TAR Roma, sez. II, sentenza 2020-01-14, n. 202000370

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2020-01-14, n. 202000370
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202000370
Data del deposito : 14 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/01/2020

N. 00370/2020 REG.PROV.COLL.

N. 04331/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4331 del 2018, proposto dal Comune di Sangineto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia nonchè in Roma, via Francesco De Sanctis n. 4;

contro

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro pro tempore, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia nonchè in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Calabria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giorgio Vizzari e Gianclaudio Festa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia nonchè in Roma, via di Valle Alessandra 59;

per l'annullamento, previa sospensione

-della nota prot. 9155 del 18.1.2018 notificato al Comune di Sangineto inpari data tramite pec, ad oggetto: esecuzione sentenza della Corte di Giustizia UE del 2 dicembre 2014, Causa C 196/13.Condanna della Repubblica Italia per inadempimento e mancata esecuzione delle direttive in materia di rifiuti. Reintegro delle somme anticipate dal Ministero dell’economia e delle finanze. Intesa ex art. 43, comma 7, della legge 234/2012, con cui il M.E.F. Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato invitava il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nonché le altre amministrazioni in indirizzo a voler definire gli elementi istruttori di competenza propedeutici al raggiungimento dell’intesa di cui all’art. 43 comma 7 l. 234/201 nonché per l’annullamento di ogni altro atto presupposto e conseguente e/o comunque connesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Regione Calabria e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 novembre 2019 il dott. F M T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250), emessa il 26 aprile 2007, la Corte di Giustizia UE ha accolto il ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione ai sensi dell’articolo 226 CE, dopo aver constatato che la Repubblica italiana era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti su di essa incombenti, ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, all’art. 2, par. 1, della direttiva 91/689, nonché dell’art. 14, lettere da a) a c), della direttiva 1999/31, per non aver adottato tutti i provvedimenti necessari per l’attuazione delle suddette disposizioni.

Con successiva sentenza in data 2 dicembre 2014, lo Stato italiano è quindi stato condannato a versare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell’'Unione europea», la somma forfettaria di € 40 milioni, nonché, a partire dal giorno di pronuncia della stessa e fino all’esecuzione della sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250), una penalità semestrale calcolata: per il primo semestre successivo alla decisione, in un importo iniziale fissato in € 42.800.000, dal quale sarebbero stati detratti, per ogni altra discarica messa a norma conformemente a detta sentenza, rispettivamente € 400.000, se contenente rifiuti pericolosi, ed € 200 000 in tutti gli altri casi.

La condanna in questione è stata comminata per non aver la Repubblica italiana adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza Commissione/Italia (C-135/05, EU:C:2007:250) e per essere, perciò, venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza dell’articolo 260, paragrafo I, TFUE.

Si è ivi affermato che, infatti, la Repubblica italiana non è stata in grado di dimostrare che l’inadempimento constatato nella sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250) fosse effettivamente cessato.

La data di riferimento per valutare l’esistenza di un inadempimento era quella della scadenza del termine stabilito nel parere motivato della Commissione (26 giugno 2009), per cui essa era rappresentata dal 30 settembre 2009.

Si è respinto l’argomento della Repubblica italiana secondo cui i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche sarebbero sufficienti per conformarsi a quanto prescritto dall’art. 4 della direttiva 75/442, sostenendo che, al contrario, uno Stato membro è altresì obbligato a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all’occorrenza, a provvedere in tal senso.

Si è altresì affermato in sentenza che in certi siti i lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati alla scadenza della proroga del termine fissato nel parere motivato, mentre per altri siti la Repubblica italiana non aveva fornito alcuna indicazione utile a determinare la data in cui le operazioni di bonifica sarebbero state eventualmente attuate, per cui la Corte ha ritenuto fondata la censura della Commissione basata sulla persistente violazione dell’art. 4 della direttiva 75/442.

Per quanto concerne la censura relativa alla violazione dell’art. 8 della direttiva 75/442, la Corte ha evidenziato che, in base a detta disposizione, volta a garantire l’attuazione del principio dell’azione preventiva, gli Stati membri sono tenuti ad accertarsi che il detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un’impresa che effettua le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti, oppure che vi provveda direttamente, conformandosi alle disposizioni della direttiva. Tale obbligo non è soddisfatto quando lo Stato membro si limiti ad ordinare il sequestro della discarica abusiva e ad avviare un procedimento penale contro il gestore di tale discarica.

