TAR Roma, sez. II, sentenza 2022-09-13, n. 202211836

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2022-09-13, n. 202211836
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202211836
Data del deposito : 13 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/09/2022

N. 11836/2022 REG.PROV.COLL.

N. 08556/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8556 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Associazione Area 167, in persona del legale rappresentante pro tempore , G D P, D P e A F, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati S P e A C, con domicilio digitale in atti;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato A M, con domicilio digitale in atti e domicilio fisico eletto presso la sede dell’Avvocatura dell’ente, in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

nei confronti

Giorgio Trabucco, rappresentato e difeso dall'avvocato Vincenzo D'Audino, con domicilio digitale in atti e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso D’Italia, n. 29;
Cristiano Villani, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

quanto al ricorso introduttivo,

- della deliberazione della Giunta Capitolina n. 103 del 5 giugno 2020, pubblicata nell'albo pretorio on line di Roma Capitale in data 13 giugno 2020, avente ad oggetto: “ Semplificazione delle modalità per la presentazione delle istanze di affrancazione degli immobili ricadenti in aree ex L. n. 167/1962, relativamente al calcolo per la determinazione del relativo corrispettivo, secondo i criteri di cui alla Deliberazione A.C. n. 116/2018 ”;

- del parere favorevole del 21 maggio 2020, ai sensi dell'art. 49 del T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, reso dal dirigente della U.O. edilizia sociale del dipartimento programmazione e attuazione urbanistica del comune di Roma Capitale;

- del parere favorevole del 21 maggio 2020 del direttore del dipartimento programmazione e attuazione urbanistica con il quale ha attestato la coerenza della proposta di deliberazione in oggetto con i documenti di programmazione della amministrazione;

- del parere favorevole del 5 giugno 2020 del Ragioniere generale del Comune di Roma Capitale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 49 del d.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000;

- nonché di ogni altro atto presupposto e/o consequenziale, ancorché non conosciuto dai ricorrenti;

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti,

- del decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze n. 151 del 28 settembre 2020, pubblicato sulla G.U. n. 280 del 10 novembre 2020, avente ad oggetto: “ Regolamento recante rimozione dai vincoli del prezzo gravanti sugli immobili costruiti in regime di edilizia convenzionata ”, nonché di ogni altro atto presupposto e/o consequenziale, ancorché non conosciuto dai ricorrenti;

quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti,

- della deliberazione dirigenziale protocollo n. QI/136275/2020, repertorio QI/1746/2020 del 20 novembre 2020 e successivamente pubblicata nell'albo pretorio on line del comune di Roma Capitale, avente ad oggetto: “ Linee Guida afferenti la semplificazione della procedura per l'affrancazione/rimozione dei vincoli convenzionali del prezzo massimo di cessione nonché del canone massimo di locazione, relativamente a porzioni immobiliari destinate ad unità abitative e loro pertinenze realizzate nel regime convenzionale di cui all'art. 35 della Legge n. 865/1971 e adeguamento dei relativi schemi convenzionali in uso ai sensi della Deliberazione Giunta Capitolina n. 103 del 5.06.2020 ”;

- nonché della documentazione ad essa allegata e in particolare: i) Allegato Sub A “ Linee Guida Procedura semplificata - Decreto MEF del 28 settembre 2020 ”;
ii) Allegato Sub B e Sub C “ Dichiarazione e Relazione Asseverata - Decreto MEF n.151-2020 ” e “ Modulo di richiesta aggiornamento del canone - Decreto MEF n.151-2020 ”;

- nonché di ogni altro atto presupposto e/o consequenziale, ancorché non conosciuto dai ricorrenti;

quanto al terzo ricorso per motivi aggiunti,

- della deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 10 del 1° febbraio 2022;

- della presupposta, “ Proposta di Deliberazione che si sottopone all’approvazione dell’Assemblea Capitolina ” n. prot. QI/210457 del 14 dicembre 2021, avente ad oggetto, “ Presa d’atto dei contenuti della Sentenza della Corte Costituzionale n. 210 del 23.09.2021. Cessazione dei vincoli convenzionali del prezzo massimo di cessione e del canone di locazione riguardo unità immobiliari realizzate ex art. 35 della Legge 865/1971 in diritto di proprietà o trasformate da diritto di superficie in diritto di proprietà ”;

- nonché ogni altro atto presupposto e/o consequenziale, ancorché non conosciuto dai ricorrenti ed in particolare, del verbale n. 2/2022 della Commissione Urbanistica del comune di Roma Capitale – seduta del 26 gennaio 2022, pag. 2, par. 2, nella parte in cui il direttore del Dipartimento PAU ha ritenuto che con l’approvazione della qui gravata deliberazione n. 10/2022 dell’Assemblea Capitolina, i vincoli convenzionali decadrebbero automaticamente anche per le convenzioni in diritto di piena proprietà approvate nell’ambito del 1° PEEP, anche se stipulate antecedentemente alla l. n. 179/1992.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Giorgio Trabucco;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2022 la dott.ssa Eleonora Monica e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il presente gravame, i ricorrenti, proprietari di alloggi edificati, in diritto di superficie, in aree P.E.E.P., affermano il loro interesse a non “ subire ” forzosamente l’affrancazione dei loro immobili dal prezzo massimo di cessione senza il loro consenso in relazione all’estinzione (che ne deriverebbe) del loro diritto alla restituzione dell’eccedenza da costoro corrisposta quali acquirenti a prezzo di mercato, per l’effetto impugnando la deliberazione della Giunta Capitolina n. 103 del 5 giugno 2020, adottata in applicazione dell’art. 31, comma 49 bis , della l. n. 448/1998 (come sostituito dall'art. 25 undecies , comma 1, lett. a), del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2018, n. 136), che ha esteso la facoltà di richiedere l’affrancazione a tutte le “ persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile ” e, quindi, a chi ha già alienato l’immobile, che potrebbe avervi interesse nel caso in cui il suo avente causa agisca nei suoi confronti per richiedergli la restituzione dell’eccedenza rispetto al prezzo massimo derivante da convenzione, atteso che le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n.18135/2015, hanno affermato il principio secondo cui il vincolo del prezzo massimo di cessione degli alloggi realizzati su aree P.E.E.P. segue il bene, con efficacia indefinita, a meno che non intervenga una convenzione ad hoc , atta a rimuoverlo.

