TAR Aosta, sez. I, sentenza 2017-08-10, n. 201700050

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Aosta, sez. I, sentenza 2017-08-10, n. 201700050
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Aosta
Numero : 201700050
Data del deposito : 10 agosto 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/08/2017

N. 00050/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00059/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SNTENZA

sul ricorso numero di registro generale 59 del 2016, proposto da:
M M, B C, M P G M, rappresentati e difesi dall'avvocato P C, con domicilio eletto presso il suo studio in Aosta, via Losanna, 17;

contro

Comune di Aosta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati G M S, L S, con domicilio eletto presso lo studio L S in Aosta, via Challand, 30;

Regione Valle D'Aosta non costituito in giudizio;

per l'annullamento

dell’ordine di rimessa in pristino di quanto realizzato in difformità dal PRGC vigente su immobile commerciale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Aosta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2017 la dott.ssa G F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Parte ricorrente ha chiesto al Comune di Aosta, il 7.7.2016, l’agibilità del locale, edificio commerciale (esercizio di ferramenta dal 1974 al 2015, e prima ancora rivendita di carbone), avendo realizzato su di esso una serie di interventi generali di <rimodernamento-adeguamento>, finalizzati a consentire il recupero del negozio ed il riavvio, in concreto, dell’attività commerciale, di tipologia diversa.

Il Comune ha eseguito il sopralluogo rinvenendo l’attuazione di opere che sono state qualificate di impatto rilevante che venivano inquadrate e classificate come lavori di “risanamento conservativo” (tetto, pavimenti, intonaci, wc, infissi, impianti), in contrasto con la destinazione “E4” del vigente piano regolatore, ed in particolare con l’articolo 17 comma 3º lettera d), che ammette solo manutenzione ordinaria.

Avendo rilevato opere in contrasto con quanto (limitatamente) ammesso dalla destinazione “E4”, che ammette unicamente la possibilità di attuare interventi di <demolizione o manutenzione “ordinaria”>, l’amministrazione ha disposto con l’ordine impugnato, del 2.9.2016, la rimessa in pristino, entro 30 giorni, con rimozione delle opere apportate e ricostituzione dell’immobile (nello stato degradato) originario.

Con precisazione che la mancata osservanza dell’ordine avrebbe comportato l’attivazione delle ulteriori procedure prescritte dal titolo VIII della legge regionale 11/1998.

Con ricorso notificato e depositato nel novembre-dicembre 2016 i ricorrenti, collettivamente destinatari dell’ordine, hanno impugnato il provvedimento che ha imposto la immediata rimessa in pristino della situazione antecedente (rispetto all’attuato recupero dell’immobile).

Sono state formulate le seguenti censure:

1)errata o falsa applicazione dell’art.76 della l.r. n. 11/98 – carenza di presupposti;

2)errata o falsa applicazione dell’art.77 della l.r. n. 11/98 - vizio del procedimento;

3) errata o falsa applicazione dell’art. 17 delle NTA del vigente PRGC- carenza dei presupposti in fatto e diritto – erroneità della qualificazione dell’intervento;

4) eccesso di poter per induzione in errore – erroneità della sanzione;

5)in via subordinata, con riferimento all’ art. 17 delle NTA, comma 3 lett. d) dell’attuale PRGC, in parte qua, relativamente alla categoria “E4” applicata al basso fabbricato di proprietà dei ricorrenti: violazione del buon andamento – carenza di motivazione – carenza dei presupposti in fatto ed in diritto – macroscopica irragionevolezza.

In ricorso è stata formulata anche istanza istruttoria e domanda di sospensiva.

Si è costituito in giudizio il Comune di Aosta, sostenendo:

- eccezione di inammissibilità per carenza di interesse;

- infondatezza del ricorso.

