TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2023-02-09, n. 202302195

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2023-02-09, n. 202302195
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202302195
Data del deposito : 9 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/02/2023

N. 02195/2023 REG.PROV.COLL.

N. 09431/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9431 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da San Raffaele Spa, Irccs San Raffaele Roma S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato G P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso del Rinascimento n.11;

contro

Presidente Gr Lazio in Qualità di Commissario Ad Acta per il Piano di Rientro in Materia Sanitaria, Presidenza del Consiglio dei Ministri, non costituiti in giudizio;
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato R M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Marcantonio Colonna 27;
Commissario Ad Acta Sanita' per la Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Azienda Sanitaria Roma 3, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fabio Ferrara, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Casal Bernocchi 73;
Azienda Sanitaria Locale Roma 6, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Merelli, con domicilio eletto presso lo studio Vincenza Di Martino in Roma, via Pompeo Magno n. 7;
Asl di Frosinone, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Colonnello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Chiara Borromeo in Roma, via Alessandria 25;

nei confronti

Asl Frosinone, Asl Roma 3, Asl Roma 6, non costituiti in giudizio;

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

per l'annullamento del Decreto del Commissario ad acta 8.6.2017 n. 218 pubblicato sul

BURL

22.6.2017 n. 50 suppl n.1 , recante “modifiche ed integrazioni al Decreto del Presidente in qualità di Commissario ad acta del 26 marzo 2012 n. 40” e dei relativi allegati;
nonché di ogni altro presupposto connesso e/o consequenziale.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da SAN RAFFAELE S.P.A. il 19\3\2019:

annullamento per quanto di interesse del DCA 20.12.2018 n. 509, pubblicato sul BURL dell'8.1.2019 n. 3 suppl.1, recante “revisione del Decreto del Commissario ad Acta n. U00218 del 8 giugno 2017, avente ad oggetto Modifiche ed integrazioni al Decreto del Presidente in qualità di Commissario ad Acta del 26 marzo 2012 n. 40”, nonché di ogni atto presupposto connesso e/ consequenziale


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lazio e di Commissario Ad Acta Sanita' per la Regione Lazio e di Azienda Sanitaria Roma 3 e di Azienda Sanitaria Locale Roma 6 e di Asl di Frosinone;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 25 novembre 2022 il dott. G C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso in epigrafe la ricorrente ha adito questo Tribunale al fine di ottenere l’annullamento del DCA n. 218 dell’8 giugno 2017, recante “ Modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente in qualità di Commissario ad Acta del 26 marzo 2012, n. 40 ”.

2. A sostegno della propria domanda ha articolato il seguente motivo di diritto:

- Violazione del principio di buon andamento, imparzialità e di trasparenza, leale collaborazione e buona fede fra le parti. eccesso di potere per illogicità manifesta, contraddittorietà, per sviamento dal fine.

In particolare, secondo la ricorrente, gli obiettivi ed i principi regolatori dell’azione amministrativa enunziati nella delibera impugnata e ribaditi dall’art. 1 dell’allegato A sarebbero stati palesemente traditi dall’effettivo contenuto degli allegati. Non risponderebbero ai principi di trasparenza, leale collaborazione, buona fede tra le parti, buon andamento e imparzialità le disposizioni di cui all’art. 6 (controlli analitici-procedimento) all’art. 11 (commissione permanente per la risoluzione delle discordanze) dell’allegato A e al p.

3.2. dell’allegato B.

Sarebbe altresì illegittimo il decreto impugnato nella parte in cui disciplina l’oggetto e il procedimento di controllo: la disciplina in esame presterebbe il fianco a diversi profili di irragionevolezza, e sarebbe elusiva del principio del contraddittorio procedimentale e della parità tra le parti, diretto corollario del diritto di difesa.

Viene contestato anche il par.

