ricompensa di qualsiasi natura e per la cui partecipazione sia richiesto il pagamento di una posta in denaro, siano riservati allo Stato.

7. L'attribuzione delle concessioni per l'organizzazione di scommesse su eventi sportivi era gestita, fino al 2002, dal Comitato olimpico nazionale italiano (il CONI) e dall'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (l'UNIRE), che erano abilitati ad organizzare le scommesse correlate a manifestazioni sportive organizzate o svolte sotto il loro controllo.

Nel 2002 le competenze del CONI e dell'UNIRE in materia di scommesse su eventi sportivi sono state trasferite, in seguito ad una serie di interventi legislativi, all'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato che agisce sotto il controllo del Ministero dell'Economia e delle Finanze.

8. L'art. 38, comma 2, del d.l. n. 223 del 2006 (convertito nella legge n. 248 del 2006) rimette a decreti ministeriali la disciplina della raccolta del giuoco su eventi diversi dalle corse dei cavalli e prevede l'ammissione alla raccolta degli operatori che esercitano la raccolta di gioco presso uno Stato membro dell'Unione europea, degli operatori di Stati membri dell'Associazione europea per il libero scambio e anche degli operatori di altri Stati;
così pure il comma 4 per la raccolta del giuoco su base ippica.

L'art. 1 bis, commi 1 e 2, del d.l. n. 149 del 2008, convertito nella legge n. 184 del 2008, ha previsto che al fine di attuare la sentenza della Corte di Giustizia 13 settembre 2007 sarebbe stata indetta una selezione per il rilascio di concessioni relative alla raccolta di scommesse su base ippica (il riferimento alla "base sportiva " fu soppresso dall'art. 2, comma 49 lett. b), della legge n. 203 del 2008), fino al numero di 3000, aperta ad operatori dell'UE.

9. L'art. 24 della legge n. 88 del 2009 premette che "Al fine di contrastare in Italia la diffusione del gioco irregolare ed illegale, nonché di perseguire la tutela dei consumatori e dell'ordine pubblico, la tutela dei minori e la lotta al gioco minorile e alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei giochi, tenuto conto del monopolio statale in materia di giochi di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, e nel rispetto degli articoli 43 e 49 del Trattato CE, oltre che delle disposizioni del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nonché dei principi di non discriminazione, necessità, proporzionalità e trasparenza..." (comma 11), per le scommesse sulle corse ippiche e sugli altri eventi sportivi saranno affidate concessioni nel numero massimo di duecento " in funzione delle effettive esigenze del mercato " (comma 13) anche a soggetti titolari"dell'attività di gestione e di raccolta di giochi, anche a distanza, in uno degli Stati dello Spazio economico europeo" (comma 15).

L'adeguamento del sistema italiano delle norme primarie al diritto comunitario è quindi indubbio, attesa la previsione di una pluralità di concessioni (in numero via via adeguato all'ampiezza del mercato) e l'apertura dell'accesso agli operatori dello Spazio economico europeo. Tale apertura prevede peraltro la partecipazione degli interessati a una gara indetta con apposito bando.

Va doverosamente aggiunto che i primi bandi indetti per la selezione degli aspiranti concessionari prevedevano clausole (quali l'esercizio della raccolta delle scommesse, a pena di decadenza dalla concessione, solo nello stato italiano) e altre che limitavano la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, senza che tale restrizione fosse giustificata dagli obiettivi dichiaratamente perseguiti.

Parte ricorrente sostiene che la Stanley avrebbe impugnato alcuni bandi di gara, ma non risulta che essa abbia mai ottenuto né in via amministrativa né in via giudiziaria di partecipare alla selezione e ovviamente di averla superata. In altri termini, allo stato la Stanley non è in possesso di una concessione rilasciata dallo Stato italiano, né per la verità afferma il contrario.

10. Il legislatore è intervenuto anche sull’annosa questione della raccolta di scommesse con sistemi telefonici o telematici.

Il D.M. Finanze 15 febbraio 2001, n. 156, avente ad oggetto la raccolta telefonica o telematica delle giocate relative a scommesse, giochi e concorsi pronostici, continua a richiedere l'esistenza di un rapporto diretto tra il concessionario e lo scommettitore;
mentre il decreto del direttore generale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in data 31 maggio 2002 (che disciplina l'accettazione telefonica e telematica delle scommesse sportive), consentendo l'attivazione da parte del cliente di un conto scommesse personale presso il concessionario, esige che tale conto sia da questi utilizzato a titolo personale e non diventi, oggetto di transazioni da parte di soggetti diversi.

