TAR Napoli, sez. V, sentenza 2009-01-16, n. 200900170

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2009-01-16, n. 200900170
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 200900170
Data del deposito : 16 gennaio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03560/2006 REG.RIC.

N. 00170/2009 REG.SEN.

N. 03560/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 3560/2006 registro generale promosso da:
M G, nato ad Aversa (CE) il 29 marzo 1971
difesa officiata: avvocato G G
domicilio: ex a. 35 RD 26/06/1924 c/o la Segreteria della Sezione

contro

il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Ufficio Territoriale del Go-verno di Caserta), in persona del ministro pro tempore, rappresentato e dife-so dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato presso la cui sede domicilia ex lege in Napoli alla via a. Diaz, n. 11

nei confronti di

- Regione Campania, in persona del Presidente della Giunta Regionale, n.c.
- Consorzio Ascosa Quattro, in persona del legale rappresentante p.t.
difesa officiata: avvocati Ennio Magrì e Carlo Sersale
domicilio: eletto in Napoli, via Carducci, n. 19
- Metrocampania Nordest s.r.l. (già Ferrovia Alifana e Benevento Napoli s.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore
difesa officiata: avvocato Enrico Soprano
domicilio: eletto in Napoli, via G. Melisurgo, n. 4

per l'annullamento

- del decreto del Prefetto della Provincia di Caserta N. 188/2003/LL.PP., i-gnoto il contenuto, con il quale il Consorzio Ascosa Quattro, quale conces-sionario della p.a., sta eseguendo l’ammodernamento ed il potenziamento della vecchia Ferrovia Alifana, tratta S. Maria C.V. - Teverola (solo men-zionato e mai depositato all’udienza del 2 marzo 2006, dinanzi al G.U. del Tribunale Ordinario di S. Maria Capua Vetere);

- del decreto dirigenziale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 13 marzo 2003, n. 536 che ha previsto il suddetto ammodernamento e potenziamento della Ferrovia Alifana, come un’opera prioritaria dalla legge 443/2001 (cd legge obiettivo) approvata dal CIPE con deliberazione n. 21/2001, depositato all’udienza del 2 marzo 2006;

- della delibera della Giunta Regionale della Campania del 5 aprile 2002, n. 1282 avente ad oggetto il cd Sistema Integrato Regionale dei Trasporti (solo menzionato e mai depositato all’udienza del 2 marzo 2006, dinanzi al G.U. del Tribunale Ordinario di S. Maria Capua Vetere);

- del progetto esecutivo relativamente alla tratta antistante l’attività com-merciale svolta dall’istante con relativa modifica ed accorgimenti per evitare il commesso spoglio e la conseguente contrazione dei redditi e congiurare danni allo svolgimento di autodemolizione.


Visto il ricorso, notificato in data 2 maggio 2006 e depositato in data 24 maggio 2006, con i relativi allegati.

Vista la domanda di fissazione d’udienza n. 2294 del 24 aprile 2008.

Visto l’atto di costituzione in giudizio dei soggetti indicati in epigrafe.

Viste le memorie prodotte dalle parti e gli atti della causa.

Data per letta, all’udienza dell’8/01/2009, la relazione del dott. P.

Uditi gli avvocati indicati nel verbale d’udienza.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Fondata ed assorbente risulta l’eccezione (rilevabile, tra l’altro d’ufficio) formulata dai soggetti evocati in giudizio in ordine al tardivo deposito del ricorso presso il giudice adito.

La sezione non può che confermare la propria sentenza del 7/6/2007, n. 6013, essendo incontestabile che l’opera sui cui si controverte rientra nelle fattispecie disciplinate dall’articolo 23 bis della legge 6/12/1971, n. 1034.

