TAR Venezia, sez. III, sentenza 2024-05-07, n. 202400918

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. III, sentenza 2024-05-07, n. 202400918
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202400918
Data del deposito : 7 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/05/2024

N. 00918/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00688/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 688 del 2022, proposto da Infrastrutture Wireless Italiane - Inwit S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A P e P R M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Comune di Mirano, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato S G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’accoglimento delle seguenti domande:

- in via pregiudiziale, accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione del G.A., in favore del G.O., a conoscere della domanda introdotta con il procedimento monitorio n. 362/2022 di R.G., conseguentemente revocando e/o annullando e/o dichiarando inefficace o nullo il decreto ingiuntivo di questo Tribunale 10 marzo 2022, n. 134, con condanna del Comune di Mirano alla restituzione di quanto corrisposto dalla società ricorrente in esecuzione del medesimo decreto, oltre interessi di legge e rivalutazione;

- nel merito - previa eventuale declaratoria di nullità parziale e/o inefficacia parziale delle convenzioni stipulate inter partes , per violazione di norme imperative, e conseguente sostituzione ex artt. 1339 e 1419 c.c. delle disposizioni nulle o inefficaci con la previsione dell’obbligo di pagamento delle somme tempo per tempo ex lege dovute, a titolo di TOSAP/COSAP e determinate nella misura minima di € 516,46 e a titolo di CUP nella misura di € 800,00 - accertare e dichiarare l’inammissibilità e/o la nullità e comunque l’infondatezza della pretesa creditoria azionata con il procedimento monitorio e che nulla è dovuto dalla società ricorrente e, per l’effetto, revocare e/o annullare e/o dichiarare inefficace o nullo il decreto ingiuntivo 10 marzo 2022, n. 134, con condanna del Comune di Mirano, anche in via riconvenzionale, alla restituzione di quanto corrisposto dalla società ricorrente in esecuzione del medesimo decreto, nonché di tutte le somme indebitamente corrisposte al Comune stesso per la concessione delle aree demaniali e del patrimonio indisponibile per cui è causa a far data dal 2010, oltre interessi di legge (sia dalla data dei singoli pagamenti sia dalla presente domanda giudiziale) e rivalutazione;

- nel merito, in via subordinata, revocare e/o annullare e/o dichiarare inefficace o nullo il decreto ingiuntivo opposto, in considerazione dei pagamenti eseguiti dalla società ricorrente, ovvero, in caso di accoglimento della dedotta eccezione in rito, accertare e dichiarare la nullità parziale e/o inefficacia parziale delle convenzioni stipulate inter partes , per violazione di norme imperative, e conseguentemente accertare, dichiarare e disporre la sostituzione ex artt. 1339 e 1419 c.c. delle disposizioni nulle o inefficaci, con la previsione dell’obbligo di pagamento delle somme tempo per tempo ex lege dovute, a titolo di TOSAP/COSAP e determinate nella misura minima di € 516,46 e a titolo di CUP nella misura di € 800,00, con condanna del Comune di Mirano alla restituzione di tutte le somme indebitamente corrisposte al Comune stesso per la concessione delle aree demaniali e del patrimonio indisponibile per cui è causa a far data dal 2010, oltre interessi di legge (sia dalla data dei singoli pagamenti sia dalla presente domanda giudiziale) e rivalutazione;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l‘atto di costituzione in giudizio del Comune di Mirano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell‘udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024 il dott. P N e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il Comune di Mirano con il ricorso n. 362 del 2022 di R.G., ha chiesto l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di Infrastrutture Wireless Italiane - Inwit S.p.A. (d’ora in poi Inwit), lamentando il mancato pagamento, da parte di quest’ultima, del canone di occupazione previsto pattiziamente a partire dal luglio 2020, con l’eccezione del parziale pagamento di € 516,48 per il secondo semestre 2020 relativo a ciascuna delle tre convenzioni che vengono in rilievo nel presente giudizio, con conseguente debito complessivo di € 50.950,60, così suddiviso: a) Convenzione n. 4976 (via Marconi): rateo luglio 2020 per il residuo di € 6.983,52 e due ratei 2021, ciascuno di € 7.500, per un totale di € 21.983,52;
b) Convenzione n. 4977 (parcheggio cimitero): rateo luglio 2020 per il residuo di € 4.483,52 e due ratei 2021, ciascuno di € 5.000, per un totale di € 14.483,52;
c) Convenzione n. 4978 (impianti sportivi via Matteotti): rateo luglio 2020 per il residuo di € 4.483,56 e due ratei 2021, ciascuno di € 5.000, per un totale di € 14.483,56.

