TAR Ancona, sez. I, sentenza 2013-05-09, n. 201300346

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Ancona, sez. I, sentenza 2013-05-09, n. 201300346
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Ancona
Numero : 201300346
Data del deposito : 9 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00738/2010 REG.RIC.

N. 00346/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00738/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 738 del 2010, proposto da:
CE.DI. Marche società cooperativa, Promogest 5 s.r.l., Idea Food di Carletti Laura &
C. s.a.s., Supermercati Andreoli di Andreoli Andrea e C. s.n.c., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi, tutti, dall'avv. M F, con domicilio eletto presso il suo studio in Ancona, via San Martino, 23;

contro

Comune di Osimo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. A G, con domicilio eletto presso il suo studio in Ancona, corso Mazzini, 156;

Regione Marche;

nei confronti di

Sma s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. G R, Pietro Ranci, con domicilio eletto presso il loro studio in Ancona, corso Garibaldi, 136;

J J &
Hobby s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Franco Bruno Campagni, Luciano Lenzi, con domicilio eletto presso l’avv. Franco Boldrini in Ancona, corso Mazzini, 170;

Matteo Barzetti, Deichmann Calzature s.r.l., W Q, Isabella Lombardi;

e con l'intervento di

ad opponendum :
Cosmo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Massimo Ortenzi, con domicilio eletto presso la segreteria del T.A.R. Marche in Ancona, via della Loggia, 24;

per l'annullamento

delle autorizzazioni commerciali rilasciate dal Comune di Osimo n° 2459 del 19 giugno 2010 (SMA), n° 2464 del 21 giugno 2010 (Barzetti Matteo), n° 2463 del 21 giugno 2010 (Deichmann Calzature s.r.l.), n° 2460 del 19 giugno 2010 (W Q), n° 2462 del 21 giugno 2010 (L I), n° 2461 del 19 giugno 2010 (J J &
Hobby s.r.l.).

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Osimo, di Sma s.p.a. e di J J &
Hobby s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Primo Referendario Francesca Aprile nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2013 e uditi per le parti i difensori, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in epigrafe, i ricorrenti hanno adito questo Tribunale Amministrativo per domandare l’annullamento delle autorizzazioni commerciali rilasciate dal Comune di Osimo n° 2459 del 19 giugno 2010 (SMA), n° 2464 del 21 giugno 2010 (Barzetti Matteo), n° 2463 del 21 giugno 2010 (Deichmann Calzature s.r.l.), n° 2460 del 19 giugno 2010 (W Q), n° 2462 del 21 giugno 2010 (L I), n° 2461 del 19 giugno 2010 (J J &
Hobby s.r.l.).

Con l’impugnativa, si propongono le seguenti doglianze:

- violazione degli artt. 4 e 9 del d.lgs. 31 marzo 1998 n° 114, anche in relazione alla circolare 28 maggio 1999 n° 3467/C;
violazione della legge regionale 4 ottobre 1999 n° 26, della legge regionale 15 ottobre 2002 n° 19, della legge regionale 23 febbraio 2005 n° 9 e della legge regionale 10 novembre 2009 n° 27;

- eccesso di potere per sviamento;

- violazione del piano territoriale di coordinamento della Provincia di Ancona relativamente alle grandi strutture di vendita;

- violazione dell’art. 8- bis e dell’art. 41- bis del testo coordinato delle leggi regionali n° 26/1999 e del piano territoriale di coordinamento della Provincia di Ancona;
violazione dell’art. 31 della legge regionale 24 dicembre 2008, n° 37 e della legge regionale 10 novembre 2009, n° 27.

Per resistere al ricorso, si è costituito il Comune di Osimo, che, con memorie difensive e documenti, ha eccepito l’inammissibilità e improcedibilità del ricorso e ne ha domandato, comunque, il rigetto per infondatezza, vinte le spese.

Si è costituita la controinteressata SMA s.p.a., che, con memorie difensive e documenti, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, domandandone, comunque, il rigetto per infondatezza.

Con memoria di costituzione depositata in data 20 maggio 2011, la J J &
Hobby s.r.l. ha sollevato eccezioni preliminari di inammissibilità e improcedibilità del ricorso e ne ha chiesto il rigetto, vinte le spese.

La Cosmo s.p.a. ha svolto intervento ad opponendum , per domandare il rigetto del ricorso, o la declaratoria di inammissibilità, vinte le spese.

Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2013, sentiti i difensori delle parti, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, dev’essere disattesa l’istanza di interruzione del processo, proposta dal difensore della società J J &
Hobby s.r.l., alla pubblica udienza di discussione del 21 febbraio 2013.

Ai sensi dell’art. 79 del codice del processo amministrativo, “ l’interruzione del processo è disciplinata dalle disposizioni del codice di procedura civile ”.

L’interruzione del processo per la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti, sopravvenuta prima della costituzione in giudizio, determina ipso iure l’interruzione del processo, rilevabile d’ufficio dal giudice, conformemente al dettato dell’art. 299 c.p.c..

La perdita della capacità della parte costituita in giudizio non determina l’interruzione del processo, dovendo l’evento interruttivo essere dichiarato in udienza o notificato alle altre parti, secondo il regime giuridico apprestato dall’art. 300 c.p.c..

Tale regime giuridico, in fattispecie di fallimento della parte costituita, dev’essere letto in combinato disposto con la disciplina dettata dalla legge fallimentare con particolare riguardo alle azioni e ai poteri spettanti al curatore fallimentare e alla sostituzione nei rapporti processuali nei quali il fallito è parte.

E’ ius receptum che alla dichiarazione di fallimento consegue, per il fallito, una perdita della capacità processuale che ha carattere non assoluto, ma relativo e può essere eccepita solo dal curatore, nell’interesse della massa dei creditori.

Tale principio di diritto è fondato sulla considerazione che la sentenza dichiarativa di fallimento determina non la perdita della capacità di agire del fallito, ma alcune limitazioni nei casi tassativamente enucleati dalla legge fallimentare, limitazioni che vengono meno con il rientro in bonis del fallito medesimo.

Non essendo configurabile una incapacità assoluta del fallito, nessun automatismo può conseguire alla mera declaratoria di fallimento sui processi nei quali lo stesso è costituito a mezzo di procuratore, ove l’interruzione del processo non sia stata eccepita dalla curatela fallimentare nell’interesse della massa dei creditori e previa autorizzazione del giudice delegato, ai sensi dell’art. 25, primo comma, n° 6, della legge fallimentare.

Nel caso in esame, pertanto, in cui nessuna eccezione è stata sollevata dai curatori fallimentari, né risulta dagli atti del giudizio che gli stessi siano stati a ciò autorizzati dal giudice delegato, il difetto della capacità processuale, a carattere relativo, nonché sopravvenuto dopo la costituzione in giudizio della controinteressata J J &
Hobby s.r.l. non può determinare, ipso iure , l’interruzione del processo.

A tale conclusione si perviene, altresì, in considerazione della ratio dell’istituto dell’interruzione del processo, preordinata alla garanzia dei diritti di difesa delle parti e alla pienezza del contraddittorio, esigenze da ritenersi pienamente rispettate nell’odierno giudizio, considerata l’attività difensiva svolta dalla J J &
Hobby s.r.l., a mezzo dei suoi procuratori, dispiegatasi con deposito di memorie difensive e documenti, anche in data successiva alla sentenza dichiarativa del fallimento della medesima società, da ultimo con memoria di replica depositata in data 29 gennaio 2013.

Venendo alla questione preliminare concernente l’atto di intervento ad opponendum proposto dalla Cosmo s.p.a., il Collegio ritiene che lo stesso sia da dichiararsi inammissibile.

Il codice del processo amministrativo ha positivamente disciplinato, agli artt. 28 e 50, l’intervento volontario in giudizio.

La Cosmo s.p.a. ha proposto atto di intervento ad opponendum , deducendo di essere società incorporante la ditta Migan s.r.l., che “ha ottenuto i permessi di costruire e ha realizzato gli edifici commerciali”.

Rileva il Collegio che la Cosmo s.p.a. non è litisconsorte necessario pretermesso, non sussistendo l’inscindibilità della causa, promossa dalle parti ricorrenti avverso le autorizzazioni commerciali rilasciate ai controinteressati, rispetto al rapporto afferente il rilascio dei permessi di costruire.

Se ne desume che la deduzione, contenuta nell’atto di intervento, per la quale “la ditta Migan s.r.l. non ha ricevuto la notifica del mezzo impugnatorio né è stata posta in grado di partecipare al giudizio e di conoscere le difese formulate dalle altre parti, onde allo stato la società incorporante Cosmo s.p.a. non è in grado di svolgere autonome difese nel merito” non consente di supportare l’intervento sotto il profilo dell’ammissibilità.