Con ordinanza cautelare n. 45 del 14/12/2016 la domanda cautelare è stata accolta con la seguente motivazione:

“Considerato che il provvedimento impugnato ordina il ripristino di opere preesistenti rispetto alle quali non è attuabile, allo stato, in via d’urgenza, la ricostituzione dello stato anteriore, in considerazione della specifica natura degli interventi posti in essere dai ricorrenti;

rilevato che la tipologia degli ammodernamenti realizzati sarà oggetto di approfondimento della competente sede di merito;

tenuto conto, comunque, che la disposizione pianificatoria, anch’essa oggetto di impugnazione, non può non garantire la conservazione del manufatto esistente, con idonei interventi;

per l'effetto sospende la diffida impugnata e fissa per la trattazione di merito del ricorso l'udienza pubblica di aprile 2017”.

All’udienza dell’11.4.2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

RITO.

L’eccezione di inammissibilità, per carenza di interesse, sollevata dalla difesa del Comune, va respinta.

Il provvedimento impugnato ha diffidato la proprietà a ripristinare lo “status quo ante” entro 30 giorni, rimuovendo le opere di rinnovamento/adeguamento strutturale compiute e già integralmente ultimate.

Benché l’atto impositivo richiami l’articolo 76 della LR 11/1998, l’ordine è stato disposto, in realtà, in applicazione dell’art. 77, in quanto le opere sono state rilevate, dallo stesso Comune, in sede di sopralluogo, come già ultimate e completamente eseguite.

Sul punto il Comune stesso riconosce, in sede di difesa, che trattasi di mero “errore materiale” effettuato nel richiamo della norma.

L’articolo 76, infatti, disciplina l’attività edilizia urgente in caso di riscontro di “inizio” di lavori contrastanti e comunque l’esistenza di un cantiere aperto. Con previsione dell’emanazione di una immediata diffida di “sospensione” dei lavori (in corso). Fattispecie qui non rinvenibile.

La diffida prevista dall’articolo 76 1º comma si correla, infatti, all’imposizione di un immediato e urgente ripristino, in corso d’opera;
il 2º comma prevede l’emanazione di un provvedimento meramente provvisorio, qualificato come ordine di immediata “sospensione” dei lavori fino all’adozione degli atti definitivi (da adottarsi entro 45 giorni).

Il seguente articolo 77 si riferisce, invece, alla fase successiva di avvenuto riscontro dell’avvenuta esecuzione di “trasformazioni in assenza di concessione, in totale difformità da essa o con variazioni essenziali”. O di riscontro, per la prima volta, come avvenuto in questo caso, solo ad opere già eseguite.

Il potere impositivo dell’amministrazione si sviluppa in 2 fasi:

una previa diffida a provvedere entro un “congruo termine” (non quantificato già in legge);

e poi un vero e proprio ordine di demolizione delle opere con ripristino dello stato preesistente.

Rispetto ad opere “completate ed eseguite” l’articolo 77 prevede infatti che:

-al 1º comma “il Sindaco, accertata l'esecuzione di trasformazioni in assenza di concessione, in totale difformità dalla medesima oppure con variazioni essenziali, previa diffida a provvedere entro congruo termine, <ordina la demolizione delle opere e comunque il ripristino dello stato dei luoghi>”.

- al 2º comma “Ove il responsabile dell'abuso non provveda alla demolizione e, in ogni caso, al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni, l'immobile oggetto dell'abuso e l'area di pertinenza dello stesso, determinata sulla base delle norme urbanistiche vigenti, e comunque non superiore a dieci volte l'area di sedime, sono acquisite gratuitamente al patrimonio del Comune.

Il 3º comma stabilisce poi che “l’accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione o ripristino nel termine prescritto, previa notifica all'interessato, costituisce titolo di acquisto della proprietà e titolo per l'immissione nel possesso, nonché per la trascrizione nei registri immobiliari”.

Il 4º comma disciplina gli effetti successivi all’acquisizione della proprietà da parte del comune disponendo che “Acquisita la proprietà, lo stato dei luoghi viene ripristinato su ordinanza del Sindaco e a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che il Consiglio comunale non dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici che ostino al ripristino, in assenza di rilevanti interessi urbanistici o ambientali allo stesso”.