Pertanto, in presenza di un'attività che assuma la forma descritta, quando manchino la concessione, l'autorizzazione o la licenza previste dal R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 88 (TULPS), l'attività organizzata al fine di accettare o raccogliere scommesse di qualsiasi genere integra il reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, anche nel caso in cui il soggetto agente operi mediante comunicazioni telematiche avendo ottenuto per l'uso di tali mezzi l'apposita autorizzazione prescritta dal comma 4 ter della norma citata nel rispetto del D.Lgs. n. 259 del 2003, artt. 3, 4 e 25 (codice delle comunicazioni). "

11. Su tale questione, ogni dubbio interpretativo è stato fugato dall'art. 2, commi 2 bis e 2 ter, del d.l. n. 40 del 2010, convertito nella legge n. 73 del 2010, che recitano:

"2-bis. Fermo quanto previsto dall'articolo 24 della legge 7 luglio 2009, n. 88, in materia di raccolta del gioco a distanza e fuori dei casi ivi disciplinati, il gioco con vincita in denaro può essere raccolto dai soggetti titolari di valida concessione rilasciata dal Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato esclusivamente nelle sedi e con le modalità previste dalla relativa convenzione di concessione, con esclusione di qualsiasi altra sede, modalità o apparecchiatura che ne permetta la partecipazione telematica;
è conseguentemente abrogata la lettera b) del comma 11 dell'articolo 11-quinquiesdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.

2-ter. L'articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che la licenza ivi prevista, ove rilasciata per esercizi commerciali nei quali si svolge l'esercizio e la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro, è da intendersi efficace solo a seguito del rilascio ai titolari dei medesimi esercizi di apposita concessione per l'esercizio e la raccolta di tali giochi da parte del Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.".

12. Ciò premesso quanto all'aspetto normativo, conviene ora richiamare le principali sentenze della Corte di giustizia europea in materia, non solo perché nelle stesse si trova una rilevante evoluzione giurisprudenziale, ma altresì in quanto il loro contenuto viene spesso equivocato nel ricorso oggi in esame.

Nella sentenza 6 novembre 2003 - Gambelli la Corte di Giustizia, riprendendo il discorso svolto nelle sentenze Laara - Zenatti ed altre ancora, ha affermato che una normativa nazionale come la legislazione italiana sulle scommesse costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi.

Occorre, tuttavia, esaminare se tali restrizioni possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero se possano essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi d’interesse generale.

La riduzione delle entrate fiscali non rientra fra i motivi di cui all'art. 46 CE, sicché non può essere considerata un motivo imperativo d’interesse generale che può giustificare la restrizione alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione di servizi.

Sempre secondo la Corte europea, le restrizioni in parola possono invece essere giustificate da motivi imperativi d’interesse generale quali la tutela del consumatore, la prevenzione della frode e dell'incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al giuoco, la necessità di prevenire turbative all'ordine sociale.

13. Sempre in detta pronuncia si stabilisce che spetta al giudice nazionale stabilire se le restrizioni previste dalla legislazione nazionale siano idonee a contribuire a limitare le attività di scommessa in modo coerente e sistematico tenendo presente che lo Stato italiano persegue una politica di forte espansione del giuoco e delle scommesse allo scopo di raccogliere fondi, tutelando i concessionari del CONI. Spetta sempre al giudice nazionale stabilire se dette restrizioni siano proporzionate rispetto agli obiettivi imperativi d’interesse generale perseguiti e siano applicate in modo non discriminatorio (punti 59, 60, 61 e seguenti della sentenza).

14. L'atteggiamento della Corte si è poi evoluto, come risulta dalla sentenza 6 marzo 2007 (cause riunite C-338/04, C-359/04, C-360/04, Placanica) la quale ha preso in esame la posizione penale dei titolari di centri di raccolta e trasmissione dati, sforniti di autorizzazione ex art. 88 TULPS a causa della mancanza di concessione in favore della società per conto della quale operavano.

Tale mancanza determinava l'inutilità di partecipare alla gara per l'attribuzione delle concessioni stesse, in ragione dell'impossibilità di soddisfare i requisiti relativi alla trasparenza dell'azionariato per il fatto di far parte di un gruppo quotato nei mercati regolamentati.

Si richiamano i punti più significativi di tale sentenza:

Invero, la Corte ha esaminato se le restrizioni possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero se possano essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi d’interesse generale.

Rileva poi che un certo numero di motivi imperativi d’interesse generale, quali gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell'incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative all'ordine sociale in generale sono stati ammessi dalla stessa giurisprudenza comunitaria.

15. In tale contesto, le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l'individuo e la società che sono collegate ai giochi d'azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare le esigenze di tutela del consumatore e dell'ordine sociale (sentenza Gambelli).

A tal riguardo anche se gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d'azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione perseguito, le restrizioni che essi impongono devono tuttavia soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità.

16. Prosegue poi la Corte affermando che occorre esaminare separatamente per ciascuna delle restrizioni imposte dalla normativa nazionale in particolare se essa sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito dallo Stato membro interessato e non vada oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo. In ogni caso, queste restrizioni devono essere applicate in modo non discriminatorio.