Con l’atto impugnato, Roma Capitale ha, infatti, stabilito che:

a) dall’entrata in vigore del presente provvedimento – ed anche con riferimento ad istanze già presentate - le persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile, in alternativa alla modalità ordinaria, possano effettuare in proprio, a loro esclusiva cura e spese e senza alcun diritto a ripetizione o rifusione di somme a tale titolo, il calcolo per la determinazione del corrispettivo di affrancazione, secondo la modalità stabilita con Deliberazione A.C. n.116/2018. A tal fine, ci si potrà avvalere anche della modalità esemplificata dal simulatore di calcolo presente sul sito istituzionale di Roma Capitale, previo inserimento dei dati identificativi dell’immobile nonché dei parametri desumibili dalla Convenzione ex art. 35 della legge n.865/1971;

b) detto calcolo sia contenuto in una relazione tecnica redatta e sottoscritta da un professionista abilitato, ove si dia certezza dei contenuti “sotto la propria personale responsabilità”, attestandone, con un’apposita dichiarazione, la veridicità, con la conseguente consapevolezza di risponderne anche penalmente per eventuali falsi ideologici, oltre che materiali, in essa contenuti ai sensi degli artt.359 e 481 del Codice Penale. La relazione tecnica con cui viene trasmesso il calcolo del corrispettivo di affrancazione dovrà essere asseverata dal professionista che lo ha effettuato, nonché sottoscritta dal cittadino istante, ai sensi del D.P.R. n.445/2000;

c) il calcolo, come sopra effettuato e asseverato, verrà accettato ai fini della stipula della convenzione integrativa di affrancazione dell’immobile di interesse, fatti salvi i conguagli e le verifiche che saranno effettuate dagli uffici, a seguito dell’approvazione del Decreto attuativo, da emanarsi a cura del Ministero dell’Economia e Finanze, ai sensi dell’art. 25-undecies della L.136/2019, modificativo del comma 49 bis dell’art.31 della legge n.448/1998, con cui verrà definita la percentuale da applicarsi al calcolo del corrispettivo di affrancazione dovuto al Comune;

d) l’istanza e la perizia dovranno essere corredate anche dalla documentazione attestante il pedissequo rispetto della formula indicata nella deliberazione A.C. n.116/2018, nonché da tutti gli atti da cui sono stati desunti i parametri utilizzati per il calcolo, al fine delle conseguenti verifiche d’ufficio che comunque dovranno essere effettuate in misura crescente e in percentuali annue non inferiori a quelle già in essere in tema di autocertificazione;

e) successivamente all’approvazione del presente provvedimento, dovrà essere pubblicata, sul sito istituzionale di Roma Capitale, la modulistica da utilizzare per la redazione della perizia di cui al secondo punto del presente dispositivo, contenente l’analisi tecnica esemplificativa attraverso la quale si è pervenuti alla determinazione del “quantum debeatur” per la rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione gravante sull’immobile realizzato ex legge n.167/1962;

f) al momento dell’emanazione ed entrata in vigore del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze, ovvero di altra normativa, sia di rango legislativo che di altra fonte anche amministrativa, la disciplina riguardante il tema della rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione potrà essere integrata ed adeguata con provvedimenti ed atti di natura dirigenziale. ”.

Parte ricorrente chiede, in particolare, l’annullamento di detta determinazione, nonché di tutti gli atti ad essa presupposti, articolando i seguenti motivi di doglianza.

1.1. Con la prima censura i ricorrenti prospettano un dubbio di legittimità costituzionale del citato dell'art. 31, commi 49 bis , 49 ter e 49 quater (come modificato dall’art. 25 undecies del d.l. n. 119/2018), nella parte in cui ha modificato il preesistente regime dell’affrancazione, estendendo la legittimazione all’affrancazione alle “ persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile ”, prevedendo che, in pendenza della procedura di rimozione del vincolo, il contratto di trasferimento dell’alloggio non produca effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato e stabilendo che l’eventuale pretesa di rimborso dell’eccedenza si estingua con la rimozione del vincolo e che l’affrancazione determini, altresì, l’eliminazione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva.

