TAR Napoli, sez. III, sentenza 2018-04-17, n. 201802512

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. III, sentenza 2018-04-17, n. 201802512
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201802512
Data del deposito : 17 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/04/2018

N. 02512/2018 REG.PROV.COLL.

N. 14442/1992 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14442 del 1992, proposto da:
originariamente da S T, proseguito da T I e T C, nella qualità di eredi di S T, rappresentati e difesi dagli avvocati C L M ed I M ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. V F in Napoli, alla Riviera di Chiaia, n. 276;

contro

- Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, presso la cui sede alla Via A. Diaz, n. 11, domicilia per legge;
- Comune di Boscoreale, in persona del legale rappresentante pt., non costituito in giudizio;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
F L, B R, A M, O I R, S E, I A, C A, U A, D A, B S, D’Alesio Michela, B L, A G, rappresentati e difesi dall’Avv. Gennaro Maresca ed, agli effetti del presente giudizio domiciliati presso la Segreteria del T.A.R. Campania, Napoli, Piazza Municipio, n. 64;

per l'annullamento, previa sospensione

a) del decreto del Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali del 17.10.1992, notificato l’11.11.1992, con il quale è stata annullata l’autorizzazione paesaggistica , ex art. 7 della legge 1947/39, rilasciata dal Sindaco del Comune di Boscoreale in data 28 luglio 1992 n. 11/92;

b) per quanto di ragione, della nota della Soprintendenza per i BB.CC.AA. di Napoli Prot. 24160 dell’8.9.1952, richiamata nel decreto ministeriale sub a), di cui si ignora il contenuto perché mai comunicata alla ricorrente;

c) di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale, per quanto di ragione, afferente allo jius aedificandi della ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato Ministero;

Visto l’atto di intervento in giudizio di F L, B R, A M, O I R, S E, I A, C A, U A, D A, B S, D’Alesio Michela, B L, A G;

Viste le produzioni delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Viste le ordinanze n. 224 del 12.1.2018 e n. 4308 del dell’8 settembre 2017 di questa Sezione;

Relatore nella pubblica udienza del giorno 6 aprile 2018 il dott. V C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato in data 3/12/1992, S T, de cuius degli odierni ricorrenti, T I e T C, proponeva l’impugnativa in epigrafe contro il decreto del Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali del 17.10.1992, notificato l’11.11.1992, con il quale era stata annullata l’autorizzazione paesaggistica, ex art. 7 della legge 1947/39, rilasciata dal Sindaco del Comune di Boscoreale in data 28 luglio 1992 n. 11/92.

Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo si costituiva in giudizio.

Con decreto presidenziale n. 2966 del 16/4/2011 è stata dichiarata la perenzione del ricorso ai sensi dell’art. 9 della legge 21 luglio 2000, n. 205, come modificato ed integrato dall’art. 54, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 e dall’art. 57, comma 1, L. 18 giugno 2009, n. 69, non abrogato del nuovo Codice del processo amministrativo;

Con istanza notificata l’11/4/2017, i ricorrenti in prosecuzione, T I e T, quali eredi di S T, nel dichiarare di avere ancora interesse alla decisione della causa, hanno chiesto la revoca del decreto di perenzione ai sensi dell’art. 1, co. 2, all. 3 del c.p.a., rappresentando che il suddetto decreto non sarebbe stato comunicato nel domicilio eletto anche perché il domiciliatario si sarebbe trasferito nel corso del giudizio.

Con ordinanza n. 4308 dell’8/9/2017, si è preliminarmente proceduto alla ricostruzione del fascicolo ai sensi dell’art. 5, co. 5, all. 2 del c.p.a..

Con ordinanza n. n. 224 del 12/1/2018, si è rilevato che, a fronte dell’affermazione dei ricorrenti di non aver conosciuto l’emanazione del decreto di perenzione adottato nel 2012, non è possibile svolgere alcuna specifica ricerca in ordine alla spedizione postale dell’avviso di deposito del suddetto decreto sia perché nulla più risulta agli atti di Poste Italiane, essendo i documenti relativi alla spedizione inoltrati al macero dopo tre anni dall’insorgenza del rapporto con il mittente ex art. 20 del d.P.R. n. 156 del 1973 (cfr.