17. Venendo al caso italiano, la Corte rileva come, al fine di poter operare nel settore dei giochi d'azzardo in Italia, un operatore deve ottenere una concessione. In forza del sistema di concessioni utilizzato, il numero di operatori è limitato.

Per quanto riguarda l'accettazione di scommesse, il numero di concessioni per la gestione delle scommesse sulle competizioni sportive diverse dalle competizioni ippiche e il numero di concessioni per l'accettazione di scommesse sulle competizioni ippiche sono, ciascuno, limitati a 1000.

Osserva poi che il fatto che questo numero di concessioni per le due categorie sia stato considerato “sufficiente” per tutto il territorio nazionale sulla base di una valutazione specifica non può di per sé giustificare gli ostacoli alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi che derivano da tale limitazione.

18. Per quanto riguarda gli obiettivi che possono giustificare tali ostacoli, la Corte opera una distinzione tra, da un lato, l'obiettivo mirante a ridurre le occasioni di gioco e, dall'altro, nella misura in cui i giochi d'azzardo sono autorizzati, l'obiettivo mirante a lottare contro la criminalità assoggettando ad un controllo coloro che operano attivamente in tale settore e canalizzando le attività dei giochi di azzardo nei circuiti così controllati.

Relativamente al primo tipo di obiettivo, dalla giurisprudenza risulta che, anche se possono, in via di principio, essere giustificate restrizioni del numero degli operatori, tali restrizioni devono in ogni caso rispondere all'intento di ridurre considerevolmente le opportunità di gioco e di limitare le attività in tale settore in modo coerente e sistematico.

La Corte europea richiama poi il fatto che, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione, il legislatore italiano persegue una politica espansiva nel settore dei giochi d'azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali e che nessuna giustificazione della normativa italiana possa essere fatta derivare dagli obiettivi di limitare la propensione al gioco dei consumatori o di limitare l'offerta di giochi.

19. Peraltro – aggiunge la Corte europea - è il secondo tipo di obiettivo, ossia quello mirante a prevenire l'esercizio delle attività di gioco d'azzardo per fini criminali o fraudolenti canalizzandole in circuiti controllabili, che viene identificato come lo scopo reale della normativa italiana di cui trattasi sia dalla Corte Suprema di Cassazione sia dal governo italiano. In tale ottica, una politica di espansione controllata del settore dei giochi d'azzardo può essere del tutto coerente con l'obiettivo mirante ad attirare giocatori che esercitano attività di giochi e di scommesse clandestini vietati in quanto tali verso attività autorizzate e regolamentate.

In tale ottica, al fine di raggiungere questo obiettivo, gli operatori autorizzati devono costituire un'alternativa affidabile, ma al tempo stesso attraente, ad un'attività vietata, il che può di per sé comportare l'offerta di una vasta gamma di giochi, una pubblicità di una certa portata e il ricorso a nuove tecniche di distribuzione.

Il governo italiano ha ritenuto realizzabile, estendendo attività di giochi e di scommesse autorizzate dalla legge, recuperare dalle attività illegali una parte del fatturato per un importo almeno equivalente a quello che deriva dalle attività autorizzate dalla legge.

Un sistema di concessioni può, in tale contesto, costituire un meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l'esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti.

20. La Corte europea poi, facendo applicazione di noti principi, aggiunge che spetta ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d'azzardo, risponda realmente all'obiettivo invocato dal governo italiano, ossia quello mirante a prevenire l'esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti.

Inoltre, spetta sempre ai giudici nazionali verificare se queste restrizioni soddisfino le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità.

21. In sintesi, nella menzionata pronuncia, la Corte ha ritenuto che una politica di espansione controllata del settore dei giochi d'azzardo può essere del tutto coerente con l'obiettivo mirante ad attirare giocatori che esercitano attività di giochi e di scommesse clandestini vietati in quanto tali verso attività autorizzate e regolamentate e che un sistema di concessioni può in tale contesto, costituire un meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l'esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti, fermo restando che il numero di concessioni deve essere tale da essere proporzionato allo scopo, cioè da non sacrificare eccessivamente la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi riferibili sia agli operatori stranieri che a quelli nazionali e che l'accesso alle concessioni non sia discriminatorio.

22. Riassumendo, la sentenza Placanica, CGCE, c 338-04, nell'occuparsi della compatibilità della normativa italiana in tema di gioco e scommesse (in seguito modificata con l'introduzione di numerosissime concessioni messe a concorso) con l'ordinamento comunitario, ha concluso che:

- una normativa nazionale che vieta l'esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE;
tuttavia le restrizioni possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero possono essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi d’interesse generale;

- spetta ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d'azzardo, risponda realmente all'obiettivo mirante a prevenire l'esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti;

- gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che esclude e per di più continua ad escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati;

- gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un'attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro.