Non essendo la ditta Migan s.r.l., nè la sua incorporante Cosmo s.p.a., litisconsorte necessario pretermesso, la predetta società interveniente non poteva limitarsi a lamentare di non essere stata evocata in giudizio, atteso che, non vertendosi in fattispecie di causa inscindibile, non sussisteva alcun onere di integrazione del contraddittorio nei suoi confronti.

Dev’essere anche considerato che, ai sensi dell’art. 50, primo comma, del codice del processo amministrativo l’atto di intervento “ deve contenere le ragioni su cui si fonda ”.

La menzionata disposizione codicistica richiede all’interveniente ad opponendum di articolare specifiche censure di merito atte a contrastare i motivi di ricorso o a criticarne il fondamento giuridico o fattuale, tali da evidenziare le ragioni per le quali l’impugnativa dovrebbe essere respinta.

In mancanza di deduzione delle ragioni sulle quali il dispiegato intervento si fonda, l’atto di intervento dev’essere dichiarato inammissibile.

Ciò premesso, il ricorso è, nel merito, infondato, il che esime il Collegio dal pronunciare sulle eccezioni, sollevate dalle parti resistente e controinteressate, di inammissibilità e di improcedibilità dell’impugnativa.

L’art. 4, primo comma, lett. g), del d.lgs. 31 marzo 1998 n° 114, disposizione normativa afferente alla materia della tutela della concorrenza, invocata dalle parti odierne ricorrenti al paragrafo II dell’impugnativa, stabilisce che per “centro commerciale” deve intendersi una media o una grande struttura di vendita, che presenti congiuntamente e non alternativamente le seguenti caratteristiche:

- inserimento di più esercizi commerciali in una struttura a destinazione specifica;

- infrastrutture comuni;

- gestione unitaria degli spazi di servizio e delle infrastrutture comuni.

Tale definizione è stata ripresa dal legislatore regionale delle Marche, che l’ha recepita nell’ordinamento regionale, senza discostarsene, da ultimo nell’art. 10 della L.R. 10 novembre 2009, n° 27, recante testo unico del commercio, con il quale, all’art. 100, è stata abrogata la L.R. 4 ottobre 1999, n° 26.

Nella fattispecie di cui si controverte, non sembra dubitabile che gli esercizi commerciali costituiscano un complesso organico, sotto il profilo della destinazione funzionale, nessun significativo rilievo potendo annettersi, viceversa, agli aspetti estetico-architettonici, quali la forma o il colore degli edifici, l’insegna-totem o la cartellonistica.

Quanto al dato infrastrutturale, la dedotta differenziazione dei parcheggi relativi agli esercizi commerciali in questione non può ritenersi dirimente, essendo incontestata l’esistenza di un’unica area destinata a parcheggio fruibile dagli utenti delle strutture di vendita.

A diverse conclusioni deve pervenirsi con riguardo al profilo della gestione degli spazi di servizio, essendo stato dedotto, negli scritti difensivi del Comune di Osimo e dei controinteressati costituiti, che ogni struttura gestisce i propri spazi e servizi in via esclusiva.

Deve anche osservarsi, considerando le deduzioni contenute nell’elaborato peritale di parte prodotto in allegato all’impugnativa, che l’asserzione concernente la “presenza di un promotore unico di tutto il costruito” non può ritenersi conducente agli effetti della tesi impugnatoria.

In primo luogo, infatti, i parametri normativi applicabili alla fattispecie non consentono di tracciare alcun parallelismo tra titolarità dei permessi di costruire e assunzione dell’iniziativa imprenditoriale volta all’attivazione ed esercizio di un centro commerciale.

La mera titolarità dei permessi di costruire gli edifici che ospitano esercizi commerciali non consente di trarre alcuna conclusione sull’esistenza di un unico promotore delle iniziative commerciali, in mancanza di concreti elementi atti ad evidenziare l’esistenza di accordi commerciali, o comunque comprovanti un ruolo decisionale o un’effettiva influenza del soggetto che si ritenga “promotore” nelle strategie d’impresa degli esercizi commerciali e nelle scelte afferenti l’attività economica e commerciale di questi ultimi.

Né in tal senso potrebbe trarsi alcun ragionevole convincimento dall’ulteriore asserzione, contenuta nelle conclusioni del medesimo elaborato peritale, relativa ad una non meglio precisata “volontà della MIGAN s.r.l. di realizzare un complesso commerciale unitario e sinergico con tutte le caratteristiche di un centro commerciale”, “volontà” sulla cui rilevanza giuridica, quale ipotizzato elemento meramente intenzionale, non merita soffermarsi.