Affermano, dunque, la contrarietà di tali previsioni rispetto agli artt. 3, 24, 42, 47, secondo comma, 77, secondo comma, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione (quest'ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) nonché all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU), conseguentemente domandando – altresì - di sospendere il processo, ex artt. 79 c.p.a. e 295 c.p.c. in attesa dell’esito del procedimento di costituzionalità (all’epoca ancora) pendente su tali stesse questioni innanzi alla Corte Costituzionale, su iniziativa dell’Arbitro unico di Roma (adito in virtù di convenzione di arbitrato rituale) con ordinanza dell’11 settembre 2020.

1.2. Ferme restando tali (pregiudiziali) questioni di legittimità costituzionale, la parte ricorrente formula, poi, nei confronti della determinazione impugnata tutta una serie di altre censure, quali, in particolare:

i) la violazione del comma 49 bis dell’art. 31 della l. n. 448/1998, che - nel rimettere al decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze la definizione del corrispettivo - impedisce ai comuni di regolamentare la materia dell’edilizia convenzionata, affermando che “ Il comune di Roma Capitale, … con gli atti qui gravati, pretenderebbe di continuare a determinare il valore del corrispettivo di “affrancazione” degli alloggi in questione dal vincolo del prezzo massimi di cessione, continuando ad applicare i parametri contenuti nella deliberazione n. 116/2018 ”;

ii) la violazione dell’art. 46 del d.P.R. 445/2000 in materia di “ Dichiarazioni sostitutive di certificazioni ”, atteso che “ E’ assolutamente evidente che il “calcolo” del corrispettivo di affrancazione è estraneo alle fattispecie, tassative, elencate nei predetti artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000, perché si riferisce ad una sequenza di operazioni matematiche ”, tanto più che “ la procedura predisposta da Roma Capitale, più che ad una “dichiarazione”, consiste in una “Autoliquidazione”, non prevista dalla norma in parola, tanto meno se predisposta da un “tecnico di fiducia”, ovvero da un terzo rispetto all’istante, il quale, come visto è anche, a sua volta “terzo”, rispetto al proprietario dell’alloggio o al titolare del diritto di superficie ”;

iii) carenza assoluta di attribuzione o, in via gradata, di incompetenza, affermando che la Giunta Capitolina sarebbe incompetente sulla materia, delegando l’art. 35 della l. n. 865/1971 il Consiglio Comunale a decidere nella materia attinente alla concessione e gestione dei suoli concessi ai soggetti attuatori dei piani di zona e al contenuto delle convenzioni urbanistiche di cui, la convenzione di affrancazione altro non sarebbe che “ un’integrazione ”;

iv) la violazione dell’articolo 7, comma 5, della legge 30 aprile 1999, n. 136, evidenziando che “ lo scomputo degli oneri di urbanizzazione dal costo di affrancazione di cui al c. 49-bis dell’art. 31 della Legge 448/1998, non può avvenire in maniera automatica e generalizzata anche per i piani di zona dove detto contributo è stato determinato in maniera forfettaria e indipendentemente dal costo effettivo sostenuto dall’Ente territoriale o, nel caso delle opere a “scomputo”, prescindendo dall’effettiva realizzazione delle urbanizzazioni, da parte del soggetto attuatore, così come erroneamente previsto da Roma Capitale nella Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 116/2018 ed utilizzato anche nella deliberazione di Giunta qui gravata ”, nonché affermando che la deliberazione si tradurrebbe in un “ un sicuro danno erariale pari alla sommatoria degli oneri di urbanizzazione inopinatamente detratti in fase di determinazione del corrispettivo di affrancazione, oltre a creare un’alterazione del mercato ed una disparità di trattamento tra cittadini possessori di immobili (affrancati) ricadenti all’interno dei piani di zona e quelli esterni agli stessi piani di zona (mai sottoposti a vincoli) ”.

2. Sia il Ministero dell’Economia e delle Finanze che Roma Capitale si costituivano in giudizio, entrambe versando in atti memoria di pura forma.

3. Parte ricorrente, con successivo atto per motivi aggiunti, impugnava il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze denominato “ Regolamento recante rimozione dai vincoli di prezzo gravanti sugli immobili costruiti in regime di edilizia convenzionata ” - adottato in attuazione dei commi 49 bis, ter e quater - di definizione della percentuale da applicarsi al calcolo del corrispettivo di affrancazione dovuto al Comune, sostanzialmente riproponendo le stesse censure già formulate in sede di ricorso introduttivo.

3.1. Lamentano, inoltre, i ricorrenti la violazione del comma 3 dell’art. 81 della Costituzione (ai sensi del quale “ Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte ”), dell’art. 35 della l. n. 865/1971 e del generale principio del pareggio economico nella copertura dei costi di acquisto delle aree da destinare alla realizzazione dei piani di edilizia economica e popolare, affermando che tale atto “ in molti casi, piuttosto che determinare un introito per le casse dei comuni, genera, paradossalmente e del tutto illecitamente, un riconoscimento di debito e quindi una spesa ”.

3.2. Sostiene, poi, parte ricorrente che il comma 3 dell’art. 1 del decreto, nello stabilire che “ In caso di convenzione avente ad oggetto la cessione del diritto di superficie e durata compresa tra 60 e 99 anni, il valore CRV di cui al comma 2 è moltiplicato per un coefficiente di riduzione pari a 0,5 ”, introdurrebbe “ un parametro di disparità nei confronti degli alloggi rientranti nel regime di diritto di proprietà di cui all’art. 14 e seguenti dell’art. 35 della L. 865/1971 ”, realizzando una differenza di trattamento in asserita palese violazione del principio di legalità e trasparenza.