23. Rilevante risulta poi la sentenza 8 settembre 2009 - Liga Portuguesa, nella quale la Corte rileva che la restrizione oggetto della causa può essere considerata, tenuto conto delle particolarità connesse all'offerta di giochi d'azzardo su Internet, giustificata dall'obiettivo di lotta contro la frode e la criminalità.

Aggiunge poi che la questione pregiudiziale deve essere conseguentemente risolta nel senso che l'art. 49 CE non osta ad una normativa di uno Stato membro, che vieti ad operatori stabiliti in altri Stati membri in cui forniscono legittimamente servizi analoghi, di offrire giochi d'azzardo tramite Internet sul territorio del detto Stato membro.

La vicenda portoghese presenta la peculiarità che in quel Paese vi è una sorta monopolio della gestione di tutte le scommesse, lotterie e simili da parte di un ente a controllo statale che si occupa della tutela delle persone affette da handicap. La finalità sociale quindi sottesa al monopolio è stata giustificata alla luce della normativa europea, nonostante la chiusura di quel mercato in tale settore agli operatori stabiliti negli altri Stati membri.

24. Va menzionata poi la Sentenza Costa – Cifone CGCE C- 72 e 77- 2010, invocata da entrambe le parti in giudizio a sostegno delle rispettive tesi.

La sentenza in esame ha ritenuto in contrasto con i principi comunitari la previsione del bando di gara (adottato in attuazione dell'ampliamento del mercato disposto dal c.d. decreto Bersani - d.l. n. 223/2006) che imponeva ai nuovi concessionari una distanza minima da quelli già operanti avvantaggiati non solo dalla preesistenza sul mercato, ma soprattutto, dall'attribuzione di concessioni in contrasto con l'ordinamento comunitario perchè rilasciate a soggetti che non potevano essere costituiti in forma di società anonime (id est società di capitali).

La CGCE ha altresì ritenuto in contrasto con il principio di determinatezza e trasparenza, imposto dall'ordinamento comunitario, la previsione dello schema di convenzione annessa al bando di gara che contemplava la decadenza dalla convenzione stessa nel caso che il concessionario fosse sottoposto a procedimento penale per reato "suscettibile di far venir meno il rapporto fiduciario con AAMS", ritenendo tale clausola in contrasto con il criterio di trasparenza che si sostanzia in un livello di comprensibilità e determinatezza delle disposizioni di gara tale da consentire agli operatori economici di conoscere in modo esaustivo e certo il contenuto delle clausole dei bandi, in modo da rendere prevedibili gli effetti delle previsioni degli atti di gara.

25. In detta pronuncia la corte ha altresì affermato che risulta pacifico che una normativa nazionale, la quale subordini l'esercizio di un'attività economica all'ottenimento di una concessione e preveda varie ipotesi di decadenza della concessione, costituisce un ostacolo alle libertà garantite dagli articoli 43 CE e 49 CE.

Aggiunge poi che simili restrizioni possono tuttavia essere ammesse in quanto rientranti tra le misure in deroga espressamente previste dagli articoli 45 CE e 46 CE, o possono essere giustificate da motivi imperativi d’interesse generale, a condizione che esse rispettino i requisiti di proporzionalità risultanti dalla giurisprudenza della Corte.

A questo proposito, la giurisprudenza ha ammesso un certo numero di motivi imperativi d’interesse generale, quali gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione delle frodi e dell'incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell'ordine sociale in generale.

26. Va sottolineato come in nessuna delle menzionate pronunce la Corte ha ritenuto in contrasto con l'ordinamento comunitario il sistema concessorio in quanto tale.

Il ragionamento operato dalla Corte può essere così sintetizzato:

la previsione di un sistema concessorio costituisce una limitazione ai principi di libertà di stabilimento, nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE.

Tuttavia, tali limitazioni (e dunque il sistema concessorio) sono ammissibili, sulla scorta delle stesse previsioni comunitarie (v. artt. 45 e 46 CE), purché giustificate da motivi imperativi d’interesse generale e caratterizzate dal requisito della proporzionalità all'obiettivo perseguito.

27. Ad avviso di questo collegio, l'esaminata evoluzione della giurisprudenza comunitaria e il progressivo adeguamento alla stessa della normativa italiana porta ad alcune conclusioni.

Innanzi tutto, i principi della comunità europea ammettono la possibilità di gestione autonoma del settore da parte degli Stati membri, anche perché la materia non è soggetta ad armonizzazione comunitaria.

I principi poi di libera concorrenza e di non discriminazione trovano eccezioni nei trattati ove sia in gioco la difesa dell'ordine pubblico e della sicurezza, oltre che in vista di altri fini sociali, ma in tale caso va verificato il principio di proporzionalità tra gli scopi che si prefigge il legislatore nazionale e gli strumenti utilizzati.