Il Consiglio di Stato, con decisione della Quinta Sezione del 21 giugno 2005, n. 3268, ha statuito che: “L’art. 23 bis della legge n. 1034/1971, intro-dotto dall’art. 4 della legge n. 205/2000, riprendendo in parte l’esperienza legata alla normativa di cui all’art. 19 del decreto legge 25 marzo 1997 n. 67 ed all’art. 1 comma 27 della legge 31 luglio 1997 n. 249, ha introdotto una disciplina processuale speciale, volta a conseguire obiettivi di accelerazione della definizione delle controversie in determinate materie, per le quali, ap-punto, l’esigenza di una pronta ed immediata definizione è considerata di particolare interesse pubblico.

In particolare, l’art. 23 bis cennato, dopo aver indicato al comma 1 gli “og-getti” a cui si applicano le nuove disposizioni, detta, nei commi successivi, tale disciplina.

La regola fondamentale di tale (speciale) regime processuale è indicata nell’art. 23 bis, comma 2, secondo cui <<i termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso>>.

Il comma 7 indica una specifica disciplina con riferimento ai termini per la <<proposizione dell’appello>>
avverso la sentenza del TAR pronunciata nei giudizi di cui al comma 1, identificando tali termini in quelli di trenta giorni dalla notificazione e di centoventi dalla pubblicazione, e prevedendo la pos-sibilità della proposizione del gravame nei trenta giorni dalla pubblicazione del dispositivo.

Infine, l’ultimo comma dell’art. 23 bis precisa, infine, che le relative dispo-sizioni <<si applicano anche davanti al Consiglio di Stato, in caso di do-manda di sospensione della sentenza appellata>>.

Tale essendo la disciplina processuale dettata dall’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971, appare evidente che la norma di cui al c.

2 - che dispone la riduzione alla metà dei termini processuali - riguarda sia il primo che il se-condo grado del giudizio, dal momento che essa si applica, “nei giudizi da-vanti agli organi di giustizia amministrativa” (art. 23 bis, c. 1), e quindi, sia dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali che al Consiglio di Stato.

Orbene, nell’ambito della disciplina processuale disegnata dall’art. 23 bis, l’applicabilità della regola della dimidiazione dei termini - generale perché riferita a tutti i termini e a tutti i gradi del giudizio - può essere esclusa sol-tanto dalla presenza nella stessa disciplina, di una disposizione derogatoria o che introduca, comunque, per determinati atti o adempimenti, un diverso specifico termine per il relativo compimento. E’ quanto avviene, nel proces-so accelerato previsto dall’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971, a seguito dell’inciso di cui allo stesso comma 2, secondo cui i termini processuali so-no ridotti alla metà, “salvo quelli per la proposizione del ricorso”, ed a se-guito della disciplina di cui al comma 7, che introduce uno specifico termine "per la proposizione dell’appello" avverso la sentenza del TAR.

Invero, la formulazione dell’art. 23 bis, comma 2, della L. n. 1034 del 1971, risente del dibattito scientifico e giurisprudenziale che ha accompagnato l’art. 19, comma 3, del DL 25 marzo 1997 n. 67 (e l’art. 1, comma 27, della legge 31 luglio 1997 n. 27) il quale, nell’introdurre un rito accelerato per i giudizi relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione ed a provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pub-bliche, disponeva la riduzione della metà di tutti i termini processuali.

In particolare, pur avendo la Corte Costituzionale (secondo la quale l’introduzione di una speciale disciplina, con riferimento a materie limitate e puntualmente identificate, o volte a conseguire obiettivi di celerità proces-suale, è legittima e non irragionevole: Corte Costituzionale, sentenza 10 no-vembre 1999, n. 427) ritenuto che la previsione di un termine di trenta gior-ni per notificare il ricorso non comprime, oltre i limiti di ragionevolezza ed effettività, il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) poiché non ri-duce i tempi di preparazione delle necessarie difese al punto da pregiudicar-ne l’efficacia e la completezza, lasciando al ricorrente un congruo margine di valutazione (cfr. la citata Corte cost., 10 novembre 1999 n. 427), appare palese che il legislatore, nel formulare la nuova disciplina contenuta nell’art. 4 della legge n. 205 del 2000, si è dato carico delle difficoltà che erano state prospettate a proposito della precedente disciplina speciale, ed in particolare di quelle connesse alla fase prodromica alla instaurazione del giudizio.

