TAR Catania, sez. V, sentenza 2024-10-30, n. 202403601
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Testo completo
Pubblicato il 30/10/2024
N. 03601/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00039/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 39 del 2024, proposto da
-O-, rappresentato e difeso dagli avvocati C B e Santa -O-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
per l'annullamento
- del provvedimento della Prefettura di Catania del 2 novembre 2023, notificato in data 6 novembre 2023, avente ad oggetto “adozione di interdittiva antimafia”, nonché di ogni atto istruttorio presupposto, ivi inclusi lo sconosciuto rapporto del Gruppo Informativo Antimafia (di cui alla riunione del 7 giugno 2023) e la sconosciuta “nota” della Procura della Repubblica del 3 maggio 2023, genericamente richiamati per relationem .
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Catania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2024 il dott. Salvatore Accolla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente esponeva che, nell’esercizio dell’attività di vendita ambulante di generi alimentari con camion attrezzati per la vendita di panini da parte del figlio, titolare della relativa impresa, a causa dell’asserita attività di concorrenza sleale esercitata da P. O. (meglio individuato in ricorso e nel provvedimento impugnato), esercente in maniera abusiva la medesima attività nello stesso piazzale in cui era posizionato il proprio camion, aveva avuto un alterco con quest’ultimo e con P. G. (anch’egli meglio individuato in ricorso e nel provvedimento impugnato), che aveva coinvolto anche il di lui figlio -O- (anche lui attinto da interdittiva antimafia per questa stessa vicenda).
Per tali fatti si era svolto un procedimento penale, scaturito dalla denuncia a carico del ricorrente e del figlio per tentata estorsione, per cui il GIP di Catania aveva applicato misure di prevenzione personali con provvedimento del 29 ottobre 2019.
Il Tribunale di Catania, in sede di riesame, aveva derubricato il tentativo di estorsione in tentata violenza privata. A seguito di ulteriore ricorso in Cassazione era stata esclusa la sussistenza della cirocostanza aggravante di cui all’art. 416 bis c.p.
Rilevava parte ricorrente che le presunte minacce, rafforzate dalla spendita del rapporto parentale con soggetti mafiosi, sarebbero state frutto solo di affermazioni labiali dei denuncianti, senza alcun riscontro probatorio.
La Prefettura avrebbe ignorato le predette pronunce giurisdizionali che avrebbero ridimensionato la gravità dei fatti, benché, in riscontro all’avvio del procedimento, il ricorrente avrebbe segnalato tale rideterminazione dei reati
Formulava, pertanto, i seguenti motivi di ricorso.
In primo luogo, evidenziava che l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni e gli altri reati eventualmente ipotizzabili non sarebbero considerabili quali “reati spia”, sicché, anche sul punto, l’interdittiva avrebbe effettuato un salto logico del tutto arbitrario.
Neanche il reato di violenza privata, ricostruito dalla Cassazione, sarebbe stato un reato spia, sintomatico di mafiosità.
La spendita di qualifiche parentali con soggetti mafiosi, e l’invito a fare intervenire soggetti malavitosi sarebbero state oggetto di affermazioni meramente labiali. Secondo il ricorrente anche la Cassazione avrebbe riconosciuto l’insussistenza di tali circostanze aggravanti.
In generale, sarebbe mancata, nel provvedimento, proprio la doverosa valutazione dei provvedimenti favorevoli emessi sia dal Tribunale del Riesame che dalla Corte di Cassazione.
L’accertamento in punto di fatto compiuto dal giudice penale non avrebbe potuto essere messo in discussione dalla Prefettura.
I predetti organi giurisdizionali avrebbero escluso, già in punto di fatto, per mancanza di prova (prima ancora che di diritto), l’esistenza di quegli elementi oggettivi dalla cui supposta esistenza, invece, la Prefettura avrebbe tratto la sussistenza del pericolo d’infiltrazione.
Sarebbe mancato nel provvedimento l’ancoraggio a condotte specificamente provate.
Gli elementi posti alla base dell’interdittiva, deprivati del richiamo intimidatorio della parentela con la -O-, sarebbero stati privi della gravità necessaria, dal momento che il richiamo ai contenuti della richiesta di rinvio a giudizio della Procura sarebbe stato del tutto generico ed immotivato e, pertanto, affetto dal totale difetto di motivazione.
In effetti, gli stessi denuncianti avrebbero ammesso di aver inizialmente dichiarato il falso, nel corso della chiamata al 112, in merito al riferimento alle presunte parentele con -O-.
La Prefettura avrebbe impropriamente fatto leva sulla commissione di un reato comune, per trasformarlo in presupposto del pericolo d’infiltrazione mafiosa dell’impresa.
In subordine, evidenziava che, data la risalenza dei fatti a quatto anni e mezzo prima, sarebbe mancato alcun riferimento all’attualità del pericolo di infiltrazione.
In ulteriore subordine, lamentava che il Prefetto avrebbe omesso di valutare la possibile applicazione di misure di prevenzione collaborativa ex art. 94 bis del d. lgs. 159/11, non potendosi ritenere sufficiente, a suo parere, la stringata motivazione, in merito, contenuta nel provvedimento.
Trattandosi di unico episodio, non sarebbe stato chiaro per quale ragione sarebbe stata affermata la non occasionalità della vicenda.
Per le predette ragioni chiedeva l’annullamento degli atti impugnati.
Si costituiva in giudizio l’Amministrazione convenuta, la quale evidenziava, in primo luogo, l’irrilevanza, ai fini della prevenzione amministrativa, degli esiti della fase cautelare del giudizio penale, data la diversità ontologica e funzionale delle due valutazioni.
Evidenziava come il ricorrente ed i suoi collaboratori avrebbero posto in essere nei confronti dei concorrenti commerciali inizialmente una ripetuta opera di intimidazione, culminata, a seguito del rifiuto opposto da P. O. e P.G., nella "spedizione punitiva" in pieno stile mafioso del 29 maggio 2019.
Il rapporto di parentela tra il ricorrente e -O- sarebbe stata un dato accertato anche giudizialmente, così come sarebbe acclarata la vicinanza della suddetta a soggetti ritenuti intranei a clan mafiosi operanti sul territorio, nonché la particolare storica operatività della
stessa R. S. nel medesimo settore economico in cui opera la famiglia del ricorrente e i sopra citati concorrenti. In tal senso, sarebbe stato non essenziale he che tale dato parentale fosse stato affermato o meno in maniera plateale.
Gli -O- non avrebbero mai adito le pubbliche