La valutazione della coerenza con i principi comunitari va effettuata dal giudice nazionale il quale può peraltro, se del caso, anche disapplicare la normativa interna contrastante con i principi comunitari.

A sua volta il legislatore italiano ha assoggettato la materia a un regime concessorio - autorizzatorio, il che è come visto risulta consentito.

Alcune parti dell'originario sistema normativo italiano (inclusi alcuni bandi di gara) costituivano in passato una discriminazione per gli altri operatori autorizzati dagli altri Stati comunitari, ma la recente normativa italiana ha eliminato del tutto tale tipologia di discriminazione.

Risulta inoltre evidente che lo scopo principale dell'attuale normativa italiana in materia è quello di controllare l'attività della criminalità organizzata, che può agevolmente infiltrarsi nel sistema di scommesse ove esso non sia disciplinato tramite un rigido sistema autorizzatorio.

Ad avviso di questo Collegio, l'indirizzo normativo vigente appare coerente con l'intendimento di sottoporre il giuoco e le scommesse, in tutti gli aspetti della raccolta, al controllo dell'autorità, in modo da assicurare un'offerta ampiamente articolata che miri ad escludere il ricorso degli scommettitori a forme gestite o controllate dalla criminalità (organizzata o meno) ed al tempo stesso contrastare le infiltrazioni criminali nel fenomeno del giuoco organizzato e controllato dalla stessa autorità.

28. Da quanto detto, consegue che non si può desumere da alcune sentenze della Corte di giustizia europea che hanno nel passato, e sulla base di un contesto normativo affatto diverso, censurato alcuni aspetti della normativa autorizzatoria, talvolta ai fini penali, l’illegittimità di detta normativa in toto, e ancor meno la fondatezza delle censure di cui al presente ricorso.

Va ribadito come l'attuale sistema che prevede alcune gare per la concessione delle autorizzazioni e gestione delle scommesse non discrimina tra gli operatori dei vari paesi membri. Se alcuni bandi di gara contenevano alcune clausole discriminatorie, esse andavano impugnate in sede amministrativa, ma non risultano pronunce dei giudici amministrativi in tal senso. Comunque l’eventuale illegittimità di alcune clausole dei bandi non rende illegittimo l’intero sistema.

Infine, ad avviso di questo collegio, la finalità di ordine pubblico e con risvolti sociali di difesa dalla criminalità organizzata, particolarmente presente nel nostro Paese, implica la sussistenza di una proporzionalità fra le restrizioni all'attività di gestione di scommesse e lo scopo da raggiungere.

Né – ad avviso di questo Collegio - si può affermare che il controllo della gestione delle scommesse possa avvenire in altro modo, perché un sistema di autorizzazione comporta una possibilità di controllo e intervento dello Stato a priori ben più incisivo rispetto a un qualsiasi controllo a posteriori.

29. Prima di affrontare i motivi di ricorso, vanno a questo punto richiamati alcuni noti principi in tema di annullamento di atti amministrativi contrastanti con il diritto comunitario.

La giurisprudenza amministrativa e la dottrina sono concordi nel ritenere che l'atto amministrativo adottato in violazione del diritto comunitario (illegittimità comunitaria "diretta") è annullabile alla stregua degli ordinari canoni di valutazione della patologia dell'atto, prospettando l'onere di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità.

Analoghi principi vanno seguiti in ipotesi di illegittimità comunitaria "indiretta", ossia quando l'atto sia emanato sulla base di una norma statale che si asserisce anticomunitaria, non essendovi ragione alcuna che renda incompatibile il sistema impugnatorio con la denuncia dei vizi di tale forma di illegittimità comunitaria.

L'illegittimità "comunitaria" dell'atto amministrativo deve, dunque, essere parificata all’illegittimità dell'atto amministrativo per un qualsiasi vizio che ne può determinare l'annullamento ai sensi dell'art. 21-octies della legge n. 241/1990.

30. Risulta a questo punto agevole esaminare i vari motivi di ricorso.

Essi si incentrano innanzitutto sulla violazione sotto vari aspetti della costituzione e del trattato europeo;
si è già visto come non sussiste alcun tipo di violazione e anzi essa risulta espunta dalla legislazione italiana attualmente in vigore.

Venendo al ricorso in esame, la lesione all'interesse del ricorrente - e ancor prima dell'allibratore estero per conto del quale questi intendeva effettuare l'attività di raccolta mediante centro di trasmissione dati - avrebbe dovuto dar luogo all'impugnativa del bando di gara presunto "comunitariamente" illegittimo, immediatamente lesivo, poiché impeditivo della partecipazione alla gara onde ottenere la concessione. Orbene, tale impugnativa se vi è stata non ha portato ad alcun annullamento di un bando di gara, cui la Stanley avesse voluto partecipare.