Il comma 6º disciplina l’ipotesi di coinvolgimento di “entità immobiliari non indipendenti”, con esecuzione d’ufficio. In particolare prevede che “Le disposizioni dei commi 2, 3, 4 e 5 non trovano applicazione nel caso in cui le trasformazioni eseguite in assenza di concessione, in totale difformità dalla medesima oppure con variazioni essenziali interessino entità immobiliari non indipendenti;
in tal caso, ove i responsabili dell'abuso non ottemperino all'ordine di cui al comma 1 nel termine di novanta giorni, la demolizione, o comunque il ripristino, è eseguita a cura del Comune e le relative spese, maggiorate del dieci per cento, sono poste a carico dei responsabili dell'abuso”.

Il 7º comma si occupa della possibile applicazione, nella peculiare fattispecie cui al comma 6, di una (sola) sanzione pecuniaria in luogo della demolizione/ripristino, stabilendo che: “Nel caso di cui al comma 6 qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, la demolizione o il ripristino non risultino possibili, il Sindaco irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio del valore venale dell'opera abusiva o, se questo non è determinabile, dell'aumento di valore dell'immobile conseguente alla realizzazione dell'opera stessa, determinato dall'ufficio tecnico del Comune.”

Dunque l’articolo76 configura un provvedimento urgente (di sospensione) con immediata diffida/sospensione;
l’art. 77 è la norma, per così dire, a regime ordinario che scatta con la rilevazione delle (avvenute) opere in contrasto con la pianificazione urbanistica.

Al momento del sopralluogo, del 3.8.2016, i lavori erano completamente ultimati.

Il provvedimento non è stato assunto in corso d’opera.

Trattasi, dunque, di una “diffida-ordine alla rimessa in pristino dei luoghi”.

Definito il quadro normativo di riferimento, la tesi dell’amministrazione che sostiene che il ricorso risulterebbe inammissibile in quanto il provvedimento qui impugnato sarebbe una mera diffida, ex art. 77 1° comma, prima parte (atto preparatorio), con assegnazione di un termine (per legge definito “congruo”), qui fissato in 30 gg., solo successivamente al quale, in caso di in ottemperanza, verrà emesso il vero e proprio ordine di demolizione-ripristino (cioè la diffida ex 77 comma 2°, con termine 90 giorni, che qui non è stata ancora irrogata), non può essere condivisa.

La questione dell’autonomia ed indipendenza dell’impugnazione dei due atti e della loro “autonoma impugnabilità” è già stata affrontata da questo Tribunale con la sentenza n. 46 del 10/7/2013 (che, per economia processuale, si richiama) ove si afferma che “il procedimento di repressione degli abusi edilizi delineato dall’articolo 77 citato è articolato in due fasi che danno luogo a distinti subprocedimenti;
il primo si conclude con la diffida a demolire e il secondo, nel presupposto di quest’ultima, con l’ordinanza di demolizione;
i due atti sono autonomi e entrambi impugnabili per i vizi loro propri dato che incidono in modo pregiudizievole sugli interessi del destinatario;
la diffida è un necessario presupposto dell’ordinanza di demolizione (e infatti quest’ultima è illegittima se emanata in difetto della prima;
cfr. la sentenza 15 marzo 2012, n. 30) cosicchè il suo annullamento facendo venir meno il presupposto necessario dell’ordinanza di demolizione determina la automatica caducazione di quest’ultima (secondo lo schema della cd. invalidità caducante)”.

Il ricorso promosso avverso l’ordine di ripristino che ha ad oggetto l’eliminazione di tutti gli interventi effettuati (con pretesa ricostituzione del bene nelle condizioni deteriorate preesistenti) è dunque ammissibile.

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MERITO.

Premesso, come già è stato chiarito nell’esame dell’eccezione in rito, che il potere esercitato trova fondamento nell’articolo 77 e non nell’articolo 76, si procede all’esame delle 5 censure di diritto formulate in ricorso, l’ultima delle quali prospettata solo in via subordinata (avente ad oggetto anche l’impugnazione dell’articolo 17 delle norme tecniche di attuazione al PRG, cioè della norma pianificatoria che costituisce applicazione e presupposto).

