TAR Genova, sez. I, sentenza 2014-07-08, n. 201401078

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. I, sentenza 2014-07-08, n. 201401078
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 201401078
Data del deposito : 8 luglio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00754/2013 REG.RIC.

N. 01078/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00754/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 754 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Fin.Im S.r.l., in nome del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti R P, M A Q, con domicilio eletto presso M A Q in Genova, via Roma 4/3;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero Economia e Finanze, in nome dei rispettivi Ministri pro tempore, Capitaneria Porto di Imperia, Provveditorato Interregionale Oopp per la Lombardia e La Liguria, Agenzia del Demanio, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Genova, v.le B. Partigiane, 2;
Comune di Ospedaletti, in nome del sindaco pro-tepore, rappresentato e difeso dall'avv. Corrado Mauceri, con domicilio eletto presso Corrado Mauceri in Genova, via XII Ottobre, 2/63;
Regione Liguria non costituita;

per l'annullamento

1) del parere della commissione ex art. 49 c.nav. in data 11 aprile 2013;

2) della nota del Ministro delle infrastrutture e trasporti, ufficio circondariale marittimo di Sanremo 16 maggio 2013 n. prot. 3090;

3) della nota del Comune di Ospedaletti 10 maggio 2013 n. prot. 3907.

4) dell’ordinanza contingibile ed urgente del comune di Ospedaletti n.14 del 9 settembre 2013.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero Economia e Finanze e di Capitaneria Porto di Imperia e di Comune di Ospedaletti e di Provveditorato Interregionale Oopp per la Lombardia e La Liguria e di Agenzia del Demanio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 maggio 2014 il dott. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società ricorrente – in bonis ed operativa al momento della proposizione del gravame, attualmente in liquidazione – ha impugnato il parere negativo della Commissione istituita ai sensi dell’art. 49 cod. nav. presso la Capitaneria di Porto di Imperia chiamata ad esprimersi sull’acquisizione allo Stato delle opere realizzate in area demaniale marittima.

Impugnazione estesa agli atti conseguenti e connessi, fra in quali quelli adottati dal comune di Ospedaletti e dalla Capitaneria aventi ad oggetto la gestione delle aree rimaste nella sua disponibilità.

In narrativa dell’atto introduttivo ha precisato in fatto che:

lo strumento urbanistico attuativo e la concessione demaniale in forza delle quali ha realizzato parte delle opere pubbliche e di pubblico interesse, ricomprese nell’abito dell’intervento denominato “A.I.O. 1” relative al progettato porto turistico, sono state annullate con sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 22 gennaio 2013 n. 361;

nel procedimento d’incameramento delle opere, promosso dal Comune ai sensi dell’art. 49 cod. nav., la Commissione, sul rilievo dell’assenza di proficuità delle opere come realizzate, ha espresso parere negativo;

dal parere negativo hanno preso avvio una serie di prescrizioni, adottate rispettivamente dalla Capitaneria e dal Comune, impositive di oneri ed obblighi di gestione dell’area demaniale in questione – anch’esse impugnate, la cui efficacia è stata sospesa dal Consiglio di Stato (sez. IV, ord. 4209 del 2013) – sfociate infine nell’ordinanza contingibile ed urgente, avente ad oggetto l’esecuzione di opere strumentali alla sicurezza dei luoghi (ossia dell’area di sedime delle opere portuali e della spiaggia delle Porrine), impugnata con motivi aggiunti.

Da cui le censure che, per omogeneità d’argomenti addotti a sostegno, possono essere condensate nei seguenti termini:

con riguardo al parere della Commissione,

violazione degli artt. 49 cod. nav. e 31 reg. cod. nav. violazione degli artt. 822 e 934 c.c. ;
eccesso di potere;
violazione degli artt. 1 e 3 l. 241/90;
violazione degli artt. 3 e 4 r.d. 23 maggio 1924 n. 827;
eccesso di potere sotto vari profili sintomatici.

In riferimento alle note del Comune e della Capitaneria,

invalidità derivata per illegittimità del parere negativo della Commissione su cui esse si fondano.