L'ordinamento avrebbe, infatti, consentito alla Stanley, ove la stessa avesse diligentemente impugnato il bando di gara nelle parti in cui riteneva porsi in contrasto con l'ordinamento comunitario, di vedere valutata la doglianza concernente l’incompatibilità delle concessioni - autorizzazioni estere con quelle italiane.

Tale impugnativa avrebbe, quindi, consentito alla ditta, sempre che fosse risultata aggiudicataria di una concessione messa a gara, di operare sul mercato in situazione di sostanziale parità con gli altri operatori senza alcuna penalizzazione o discriminazione sul piano commerciale.

31. Non vi è dubbio che, ridondando l’asserita violazione comunitaria in vizio di legittimità del bando di gara, debbono trovare applicazione pacifici principi del giudice amministrativo secondo cui il soggetto che aspira al "bene della vita" dipendente da una gara pubblica e che assume di essere immediatamente leso dal bando o comunque tragga svantaggio da una particolare previsione del bando di gara è tenuto ad impugnare il bando immediatamente lesivo.

Né nel caso di specie possono trovare applicazione i principi enunciati dalla CGCE nella sentenza del 27.2.2003 (procedimento C- 327-00, Santex s.p.a.) nella quale la Corte ha affermato che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione di tale autorità - impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità, in quanto l'autorità aggiudicatrice non ha contribuito con il proprio comportamento all'inosservanza del termine decadenziale di impugnativa.

Invero, i principi enunciati nella sentenza Santex non possono trovare applicazione per la dirimente ragione che nessun bando, da cui il ricorrente pretenderebbe di desumere l'illegittimità di tutte le norme che subordinano alla titolarità di tale atto la possibilità di esercitare l'attività di raccolta delle scommesse, risulta mai essere stato impugnato con esito positivo e neppure tardivamente dalla ditta Stanley. Tale ditta non risulta poi avere partecipato ad alcuna gara.

32. Va per scrupolo di completezza rilevato come non può nemmeno farsi applicazione nel presente giudizio della Sentenza della Corte di Cassazione Sezione III penale n. 305 del 2012, la quale ha sancito l’obbligo di disapplicazione della normativa interna incompatibile con gli articoli 49 e 56 del Trattato europeo, nell’ipotesi di una raccolta di scommesse di un allibratore estero (nella specie la Stanley) che non abbia potuto ottenere le concessioni e autorizzazioni in Italia a causa del rifiuto dello Stato italiano di concederle, in violazione del diritto comunitario.

Orbene, questo Collegio rileva innanzi tutto come la citata pronuncia, resa in sede penale e che ha come scopo la valutazione della sussistenza o meno di un reato, non sia trasponibile in via immediata in un giudizio amministrativo, avente invece come sua precipua finalità la valutazione della legittimità di un provvedimento amministrativo.

Inoltre, se emerge una discriminazione a sfavore della Stanley, derivante dai primi bandi di concorso per le concessioni, che era comunque onere della stessa impugnare dianzi al giudice amministrativo, tuttavia ciò non è avvenuto per i successivi bandi, emessi sulla base della nuova normativa interna, i quali non hanno affatto discriminato gli allibratori comunitari, pur assoggettandoli alla disciplina italiana, come pacificamente consentito dalla giurisprudenza europea.

In sostanza, la Stanley non solo non ha impugnato con esito certo e positivo i bandi, almeno quelli discriminatori, ma non ha mai partecipato a nessuna gara indetta per le concessioni.

L’illegittimità (eventuale) di alcuni bandi per le concessioni, cui la Stanley non ha partecipato, non rende affatto la ditta esente per un tempo indefinito dall’assoggettamento alla disciplina interna ormai divenuta conforme ai principi europei.

La Stanley, a causa di alcuni bandi discriminatori relativi a selezioni alle quali non ha partecipato, non può risultare titolare di una specie di un “bonus” ovvero di un titolo equivalente a una concessione italiana non posseduta e da riscuotere in qualsivoglia momento, come si implica in ricorso, ove si volesse accedere alle suggestive ma infondate tesi di parte ricorrente.

Ovviamente i rilievi testé esplicitati rendono inammissibile la relativa censura così come prospettata in ricorso, come si rileva altresì nel punto che segue.

33. Nello stesso senso va letta anche la sentenza della Cassazione penale sezione terza n. 38711 del 4 ottobre 2012, la quale, sulla base della sentenza della Corte di giustizia del 16 febbraio 2012 invocata in ricorso, afferma che al di là delle conseguenze sul piano penale, per quanto riguarda l'aspetto amministrativo esse non possono essere automatiche, in quanto in tal modo si otterrebbe un sistema di privilegio per la società Stanley, priva di concessioni e autorizzazioni in Italia.