Nella formulazione della regola di cui all’art. 23, c. 2, il legislatore ha rite-nuto di tenere conto di tali esigenze, ed ha pertanto escluso dal dimezzamen-to, previsto per tutti i termini, i termini <<per la proposizione del ricorso>>.

Merita, a questo punto, di essere esaminato il problema se con la locuzione <<proposizione del ricorso>>
si intenda far riferimento non solo alla notifi-cazione del ricorso ma anche al deposito del medesimo.

In aderenza all’indirizzo giurisprudenziale maggioritario è possibile affer-mare che il termine “proposizione” sia stato utilizzato dal legislatore per in-dicare la (sola) fase relativa alla manifestazione della volontà di proporre il gravame giurisdizionale.

In effetti la dizione utilizzata dalla norma richiamata (<<i termini processua-li sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso>>) non ricomprende, nella eccezione alla regola della riduzione per i giudizi indicati nel primo comma, anche il termine del deposito del ricorso.

In primo luogo viene in considerazione l’elemento letterale secondo cui l’espressione "proposizione" si correla esclusivamente all’attività di compo-sizione dell’atto introduttivo del giudizio e della sua notifica all’amministrazione intimata nonché ad almeno uno dei controinteressati se esistenti ed individuabili;
tale attività configura la vocatio in ius. In un mo-mento successivo si pone l’attività di radicamento del rapporto processuale presso l’organo giudiziario adito con il deposito del ricorso.

La chiara distinzione dei due momenti è fissata anche nell’art. 21, primo e secondo comma della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 (come modificata dalla legge n. 205/2000), dove è delineata la necessaria successione degli adem-pimenti connessi al deposito rispetto a quelli afferenti alla notificazione del ricorso ed ancor più chiaramente nel quarto comma in cui si stabilisce che gli obblighi dell’Amministrazione intimata di versare gli atti necessari o uti-li per il giudizio decorrono dal momento del deposito con il che si chiarisce la distinzione netta dei due termini di notificazione e deposito del ricorso.

In secondo luogo, vanno presi in considerazione anche gli elementi di inter-pretazione evolutiva;
invero, la norma in esame ha modificato un regime (ex art. 19 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito dalla l. 23 maggio 1997, n. 135) che comprendeva “tutti” i termini processuali nella riduzione a metà con riguardo ai giudizi in materia di affidamento ed esecuzione di opere pubbliche. La dizione “tutti” era stata aggiunta dalla legge di conversione anche per eliminare dubbi insorti sulla applicazione della riduzione al termi-ne di notificazione del ricorso (C.S., A.P. n. 1 del 14 febbraio 2001, secondo cui la riduzione dei termini processuali prevista dall’art. 19 d.l. 25 marzo 1997 n. 67, conv. in L. 23 maggio 1997 n. 135, si applica anche al termine per la proposizione del ricorso;
né tale conclusione può essere esclusa alla stregua del disposto dell’art. 4 1. 21 luglio 2000 n. 205, il quale stabilisce che i termini processuali nelle materie elencate al comma 1 sono ridotti della metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso, in quanto la validità degli atti processuali soggiace alla regola del principio tempus regit actum e, in caso di successione di norme, va valutata con riguardo a quella vigente al momento del loro compimento e non a quella posteriore sopravvenuta).

La modifica del regime suddetto, apportata con l’art. 23-bis, secondo com-ma della legge 1034/1971 proprio sullo specifico punto, con la previsione di una speciale esclusione dalla regola di snellimento dei giudizi e di abbrevia-zione degli stessi, non può che essere letta in modo restrittivo, come norma di deroga.