Questo Tribunale, in accoglimento della domanda monitoria, ha emesso il decreto ingiuntivo n. 134, pubblicato in data 10 marzo 2022, condannando Inwit al pagamento di quanto richiesto dal Comune di Mirano.

2. Avverso tale decreto ingiuntivo Inwit ha proposto un ricorso in opposizione depositato in data 17 maggio 2022, formulando le domande riportate in epigrafe.

A fondamento dell’opposizione Inwit ha dedotto quanto segue, in sintesi:

I) il decreto ingiuntivo sarebbe nullo per difetto di giurisdizione del G.A. a decidere sulla domanda formulata dal Comune di Mirano con il ricorso n. 362 del 2022 di R.G.;

II) gli artt. 4 e 5 delle convenzioni accessive alle concessioni stipulate inter partes il 31 maggio 2016, così come di quelle precedenti del 21 settembre 2005 (e aggiornate il 7 ottobre 2009) sarebbero nulli, con conseguente necessità di sostituzione degli articoli stessi con quanto previsto dall’art. 93, d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, e ss.mm.ii, nelle parti relative alla determinazione del corrispettivo, non potendo, in tesi, essere applicate, per l’uso delle aree funzionali all’erogazione del pubblico servizio di comunicazioni elettroniche, somme diverse da quelle ex lege dovute a titolo di occupazione di spazi e aree pubbliche (ossia la c.d. TOSAP/COSAP, nella misura annua di € 516,46, e, a partire dal 2021, il c.d. Canone unico patrimoniale previsto dalla l. 27 dicembre 2019, n. 160, art. 1, commi 816 e ss.);
quindi, nulla sarebbe dovuto al Comune di Mirano, con conseguente revoca o annullamento del decreto ingiuntivo e accertamento del diritto di parte ricorrente ad ottenere, anche in via riconvenzionale, la ripetizione ex art. 2033 c.c. di tutte le somme indebitamente corrisposte a far data dal 2010, oltre interessi di legge e rivalutazione;

III) la pretesa creditoria ex adverso azionata sarebbe priva di adeguata prova documentale, sicchè il decreto ingiuntivo non avrebbe comunque potuto essere concesso;
comunque, la somma indicata nel decreto stesso sarebbe incongrua.

2. Si è costituito in giudizio il Comune di Mirano contestando la fondatezza del ricorso in opposizione e chiedendone il rigetto.

3. Le parti hanno depositato memorie difensive.

4. All’esito dell’udienza pubblica del 23 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Premesse.

1.1. La fattispecie controversa riguarda i canoni di concessione relativi all’uso di aree di proprietà del Comune di Mirano ubicate lungo la via G. Marconi, la via Cimitero e la via G. Matteotti, assentite in concessione a Inwit.

In particolare, sono state sottoscritte tre distinte convenzioni (repp. nn. 4810, 4811, 4812 del 21 settembre 2005, modificate con atti repp. nn. 4915, 4916 e 4914 del 7 ottobre 2009) con durata di nove anni, a decorrere dal 21 settembre 2005 e sino al 20 settembre 2014. A seguito della deliberazione della Giunta Comunale n. 214 del 2015, previa conferma della concessione a Inwit delle aree per l’installazione di apparati di telecomunicazione, in data 31 maggio 2016, sono state stipulate tre nuove convenzioni (repp. nn. 4978 per l’area di via G. Matteotti, 4976 per l’area di via G. Marconi e 4977 per l’area di via Cimitero), con durata di sei anni (decorrenti dal 21 giugno 2016 e in scadenza al 20 giugno 2022).

La controversia, nel suo complesso, inerisce non solo le pretese (rispettivamente avanzate da entrambe le parti) di pagamento o restituzione di somme asseritamente dovute in forza delle predette convenzioni , ma anche l’accertamento della validità delle convenzioni medesime, limitatamente alla determinazione del canone concessorio dovuto.