4. Con ulteriore ricorso per motivi aggiunti, parte ricorrente impugnava sotto i medesimi profili anche le “ Linee Guida ” di Roma Capitale di recepimento del già contestato regolamento ministeriale.

5. Roma Capitale, con successiva memoria, eccepiva l’inammissibilità del gravame “ per non aver impugnato gli atti prodromici a quello gravato ”, attesa l’omessa impugnazione delle precedenti deliberazioni n. 37/2018 e n. 116/2018, con cui l’Assemblea Capitolina aveva già ridefinito, nei medesimi termini poi riproposti negli atti ora contestati nell’ambito del presente giudizio, le modalità di calcolo del canone di affrancazione dai vincoli del prezzo massimo di cessione e del canone massimo di affrancazione, nonché per difetto di interesse, prevedendo la gravata delibera della Giunta Comunale la “ mera possibilità (e mai un obbligo) di avvalersi della procedura di affrancazione autocertificata e semplificata, non esclude (ndo) la possibilità di procedere con la via ordinaria o “urgentata”, lasciando, così, all’interessato la scelta di avvalersi di una tra un ventaglio di possibili alternative a seconda delle esigenze di tempo del tutto personali ”.

6. La Sezione con ordinanza n. 1216/2021 - confermata in sede di relativo appello dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 3342/2021 - respingeva l’istanza cautelare avanzata in sede di secondi motivi aggiunti, “ Ritenuto che non sussistono i presupposti per l’accoglimento della domanda atteso che sotto il profilo del fumus la complessità delle questioni proposte non si presta all’esame sommario proprio della fase cautelare e che sotto il profilo del periculum il danno lamentato non integra un pregiudizio grave e irreparabile, in considerazione della sua natura squisitamente economica e come tale suscettibile di ristoro all’esito di un’eventuale pronuncia favorevole alle parti ricorrenti ”.

7. L’amministrazione statale resistente, con successiva memoria, eccepiva in rito l’inammissibilità delle censure proposte dai ricorrenti avverso il decreto ministeriale impugnato in sede di primo ricorso per motivi aggiunti, in quanto “ del tutto generiche ed indeterminate, tanto in fatto quanto in diritto ”, nonché, in ogni caso, la loro infondatezza nel merito, anche in ragione della pronuncia della Corte Costituzionale n. 210 del 23 settembre - 5 novembre 2021, medio tempore intervenuta, di riconoscimento della legittimità costituzionale dei citati commi 49 bis , 49 ter e 49 quater .

8. L’amministrazione comunale a sua volta rappresentava di aver adottato il 1° febbraio 2022 una deliberazione dell’Assemblea Capitolina di adeguamento del regime delle affrancazioni ai contenuti di tale pronuncia.

9. I ricorrenti, con successivo atto depositato il 16 marzo 2022, proponeva un ulteriore (il terzo) ricorso per motivi aggiunti avverso l’adozione di tale deliberazione di Roma Capitale, recante “Presa d’atto dei contenuti della Sentenza della Corte Costituzionale n. 210 del 23.09.2021. Cessazione dei vincoli convenzionali del prezzo massimo di cessione e del canone di locazione riguardo unità immobiliari realizzate ex art. 35 della Legge 865/1971 in diritto di proprietà o trasformate da diritto di superficie in diritto di proprietà” , lamentando come con essa l’amministrazione comunale avrebbe “ liberamente ed erroneamente interpretato il pensiero della Corte Costituzionale, ritenendo che quest’ultima, con la citata sentenza, abbia inteso affermare che decorsi vent’anni, tutte le convenzioni urbanistiche stipulate in diritto di proprietà, anche se stipulate ante 1992, non siano più soggette, in automatico, ai relativi vincoli convenzionali ed in particolare al vincolo del prezzo massimo di cessione ” (secondo motivo di ricorso).

Con il primo motivo, assume, poi, parte ricorrente la violazione dell’art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 in relazione alla posizione di due consiglieri dell’Assemblea Capitolina (genitori di proprietari o essi stessi proprietari di un alloggio ERP) che perciò trarrebbero dall’approvazione della deliberazione gravata un “ immediato e, peraltro, illecito beneficio … (per) di non dover più stipulare, a dire del comune di Roma Capitale, per il ridetto alloggio di loro proprietà, la convenzione integrativa di affrancazione dal vincolo del prezzo massimo di cessione ex art. 31, comma 49 bis della L. 448/1998 e, quindi, di non dover più pagare alcunché al comune di Roma Capitale per tale ultima finalità ”.

10. Si costituiva in giudizio uno dei due consiglieri comunali interessati dall’asserito conflitto di interesse, evidenziandone la mancanza.

11. Anche Roma Capitale controdeduceva alle censure da ultimo formulate da parte ricorrente in sede di terzi motivi aggiunti, in particolare evidenziando come il deliberato in questione si sia limitato a prendere atto di un principio enucleato dalla Consulta.