3.2 dell’Allegato B al D.P.C.A. impugnato, intitolato “Tipologia dei controlli analitici in regime di ricovero” che dispone che “ La Regione Lazio renderà noto con apposito provvedimento, entro e non oltre 90 giorni dal giorno successivo a quello della data di pubblicazione del presente decreto, l’elenco degli eventi oggetto dei controlli analitici relativi ai ricoveri ospedalieri in acuzie e post-acuzie, gli strumenti e le modalità tecniche di effettuazione dei controlli, ed eventuali aggiornamenti alle Linee guida per la compilazione e la codifica ICD-9CM della scheda di dimissione ospedaliera ”, in quanto inidoneo a garantire equilibrio ed equità nel rapporto tra le parti, e comunque il provvedimento attuativo non sarebbe stato nemmeno approvato al momento del ricorso.

Per completezza si nota sin da ora che, successivamente, la Regione Lazio, in data 24 novembre 2017, ha effettivamente adottato il “ Documento degli eventi oggetto di controllo e modalità di effettuazione dei controlli della attività sanitaria ospedaliera ”, che non è stato impugnato dalla ricorrente.

3. In data 20 dicembre 2018, il Commissario ad acta ha adottato il DCA n. U00509, con il quale ha modificato alcune premesse del DCA n. 218/2017 (funzionali alle modifiche apportate agli allegati al predetto Decreto), e ha approvato nuovamente gli All. A) e B), con alcune specifiche modifiche riguardanti, in particolare, gli abbattimenti tariffari (applicati ora sulla produzione e non più sul budget , produzione riferita tuttavia all’anno di valorizzazione dell’esito dei controlli), e la commissione per la verifica delle discordanze (con abolizione dell’organo permanente attivato su input della Regione, istituito dal DCA n. 218/2017, e sostituzione con organo istituito per singolo procedimento, e attivato su input della struttura interessata).

La ricorrente, con ricorso per motivi aggiunti, ha chiesto l’annullamento anche di quest’ultimo provvedimento.

4. Si sono costituite la ASL Rm 6, la Regione, e l’ASL Frosinone, eccependo sotto diversi profili l’ammissibilità dell’azione giurisdizionale in esame e contestando nel merito tutto quanto ex adverso dedotto.

5. All’udienza in epigrafe, dopo scambio di memorie e ampio contraddittorio, la causa è stata introitata per la decisione.

6. Il ricorso è infondato e va respinto, anche alla luce della recente giurisprudenza di questo Tribunale (cfr. per tutte, sentenza 27/09/2022, N. 12239/2022).

7. Si procede preliminarmente ad esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione del Tribunale adito che deve essere respinta.

Osserva il Collegio che i precedenti giurisprudenziali citati dalla ASL Roma 6 a sostegno della propria tesi mal si attagliano alla fattispecie in esame.

Invero, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1602/2022 richiamata dalle resistenti, ha affermato che “ le contestazioni relative alla determinazione della remunerazione delle prestazioni effettuate dai soggetti privati accreditati rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto non fa parte del thema decidendum alcun profilo legato all'esercizio da parte della p.a. di poteri autoritativi e discrezionali. Esse si collocano a valle del rapporto concessorio di pubblico servizio, hanno ad oggetto solo gli esiti del controllo sull’attività esercitata, pongono in discussione un accertamento tecnico, e non una valutazione discrezionale dell’amministrazione, e pertanto non coinvolgono il controllo di legittimità dell’azione autoritativa della p.a. sul rapporto concessorio. Dando seguito alla consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto (da ultimo, Cass. S.U. n. 20161 del 2021, Cass. S.U. n. 16460 del 2020), le controversie aventi ad oggetto l'esito dei controlli di appropriatezza eseguiti dalle ASL sulle strutture private che erogano prestazioni sanitarie operando in regime concessorio di accreditamento, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario ex art. 133, comma 1, lett. c) del c.p.a. qualora oggetto della contestazione sia esclusivamente l'esito del controllo, il conseguente accertamento dell'inadempimento della concessionaria rispetto alle obbligazioni derivanti dal rapporto concessorio, le relative richieste pecuniarie, ovvero le sanzioni amministrative irrogate ”.

Da quanto sopra ricordato appare evidente che la Suprema Corte abbia ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie aventi ad oggetto l'esito dei controlli di appropriatezza eseguiti dalle ASL, ma, nel caso in esame, il Collegio è chiamato a decidere sulla legittimità dei provvedimenti indicati in epigrafe, recanti le modalità attraverso le quali dovranno essere svolti i controlli sulle attività sanitarie e le relative sanzioni amministrative.