1.2. Sul piano processuale, Inwit con il ricorso introduttivo del presente giudizio ha esperito un’opposizione al suddetto decreto ingiuntivo 10 marzo 2022, n. 134.

A tal proposito, ai sensi dell’art. 118 c.p.a., nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale, si applica il Capo I del Titolo I del Libro IV del codice di procedura civile. Pertanto nel processo amministrativo l’istituto del ricorso per decreto ingiuntivo trova applicazione solo nell’ambito delle controversie che, oltre ad avere a oggetto diritti soggetti di natura patrimoniale, siano devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A.. Ne consegue, altresì, che l’art. 118 c.p.a. deve essere interpretato e applicato alla luce e nei limiti delle previsioni contenute nell’art. 133 c.p.a..

Ciò posto, ancor prima di approfondire la tematica che inerisce la giurisdizione in ordine alle domande formulate dalle parti del presente giudizio, giova sottolineare che l’art. 118 c.p.a. fa esplicito ed integrale rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile. Ciò comporta l’applicazione, nel presente giudizio, dei principi processuali che governano l’istituto del ricorso monitorio e dell’opposizione a decreto ingiuntivo, così come enucleati dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione e, in particolare, del principio secondo il quale «l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto, potendo quest’ultimo proporre domanda riconvenzionale a fondamento della quale può anche dedurre un titolo non strettamente dipendente da quello posto a fondamento della ingiunzione, quando non si determini in tal modo spostamento di competenza e sia pur sempre ravvisabile un collegamento obiettivo tra titolo fatto valere con l’ingiunzione e domanda riconvenzionale, tale da rendere opportuno la celebrazione del simultaneus processus» (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2020, n. 6091).

Ciò significa che l’effettivo ricorrente “sostanziale” , anche ai fini dell’esame del riparto di giurisdizione, è il ricorrente in sede monitoria, la cui domanda di ingiunzione costituisce l’atto introduttivo del giudizio complessivamente inteso. Invece le domande dalla parte che propone opposizione a decreto ingiuntivo - resistente “sostanziale” - laddove limitate alla declaratoria di revoca, nullità, annullamento o inefficacia del decreto ingiuntivo, non assumono autonomo rilievo, a differenza delle vere e proprie domande riconvenzionali formulate dalla parte stessa in via autonoma.

Giova poi rammentare che, sempre secondo l’insegnamento della Suprema Corte, «la domanda riconvenzionale, atteso il suo carattere autonomo di controdomanda volta ad ottenere un provvedimento positivo favorevole nei confronti dell‘attore e non il mero rigetto delle avverse pretese, come avviene nel caso di eccezione riconvenzionale, deve essere esaminata e decisa anche se sia dichiarata inammissibile la domanda principale» (Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2024, n. 4131).

Alla luce di quanto precede si rende necessario qualificare le domande formulate dalle parti del presente giudizio.

Per quanto concerne il Comune di Mirano - che in base a quanto sopra detto deve ritenersi il ricorrente “sostanziale” - la domanda formulata è quella oggetto del ricorso monitorio, ossia una mera domanda di accertamento e condanna al pagamento di somme asseritamente allo stesso dovute da Inwit in ragione dei diritti di credito derivanti dalle convenzioni innanzi menzionate.

Per quanto concerne, invece, la posizione di Inwit, le prime tre domande dalla stessa formulate con il ricorso in epigrafe indicato non sono autonome, né sono qualificabili come domande riconvenzionali, ma si tratta piuttosto di domande che veicolano eccezioni idonee (in tesi) a determinare il rigetto della domanda avanzata dalla controparte in sede monitoria. Si fa riferimento, in particolare, alle seguenti domande :

- quella con cui, in via pregiudiziale, si chiede di accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione di questo Tribunale a conoscere della domanda introdotta dal Comune di Mirano con il procedimento monitorio, conseguentemente revocando e/o annullando e/o dichiarando inefficace o nullo il decreto ingiuntivo opposto, con condanna del Comune stesso alla restituzione di quanto corrisposto in esecuzione del medesimo decreto, oltre interessi di legge e rivalutazione;

- quella con cui, nel merito, si chiede - previa eventuale declaratoria di nullità parziale e/o inefficacia parziale delle convenzioni stipulate inter partes , per violazione di norme imperative, e conseguente sostituzione ex artt. 1339 e 1419 c.c. delle disposizioni nulle o inefficaci, con la previsione dell’obbligo di pagamento delle somme tempo per tempo ex lege dovute a titolo di TOSAP/COSAP e determinate nella misura minima di € 516,46 e a titolo di CUP nella misura di € 800,00 - di accertare e dichiarare l’inammissibilità e/o la nullità e comunque l’infondatezza della pretesa creditoria azionata dal Comune con il procedimento monitorio e che nulla è dovuto da Inwit e, per l’effetto, revocare e/o annullare e/o dichiarare inefficace o nullo il decreto ingiuntivo opposto, con condanna del Comune alla restituzione di quanto eventualmente corrisposto da Inwit in esecuzione del medesimo decreto, nonché di tutte le somme indebitamente corrisposte al Comune per la concessione delle aree demaniali e del patrimonio indisponibile per cui è causa a far data dal 2010, oltre interessi di legge e rivalutazione;

- quella con cui, sempre nel merito, si chiede, in via subordinata, di revocare e/o annullare e/o dichiarare inefficace o nullo il decreto ingiuntivo opposto, in considerazione dei pagamenti eseguiti da Inwit.

Tra le domande proposte da Inwit vi è, però, anche un’autonoma domanda riconvenzionale volta alla restituzione di tutte le somme indebitamente corrisposte al Comune di Mirano per la concessione delle aree demaniali e del patrimonio indisponibile per cui è causa a far data dal 2010, oltre interessi di legge e rivalutazione.

Tuttavia le suesposte due domande restitutorie differiscono radicalmente tra loro. Infatti, per quanto concerne la domanda di restituzione di quanto eventualmente corrisposto da Inwit in esecuzione del decreto opposto, vale l’insegnamento secondo il quale «nel giudizio introdotto con opposizione a decreto ingiuntivo, la richiesta dell’opponente di ripetizione delle somme versate in forza della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto non è qualificabile come domanda nuova e deve ritenersi implicitamente contenuta nell’istanza di revoca del decreto stesso, così come formulata nell’atto di opposizione, costituendo essa solo un accessorio di tale istanza ed essendo il suo accoglimento necessaria conseguenza, ex art. 336 c.p.c., dell’eliminazione dalla realtà giuridica dell’atto solutorio posto in essere» (Cass. civ., sez. I, 29 novembre 2023, n. 33174).

Invece la domanda volta alla restituzione di tutte le somme indebitamente corrisposte al Comune di Mirano per la concessione delle aree demaniali e del patrimonio indisponibile per cui è causa a far data dal 2010, oltre interessi di legge e rivalutazione, si configura come una vera e propria domanda riconvenzionale, che viene ad assumere rilievo autonomo. D’altronde, la società propone tale domanda (nell’ambito dell’ultima domanda formulata con il ricorso in opposizione) anche quando chiede, “ in caso di accoglimento della dedotta eccezione in rito ”, di « accertare e dichiarare la nullità parziale e/o inefficacia parziale delle convenzioni stipulate inter partes, per violazione di norme imperative, e conseguentemente accertare, dichiarare e disporre la sostituzione ex artt. 1339 e 1419 c.c. delle disposizioni nulle o inefficaci, con la previsione dell’obbligo di pagamento delle somme tempo per tempo ex lege dovute, a titolo di TOSAP/COSAP e determinate nella misura minima di Euro 516,46 e a titolo di CUP nella misura di Euro 800,00, per le ragioni sopra illustrate, con condanna del Comune di Mirano alla restituzione di tutte le somme indebitamente corrisposte al Comune di Mirano per la concessione delle aree demaniali e del patrimonio indisponibile per cui è causa a far data dal 2010, oltre interessi di legge (sia dalla data dei singoli pagamenti sia dalla presente domanda giudiziale) e rivalutazione» .