In tale contesto l’estensione della eccezione anche al termine per il deposito del ricorso avrebbe dovuto essere esplicitamente prevista (C.S. IV n. 4562 del 28 marzo 2001;
C.S. IV, n. 3043 del 31 maggio 2002;
C.S. IV, n. 3050 del 14 maggio 2004;
<<Anche nei giudizi in tema di pubbliche forniture, as-soggettati al rito speciale previsto dall’art. 23 bis L. 6 dicembre 1971 n. 1034 il termine per il deposito del ricorso è dimezzato ed è pari perciò a quindici giorni dall’ultima notifica>>
C.S. V, 06/10/2003, n. 5897 - dalla quale non v’è motivo di discostarsi).

Pertanto, è possibile ribadire che rientra tra i termini processuali ridotti alla metà quello relativo al deposito del ricorso, che normalmente è di 30 giorni dall’ultima notifica (artt. 21 e 28 L. n. 1034/1971);
ne discende che nei giu-dizi di cui al menzionato art. 23 bis tale termine è ridotto a 15 giorni”.

Nel caso di specie, pertanto, il ricorso doveva essere depositato al più tardi il 17 maggio 20067, essendo stato notificato 2 maggio 2006: il deposito effet-tuato il 24 maggio 2007 è quindi tardivo.

In ogni caso il ricorso dovrebbe essere dichiarato perento per omessa tempe-stiva presentazione della domanda di fissazione d’udienza.

“Nella decisione 31 maggio 2002, n. 5, l’Adunanza Plenaria di questo Con-siglio ha chiarito che l’art. 23 bis, inserito nella legge n. 1034 del 1971, dall’art. 4 della legge n. 205 del 2000, introduce una speciale disciplina pro-cessuale allo scopo di accelerare la definizione delle controversie in deter-minate materie considerate di particolare interesse pubblico, ponendo la re-gola generale secondo la quale nei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa e relativi a tali materie i termini processuali previsti sono ri-dotti alla metà salvo quelli per la proposizione del ricorso. Nell’ambito di tale disciplina processuale la regola generale del dimidiamento dei termini può essere esclusa solo dalla presenza di una norma specifica derogatoria che, nell’art. 23 bis, concerne il ricorso sia in primo grado che in appello perché il termine <<proposizione>>
dell’art. 23 bis vuole indicare la fase re-lativa alla manifestazione della volontà di impugnare il provvedimento o la sentenza e cioè la notifica dell’atto, in coerenza con la interpretazione giuri-sprudenziale formatasi sugli antecedenti storici della disciplina (C.S. V, 13 aprile 1999, n. 182;
Cons. Stato Ad. Plen., 14 febbraio 2001).

Rispetto alla proposizione del ricorso (o dell’appello) la domanda di fissa-zione dell’udienza si inserisce in una fase processuale diversa e successiva rispetto alla notificazione da cui ha origine il processo e si caratterizza per la sua inerenza alla fase finale del processo costituita dall’udienza di discus-sione, che, nella normalità dei casi, non può essere fissata d’ufficio ma su istanza di parte, in ossequio al principio dispositivo proprio del processo amministrativo. Negli artt. 51 e 53 del regolamento di procedura di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, la determinazione del giorno dell’udienza av-viene secondo l’ordine di iscrizione delle domanda di fissazione nell’apposito registro a cura del segretario, che ricevuta la domanda, la pre-senta "col ricorso, il controricorso, il ricorso incidentale le carte e i docu-menti" al presidente della sezione, il quale nomina il relatore e assegna il giorno dell’udienza. L’istanza di fissazione rappresenta perciò la manifesta-zione di volontà delle parti di conseguire la definizione del giudizio e, come tale, deve formare oggetto di un atto a sé stante, diverso dallo stesso atto di ricorso (C.S.A.P. 28 settembre 1984, n. 19) a dimostrazione della sua auto-nomia rispetto all’introduzione del giudizio. Quest’ultima fase, infatti, è propria della sola notificazione del ricorso e si esaurisce con il deposito presso la segreteria ex art. 21 co. 2, della legge n. 1034/1971 (art. 36, T.U. n. 1054/1924) che segna il momento di costituzione del rapporto processua-le (C.S.A.P. 3 febbraio 1978, n. 3), sottoposto a norme espressive di principi di ordine pubblico processuale, sottratti, in quanto tali, alla disponibilità del-le parti (C.S. IV, 7 maggio 2001, n. 2558) poiché da tale momento il giudice viene investito del giudizio e sorge in lui il dovere di provvedere sulla do-manda e, quindi di pronunciarsi sul rito e sul merito del processo (C.S. VI, 15 febbraio 1989, n. 134).