12. Seguiva il deposito di ulteriore memorie in cui ciascuna delle parti ribadiva le proprie argomentazioni difensive.

13. All’udienza pubblica del 13 luglio 2022 la causa veniva trattata e, dunque, trattenuta in decisione.

14. Con il ricorso introduttivo, i ricorrenti contestano i contenuti della deliberazione della Giunta Capitolina n. 103/2020 di “ Semplificazione delle modalità per la presentazione delle istanze di affrancazione degli immobili ricadenti in aree ex L. n. 167/1962, relativamente al calcolo per la determinazione del relativo corrispettivo, secondo i criteri di cui alla Deliberazione A.C. n. 116/2018 ”.

Con il primo e secondo ricorso per motivi aggiunti sono, invece, impugnati rispettivamente il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 151/2020 avente ad oggetto “ Regolamento recante rimozione dai vincoli del prezzo gravanti sugli immobili costruiti in regime di edilizia convenzionata ” e le conseguenti “ Linee Guida ” comunali di “ adeguamento dei relativi schemi convenzionali in uso ai sensi della Deliberazione Giunta Capitolina n. 103 del 5.06.2020 ”.

Con il terzo ricorso per motivi aggiunti si chiede l’annullamento dell’ulteriore deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 10 del 1° febbraio 2022 di “ Presa d’atto dei contenuti della Sentenza della Corte Costituzionale n. 210 del 23.09.2021 ” intervenuta nelle more del giudizio.

15. Ciò posto, deve essere innanzi tutto respinta le censura (formulata in sede di ricorso introduttivo e riproposta nei successivi tre ricorsi per motivi aggiunti), con cui i ricorrenti fanno valere - con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 47, secondo comma, 77, secondo comma, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all'art. 6 della CEDU e all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, la pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 31, commi 49 bis, ter e quater della l. 448/1998, così come novellato dall’art. 25 undecies della l. n. 136/2018, avendo la Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 210/2021, resa nelle more del presente giudizio, espressamente affrontato e respinto tali questioni, dichiarandone l’infondatezza nella considerazione che (tra l’altro) “ l'estensione della legittimazione all'affrancazione in capo ai venditori non si traduce in un ausilio foriero di disparità di trattamento, ma risponde, invece, a una finalità di riequilibrio che trova giustificazione proprio nei principi di uguaglianza e di ragionevolezza” e, pertanto, “appare sproporzionata ”, atteso che “se, da un lato, conduce all'estinzione del credito recuperatorio azionato dagli acquirenti a prezzo di mercato, dall'altro, tende a soddisfare l'interesse fondamentale che è all'origine di tale pretesa, ossia la corrispondenza tra il maggiore importo versato e la libertà del bene compravenduto da vincoli alla commerciabilità”.

Ne discende, pertanto, la legittimità degli atti impugnati nella parte in cui, a seguito della novella legislativa introdotta dal d.l. n.119/2018, prevedono un’estensione della facoltà di richiedere l’affrancazione a tutte le “ persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile ”, con ciò chiarendo che la rimozione dei vincoli può essere ottenuta anche dai precedenti proprietari, che possono avervi interesse ad esempio nel caso in cui l’avente causa agisca nei loro confronti richiedendo la restituzione dell’eccedenza rispetto al prezzo massimo derivante da convenzione.

16. In accoglimento dell’eccezione formulata in rito da Roma Capitale, il ricorso introduttivo ed i successivi tre ricorsi per motivi aggiunti devono, invece, essere dichiarati inammissibili per quel che riguarda la doglianza, ivi formulata, volta a contestare il meccanismo di calcolo per la determinazione del corrispettivo di affrancazione relativamente a “ lo scomputo degli oneri di urbanizzazione dal costo di affrancazione” previsto nella deliberazione n. 103/2020 e richiamato nei successivi atti adottati da Roma Capitale, per violazione dell’articolo 7, comma 5, della legge 30 aprile 1999, n. 136, evidenziando come tale previsione si traduca in un “ un sicuro danno erariale pari alla sommatoria degli oneri di urbanizzazione inopinatamente detratti in fase di determinazione del corrispettivo di affrancazione ” nonché generi “ anche un’alterazione del mercato edilizio ed una disparità di trattamento tra cittadini possessori di immobili “affrancati” e ricadenti all’interno dei piani di zona (dove detto contributo è stato determinato in maniera forfettaria e indipendentemente dal costo effettivo sostenuto dall’Ente territoriale o, nel caso delle opere a scomputo, prescindendo dall’effettiva realizzazione delle urbanizzazioni, da parte del soggetto attuatore) e quelli esterni agli stessi piani di zona, mai sottoposti a vincoli, i quali quegli oneri di urbanizzazione li hanno, sin dall’inizio, pagati per l’intero” .

Osserva, infatti, il Collegio che, come ben evidenziato dall’Avvocatura Capitolina nonché riconosciuto dallo stesso legale di parte ricorrente (in tal senso, quanto si legge a pag. 18 del ricorso introduttivo, ultimo capoverso), la deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 116 del 23 ottobre 2018 n.116 di “ Coordinamento, sistematizzazione e modifica dei provvedimenti emanati da Roma Capitale in materia di trasformazione e affrancazione degli immobili ricadenti nei Piani di Zona del I PEEP e del II PEEP in esecuzione della Deliberazione A.C. n. 37/2018 ” - non resa oggetto di (tempestivo) gravame da parte dei ricorrenti – nel ridefinire il meccanismo di calcolo del canone di affrancazione, già quantificasse tale corrispettivo al netto degli oneri di urbanizzazione (in tal senso la formula ivi prevista), al riguardo limitandosi la delibera di Giunta n. 103/2020 solo a richiamare – peraltro genericamente - “ la modalità (già) stabilita con Deliberazione A.C. n.116/2018 ”.