A loro volta i motivi aggiunti, proposti avverso l’ordinanza contingibile ed urgente, fanno pedissequo rinvio alle censure già dedotte nel ricorso principale, implementate dalla violazione dell’art. 54

TUEL

18 agosto 2000 n. 267.

L’amministrazione statale ed il Comune si sono costituiti in giudizio eccependo (la prima) l’inammissibilità del gravame, instando congiuntamente per la sua reiezione.

Alla pubblica udienza del 15.05.2014 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO

Sono impugnati dalla società concessionaria il parere negativo della Commissione istituita ai sensi dell’art. 49 cod. nav. presso la Capitaneria di Porto di Imperia chiamata ad esprimersi sull’acquisizione allo Stato delle opere realizzate in area demaniale marittima nonché gli atti adottati dal comune di Ospedaletti e dalla Capitaneria aventi ad oggetto la gestione delle aree rimaste nella sua disponibilità.

Fra i quali l’ordinanza contingibile ed urgente, impugnata con motivi aggiunti, prescrittiva l’esecuzione di opere strumentali alla sicurezza dei luoghi.

In limine sull’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’amministrazione statale sul rilievo che la ricorrente, non essendo più concessionaria, non avrebbe interesse a contrastare i provvedimenti riguardanti la destinazione delle opere realizzate in forza della concessione annullata in via giurisdizionale.

In realtà dall’impugnato parere di diniego d’acquisizione scaturisce, ex artt. 49 cod. nov. e 32 reg. cod. nav., l’obbligo a carico della ricorrente di “demolizione e di restituzione del bene demaniale nel pristino stato”.

Prestazioni economicamente e tecnicamente onerose che, ipso iure , radicano l’interesse al ricorso.

Nel merito.

Le censure muovono da un comune denominatore: il procedimento di devoluzione delle opere demaniali non amovibili, disciplinato dall’art. 49 cod.nav,. non troverebbe applicazione nel caso in esame.

La norma, laddove impiega la perifrasi “quando venga a cessare la concessione” presupporrebbe, secondo la ricorrente, la scadenza naturale del termine della concessione demaniale.

Non vi sarebbe ricompresa l’ipotesi – che qui ricorre – dell’annullamento giurisdizionale, con effetto ex tunc , della concessione e dei titoli autorizzativi le opere.

Ovvero, nella plastica sintesi espressa dalla polarità dialettica del ragionamento svolto nell’atto introduttivo e ribadito nelle memorie: la norma del codice della navigazione si riferirebbe esclusivamente alla situazione di fatto successiva al pieno dispiegarsi (dell’efficacia) della concessione demaniale non affatto assimilabile all’assenza ab origine (d’efficacia) della concessione.

A corollario, la conclusione, fondante il gravame, che, anziché l’art. 49 cod. nav., avrebbe dovuto trovare applicazione “l’ordinaria regola dell’accessione di cui all’art.934 c.c.”.

Disposizione che, in caso di opere eseguite dal terzo con il consenso del proprietario del fondo o – in alternativa – in buona fede, non prevede affatto la rimozione di quanto realizzato.

La conclusione non è condivisibile.

In estrema sintesi, a fronte dell’interpretazione letterale dell’espressione contenuta nell’art. 49 cod, nav. “cessazione della concessione”, la ricorrente predica l’applicazione analogica dell’art. 934 c.c. sull’accessione.

Il tema, nei limiti dell’economia del decisum , sollecita una specifica trattazione.

È risalente alla più accreditata dottrina amministrativa la concezione, tuttora feconda d’applicazione pratica, qui condivisa, che l’analogia è modalità d’integrazione dell’ordinamento.

Che, come tale, deve coordinarsi a tutte le pieghe dell’ordinamento stesso ed ai suoi principi positivi.

L’analogia, contrariamente a quanto sostenuto da altro autorevole indirizzo, non si riduce a strumento logico (c.d. logica formale) che vuole estese le determinazioni del legislatore a tutti gli oggetti per i quali ricorra la ratio che li governa.