In altre parole, i riflessi della pronuncia comunitaria sul sistema penale non comportano automaticamente un riflesso e ancor meno l’illegittimità del sistema amministrativo delle autorizzazioni - concessioni.

34. Va poi osservato che, ferma restando la coerenza col diritto comunitario del monopolio statale e dell'esercizio della raccolta delle scommesse a mezzo di concessioni, l'eventuale contrasto fra le regole che disciplinano il rilascio delle concessioni, cioè i bandi, e il diritto comunitario lederebbe gli aspiranti concessionari, non coloro che, per operare quali intermediari della raccolta, devono far riferimento comunque ad un concessionario;
l'eventuale contrasto, quindi, è irrilevante nei confronti di chi, come il ricorrente, intende operare quale intermediario rispetto alla ditta Stanley.

Dunque, le doglianze su tale particolare aspetto contenute in ricorso sono in parte infondate e in parte inammissibili, perché implicitamente ma sostanzialmente rivolte contro atti ormai inoppugnabili ovvero già impugnati senza che ne sia conseguito il loro annullamento.

35. Sempre sui motivi di ricorso che richiamano a sostegno la giurisprudenza comunitaria, è di tutta evidenza che la tesi principale di parte ricorrente si fonda su di un salto logico rispetto alla portata delle pronunce della Corte di Giustizia, in quanto pretende di desumere dall’illegittimità comunitaria di alcune specifiche caratteristiche della normativa italiana (e dei bandi di gara applicativi), l'illegittimità comunitaria del sistema concessorio in sé.

La difesa del ricorrente, infatti, sostiene che dai vizi che hanno inficiato l'attribuzione di concessioni (per come delineati nelle sentenze Placanica e Costa- Cifone), si desuma l'illegittimità dell'intero sistema concessorio e che il procedimento con cui vengono attribuite le autorizzazioni di polizia recepisca tale illegittimità tout court.

Tuttavia, così non può essere in quanto le stesse sentenze escludono che il precipitato logico dei vizi delineati dalla giurisprudenza comunitaria sia l'illegittimità del sistema concessorio, ritenuto di per sé ammissibile purché giustificato da scopi d’interesse generale e proporzionato al perseguimento degli stessi.

Alla luce di tali premesse appare evidente che non può rinvenirsi la contrarietà dell'art. 88 TULPS all'ordinamento comunitario sotto il profilo della necessaria titolarità, in capo al richiedente l'autorizzazione di pubblica sicurezza, di una concessione, atteso che – ad avviso di questo collegio - il sistema concessorio -autorizzatorio è funzionale a canalizzare le attività di gioco d'azzardo in circuiti controllabili al fine di prevenirne una possibile degenerazione criminale.

In definitiva, non è la previsione del sistema concessorio in toto che si pone in contrasto con l'ordinamento comunitario, quanto piuttosto, e solo eventualmente, le caratteristiche del sistema concessorio stesso ovvero, per essere più espliciti, le eventuali clausole delle previsioni di bando che hanno dato attuazione all’attuata liberalizzazione delle concessioni.

36. Quanto alle questioni di costituzionalità sollevate in ricorso, ritiene questo Collegio che l'assoggettamento al disposto dell'art. 88 T.U.L.P.S. di chi voglia, anche come intermediario, raccogliere scommesse non lede alcuno dei diritti che la nostra Costituzione tutela e che sono pertanto manifestamente infondate le questioni sollevate in relazione all'art. 3 (uguaglianza dei cittadini ), all'art. 4 (diritto al lavoro), all'art. 10 (conformità dell'ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, ai principi generali e alle norme di carattere consuetudinario), all'art. 11 (consenso, in condizioni di parità, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia), all'art. 15 (libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione), all'art. 23 (necessità che ogni prestazione personale o patrimoniale sia imposta in base alla legge), all'art. 41 (libertà dell'iniziativa economica privata ), all'art. 43 (subordinazione a fini di utilità generale delle situazioni di monopolio), all'art. 53 (obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva).

Infine, alcune delle questioni di costituzionalità sollevate appaiono, invero, affatto estranee alla vicenda che ne occupa.

Conclusivamente, le restanti questioni e censure contenute in ricorso risultano tutte infondate sulla base delle considerazioni sopra esposte.

37. Riassumendo: parte ricorrente, asseritamente un mero intermediario nel settore delle scommesse sulle manifestazioni sportive rispetto alla ditta di nazionalità maltese la Stanley International Betting, non ha impugnato - né lo ha fatto la Stanley – (almeno con esito favorevole, nel senso dell’annullamento di detti bandi) i vari bandi di concorso per ottenere le concessioni che avrebbero legittimato il suo operare nel territorio italiano. Inoltre, la Stanley non ha mai ottenuto una concessione di diritto italiano.