Ne discende come la determinazione ora impugnata assuma, dunque, sotto tale aspetto, un carattere meramente confermativo della precedente deliberazione del 2018 (invero dai ricorrenti mai contestata, nemmeno tardivamente nell’ambito del presente giudizio), riaffermando di fatto Roma Capitale, mediante il mero rinvio ad un proprio precedente atto, un criterio di calcolo che, nell’atto del 2020, non appare in alcun modo scrutinato, tanto meno con riferimento al contestato scomputo.

La giurisprudenza amministrativa è, infatti, consolidata nell’affermare come, allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia “ meramente confermativo ” ovvero “ di conferma in senso proprio ”, occorra “ verificare se l'atto successivo sia stato emanato con o senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi ”, con la conseguenza che non può considerarsi conferma in senso proprio di atto precedente un atto (quale quello per cui è causa) la cui adozione non sia stata preceduta da un riesame della questione, potendo solo l’esperimento di una nuova attività valutativa - sia pure mediante la semplice riconsiderazione degli interessi coinvolti - condurre ad una determinazione diversa dalla precedente (in tal senso, ex multis , Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 5301/2018).

Rilevato, dunque, che Roma Capitale già nel 2018, con la citata deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 116 del 23 ottobre 2018 n.116, aveva introdotto tra i criteri di calcolo del corrispettivo di affrancazione quello (ora contestato dai ricorrenti) dello scomputo degli oneri di urbanizzazione, sia il ricorso introduttivo che i ricorsi per motivi aggiunti (che detta censura replicano) devono essere dichiarati in parte qua inammissibili per carenza di interesse, atteso che alcun vantaggio ne potrebbe derivare ai ricorrenti dall’eventuale accoglimento di tale censura, invero proposta nei confronti di una determinazione (almeno sotto tale aspetto), come visto, meramente confermativa della precedente determinazione del 2018 di ridefinizione delle modalità di calcolo del canone di cui si discorre.

17. Lo stesso è a dirsi per la censura di pretesa violazione del comma 3 dell’art. 81 della Costituzione, nonché del principio del perfetto pareggio economico di cui all’art. 35 della l. 865/1971, formulata in sede di primo e secondo ricorso per motivi aggiunti (terzo motivo in entrambi gli atti), sulla base dell’assunto che il gravato decreto ministeriale e le Linee guida conseguentemente adottate da Roma Capitale generebbero “ paradossalmente e del tutto illecitamente, un riconoscimento di debito e quindi una spesa ”, trattandosi di una censura anch’essa proposta con riferimento alla contestata liquidazione del canone previo scomputo degli oneri di urbanizzazione già stabilita in una precedente determinazione non impugnata dai ricorrenti.

18. Il ricorso introduttivo deve, poi, essere respinto quanto al motivo di pretesa contrarietà della delibera n. 103/2020 al comma 49 bis dell’art. 31 della l. n.448/1998, formulato da parte ricorrente sulla base dell’assunto - invero errato - che Roma Capitale pretenderebbe di continuare a determinare il canone di affrancazione pur a fronte dell’aver il legislatore ora demandato la determinazione di tale corrispettivo, non più ai comuni (come precedentemente stabilito dall’art. 29, comma 16 undecies , del d.l. 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, nella l. 24 febbraio 2012, n. 14), bensì ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare previa conferenza unificata ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 281/1997.

Emerge incontrovertibilmente dal contenuto oggettivo dell’impugnata delibera come essa, nel rinviare alle modalità di calcolo del corrispettivo (come visto già stabilite nella precedente delibera n. 116/2018, ivi richiamata), faccia espressamente “ salvi i conguagli e le verifiche che saranno effettuate dagli uffici, a seguito dell’approvazione del Decreto attuativo … con cui verrà definita la percentuale da applicarsi al calcolo del corrispettivo di affrancazione dovuto al Comune ” nonché chiarendo “ che al momento dell’emanazione ed entrata in vigore del Decreto del Ministero dell’Economia e Finanze … la disciplina riguardante il tema della rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione potrà essere integrata ed adeguata con provvedimenti ed atti di natura dirigenziale ”.

Si tratta, pertanto, di una disciplina di carattere transitorio che in alcun modo pregiudica bensì espressamente prevede l’adozione di relative modifiche conseguenti all’intervento del decreto ministeriale - poi emesso e contestato da parte ricorrente con il primo ricorso per motivi aggiunti - come anche confermato dalle relative “ Linee Guida ” di Roma Capitale di cui alla deliberazione dirigenziale protocollo n. QI/136275/2020 del 20 novembre 2020 (impugnata in sede di secondo ricorso per motivi aggiunti), emanata proprio nell’intento di adeguare la preesistente disciplina riguardante il tema della rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione al sopravvenuto regolamento ministeriale.

19. Quanto, poi, alle ulteriori censure formulate nel ricorso introduttivo sempre avverso la deliberazione n. 103/2020, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse sotto un profilo ulteriore rispetto a quello già scrutinato al precedente paragrafo 16.