1) Il 1º motivo perde consistenza in considerazione del fatto che il provvedimento assunto dal Comune deve essere qualificato, nella sostanza, come ordine di ripristino (previa demolizione delle nuove opere apportate) ed è stato emanato, come si è già fatto osservare nella parte in rito, in applicazione dell’articolo 77 della legge regionale 11/1998 (e non articolo 76).

L’indicazione nominale contenuta nell’atto deve considerarsi erronea, non essendo il riferimento compiuto, articolo 76 (che si riferisce solo ad opere “in corso” e suscettibili di “sospensione”, anche in tal caso accompagnato dall’ ordine di ripristino), applicabile al caso di specie.

2) Con il 2º motivo parte ricorrente, prospettando la violazione dell’articolo 77, ritiene che sia mancata la (precedente) fase costituita dalla “diffida a provvedere entro un congruo termine”.

I ricorrenti lamentano cioè che essi sarebbero rimasti privi di una fase procedimentale, di natura partecipativa, prevista dalla norma.

Nel caso di specie l’ordine/diffida ha stabilito il “congruo” termine , per il ripristino, in 30 giorni.

Il provvedimento va quindi inquadrato nel disposto contenuto nella prima parte dell’art. 77 comma 1, avente natura direttamente lesiva.

Sotto tale profilo la fase interlocutoria richiesta, essenzialmente diretta all’esecuzione della rimozione delle opere “in autonomia”, non è mancata avendo la PA assegnato il congruo termine di 30 giorni per il ripristino dello “status quo ante”.

L’ordine di demolizione (futuro) interviene in una fase successiva, con assegnazione di un termine di 90 giorni (prestabilito per legge e non modificabile), pena, in caso di inottemperanza, l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune (sanzione ulteriore , derivativa).

Nel caso in esame, quindi, è stata offerta la possibilità di conformarsi a quanto richiesto dall’Amministrazione prima dell’irrogazione della sanzione (che potrebbe anche non essere adottata, a fronte di un’attività operosa da parte del privato).

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3)La questione principale si apre con il terzo motivo di ricorso, ove si contesta l’erronea applicazione dell’art. 17 delle NTA, sotto il profilo dell’erronea qualificazione delle opere realizzate. Che parte ricorrente ritiene inquadrabili nell’ amministrazione “ordinaria”.

La difesa dei ricorrenti ritiene che le opere eseguite non potrebbero essere qualificate di “risanamento conservativo”, rientrando nella definizione di “manutenzione ordinaria” (articolo 6 del testo unico edilizia), la cui realizzazione rientra nell’ambito dell’attività edilizia libera. E per questo i ricorrenti hanno ritenuto di non doversi munire, preventivamente, di alcun titolo abilitativo.

I proprietari si sarebbero limitati a porre in essere azioni manutentive al solo scopo di riportare il bene (che era in stato di avaria, per vetustà, ammaloramento, usura, guasti) allo stato di buon funzionamento, come lo era in precedenza.

Nel rispetto quindi dell’articolo 3 del testo unico dell’edilizia, che definisce gli interventi di “manutenzione ordinaria” le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza impianti tecnologici esistenti.

I ricorrenti sostengono di non aver ecceduto dall’ambito della “manutenzione ordinaria”, avendo aggiornato taluni impianti alle esigenze necessarie per (il mantenimento del) l’esercizio dell’attività commerciale, con sostituzione di componenti e senza l’aggiunta di elementi di “innovazione” e con l’apporto solo di componenti attuali ed adeguati e rispondenti alla tecnica d’oggi .

Si sostiene in ricorso che “innovare” è ben altro che “aggiornare”:i nuovi elementi non sarebbero tipologicamente e funzionalmente diversi dai precedenti e non darebbero origine a un “quid novi” .

Sotto tale profilo la difesa sostiene che l’intervento globalmente realizzato non rientrerebbe nella più rilevante categoria/tipologia di attività della “manutenzione straordinaria” o del “restauro”, ma, in quanto “manutenzione meramente ordinaria” rientrerebbe nell’alveo dell’attività edilizia libera.

La proprietà ha realizzato opere finalizzate a restituire fruibilità e significato patrimoniale al bene, funzionale anche per la collettività.