Per il suo carattere di adempimento da effettuare dopo la costituzione del rapporto processuale, la domanda di fissazione di udienza rimane pertanto assoggettata alla dimidiazione prevista dall’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971 per tutti i termini processuali diversi da quello della notificazione del ricorso. È irrilevante che il legislatore, nel secondo inciso della disposi-zione in esame, abbia adoperato la parola <<termine>>
al plurale e non al singolare. L’incertezza ingenerata dall’uso del plurale nel comma secondo dell’art. 23 bis e dall’uso del singolare nel successivo settimo comma è stato riferita al deposito del ricorso (non dimidiato secondo C.S. Stato, IV, 18 ot-tobre 2002, n. 5696) e non alla domanda di fissazione. Anche relativamente al deposito, la stessa Adunanza Plenaria (31 maggio 2002, n. 5) ha, però, confermato la regola della riduzione a metà anche del termine di deposito, interpretando la norma aldilà del tenore letterale e secondo la finalità di de-finire in maniera sollecita particolari controversie, rispetto alla quale sarebbe in aperto contrasto la possibilità delle parti di differire, ove si accettasse la tesi delle parti appellanti, di un anno in più la discussione del ricorso.

Va anche respinto l’ulteriore profilo di appello per non avere la sentenza impugnata riconosciuto il beneficio dell’errore scusabile. Nella costante giu-risprudenza questo Consiglio (ex plurimis C.S. IV, 26 luglio 2004, n. 5316), la rimessione in termini per errore scusabile è rigidamente legata a specifici presupposti idonei ad ingenerare convincimenti non esatti, consistenti, sotto il profilo oggettivo, nella complessità della fattispecie concreta o nell’equivocità del comportamento dell’amministrazione oppure, sotto l’aspetto soggettivo, nella situazione normativa obiettivamente inconoscibile o confusa, nelle difficoltà di interpretazione del dettato normativo, nei con-trasti giurisprudenziali esistenti. Anche in presenza della novità della que-stione, il Collegio non ravvisa alcuno di questi presupposti. Come già rileva-to dalla citata decisione dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 2002, la dimidia-zione dei termini nella materia delle aggiudicazioni, affidamento ed esecu-zione di lavori e servizi pubblici è stata oggetto di disciplina antecedente al-la novella dell’art. 4, della legge n. 205 del 2000. Nell’applicazione dell’art. 19 del decreto legge n. 67 del 1997, l’orientamento costante giurisprudenza (C.S. V, 24 dicembre 2001, n. 6383;
31 maggio 2002, n. 3043;
6 ottobre 2003, n. 5873;
1 ottobre 2003, n. 5679;
6 luglio 2002, n. 3717;
10 giugno 2002, n. 3207;
2 luglio 2001, n. 3600;
IV, 1 febbraio 2001, n. 386) si è sem-pre manifestato nel senso della generale riduzione a metà di tutti i termini processuali, ad eccezione del solo termine di proposizione del ricorso intro-duttivo” (C.S. V, I dicembre 2006, n. 7086).

Nel caso di specie, pertanto, il deposito della domanda di fissazione d’udienza in data 24 aprile 2008 è certamente tardivo essendo stato il ricorso depositato in data 24 maggio 2006.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi