TAR Roma, sez. III, sentenza 2018-02-14, n. 201801764

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2018-02-14, n. 201801764
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201801764
Data del deposito : 14 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/02/2018

N. 01764/2018 REG.PROV.COLL.

N. 10666/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10666 del 2005, proposto da:
Soc La 7 Televisioni Spa, ora Telecom Italia Media S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati L D C, F B, S V, con domicilio eletto presso lo studio del secondo di essi in Roma, via di Porta Pinciana n. 6;

contro

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l'annullamento

della delibera n.129/05/csp del 2/8/05 recante ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa di euro 25000 per la violazione dell’art.10, comma 3, della legge n. 112/04, nel testo ratione temporis applicabile.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di AGCOM;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 19 gennaio 2018 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il provvedimento in epigrafe indicato veniva irrogata una sanzione pari a 25 mila euro dal momento che la società emittente, in spregio a quanto espressamente previsto dall’art. 10, comma 3, della legge n. 112 del 2004, nel testo ratione temporis applicabile, avrebbe a suo tempo trasmesso alcuni messaggi e spot pubblicitari che impiegavano minori di anni 14.

La suddetta ordinanza veniva impugnata per i seguenti motivi: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 3, della legge n. 112 del 2004, in quanto i messaggi pubblicitari di cui si discute sarebbero stati rivolti ad un pubblico adulto e non di minori;
b) violazione della direttiva 89/552/CE, la quale non prevede un divieto di questo genere.

Si costituiva in giudizio l’intimata amministrazione per chiedere il rigetto del gravame.

Alla pubblica udienza del 19 gennaio 2018 la causa veniva infine trattenuta in decisione.

Tutto ciò premesso osserva il collegio che:

1.1. Quanto alla censura sub a), la disposizione di cui al citato art. 10, comma 3, della legge n. 112 del 2004, nella formulazione ratione temporis applicabile prevedeva espressamente che “L'impiego di minori di anni quattordici in programmi radiotelevisivi, oltre che essere vietato per messaggi pubblicitari e spot, è disciplinato con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 ;

1.2. Pertanto: se da un lato l’impiego dei minori in generale nei programmi televisivi avrebbe dovuto formare oggetto di specifica disciplina di rango secondario (regolamento governativo), dall’altro lato l’impiego dei medesimi in spot e messaggi pubblicitari era comunque tassativamente inderogabilmente vietato, almeno al tempo della applicazione della sanzione di cui in questa sede si controverte. Si trattava in altre parole di un divieto assoluto e inderogabile;

1.3. Secondo la tesi della difesa di parte ricorrente, per far scattare il suddetto divieto non basterebbe l’impiego in sé di minori in siffatti contesti pubblicitari (elemento soggettivo) ma sarebbe altresì necessario che gli stessi messaggi pubblicitari risultino specificamente rivolti ad un pubblico di minori (elemento oggettivo). Vengono al riguardo citati alcuni dei messaggi pubblicitari (es. Scavolini, Findus, Mulino Bianco) che per loro natura sarebbero unicamente rivolti ad un pubblico adulto;

1.4. La tesi, pur suggestiva nella sua ricostruzione, non può essere tuttavia accolta dal momento che: a) in punto di diritto, risulta del tutto sconosciuta all’ordinamento di settore la categoria del messaggio pubblicitario “selettivamente orientato” (pubblico solo adulto oppure anche di minori);
b) in punto di fatto, una siffatta distinzione si rivelerebbe del tutto aleatoria ed imprevedibile, dunque sottratta ad ogni forma di vigilanza. In altri termini, in assenza di una siffatta misura regolatrice (e dunque in assenza altresì di eventuali accorgimenti tecnici diretti ad evitare la visione da parte di minori) risulterebbe in concreto impossibile provvedere al controllo del pubblico abilitato o meno alla visione di taluni messaggi pubblicitari;
c) è del tutto indimostrata e soprattutto indimostrabile, in questa stessa direzione, la circostanza secondo cui talune pubblicità quali quelle testé enunciate (si pensi soltanto a quella della Findus nonché all’altra della Mulino Bianco) non siano rivolte o comunque non siano visionate, in ogni caso, da un pubblico altresì di minori;

1.5. Alla luce dei rilievi sopra formulati la specifica censura deve dunque essere rigettata.

2. Parimenti è da rigettare la censura sub b) dal momento che la citata direttiva comunitaria, se da un lato non impone agli Stati Membri la introduzione di un siffatto divieto, dall’altro lato neppure ne impedisce una sua ragionevole e proporzionale previsione.

In conclusione il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Con compensazione in ogni caso delle spese di lite, stante la peculiarità della fattispecie esaminata.

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