Sul punto in ricorso si richiama la manualistica di settore e la giurisprudenza maturata per l’individuazione del contenuto della definizione di “manutenzione ordinaria”, in riferimento a “impianti”, “finiture interne” e “finiture esterne”.

*Ammettendo, per gli “impianti”, la possibilità di

- rifacimento del vecchio impianto elettrico sua sostituzione con uno nuovo;

-rifacimento sostituzione sanitari;

-sostituzione di caldaia;

*per le “finiture interne”:

-rifacimento degli intonaci, sostituzione dei pavimenti, sostituzione dei serramenti interni;

*per le “finiture esterne”:

-rinnovazione intonaci, sostituzione infissi quali serramenti, cancelli, serrande, vetrine di negozi;

sostituzione grondaie;

-rinnovazione del manto di copertura con conservazione di fattezze e tipologia di materiali originari;

-sostituzione di parti dei balconi e dei parapetti;

-rifacimenti di pavimentazioni esterne, ecc.

I ricorrenti sostengono , dunque, che tutti gli interventi realizzati, autonomamente considerati (e descritti nella relazione tecnica prodotta in giudizio, doc. 3) risulterebbero rientrare nel concetto di “manutenzione ordinaria”, in quanto non contemplerebbero alcun elemento di “innovazione”.

Il Collegio ritiene che questa prospettazione non può essere condivisa, per un duplice ordine di motivazioni:

§presenza di sistematicità e globalità degli interventi;

§incoerenza con la disciplina puntuale speciale regionale (legislativa-amministrativa).

Innanzitutto va considerato che il complesso delle opere realizzate va considerato nella sua interezza.

Non si tratta, cioè, in questo caso di considerare “singoli” interventi sul bene, ma va riscontrata l’effettuazione di un intervento “globale” di recupero dell’immobile, che ( pacificamente, come riconosciuto dagli stessi ricorrenti), non era più idoneo a svolgere la propria funzione di esercizio commerciale.

Con la realizzazione di una <molteplicità coordinata>
di interventi edilizi l’immobile, ammalorato, è stato integralmente “recuperato”, con l’effettuazione (pacifica) di importanti opere di rifacimento (che hanno coinvolto anche parti strutturali dell’edificio tetto, travature, impianti, vetrina, serramenti), coinvolgenti anche elementi esteriori, percepibili dall’esterno dell’edificio, dalla pubblica via, aventi un impatto visivo (anche per la scelta dei materiali).

Nel caso di specie sono stati realizzati lavori che sono consistiti nel rifacimento totale del tetto con sostituzione orditura e copertura, rifacimento dei pavimenti, intonaci e realizzazione di servizio igienico ex novo con antibagno, sostituzione di tutti gli infissi, della vetrina e del portoncino di ingresso, lato cortile, e la realizzazione di tutti gli impianti (elettrico, idrico-sanitario, di condizionamento, ecc.).

Le norme, sia nazionali che regionali, ammettono e restringono la “manutenzione ordinaria” , confinandola in un’ area molto ristretta e limitata.

In Valle d’Aosta la legge regionale n. 11/98 ha disciplinato, all’art. 59, i “Titoli abilitativi”, demandando ad una deliberazione della Giunta regionale la definizione delle “tipologie e delle caratteristiche delle trasformazioni urbanistiche o edilizie nelle zone territoriali del PRGC”.

In particolare i commi 4 e 5 dell’articolo 59 stabiliscono che:

“La Giunta regionale, con propria deliberazione, definisce le tipologie e le caratteristiche delle trasformazioni urbanistiche o edilizie nelle zone territoriali del PRG” ;

e che “. Le disposizioni del presente articolo e quelle degli articoli 60, 60-bis, 61, 61-bis e 62 prevalgono sulle norme dei piani e dei regolamenti e le sostituiscono”.

Con Deliberazione n. 1759 del 5.12.2014, la Giunta regionale ha poi approvato l’Allegato A, nel quale vengono puntualmente descritti gli interventi edilizi ed ognuno di essi viene ricondotto nella categoria di appartenenza.

Vengono così definite le 8 tipologie degli interventi edilizi e delle trasformazioni urbanistico-territoriali:

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