Lo Stato italiano si è, invece, limitato ad affermare che le discariche in questione erano chiuse alla data di scadenza della proroga del termine impartito nel parere motivato e che le sanzioni penali previste in materia dal diritto nazionale sono adeguate, senza dichiarare che, in assenza di recupero o di smaltimento dei rifiuti di cui trattasi da parte del loro detentore, tali rifiuti erano stati consegnati a un raccoglitore privato o pubblico o ad un’impresa che effettua queste operazioni. Sulla scorta di tali circostanze ha Corte ha, quindi, affermato che, allo scadere della proroga, la Repubblica italiana continuasse a non soddisfare l’obbligo specifico e che, pertanto, la censura della Commissione relativa alla violazione di tale articolo dovesse essere accolta.

Infine, per quanto concerne la censura relativa alla violazione dell’art. 9 della direttiva 75/442, la Corte ha ricordato che esso impone agli Stati membri di prescrivere che le imprese o gli stabilimenti che svolgono operazioni di smaltimento di rifiuti sul loro territorio devono essere titolari di un’autorizzazione e di assicurarsi che il regime autorizzatorio prescritto sia effettivamente applicato e rispettato, effettuando a tal fine controlli adeguati e garantendo la cessazione delle operazioni svolte senza autorizzazione, nonché di applicare effettivamente le sanzioni in caso di accertamento di violazioni. Di conseguenza, la mera chiusura di una discarica non è sufficiente per conformarsi all’obbligo derivante dall’art. 9 della direttiva 75/442.

Si osserva in sentenza che lo Stato italiano si è limitato ad affermare che tutte le discariche indicate dalla Commissione risultavano chiuse alla scadenza del termine impartito, riconoscendo, tuttavia, che i gestori di alcune di esse non erano mai stati titolari di autorizzazione.

Relativamente alla censura vertente sulla violazione dell’art. 2, par. 1, della direttiva 91/689, si è rilevato che, ai sensi di tale disposizione, gli Stati membri devono adottare i provvedimenti necessari ad imporre che, ovunque siano depositati, i rifiuti pericolosi siano catalogati e identificati, mentre la Repubblica italiana non ha dimostrato di aver provveduto, entro lo scadere della proroga del termine impartito nel parere motivato, ad una catalogazione e identificazione esaustiva di ciascuno dei rifiuti pericolosi depositati nelle discariche indicate dalla Commissione.

Per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’art. 14, lettere da a) a c), della direttiva 1999/31, si è sostenuto che uno Stato membro viola gli obblighi su di esso incombenti, quando autorizza l’utilizzo di una discarica senza la previa sottoposizione di un piano di riassetto all’approvazione delle Autorità competenti.

La Repubblica italiana non ha dichiarato, per i siti di cui trattasi, che erano stati depositati presso l’Autorità competente i piani di riassetto, limitandosi ad affermare che la chiusura di tutte le discariche indicate alla scadenza del termine fissato nel parere motivato.

Inoltre, in assenza, nel fascicolo di causa, di qualsiasi elemento che consentisse di concludere nel senso della tenuta di un catalogo dei rifiuti pericolosi presenti nelle discariche (la Commissione ha sostenuto che esso mancherebbe per 14 discariche), la Corte ha concluso che lo Stato italiano continuava, per tali discariche, a violare anche l’obbligo derivante dall’art. 2, par. 1, della direttiva 91/689.

Infine, quanto alle due discariche di cui è dedotta la perdurante non conformità all'articolo 14, lettere da a) a c), della direttiva 1999/31, la Repubblica italiana non ha dimostrato la presentazione o l'approvazione di piani di riassetto oppure di decisioni definitive di chiusura.

Si afferma nella sentenza in parola che si registra ancora un numero importante di discariche abusive in quasi tutte le Regioni italiane.

2. Con il presente ricorso il Comune di Sangineto impugna la nota prot. 9155 del 18.01.2018, con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria dello Stato ha riattivato la procedura volta ad ottenere il reintegro delle anticipazioni effettuate dallo stesso per il pagamento delle sanzioni comminate dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea con la citata sentenza del 2 dicembre 2014.

Il Comune ricorrente, in particolare, viene chiamato in causa per la discarica sita sul proprio territorio.

Sono stati dedotti i seguenti motivi di censura:

1) Violazione e/o falsa e/o erronea applicazione degli artt. 242 e 250 D.Lgs 162/06 in relazione all’art. 117, II comma, lett. s) Costituzione. Erronea qualificazione dei presupposti di fatto e di diritto nel ravvisare la responsabilità solidale del Comune. Illegittimità derivata. Responsabilità esclusiva dello Stato e/o concorrente con la Regione.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 43 legge 234/2012 – violazione falsa applicazione degli artt. 250 e 242 D.Lgs 152/2006 – violazione del procedimento di rivalsa per raggiungimento del quantum – difetto di presupposti – eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erronea valutazione dei fatti – difetto di motivazione – illegittimità.

Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, la quale ha aderito alle prospettazioni difensive della parte ricorrente.

Si sono altresì costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri dell’Economia e delle Finanze e dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Nella camera di consiglio del 9 maggio 2018, fissata per la trattazione della domanda cautelare, incidentalmente proposta dal Comune ricorrente, su concorde istanza avanzata dai difensori delle parti, valutata l’esigenza della trattazione del giudizio nel merito, è stata disposta la cancellazione della causa dal ruolo delle sospensive.

All’udienza pubblica del 6 novembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Occorre inquadrare la vicenda individuando la normativa alla stessa applicabile ed esaminare il contenuto dell’atto impugnato, in primo luogo per accertarne la natura.

Si è visto in precedenza che il Comune di Sangineto censura in questa sede la nota prot. 9155 del 18.01.2018, con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria dello Stato ha riattivato la procedura volta ad ottenere il reintegro delle anticipazioni effettuate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per il pagamento delle sanzioni comminate dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea con la sentenza del 2 settembre 2014, lamentando che, in relazione alla discarica de qua ubicata nel proprio territorio, sarebbe stata chiesta al medesimo la corresponsione della somma complessiva di € 1.188.223,50.

Deve rilevarsi che, in base al citato art. 43 della legge n. 234/2012, “Lo Stato ha diritto di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1 [obbligo di adottare ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa dell’Unione europea] degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea” (comma 4).

Lo Stato esercita il diritto di rivalsa di cui ai commi 3, 4 e 10 nei modi indicati al comma 7, qualora l’obbligato sia un ente territoriale (comma 5, lett. a).

La misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa è stabilita con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, da emanarsi previa intesa sulle modalità di recupero con gli Enti obbligati (commi 6 e 7).

Secondo i commi 7 e 8: “7. I decreti ministeriali di cui al comma 6, qualora l’obbligato sia un ente territoriale, sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati. Il termine per il perfezionamento dell’intesa è di quattro mesi decorrenti dalla data della notifica, nei confronti dell’ente territoriale obbligato, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. L’intesa ha ad oggetto la determinazione dell’entità del credito dello Stato e l’indicazione delle modalità e dei termini del pagamento, anche rateizzato. Il contenuto dell’intesa è recepito, entro un mese dal perfezionamento, con provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze, che costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più provvedimenti del Ministero dell’economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento disciplinato nel presente comma.

In caso di mancato raggiungimento dell’intesa, all’adozione del provvedimento esecutivo indicato nel comma 7 provvede il Presidente del Consiglio dei Ministri, nei successivi quattro mesi, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più provvedimenti del Presidente del Consiglio dei Ministri in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento disciplinato nel presente comma.”.

In base al comma 9 bis della disposizione in esame: “Ai fini della tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al pagamento degli oneri finanziari derivanti dalle predette sentenze si provvede a carico del fondo di cui all’articolo 41-bis, comma 1, della presente legge, nel limite massimo di 50 milioni di euro per l’anno 2016 e di 100 milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. A fronte dei pagamenti effettuati, il Ministero dell’economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse.”.

Dalla lettura dell’articolata riportata disposizione si ricava che è prevista ex lege un’azione di rivalsa dello Stato italiano nei confronti dei soggetti che si accertino essere responsabili delle infrazioni per le quali esso ha subito una sentenza di condanna, emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 260, par. 2 e 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

L’iter previsto a tal fine è fortemente procedimentalizzato e le singole fasi sono ivi puntualmente descritte.

Segnatamente nell’ipotesi in cui i soggetti obbligati siano (o possano essere) Enti territoriali, come nella specie, deve essere prima raggiunta tra questi e lo Stato italiano un’intesa, il cui contenuto è recepito con provvedimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati.

In caso invece di mancato raggiungimento dell'intesa, deve essere adottato un provvedimento esecutivo dal Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Nella specie, una volta che la Corte di Giustizia dell’Unione europea in data 2 dicembre 2014 ha condannato lo Stato italiano per non aver adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza Commissione/Italia (C-135/05, EU:C:2007:250) e per essere, perciò, venuto meno agli obblighi su di esso incombenti in forza dell’art. 260, par. I, TFUE, si è aperto l’iter procedimentale teso a consentire allo Stato stesso di esercitare la rivalsa nei confronti dei soggetti responsabili.

In data 26 marzo 2016 si è tenuta la riunione della Conferenza unificata.