TAR

Campania, sez, III, 27/12/2016, ord. n. 5960), sia perché i fascicoli processuali cartacei sono normalmente soggetti allo scarto di archivio, per effetto del quale vengono distrutti tutti gli atti e documenti del processo, ivi compresa la prova documentale, se esistente, della comunicazione cartacea di segreteria del decreto di perenzione, tant’è che nel presente caso è stata necessaria la ricostruzione del fascicolo ai sensi dell’art. 5, co. 5, all. 2 del c.p.a.. In relazione a quanto precede – ravvisando che il termine previsto dal citato art. 1, co. 2, all. 3 del c.p.a non decorre se non è dimostrabile la conoscenza del decreto di perenzione e quindi la data in cui la relativa comunicazione giunge a destinazione – è stato revocato il decreto presidenziale n. 2966/2011 con reiscrizione della causa sul ruolo di merito.

Nel contempo, con la citata ordinanza collegiale, si è rilevato che dalla pubblicazione in data 16/4/2011 del citato decreto non è stato compiuto alcun atto di procedura per oltre un anno, per cui si è indicata alle parti, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., come questione di rito rilevabile d’ufficio ex art. 35 c.p.a., la causa di estinzione del giudizio prevista dall’art. 81 c.p.a..

Con atto depositato in data 23.2.2018 intervenivano in giudizio ad adiuvandum F L, B R, A M, O I R, S E, I A, C A, U A, D A, B S, D’Alesio Michela, B L, A G.

All’udienza del 6/4/2018 il ricorso è stato discusso ed introitato per la decisione.

DIRITTO

1. Va preliminarmente verificato - d’ufficio ai sensi dell’art. 83 c.p.a. e previa contestazione alle parti effettuata con ordinanza n. 224 del 12/1/2018 - se, nonostante la revoca del decreto di perenzione adottato nel 2012 ai sensi dell’art. 1, all. 3, c.p.a., si è verificata l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 81 c.p.a..

1.1. Giova premettere che il nuovo codice del processo amministrativo disciplina le cause estintive del processo contemplando una perenzione annuale (art. 81, derivante dagli artt. 23 e 25 della legge n. 1034 del 1971 che prevedeva all’epoca un termine biennale), una perenzione quinquennale (art. 82, derivante dall’art. 9, co. 2, della legge n. 205 del 2000, modificato dall’art. 54 del decreto-legge n. 112 del 2008) ed una perenzione eccezionale rapportata all’entrata in vigore del nuovo codice (art. 1 delle norme transitorie).

Il fondamento comune dell’istituto consiste nell’esigenza di non lasciare nell’incertezza la sorte dei rapporti e delle situazioni giuridiche per un lungo ed indefinito lasso di tempo. A tale scopo il trascorrere del tempo congiunto alla inattività delle parti porta ad una sorta di presunzione assoluta di abbandono del ricorso per effetto dell’inerzia, giustificando la estinzione del processo (cfr. Cons. St., ad. plen., 23/3/2004, n. 6).

Nel contempo la perenzione, attraverso un meccanismo generalizzato di verifica della sussistenza dell’interesse alla decisione, assolve anche al compito essenziale di decongestionare le aule nonché gli archivi degli organi giurisdizionali da una massa di contenzioso obsoleto (cfr. ad. plen. cit.) che non solo appesantisce ed ostacola il normale svolgimento del servizio, ma che anche determina, per l’operare della cd. legge Pinto, un rilevante onere per le risorse pubbliche. Ed infatti l’Adunanza Plenaria ha puntualizzato, con una decisione risalente ma attuale ancora oggi, che “la perenzione nel giudizio amministrativo, essendone espressamente prevista la rilevabilità d'ufficio, non può considerarsi istituto di mero interesse privato … ma risponde all'esigenza di una rapida definizione dei processi, esigenza particolarmente avvertita in giudizi che riguardano necessariamente interessi pubblici” (cfr. Cons. St., ad. plen., 22/4/1983, n. 6).

E’ da aggiungere che il processo amministrativo è di norma dominato dal principio dell’impulso e dell’iniziativa di parte e le parti stesse sono altresì vincolate a cooperare con il giudice per la realizzazione di una ragionevole durata del processo (art. 2 c.p.a.).

In tale contesto l’art. 81 c.p.a. prevede che: “Il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura. Il termine non decorre dalla presentazione dell'istanza di cui all'articolo 71, comma 1, e finché non si sia provveduto su di essa, salvo quanto previsto dall'articolo 82”.

Tale disposizione assegna dunque alle parti l’onere di compiere un qualsiasi atto processuale idoneo a manifestare l’interesse al processo e quindi a coltivare il giudizio.

A fronte di tale onere, che può essere agevolmente osservato con un minimo di diligenza, vi è il rilevante interesse pubblico dell’amministrazione della giustizia a mantenere sul ruolo controversie per le quali permanga e sia manifestato un interesse, evitando che ingenti risorse organizzative e finanziarie (che sono ovviamente limitate) siano assorbite da cause che risultano sostanzialmente abbandonate dalle parti.