Per tali ragioni, non può ritenersi che le strutture di vendita di cui si controverte siano qualificabili come “centro commerciale”, secondo la definizione dettata dall’art. 4, primo comma, lett. g), del d.lgs. 31 marzo 1998 n° 114, e dall’art. 10, primo comma, lett. i), della Legge Regionale 10 novembre 2009, n° 27.

Sono, pertanto, infondate le doglianze con le quali si lamenta il mancato espletamento della procedura autorizzatoria contemplata dall’art. 16 della Legge Regionale 10 novembre 2009, n° 27 per l’apertura di un centro commerciale.

Ne consegue l’infondatezza del motivo di ricorso con il quale i ricorrenti lamentano un’asserita violazione del piano territoriale di coordinamento della Provincia di Ancona, nella parte in cui sarebbe stata ritenuta satura l’offerta concernente la realizzazione di centri commerciali nell’area Ancona sud.

Priva di fondamento è, altresì, la prospettazione impugnatoria per la quale le strutture di vendita di cui si controverte non avrebbero autonoma rilevanza, ma avrebbero dovuto essere considerate unitariamente e, come tali, essere assoggettate alla procedura autorizzatoria prevista per le grandi strutture di vendita ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. 31 marzo 1998 n° 114, e dell’art. 15 della Legge Regionale 10 novembre 2009, n° 27.

La lettura sistematica dei principi della legislazione statale e delle disposizioni normative regionali in materia di titoli abilitativi per l’esercizio di attività di commercio in sede fissa non consente di ridurre il discrimen tra medie e grandi strutture di vendita al mero dato numerico della sommatoria della superficie di vendita di ciascuno degli esercizi commerciali coinvolti.

Non può certo escludersi che una grande struttura di vendita possa essere costituita da più esercizi commerciali.

Cionondimeno, laddove la titolarità di ciascuno degli esercizi commerciali sia intestata a soggetti giuridici distinti, la considerazione unitaria degli stessi, agli effetti della disciplina autorizzatoria di cui al d.lgs. 31 marzo 1998 n° 114 e alla Legge Regionale 10 novembre 2009, n° 27 deve fondarsi su elementi concreti sulla base dei quali possa ritenersi l’esistenza di condotte commerciali collegate e coordinate in vista del perseguimento di una strategia commerciale comune, sia pur non formalizzata in determinazioni contrattuali, ma comunque suscettibile di esplicare una rilevanza sull’andamento del mercato di riferimento.

E’ quanto nel caso concreto non è dato scorgere, di talchè la chiesta reductio ad unum della pluralità di attività commerciali, esercitate da soggetti giuridicamente distinti, si risolverebbe in una fictio iuris priva di riscontro concreto nel comportamento commerciale degli operatori economici in questione.

Dev’essere osservato che nessuna efficacia probatoria può rivestire il materiale pubblicitario e di stampa prodotto dai ricorrenti, in mancanza di documentazione suscettibile di comprovare l’esistenza di una strategia di espansione commerciale unitariamente riconducibile al ritenuto “polo commerciale”.

Allo stato degli atti, come risultanti dal fascicolo processuale, salva restando la riproposizione dell’azione in relazione ad eventuali sopravvenienze, l’evidenza documentale non consente di ritenere che tra gli esercizi commerciali assentiti con le impugnate autorizzazioni sussista un accordo commerciale o comunque un coordinamento delle scelte imprenditoriali tale da configurare un’offerta commerciale unitaria sul mercato concorrenziale.

Per tali ragioni, non può essere accolta la prospettazione impugnatoria volta a qualificare le strutture di vendita di cui si controverte alla stregua di un’unica grande struttura di vendita.

Ne consegue l’infondatezza delle doglianze con le quali si lamenta il mancato espletamento della procedura autorizzatoria prevista per le grandi strutture di vendita, la mancata indizione di una conferenza di servizi, la violazione del piano territoriale di coordinamento della Provincia di Ancona relativamente alle grandi strutture di vendita, nonché la violazione dell’art. 8- bis e dell’art. 41- bis del testo coordinato delle leggi regionali n° 26/1999, dell’art. 31 della legge regionale 24 dicembre 2008, n° 37 e della legge regionale 10 novembre 2009, n° 27, non potendo ritenersi che le strutture di vendita di cui si controverte costituiscano un’unica grande struttura di vendita.

Per le suesposte ragioni, il ricorso non può essere accolto, perché infondato.

Le spese processuali possono essere compensate tra le parti costituite, per la novità di alcune delle questioni dedotte.

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