Trattasi dunque di atti che si pongono “a monte” del rapporto concessorio e del procedimento di controllo, espressione di discrezionalità amministrativa, del tutto diversi da quelli oggetto della predetta decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte che, invece, si pongono “a valle” di detto rapporto, esprimono gli esiti del controllo ed hanno un contenuto prettamente patrimoniale o, comunque, hanno natura essenzialmente paritetica non coinvolgendo l'accertamento dell'esistenza o del contenuto della concessione, né la verifica dell'azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio presupposto.

Sul punto, il Consiglio di Stato ha precisato che: “ la disciplina dei controlli sull'appropriatezza dei ricoveri presuppone l'adozione di un atto di competenza regionale (o commissariale) autoritativo e vincolante di programmazione e di organizzazione delle potestà pubbliche della Repubblica, svolte dalla Regione ai sensi del Titolo V della Costituzione, a tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività come direttamente sancito dall'articolo 32 della Costituzione. Tale programmazione si pone, quindi, al di fuori di ogni logica contrattualistica o aziendalistica o di mero risparmio finanziario e conforma le attività sanitarie erogate in regime di convenzione incidendo in via potestativa sulla fase concordata e convenzionale, anche quando non vi sia un atto generale a formare oggetto dell'impugnazione - quale espressione di vigilanza e controllo nei confronti del gestore (art. 133, comma 1, lett. c, c.p.a.) ma si chieda comunque un giudizio di congruità dell'attività di controllo sull'appropriatezza dei ricoveri svolta in concreto dalla struttura sanitaria accreditata rispetto ai parametri generali fissati dall'autorità regionale, restando tale attività estranea al successivo adempimento delle prestazioni sanitaria cui la struttura è obbligata convenzionalmente ed al computo delle relative risultanze contabili. Il predetto avviso è altresì conforme al costante orientamento espresso dalla Sezione (da ultimo, con la sentenza n. 5230/2022 concernente il medesimo appellante) in ordine ai criteri di riparto della giurisdizione in materia, essendo i rapporti contrattuali con le aziende accreditate presso il SSN assimilabili ad un rapporto concessorio di pubblico servizio di guisa che le relative controversie restano ordinariamente devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, a norma del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), codice del processo amministrativo, ad eccezione di quelle relative al mero pagamento di indennità, canoni od altri corrispettivi, aventi contenuto meramente patrimoniale attinente al rapporto interno tra P.A. concedente e concessionario del bene o del servizio pubblico. le quali, non implicando indagini circa l'esistenza del potere della P.A. concedente riguardo all'espletamento dell'attività di servizio pubblico concessa, vanno attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario. Laddove, viceversa, la lite esuli da tali limiti, coinvolgendo la verifica dell'azione autoritativa della P.A. sull'intera economia del rapporto concessorio, il conflitto tra P.A. e concessionario viene attratto nella sfera della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (cfr. Cass., S.U., n. 14428/2017) ” (cfr. C. di St. n. 7406/2022).

8. Del pari infondata è l’eccezione di carenza di interesse al ricorso, sollevata dalla Regione, che assume che gli atti impugnati sarebbero atti a carattere generale/normativo, inidonei a procurare una lesione immediata e diretta nella sfera giuridica di terzi.

Sul punto deve essere evidenziato che, in realtà, i DCA impugnati contengono previsioni immediatamente applicabili, dunque idonee a ledere la posizione della ricorrente che, in qualità di operatore accreditato presso il S.S.R., è necessariamente soggetta ai controlli amministrativi sulla congruità ed appropriatezza delle prestazioni erogate e, pertanto, destinata a subire l’attività di controllo secondo le regole dettate dall’Amministrazione.

9. Ritenuta la pertinenza della controversia a questo plesso giurisdizionale ed accertata la sussistenza dell’interesse ad agire, si procede con lo scrutinio del merito del ricorso all’esame del Collegio.

10. Con un primo ordine di censure, presente nel ricorso introduttivo e confermato nei motivi aggiunti, viene dedotta la contraddittorietà tra gli obiettivi prefissati e la concreta disciplina dell’attività di controllo di cui agli atti impugnati.