Rileva, infatti, in tal senso, come l’atto impugnato oltre ad ammettere - peraltro in stretto recepimento di una norma di legge come visto riconosciuta costituzionalmente legittima - una c.d. “ affrancazione allargata ”, che legittimamente consente anche alla parte alienante di rimuovere un ostacolo alla efficacia della contrattazione sul libero mercato (l’unica previsione che appare realmente in grado di compromettere la posizione dei ricorrenti, in relazione alla conseguente estinzione della pretesa di restituzione dell’eccedenza rispetto al prezzo massimo derivante da convenzione), si limiti ad introdurre “ in alternativa alla modalità ordinaria ” una procedura semplificata di affrancazione, sostanzialmente basata sull’autoliquidazione del costo di affrancazione, che - lasciando integro il preesistente procedimento ordinario (che continuerà a svolgersi secondo le linee indicate dai precedenti provvedimenti) - attribuisce a chi ne abbia interesse una facoltà della quale anche i ricorrenti potranno avvalersi, con conseguente non lesività del provvedimento impugnato.

La delibera n. 103/2020, dunque, offre agli interessati al procedimento di affrancazione la possibilità di optare, alternativamente alle normali procedure, per un procedimento autocertificato che, avvalendosi di un percorso predeterminato nei presupposti, consenta loro di pervenire più rapidamente all’affrancazione, nell’intento – ragionevole e condivisibile - di individuare modalità semplificate che consentano di imprimere la dovuta accelerazione alle procedure di affrancazione, con particolare riguardo alla fase più complessa dell’ iter procedimentale, afferente al calcolo per la determinazione dell’importo dovuto a titolo di corrispettivo per l’eliminazione del vincolo.

20. Il tre ricorsi per motivi aggiunti – ferma restando la loro inammissibilità sotto i profili in precedenza affrontati (paragrafi 16 e 17) – devono, invece, essere respinti, oltre che relativamente alla pretesa illegittimità costituzionale della norma presupposta agli atti impugnati (precedente paragrafo 15), anche quanto al motivo con cui parte ricorrente genericamente assume che il comma 3 dell’art. 1 del decreto, nello stabilire che “ In caso di convenzione avente ad oggetto la cessione del diritto di superficie e durata compresa tra 60 e 99 anni, il valore CRV di cui al comma 2 è moltiplicato per un coefficiente di riduzione pari a 0,5”, introdurrebbe “ un parametro di disparità nei confronti degli alloggi rientranti nel regime di diritto di proprietà di cui all’art. 14 e seguenti dell’art. 35 della L. 865/1971 ”.

Ebbene il Collegio è dell’avviso che tale previsione – diversamente da quanto i ricorrenti tentano di sostenere - non realizzi alcuna reale differenza di trattamento bensì disciplini diversamente situazioni tra loro, a ben vedere, diversificate, prevedendo per le ipotesi di cessione del solo diritto di superficie un coefficiente di riduzione che appare ragionevolmente corrispondere al minor valore indubbiamente attribuibile a tale diritto reale di godimento rispetto a quello di proprietà piena, in un’ottica di contemperamento tra le finalità di cura dei bisogni abitativi e di promozione della libertà di iniziativa economica nel mercato immobiliare.

Rileva, inoltre, come ogni valutazione circa la proporzionalità di tale previsione, involgendo la valutazione di aspetti specifici afferenti alle peculiarità dell’istituto di cui si discorre, sia riconducibile a profili di squisita discrezionalità tecnica, come tali sindacabili dal giudice amministrativo solo ove risultino manifestamente incoerenti, illogici o erronei, non potendo egli sostituire il proprio giudizio a quello dell’organo valutativo a ciò deputato.

Ne consegue, dunque, come - pur volendo accedere ad una tesi favorevole ad ampliare i margini valutativi rimessi all’organo giudicante e i relativi poteri di vaglio in sede giudiziale - rientrando la relativa valutazione nella discrezionalità tecnica dell’amministrazione statale, il merito della contestata previsione regolamentare sfugga al sindacato giurisdizionale e non sia, dunque, biasimabile ove, come nel caso di specie, non manifestamente illogica o erronea in fatto, tanto più a fronte della mancata prospettazione in atti di specifici profili di asserita disparità, solo genericamente affermata dai ricorrenti.

21. Passando, infine, a scrutinare le specifiche doglianze formulate nel terzo ricorso per motivi aggiunti avverso la citata deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 10/2022 di “ Presa d’atto dei contenuti della Sentenza della Corte Costituzionale n. 210 del 23.09.2021 ”, anch’esse devono essere disattese.

22. Quanto, innanzi tutto, alla violazione dell’art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000, denunciata con riferimento a due consiglieri dell’Assemblea Capitolina in una posizione di asserito conflitto di interessi rispetto ai contenuti della deliberazione gravata, osserva il Collegio come dalla lettura della deliberazione impugnata emerga come di tali due soggetti – entrambi inizialmente presenti all’appello ai fini del quorum necessario ai fini della validità delle sedute agli effetti deliberativi (“ almeno la metà dei Consiglieri assegnati, senza computare a tal fine il Sindaco ex art. 35, comma 1, del Regolamento capitolino) - solo uno abbia poi partecipato alla votazione di approvazione della proposta di delibera “ con 39 voti favorevoli ”, con la conseguenza che quand’anche detto consigliere si fosse astenuto dalla votazione, il provvedimento sarebbe stato comunque approvato dalla maggioranza dei consiglieri votanti (in numero di 38), considerato che il numero dei consiglieri che compongono l’Assemblea Capitolina è pari a 48 e che la materia oggetto di deliberazione non richiede un quorum qualificato ai fini dell'approvazione, sicché, in sostanza sarebbe stato sufficiente il voto di soli 25 consiglieri, come prescritto all’art. 79, comma 1, del citato Regolamento.