Con nota n. 31515 del 1° aprile 2016, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha avviato il procedimento per l’acquisizione dell’intesa prevista dall’art. 43, comma 7, della legge n. 234/2012.

Quindi, con note del 2 maggio 2016 e del 12 maggio 2016, il Presidente dell’ANCI ed il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Provincie autonome hanno chiesto la costituzione di un tavolo tecnico e nel corso della riunione tecnica del 18 maggio 2016 sono emerse varie criticità in ordine alla richiamata procedura.

Pertanto le Autonomie regionali e locali hanno chiesto di sospendere la decorrenza del termine di 90 giorni fissato nella nota di avvio della procedura di rivalsa da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Conseguentemente, con nota n. 47484 del 26 maggio 2016, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, accogliendo la suddetta richiesta, ha sospeso la suddetta procedura di rivalsa, in vista della costituzione di un tavolo tecnico.

È infine seguita l’impugnata nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze MEF RGS prot. 9152 del 18 gennaio 2018, con la quale si è invitato il “Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare a voler definire, unitamente con le altre Amministrazioni in indirizzo, gli elementi istruttori di propria competenza, propedeutici al raggiungimento dell’intesa di cui al citato art. 43, comma 7, della legge 234/2012, comunicandone gli esiti a(l) […] Dipartimento” della Ragioneria generale dello Stato, “ai fini dell’adozione dei provvedimenti di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze.”.

Si è ivi ulteriormente precisato che, “in mancanza degli elementi che consentano il raggiungimento dell'intesa, si” sarebbe provveduto, “ai sensi dell’art. 43, comma 8, primo periodo, della medesima legge 234/2012 a comunicare tale circostanza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’adozione dei provvedimenti di propria competenza”.

Dal testo della nota, appena richiamato, si evince in modo chiaro la sua natura di atto endoprocedimentale, vale a dire di atto privo di carattere provvedimentale e, come tale, di portata lesiva nei confronti dei Comuni destinatari, tra cui si annovera quello ricorrente.

In nessun punto, infatti, essa contiene precise statuizioni, in termini di obbligo di corrispondere un quantum, quale conseguenza dell’azione di rivalsa dello Stato italiano nei confronti degli Enti territoriali.

In particolare, si demanda ogni eventuale obbligo di ‘dare’ sempre ad un momento successivo, nel quale si dovrà cercare di raggiungere un’intesa per ottenere una soluzione condivisa da tutti gli attori, intesa all’esito della quale dovrà comunque essere adottato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze uno specifico atto provvedimentale. Solo nell’ipotesi in cui tale intesa non dovesse essere raggiunta il provvedimento dovrà essere emesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Allo stato manca, perciò, un nocumento in capo al Comune ricorrente, non essendo certo né l’an né il quantum debeatur, quale quota a suo carico della sanzione che lo Stato è stato chiamato a pagare a causa della presenza sul suo territorio delle discariche e degli altri siti inquinati e delle correlate violazioni a numerose disposizioni contenute in direttive europee.

Infatti l’atto de quo s’inserisce nell’articolata attività procedimentale prevista ex lege.

Non possono certamente spostare i termini della questione i dati contenuti nella tabella allegata alla nota gravata, nella quale, accanto al nome di ciascun Comune ivi indicato, è riportata una determinata somma di denaro quantificata in relazione al sito ivi ubicato.

Occorre precisare, infatti, al riguardo che una tale indicazione non ha alcun valore cogente, né esprime ex ante ed a prescindere dal raggiungimento dell’intesa il “contributo” che l’Ente territoriale è chiamato a versare quale soggetto responsabile dell’inquinamento.

L’operazione che è stata fatta è meramente matematica: è stata eseguita una ripartizione in astratto, sulla base esclusivamente di dati oggettivi, del costo della sanzione che lo Stato italiano è stato condannato a pagare dalla Corte di Giustizia UE, senza stigmatizzare alcun preciso obbligo in tal senso in capo a ciascun Ente territoriale, come quello ricorrente.

In altre parole, l’esito dell’intesa, ancora da acquisire, può dare luogo ad altri risultati, come la previsione di un importo differente da versare, da parte di quest’ultimo, o addirittura l’assenza di alcun obbligo di pagare, in capo allo stesso.

Anche nel caso in cui essa non fosse raggiunta, si tratta pur sempre di un atto endoprocedimentale, spettando poi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri assumere le sue determinazioni al riguardo.

Perciò anche sotto il profilo in ultimo considerato l’atto impugnato è privo di portata lesiva.

4. Ne consegue che il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile, per carenza di interesse.

In ragione della peculiarità della questione esaminata si ravvisano i presupposti per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

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