10.1. Si ritiene innanzitutto necessario premettere, per quanto qui di interesse, che la giurisprudenza ha in più occasioni chiarito che il potere autoritativo di programmazione sanitaria dell’Amministrazione si esprime “ anche attraverso la definizione del sistema dei controlli sull’attività assistenziale sanitaria e dei relativi criteri operativi, nonché del conseguente potere autoritativo di controllo, di definizione dei relativi esiti e di applicazione delle sanzioni, attesa la natura autoritativa e tecnicamente discrezionale, di tali determinazioni ” ( ex multis: C. di St. n. 3189/2015;
C. di St. n. 7406/2022).

L’attività posta in essere dall’Amministrazione regionale per effettuare la vigilanza e il controllo, dunque, è espressione di un potere discrezionale.

Ancora, deve essere evidenziato che gli atti oggetto del ricorso all’esame del Collegio sono atti autoritativi e vincolanti di programmazione e di organizzazione delle potestà pubbliche della Repubblica, svolte dalla Regione ai sensi del Titolo V della Costituzione, a tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività come direttamente sancito dall'articolo 32 della Costituzione.

Inoltre, la giurisprudenza chiamata ad esprimersi sull’applicabilità della legge 689/1981 a fattispecie analoghe alla presente, è granitica nell’affermare che: “ E’ da rigettare la doglianza con cui viene reiterata la censura concernente la violazione della riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. in materia di sanzioni amministrative. A parere dell’appellante, il legislatore non avrebbe rispettato tale riserva in quanto né le pertinenti leggi dello Stato, né quelle delle Regioni avrebbero sufficientemente precisato i presupposti ed il quantum delle sanzioni amministrative in materia di controlli esterni. In senso contrario va richiamato quanto già statuito da questa Sezione in analoghe controversie con le sentenze -OMISSIS-, che hanno dichiarato la corretta qualificazione delle decurtazioni pecuniarie da intendersi come misure ascrivibili ad un ambito distinto da quello tracciato dalla legge n. 689 del 1981 e direttamente afferente al rapporto di natura sostanzialmente concessoria di cui all'art. 8 octies, d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 e ss. (“le regioni, in attuazione dell'atto di indirizzo e coordinamento, entro sessanta giorni determinano: a) le regole per l'esercizio della funzione di controllo esterno e per la risoluzione delle eventuali contestazioni, stabilendo le relative penalizzazioni […]”). Alla luce di questo dato interpretativo di portata sostanziale (rinvenibile anche nelle considerazioni svolte ai fini del riparto di giurisdizione dal Consiglio di Stato, sez. III, -OMISSIS-) appare superabile l’argomento nominalistico riferito al ricorrente impiego nei DCA n. 58/2009 e n. 40/2012 di forme lessicali echeggianti il concetto di “sanzione amministrativa” in senso proprio. Le penalità applicate dalla parte pubblica fanno tutt’uno con l'esercizio del potere autoritativo di programmazione sanitaria espresso attraverso la definizione del sistema dei controlli sull'attività sanitaria e dei relativi criteri operativi, tanto vero che la struttura accreditata, per sottrarsi alle "sanzioni" applicate, è tenuta ineludibilmente a contestare la legittimità dell'esplicazione degli specifici poteri di vigilanza e controllo sulla correttezza della gestione. Dunque, la correlazione tra potere di vigilanza e potere sanzionatorio rende, per un verso, il provvedimento sanzionatorio ascrivibile alla materia dei servizi pubblici, risultando la penalità direttamente funzionale alla tutela dell'interesse pubblico al corretto espletamento del servizio e non al mero ripristino della legalità violata;
per altro verso, dal punto di vista del soggetto destinatario della sanzione, detta correlazione determina un intreccio di diritti soggettivi e di interessi legittimi che rende compatibile l'affermazione della giurisdizione del G.A. al quadro delineato dalla Corte Costituzionale con la sentenza -OMISSIS- (laddove la qualificazione in termini di sanzione amministrativa motiverebbe l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario ex art. 22 l. n. 689/1981). La riepilogata qualificazione ha trovato l’avallo anche delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (si vedano le pronunce -OMISSIS), secondo le quali il modello di controllo strutturato dai DM del 2009 e del 2012 manifesta una “totale incompatibilità giuridica con lo schema di principio che regge la materia delle sanzioni amministrative pecuniarie secondo la L. n. 689 del 1981” (Cass., S.U. -OMISSIS-) e pone capo a penalità patrimoniali (impropriamente definite “sanzioni” nei Decreti 2009 e 2012) direttamente funzionali alla tutela dell'interesse pubblico al corretto espletamento del servizio-sanità (così Cass. S.U. -OMISSIS-, che fa richiamo all'applicazione delle penali nella materia delle concessioni di pubblico servizio: v. Cass. S.U. -OMISSIS-)
” (cfr. C. di St. n. 6153/2022. Nello stesso senso, ex multis : C. di St. n. 6224/2021 e n. 4719/2021;
Corte di Cassazione n. 18168/2017 e n. 23540/2019).