Ne discende l’inammissibilità per difetto di interesse di tale doglianza, attesa l’inidoneità della censura ad inficiare la validità dell’approvazione della deliberazione impugnata.

23. Parte ricorrente sostiene, poi, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35, comma 17, della l. n. 865/1971, censurando l’atto impugnato nella parte in cui si afferma che “ il vincolo del prezzo massimo di cessione e del canone di locazione riguardo i beni già convenzionalmente in origine in diritto di piena proprietà, ovvero oggetto di successiva trasformazione del diritto di superficie (così precedentemente convenzionato) in diritto di piena proprietà (in virtù di Convenzione integrativa ai sensi dell'art. 31 della L. 448/1998), è da intendersi decaduto per effetto dello scadere della durata della convenzione, alla pari degli altri vincoli convenzionali di natura oggettiva e soggettiva ”.

Lamentano, in particolare, i ricorrenti che l’amministrazione capitolina abbia arbitrariamente previsto che nessun procedimento di affrancazione e nessun relativo atto notarile o scrittura privata autenticata siano necessari nel caso sia già trascorsa la scadenza specificata nella convenzione per la cessione in proprietà, ovvero in quella relativa alla trasformazione da diritto di superficie in diritto di piena proprietà, prevedendo che in tal caso tutti i vincoli si intendano già cessati e, quindi, gli immobili siano per l’effetto liberamente commerciabili senza alcuna limitazione di prezzo o altri vincoli soggettivi o oggettivi.

Ebbene, osserva il Collegio come espressamente l’Assemblea Capitolina si sia con tale previsione limitata a prendere atto del principio della “ non perpetuità dei vincoli” enucleato dalla Consulta nella sentenza n. 210/2021, ove si legge come esso “emerge dalla legislazione in materia di edilizia convenzionata e … ha significativa conferma non solo nella previsione, già nell’originario impianto della legge n. 865 del 1971, di un termine ventennale per l’eliminazione del vincolo di inalienabilità degli alloggi concessi in piena proprietà (art. 35, comma diciassettesimo), ma anche nella successiva introduzione di moduli consensuali, come le convenzioni per la trasformazione del diritto di superficie in piena proprietà e per la sostituzione dei vincoli originari con quelli della convenzione ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 380 del 2001, disciplinate dall’art. 31, commi 45 e 46, della legge n. 448 del 1998, dalla cui adozione deriva anche una riduzione della durata del vincolo del prezzo massimo di cessione ” (in tal senso il paragrafo 9).

Emerge, dunque, incontrovertibilmente del tutto tenore letterale della pronuncia in argomento come la Corte Costituzionale si sia per l’effetto chiaramente orientata nel senso di ritenere che il vincolo del prezzo massimo di cessione previsto nelle convenzioni in proprietà e nelle convenzioni di trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà sia da intendersi decaduto alla data di scadenza della convenzione medesima, al pari di tutti gli altri vincoli, sicché appare smentito l’assunto di parte ricorrente secondo il quale la contestata deliberazione n. 10/2022 sarebbe frutto di un’interpretazione unilaterale e apodittica, avendo - a ben vedere - l’amministrazione con tale atto null’altro che tradotto in termini operativi nella regolamentazione locale della particolare materia delle affrancazioni il principio affermato dalla Corte Costituzionale, nel rispetto delle norme da quest’ultima richiamate a supporto di tale opzione ermeneutica.

A ciò si aggiunga come sulla problematica anche il Consiglio di Stato si fosse espresso, in sede di parere n. 1492/2020 (reso in merito all’adozione del regolamento ministeriale di cui al d.m. n. 151/2020), nel senso della “ cessazione del vincolo alla scadenza della stessa convenzione già vigente stipulata tra le parti ” ai sensi dell’art. 18 d.P.R. 380/2001 (convenzione in piena proprietà).

Del tutto prive di fondamento appaiono, poi, le argomentazioni di parte ricorrente volte a far valere una non meglio precisata violazione delle norme di diritto comunitario in termini di sottrazione degli alloggi alla loro funzione tipica di assistenza abitativa, in alcun modo incidendo l’estinzione del vincolo sulla funzione pubblicistica dell’edilizia convenzionata, né determinando la soppressione o la limitazione di alcun diritto, bensì consentendo al beneficiario di scegliere se continuare a fruire dell’immobile a fini abitativi ovvero se utilizzare, nell’esercizio dell’autonomia privata, le potenzialità reddituali dell’immobile immettendolo nel libero mercato.

Non viene, dunque, frustrata la finalità perseguita dalla normativa in materia, atteso che l’immobile già assegnato, se non viene più utilizzato per essere abitato dall’assegnatario, viene comunque da costui alienato per percepirne un corrispettivo.

24. In conclusione, per tutti i motivi fin qui esposti, sia il ricorso introduttivo che i successivi tre ricorsi per motivi aggiunti devono essere in parte dichiarati inammissibili ed in parte devono, invece, essere respinti, perché infondati.

Attesa la complessità delle questioni affrontate, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra tutte le parti le spese di lite.

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