Siffatto onere, previsto dall’art. 81 c.p.a., rimane quiescente se vi è una tempestiva domanda di fissazione d’udienza ex art. 71, co. 1, c.p.a. (da presentare nel termine massimo di un anno dal deposito del ricorso o dalla cancellazione della causa dal ruolo), fino a quando “non si sia provveduto su di essa”.

In definitiva la disposizione esclude la decorrenza del termine per la perenzione annuale “quando il rapporto processuale è sottratto alla disponibilità delle parti ed è assoggettato al diretto impulso d’ufficio” (cfr. Cons. St., ad. plen., 28/9/1984, n. 19), prevedendo nel contempo che, una volta che siano esauriti gli effetti dell’istanza di fissazione d'udienza, si riattiva l'onere assegnato alle parti di dare impulso al processo per mantenerlo in vita.

Resta da chiarire in cosa consiste il provvedere su una domanda di fissazione d’udienza.

Senza dubbio il giudice (Presidente o Collegio ex art. 55 c.p.a.) provvede su una domanda di fissazione d’udienza, in primo luogo, fissando l’udienza stessa;
tant’è che lo stesso art. 71, co. 1, c.p.a. dispone che, qualora dall’udienza fissata non sortisca un esito conclusivo del processo, gli interessati hanno l’onere di presentare una ulteriore domanda di fissazione d’udienza.

Tuttavia, posto che non è ammessa la revoca della DFU, la cancellazione della causa dal ruolo non è comunque l’unico caso in cui il ricorrente ha l’onere, espressamente previsto dalla legge, di attivarsi per manifestare espressamente il proprio perdurante interesse alla decisione della controversia.

Infatti tale formalità è espressamente contemplata, in via transitoria, dall’art. 1, all. 3, c.p.a. e più in generale, a regime, dall’art. 82 c.p.a. per tutti i ricorsi ultraquinquennali. Tali disposizioni disciplinano una sequenza procedurale specifica che conduce alla prosecuzione ovvero all’estinzione del giudizio.

Nondimeno non può essere dubbio che, una volta dichiarata l’estinzione del processo per perenzione quinquennale ovvero ai sensi delle norme transitorie, sia pure con il decreto presidenziale previsto dall’art. 85 c.p.a., il giudice amministrativo ha definitivamente provveduto sulla originaria domanda di fissazione d’udienza, la quale ha completamente esaurito la propria funzione, per cui nessun ulteriore effetto può residuare al fine di bloccare la decorrenza del termine per l’applicazione della perenzione annuale ex art. 81 c.p.a..

Se dunque il decreto di perenzione è per qualsiasi ragione annullato o revocato, sia pure per un difetto di procedura dell’iter relativo alla pronuncia della perenzione ex art. 82 c.p.a. ovvero ex art. 1 allegato 3 c.p.a., occorrerà verificare se per altro verso si è verificata l’estinzione del giudizio per perenzione annuale ex art. 81 c.p.a. e quindi, in concreto, se sia stato compiuto un atto di procedura nel corso di un anno, con decorrenza dalla pubblicazione del decreto di perenzione.

In tale quadro normativo l’art. 81 c.p.a., facendo espressamente “salvo quanto previsto dall'articolo 82”, reca un riferimento sistematico alla disposizione che a regime trova applicazione per tutti i ricorsi ultraquinquennali, nel senso che la perenzione ultraquinquennale è una causa estintiva che si aggiunge alla perenzione annuale. Il che non significa che la perenzione ultraquinquennale, ulteriore rispetto a quella ordinaria annuale, deroga o esclude l’applicazione dell’art. 81.

Infatti, come sancito dal massimo organo di giustizia amministrativa, “il sistema postula manifestamente una norma ‘di chiusura’ tale da permettere, in ogni caso, la conclusione del procedimento, e detta norma è ravvisabile, in concreto, in quella relativa alla perenzione … la perenzione dei ricorsi non deve essere guardata con sfavore, quasi si trattasse di una disfunzione della giustizia amministrativa;
essa, invece, sempreché consegua ad un effettivo abbandono debitamente accertato, appartiene alla fisiologia dei rapporti fra privato e pubblica amministrazione. Non è né anormale, né insolito, che l'ininterrotto fluire dell'attività amministrativa e lo svolgersi delle circostanze determinino se non la cessazione della materia del contendere o l'improcedibilità del ricorso in senso proprio, l'esaurirsi delle ragioni sostanziali della controversia e il venir meno dell'interesse a coltivare i ricorsi” (cfr. Cons. St., ad. plen., 18/4/1986, n. 3).