La ditta ricorrente poi, con un evidente salto logico, deduce dall'illegittimità di alcune clausole della normativa italiana l’illegittimità dell'intero sistema di concessioni - autorizzazioni, che invece la giurisprudenza europea considera ammesso a due condizioni: che la finalità sia riconducibile a quelle che consentono la deroga ai principi di libera circolazione e non discriminazione e che la normativa sia proporzionale allo scopo che s’intende raggiungere.

Tutte e due queste valutazioni spettano al giudice nazionale, il quale, solo in caso di fondatezza del vizio di un atto amministrativo, provvederà ad annullarlo, anche disapplicando la normativa interna contrastante con quella comunitaria.

38. Questo giudice ha esaminato la normativa italiana attuale, che si è adeguata nel tempo alle disposizioni comunitarie, eliminando ogni discriminazione per i soggetti operanti in altri Stati membri e non vi ha trovato alcun contrasto con i principi costituzionali e comunitari, alla luce della finalità perseguita dallo Stato italiano di contrasto della criminalità organizzata e valutando altresì proporzionale lo strumento utilizzato rispetto allo scopo da raggiungere.

In una materia quindi sottratta all'obbligo di armonizzazione comunitaria, va statuita la prevalenza dell'esigenza di controllare in via preventiva e non solo a posteriori un'attività come quella delle scommesse che si presta a evidenti pericoli d’infiltrazione mafiosa o della delinquenza comune, sui principi comunitari di libera concorrenza e non discriminazione tra Stati membri.

Sempre in tema di proporzionalità, chiunque opera nel campo del contrasto alla criminalità organizzata sa bene che il controllo a priori (tramite il sistema di concessioni e autorizzazioni, come visto ammesso a livello comunitario) risulta essenziale e insostituibile, anche se non elimina certo l’esigenza di controlli successivi.

39. Va infine rimarcato che il giudizio di proporzionalità tra scopi e mezzi si configura in modo affatto differente in sede penale e in sede amministrativa, per cui la stessa comminazione di una sanzione penale potrebbe risultare sproporzionata ovvero sbilanciata rispetto all’esercizio non autorizzato di attività di scommesse, laddove il diniego di autorizzazione di polizia in assenza di concessione, di cui si controverte in questa sede, va - ad avviso di questo Collegio - considerato conforme ai parametri europei di proporzionalità. Parte ricorrente confonde i due aspetti, penale e amministrativo, estendendo le conclusioni assunte da varie pronunce relative al primo anche al secondo, con un evidente salto logico.

Per completezza va ribadito come risulti pacifico in causa che né la parte ricorrente né la ditta Stanley sono in possesso di una concessione rilasciata dallo Stato italiano.

40. In estrema sintesi: la normativa italiana con il sistema concessioni - autorizzazioni risulta conforme al trattato europeo, in quanto finalizzata alla lotta alla delinquenza e quindi rientrante nelle deroghe consentite ai principi di libera circolazione e di non discriminazione. La proporzionalità poi tra norme e finalità di ordine pubbliche appare garantita, alla luce dei canoni europei, anche nella fase applicativa.

L’autorizzazione di polizia infine è stata legittimamente negata alla parte ricorrente, per mancanza di una concessione a monte rilasciata dallo Stato italiano alla ditta straniera di riferimento, non essendo possibile in una materia sottratta agli obblighi di armonizzazione accettare l’equivalenza di concessioni rilasciate da altri Paesi comunitari.

41. Quanto ai motivi aggiunti, si rileva che essi non impugnano atti nuovi, ma deducono una censura relativa alla presunta integrazione della motivazione dell’atto impugnato ad opera delle difese erariali. Tale doglianza quindi consiste in una diversa prospettazione della censura di difetto di motivazione di cui al ricorso introduttivo (pagina 61 punto 19).

Il motivo si appalesa infondato, posto che l’Avvocatura dello Stato si è limitata a illustrare gli aspetti giuridici sottesi alla vicenda, come del resto ha fatto anche parte ricorrente nelle sue memorie. In sostanza, i cosiddetti motivi aggiunti esplicitano ulteriormente le ragioni del ricorso, già sopra esaminate e confutate.

42. Il ricorso quindi va dichiarato inammissibile per la parte in cui si desume l'illegittimità dell'atto impugnato dalla normativa applicativa, e quindi indirettamente dai bandi di gara, non impugnati con esito favorevole nemmeno dalla ditta Stanley, in rapporto alla quale parte ricorrente effettua attività di intermediazione, mentre va rigettato per la parte rimanente, per l’infondatezza delle relative censure, laddove le questioni di costituzionalità risultano come visto tutte manifestamente infondate.

In conclusione il ricorso va rigettato, così come i motivi aggiunti, anche se le oscillazioni giurisprudenziali e la complessità della materia inducono il collegio a compensare le spese di giudizio tra le parti.

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