Conseguentemente, con particolare alla fisionomia dell’apparato sanzionatorio, non è predicabile la sussistenza di contraddittorietà o di inadeguatezza della disciplina di cui agli atti impugnati rispetto agli obiettivi di buona amministrazione prefissati, considerando che da una piana lettura dei provvedimenti gravati si evince che le previsioni in essi contenute non presentano quei connotati di indeterminatezza ed incongruità che gli vengono attribuiti dalla parte ricorrente, anche considerando quanto chiarito dalla giurisprudenza che ha avuto modo di sviscerare la questione.

Parimenti, rileva l’intervenuta emanazione della disciplina applicativa di cui al “ Documento degli eventi oggetto di controllo e modalità di effettuazione dei controlli della attività sanitaria ospedaliera ”, del 24 novembre 2017, che conduce al superamento di parte delle obiezioni della ricorrente sul punto.

10.2. Parimenti, in relazione alle censure mosse al c.d. “moltiplicatore”, questo Tribunale ha già avuto modo di affermare che: “ Premesso, infatti, che la scelta dell'entità di una sanzione amministrativa è riservata alla discrezionalità dell'amministrazione, in nessun modo censurabile in sede di giudizio di legittimità tranne i casi di manifesta incongruenza o illogicità, il Collegio sottolinea che la quantificazione della contestate misure sanzionatorie risulta razionalmente raccordata con le finalità pubbliche perseguite concernenti il corretto svolgimento da parte della singola struttura dell'attività sanitaria accreditata. Invero, non può essere seriamente contestato che più è alta la percentuale delle cartelle cliniche risultate inappropriate rispetto al campione esaminato, più è palese il non corretto svolgimento della suddetta attività, che diventa patologico nei casi in cui tale percentuale assume valori superiori ad una certa soglia, per cui, correttamente, l'entità della contestata sanzione è stata correlata progressivamente all'entità della citata percentuale al fine di incentivare l'osservanza al rispetto del corretto svolgimento dell'attività accreditata da parte delle singole strutture ” (TAR Roma n. 9169/2020).

Peraltro, rispetto al passato, il moltiplicatore come oggi rimodulato, prevede meccanismi “calmieranti” posto che in caso di accettazione dell’esito dei controlli e/o di pagamento entro 60 giorni dalla richiesta, l’importo delle penalizzazioni aggiuntive si riduce di un terzo, e che in ogni caso l’importo richiesto alla Struttura a titolo di penalizzazione aggiuntiva non può superare il 30% del budget assegnato alla medesima nell’anno in cui sono state effettuate le prestazioni oggetto di controllo (fatta salva in questo caso l’avvio di una procedura di valutazione dell’erogatore).

10.3. Ancora, contrariamente a quanto genericamente dedotto dalla ricorrente, i DCA impugnati definiscono puntualmente l’oggetto del controllo, la procedura da seguire, nonché i criteri da applicare, anche richiamando le norme di settore (Decreto del Ministero della salute del 7 dicembre 2016, n.261 “ Regolamento recante modifiche ed integrazioni del decreto 27 ottobre 2000, n.380 e successive modificazioni, concernente la scheda di dimissione ospedaliera ”;
disciplinare tecnico di cui al DM 380/2000 “ Istruzioni per la compilazione e la codifica delle informazioni riportate nella scheda di dimissione ospedaliera e per il corretto utilizzo della classificazione ICD-9- CM versione italiana ”;
versione italiana 2007 del Manuale ICD-9-CM, con le relative linee guida di codifica ministeriali 2010).