Non sarebbe per contro ammissibile che, in presenza di parti che rimangano del tutto inerti per un significativo periodo di tempo, il processo possa rimanere pendente, senza essere soggetto alla disposizione che regola in via ordinaria la perenzione. Infatti “questo effetto non è solo un inconveniente (peraltro tanto più rilevante, quanto crescente e il fenomeno che gli dà origine) ma una vera e propria rottura del sistema, che senza dubbio è stato razionalmente costruito con 1'intento di evitare (grazie alla norma ‘di chiusura’ relativa alla perenzione) che un ricorso possa sfuggire ad arbitrio delle parti ad una qualunque pronuncia conclusiva” (cfr. Cons. St., ad. plen. ult. cit.).

Sennonché, se per un verso il giudizio non può rimanere indefinitamente pendente, neppure sarebbe ammissibile che un processo, dopo essersi concluso con un decreto di perenzione, possa rimanere soggetto senza alcun limite temporale all’alea di essere riaperto, contrariamente a quanto avviene per una sentenza che, come noto, può essere appellata al massimo nel termine lungo, che decorre dalla data della sua pubblicazione, indipendentemente dalla comunicazione alle parti.

Al riguardo il giudice delle leggi (cfr. Corte cost., 25/7/2008, n. 297) ha espressamente escluso che tale assetto normativo (con riferimento in particolare all’art. 327 c.p.c.) sia in contrasto con la tutela del diritto di difesa garantito dall’art. 24 cost., in quanto:

- “opera un non irragionevole bilanciamento tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa”;

- “l'ampiezza del termine annuale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis”;

- “la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte”.

Corrispondentemente le stesse ragioni possono e devono valere per escludere che l’art. 81 c.p.a. - così come interpretato nel senso che l’onere di impulso della parte sussiste anche dopo la pubblicazione di un decreto di perenzione suscettibile di annullamento o di revoca - comporti una lesione dei principi del giusto processo o dell'integrità del diritto di difesa, con riferimento non solo agli artt. 24 e 111 della Costituzione, ma anche all'art. 6 della CEDU.

Del resto è appena il caso di soggiungere che una diversa interpretazione renderebbe virtualmente precari tutti i decreti di perenzione, senza eccezione e senza alcun limite di tempo, posto che i fascicoli processuali sono normalmente soggetti allo scarto di archivio, per effetto del quale vengono distrutti tutti gli atti e documenti del processo, ivi compresa la prova documentale – se esistente – della comunicazione cartacea di segreteria del decreto di perenzione, prova che non sarebbe possibile reintegrare neppure con la ricostruzione del fascicolo ex art. 5, all. 2, c.p.a..

Il che è appunto dimostrato dal caso qui in esame

1.2. Orbene, nella specie, il decreto presidenziale di perenzione è stato pubblicato in data 16/4/2011 e non è stato compiuto alcun atto di procedura per oltre un anno, pur tenendo conto della sospensione feriale dei termini processuali, fino al 5/4/2017, data costituzione in giudizio del difensore aggiuntivo di T I e T C, quali eredi di S T.

La difesa della parte ricorrente obietta che:

- non poteva avanzare alcuna istanza in ordine ad un giudizio estinto;

- la pubblicazione del decreto di perenzione non costituisce strumento idoneo per una conoscenza della causa di estinzione del giudizio;

- nessuna pubblicazione potrebbe essere opposta agli eredi della originaria ricorrente.

Al riguardo è agevole replicare che:

- dopo il deposito del ricorso, nel 1992, nessun altro atto processuale è stato compiuto fino all’emanazione nel 2011 del decreto di perenzione, con il quale si sono esauriti gli effetti della originaria domanda di fissazione di udienza;
successivamente, solo nel 2017 la parte ricorrente si è attivata dimostrando un tardivo interesse alla decisione di merito, ben oltre il termine previsto dall’art. 81 c.p.a.;

- come già rilevato, la pubblicazione dell’atto conclusivo del giudizio non è un fatto irrilevante, tant’è che la pubblicazione della sentenza costituisce il dies a quo per la decorrenza del termine cd. lungo per l’impugnativa innanzi al giudice di appello, in mancanza della quale si forma il giudicato anche a prescindere dalla comunicazione o notificazione della pronuncia del giudice di primo grado;

- l’erede subentra in universum ius in tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, che erano nella titolarità del dante causa, per cui è da escludere che con la successione possano reintegrarsi delle situazioni giuridiche precedentemente estinte in capo al de cuius .

Ne consegue che il ricorso in questione va considerato perento ai sensi dell’art. 81 c.p.a..

2. Le spese di giudizio vanno compensate in base all’art. 83 c.p.a.

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