Dunque si tratta - giova precisarlo - di una domanda riconvenzionale in parte di accertamento, in quanto volta a far dichiarare la nullità o l’inefficacia parziale delle suddette convenzioni (ossia nella parte relativa alla determinazione dei canoni dovuti), e in parte di condanna alla restituzione delle somme innanzi indicate.

2. In via pregiudiziale: in ordine all’eccepito difetto di giurisdizione di questo Tribunale.

2.1. Inquadrati sul piano sostanziale e processuale i tratti caratteristici del presente giudizio, è possibile affrontare la questione del difetto di giurisdizione relativamente a tutte le domande formulate dalle parti del giudizio, rammentando al riguardo che il Collegio alla pubblica udienza del 23 aprile 2024 ha rilevato, d’ufficio, il possibile difetto di giurisdizione del G.A. anche con riguardo alle domande riconvenzionali proposte da Inwit.

2.2. Ebbene, come già ricordato, l’applicazione dell’art. 118 c.p.c. nel processo amministrativo presuppone che la controversia rientri nella giurisdizione esclusiva del G.A. e, a tal riguardo, occorre rammentare come, secondo la giurisprudenza, «la regola di riparto della giurisdizione sia informata al criterio del petitum sostanziale, in luogo di quello formale, il quale ha riguardo non alla causa petendi ma all‘oggetto del dispositivo giurisdizionale che si invoca, mentre il petitum sostanziale concerne il rapporto dedotto in giudizio ed oggetto di accertamento giurisdizionale» (Cass. civ., sez. un., 24 gennaio 2024, n. 2368).


Ciò che rileva, quindi, in conformità all’art. 386 c.p.c., è “l’oggetto della domanda” , che va identificato non solo e non tanto tenendo conto della concreta statuizione che si chiede al giudice, bensì tenendo conto della causa petendi , ossia della situazione giuridica soggettiva soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione (Cass. civ., sez. un., 28 gennaio 2020, n.1869).

Pertanto, ai fini del riparto di giurisdizione, occorre accertare la natura della specifica situazione giuridica fatta valere in giudizio con la proposizione di una vera e propria autonoma domanda, sia essa formulata in via principale o in via riconvenzionale, accertamento rispetto al quale non rilevano le questioni in fatto e diritto sollevate dalla controparte a titolo di mere difese o di eccezioni, anche riconvenzionali, ancorché, come nel caso di specie, eventualmente veicolate, sul piano formale, attraverso delle domande di revoca o annullamento del decreto ingiuntivo.

A tal proposito, le Sezioni Unite della Cassazione hanno avuto modo di sottolineare come il criterio del petitum sostanziale imponga di avere riguardo ai fatti allegati dall’attore, e quindi di prescindere dalle eccezioni del convenuto, delle quali dovrà tenersi conto nel momento logicamente successivo della valutazione delle risultanze istruttorie ai fini della decisione del merito della controversia ( ex multis , Cass. civ., sez. un., 29 aprile 2022, n. 13702;
id., 1 agosto 2006, n. 17461).

Nella fattispecie in esame, il Comune di Mirano ha agito in giudizio con il ricorso monitorio per l’accertamento del proprio diritto di credito nei confronti di Inwit e la condanna di quest’ultima al pagamento di quanto asseritamente dovuto in forza delle convenzioni innanzi ricordate. Deve allora trovare applicazione l’art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a., ai sensi del quale rientrano nella giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi.

In particolare, presupposto essenziale per l’applicabilità di tale disposizione è la natura demaniale o l’appartenenza al patrimonio indisponibile comunale delle aree date in concessione al privato: in difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, infatti, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta ad un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo ad un bene facente parte del patrimonio disponibile (al di là del nomen iuris che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto), essa viene ad inquadrarsi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del G.O. (da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2024, n. 100).

Ebbene il Comune di Mirano per contrastare le tesi di Inwit ha svolto un’argomentazione che, se accolta, determinerebbe un radicale difetto di giurisdizione di questo Tribunale. Il Comune, infatti, ha eccepito la riconducibilità delle aree date in concessione al patrimonio disponibile dell’Ente stesso, con conseguente qualificazione delle convenzioni stipulate dalle parti in termini di mera locazione di immobili. Tuttavia il Collegio è di diverso avviso, non potendosi negare la riconducibilità delle aree oggetto di concessione, quantomeno, al patrimonio indisponibile del Comune.

A tal proposito occorre ricordare che «affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico, proprio dei beni patrimoniali indisponibili perché “destinati ad un pubblico servizio”, ai sensi dell‘art. 826 comma 3 c.c., deve sussistere un doppio requisito: la manifestazione di volontà dell‘ente titolare del diritto reale pubblico, e perciò un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell‘ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio, e l‘effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio» (recentemente, Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2024, n. 100).

Nel caso di specie, il doppio requisito richiesto dalla giurisprudenza deve ritenersi sussistente: innanzi tutto con la concessione delle aree in questione il Comune ha inteso destinare l’utilizzo delle aree stesse all’esercizio di un pubblico servizio, ciò in quanto le concessioni e le correlate convenzioni indicano specificamente, quale finalità della concessione in godimento delle aree, l’installazione di antenne radio base. Trattandosi di infrastrutture qualificabili certamente in termini di opere di pubblica utilità, normativamente assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria (si veda il previgente art. 86, d.lgs. n. 259/2003, oggi art. 43), è evidente la riconducibilità dell’attività svolta dagli operatori, attraverso le infrastrutture medesime, nei suoi connotati sostanziali e oggettivi, in termini di pubblico servizio nel senso inteso dalla giurisprudenza.

Inoltre, come ricordato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VII, 18 ottobre 2022, n. 8874), essendo l’occupazione del suolo pubblico con stazioni radio base strumentale allo svolgimento dell’attività di erogazione dei servizi, essa deve intendersi ricompresa nella nozione di “esercizio dei servizi di comunicazione elettronica” .

Accertata, quindi, l’applicabilità al caso di specie dell’art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a., viene in rilievo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione secondo il quale «in tema di concessione dei beni pubblici, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione a tutela di interessi generali;
quando, invece, la controversia coinvolga la verifica dell‘azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante, o quando investa l‘esercizio di poteri discrezionali valutativi nella determinazione del canone, e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia nell‘an che nel quantum), la stessa è attratta nell‘ambito della giurisdizione del giudice amministrativo (Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2020, n. 28973;
Sez. Un., Ordinanza n. 21139 del 2022) … ne consegue che le controversie attinenti alla sola rideterminazione dei canoni concessori, in applicazione di una cogente disposizione normativa, dovuti per la concessione d‘uso di un bene pubblico appartengono alla giurisdizione ordinaria, avendo ad oggetto diritti soggettivi a contenuto patrimoniale (Cass., Sez. Un., 4 settembre 2018, n. 21597). La giurisdizione del giudice ordinario, riguardante le indennità, i canoni e gli altri corrispettivi, nella fase del contratto di concessione si estende alle questioni inerenti all‘adempimento o all‘inadempimento della concessione, nonché alle conseguenze risarcitorie, vertendosi nell‘ambito di un rapporto paritetico tra le parti (Cass., Sez. Un., 8 luglio 2019, n. 18267)»
(Cass. civ., sez. un., 11 aprile 2023, n. 9654).

Ebbene nel caso in esame non vengono in rilievo né l’azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante, né l’esercizio di poteri discrezionali valutativi da parte della stessa: pertanto, poiché la domanda formulata dal Comune in sede monitoria ha un contenuto meramente patrimoniale - essendo semplicemente finalizzata all’accertamento del diritto di credito affermato dal Comune e alla condanna di Inwit al pagamento di quanto da quest’ultima correlativamente dovuto - il giudizio monitorio e di cognizione ordinaria sulla domanda medesima avrebbero dovuto essere incardinati innanzi al G.O..

Ne consegue che - in accoglimento, in parte qua , del ricorso in opposizione - il decreto ingiuntivo opposto dev’essere dichiarato nullo, in quanto emesso da Giudice privo di giurisdizione, e sulla domanda del Comune di Mirano dev’essere dichiarato il difetto di giurisdizione, con conseguente applicabilità dell’art. 11, comma 2, c.p.a..

2.3. La declaratoria in rito che precede è assorbente rispetto alle eccezioni e correlate domande formulate da Inwit, finalizzate ad ottenere la revoca o l’annullamento del decreto ingiuntivo opposto e la reiezione nel merito della domanda del Comune di Mirano.

Inoltre dalla declaratoria di nullità del decreto ingiuntivo opposto discende - come effetto automatico - l’obbligo del Comune di Mirano di restituire a Inwit quanto dalla stessa corrisposto in esecuzione del medesimo decreto, oltre interessi dalla data del pagamento sino al saldo.

2.4. Venendo ora alla domanda riconvenzionale formulata da Inwit, si è già detto che la stessa consta di due parti:

a) l’accertamento e la declaratoria di nullità parziale e/o inefficacia parziale delle convenzioni stipulate inter partes , per violazione di norme imperative, e della sostituzione ex artt. 1339 e 1419 c.c. delle disposizioni nulle o inefficaci con la previsione dell’obbligo di pagamento delle somme ex lege dovute, a titolo di TOSAP/COSAP prima (nella misura di € 516,46) e, successivamente, a titolo di CUP (nella misura di € 800,00);

b) la condanna del Comune di Mirano alla restituzione di tutte le somme indebitamente corrisposte da Inwit per la concessione delle aree demaniali e del patrimonio indisponibile per cui è causa a far data dal 2010, oltre interessi di legge e rivalutazione, sino alla restituzione effettiva.

Iniziando dalla domanda sub b), per essa vale il medesimo ragionamento sopra svolto con riguardo alla domanda formulata dal Comune di Mirano con il ricorso monitorio. Difatti anche tale domanda è volta a far valere un diritto di credito rispetto al quale non viene in esame l’azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante, nè l’esercizio di poteri discrezionali valutativi da parte della stessa. Il fatto che venga in contestazione l’ an , oltre al quantum , del credito non incide sul riparto di giurisdizione, così come non rileva il fatto che Inwit abbia formulato la domanda riconvenzionale sub a). Infatti la giurisprudenza esclude l’operatività della c.d. giurisdizione per connessione, non essendo previsto dall’ordinamento un meccanismo di attrazione per connessione tra controversie che, per loro natura, appartengono a giurisdizioni differenti ( ex multis , Cass. Civ., sez. un., ordinanze 7 maggio 2019, n. 11932, e 24 ottobre 2017, n. 25184).

Ne consegue che dev’essere dichiarato il difetto di giurisdizione anche sulla domanda di Inwit sub b), con conseguente applicabilità dell’art. 11, comma 2, c.p.a..

2.5. Diverse considerazioni valgono, invece, per la domanda riconvenzionale sub a), nel qual caso la causa petendi si fonda sul fatto che le convenzioni accessive alla concessione sarebbero nulle o inefficaci in ragione delle plurime sopravvenienze normative che hanno interessato nel corso del tempo l’art. 93, d.lgs. n. 259/2003 (oggi art. 54)

In particolare, riservato al prosieguo l’esame della domanda nel merito, in punto di giurisdizione assume decisivo rilievo il fatto che le convenzioni di cui trattasi non sono meri contratti di diritto privato, ma rientrano piuttosto nel genus degli accordi integrativi di un provvedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 11, l. n. 241 del 1990. Dunque nel caso di specie, nel quale viene in rilievo un problema di validità o efficacia di clausole delle suddette convenzioni, la previsione dell’art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a. dev’essere correlata con quella dell’art. 133, comma 1, lett. a, n. 2, c.p.a., ai sensi del quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A. la formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni.

Infatti, poiché la domanda di Inwit non concerne direttamente la soddisfazione di pretese patrimoniali inerenti “indennità, canoni, ed altri corrispettivi” , ma la validità o efficacia delle convenzioni, ne consegue che, per effetto del combinato disposto delle due disposizioni processuali, la controversia in esame, in parte qua , deve essere ascritta alla giurisdizione esclusiva del G.A..

3. Nel merito, sulla domanda riconvenzionale di Inwit.

3.1. Venendo ora all’esame, nel merito, della domanda riconvenzionale formulata da Inwit, la questione controversa essenzialmente riguarda l’applicabilità dell’art. 93, d.lgs. n. 259/2003 - avuto riguardo agli interventi legislativi operati dapprima con l‘art. 12, comma 3, d.lgs. n. 33/2016, e poi con l’art.

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