10.4. In generale, non è condivisibile la contestazione relativa alla presunta assenza di sufficienti termini e limiti all’azione dell’amministrazione in sede di controllo e di garanzie per il concessionario.

Infatti, considerando la peculiarità del rapporto, l’ampia discrezionalità di cui dispone l’amministrazione nel regolare il delicato aspetto in esame, nonché l’originaria asimmetria informativa tra le parti, risultando chiaro che il concessionario conosce in anticipo le sue prassi ed i possibili profili di criticità mentre l’amministrazione è tenuta ad individuarli attraverso una ben più onerosa attività istruttoria di indagine, non sussistono i profili di manifesta irragionevolezza nella regolazione del rapporto dedotti in ricorso.

10.5. Per le ragioni su esposte, non si ritiene che le censure in esame presentino elementi di fondatezza.

11. Respinte le censure di cui al ricorso introduttivo, si procede con l’esame delle doglianze sollevate avverso le modifiche ed integrazioni apportate dal DCA n. 509/2018 al DCA n. 218/2017.

12. Con i menzionati motivi aggiunti si eccepisce anzitutto la illegittimità propria e derivata della novella di cui al ricordato DCA, sostenendosi la sussistenza di illegittimità per tutto quanto dedotto con il ricorso introduttivo a carico del DCA n. 217/18.

13. Tale censura non può che trovare respingimento visto quanto sopra accertato con riguardo al ricorso introduttivo.

14. Con una seconda contestazione in parte autonoma si sostiene il difetto di terzietà della Commissione, la violazione di legge, l’eccesso di potere sotto diverse forme.

15. In particolare, gli atti impugnati vengono censurati nella parte in cui non prevedono la nomina di un componente per parte e del terzo di accordo tra i due nominati oppure da parte di organismo terzo. Inoltre il termine per la conclusione del relativo procedimento non è chiaro se debba intendersi come perentorio.

16. La predetta censura non appare fondata.

17. L’Amministrazione, infatti, dopo aver constatato le difficoltà ad istituire una Commissione come configurata dal DCA del 2017, ha proceduto correttamente, sia per efficacia che per il buon andamento dell’attività amministrativa, nel corretto esercizio del proprio potere discrezionale, a ripristinare lo status quo ante , che comunque era collaudato e che era stato ritenuto legittimo dalle pronunce giurisprudenziali intervenute sul punto ( ex multis : C. di St. n. 6153/2022;
TAR Roma n. 9169/2020).

Ad ogni modo, la ricorrente omette di considerare che la risoluzione delle discordanze risulta essere comunque un’attività amministrativa in quanto costituisce una sorta di proseguimento dell'attività di controllo che non esclude in alcun modo la tutela giurisdizionale e, pertanto, da un lato non si pone in contrasto con i principi delineati dalla Corte Costituzionale in tema di necessaria volontarietà della rinuncia alla giurisdizione e, dall'altro, non richiede necessariamente che l'organo cui sia devoluta tale attività sia caratterizzato dalla terzietà rispetto alle parti interessate. Nella specie, infatti, si tratta di rimedi giustiziali predisposti all'interno dell'apparato amministrativo e se ne può quindi, per tale ragione, ben riconoscere la legittimità, alla stregua di quanto generalmente riconosciuto per i ricorsi gerarchici, propri e impropri, e per quelli in opposizione alla stessa autorità emanante provvedimenti amministrativi. D'altra parte, il privato conserva integralmente la facoltà di tutelare i propri interessi e le proprie posizioni anche dinanzi alle sedi giurisdizionali competenti (si veda in tal senso TAR Roma n. 9169/2020;
n. 5261/2015)

18. Quanto all’assenza di termini perentori, deve dirsi che tale previsione è coerente con il carattere amministrativo delle procedure di risoluzione delle controversie e non presenta evidenti profili di irragionevolezza, oltre a risultare di per sé non lesiva degli interessi della ricorrente.

19. In definitiva, il ricorso e i motivi aggiunti in esame sono infondati per le ragioni sopra esposte.

20. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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