Sicché secondo la concezione qui avversata, l’analogia si risolverebbe nell’identità di due oggetti rispetto ad un elemento a certi fini rilevanti;
ovvero, ancora, consisterebbe nel ricorrere di un identico profilo (a certi fini rilevante) in diversi dati empirici (per esempio, come nel caso in esame, accedendo al ragionamento della ricorrente: la realizzazione – a prescindere dal titolo autorizzativo – da parte del terzo di opere sul suolo di proprietà altrui).

Viceversa proprio perché non è mero strumento logico, ma piuttosto modo d’integrazione dell’ordinamento, laddove questo sia informato ai principi di specificità, tassatività, nominatività e tipicità, l’argomento analogico non può trovare applicazione.

Conclusione che – va sottolineato – fondandosi su un insieme di principi garantisti e di tutela in pari tempo degli interessi pubblici informanti l’ordinamento amministrativo di settore, non è suscettibile di essere posta in dubbio dall’art. 1 bis l. 241/90, predicativo dell’applicazione delle nome di diritto privato all’agire non autoritativo della P.A.

Paradigmatica, a riguardo, è la vicenda dedotta in causa.

L’accessione delle opere inamovibili realizzate sul demanio non è può essere affermata in via analogica come fattispecie provvedimentale, in quanto non affatto “nominata” dalla legge.

Di converso, nell’ ambito dell’ordinamento settoriale delle opere realizzate sul demanio marittimo, sono specificamente disciplinati il procedimento di devoluzione ed il provvedimento dell’incameramento, alternativo all’ordine della rimessione in pristino (cfr. artt. 49, 54 cod. nav. e 31 reg. cod. nav.).

D’altra parte “quando venga a cessare la concessione” è formulazione onnicomprensiva: suscettibile, attraverso le parole stesse della legge ( tacite expressa , affermavano i glossatori) ed avuto altresì riguardo al contesto di riferimento, d’interpretazione estensiva.

Vale a dire che salvaguardando l’identità logico-sintattica della norma, ed i principi dell’ordinamento nel portato assiologico che lo informano (come dire: rimanendo nell’ambito della logica e dei valori interni del sistema), l’interprete è autorizzato a trascegliere fra i diversi significati possibili racchiusi nell’espressione “cessazione della concessione” di cui all’art. 49 cod. nav. quello consono alla mens legis .

Sì da ricomprendervi, oltre la fattispecie della scadenza naturale del termine d’efficacia, anche quella dell’annullamento giurisdizionale della concessione in forza della quale sono state realizzate (parte) delle opere.

Norma che, è appena il caso d’aggiungere, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, si riferisce genericamente alle opere non amovibile, senza affatto distinguerle in funzione dello scopo avuto di mira al momento del rilascio della concessione..

Sicché conclusivamente il principale motivo d’impugnazione è infondato.

A diversa soluzione deve giungersi per quanto riguarda le censure che lamentano il difetto d’istruttoria e di motivazione del parere negativo reso della Commissione sull’acquisizione allo Stato delle opere realizzate nell’area demaniale marittima.

Vizi che inficiano il parere per molteplici e concorrenti profili.

Innanzitutto, come riconosce la stessa difesa erariale, ordinariamente alla scadenza della concessione demaniale, in assenza di diversa previsione, le opere inamovibili edificate sul demanio marittimo sono devolute ex lege allo Stato. Sicché il provvedimento d’incameramento ha efficacia meramente dichiarativa dell’effetto acquisitivo già prodottosi (cfr., Cons. St., sez. I, 24 gennaio 2012 n. 3522;
ID. sez. VI, 14 ottobre 2010 n. 7505;
Cass., sez. III, 23 marzo 2004 n. 5842).

Conseguenza immediata è che l’ordine di demolizione ed il parere contrario alla devoluzione, costituente il presupposto della rimessione in pristino disposta in alternativa all’acquisizione, ed avente (esso sì) efficacia costitutiva dell’obbligo di provvedere al ripristino, devono essere espressamente motivati.

Si devono, per un verso, indicare (in negativo) le ragioni ostative al pieno dispiegarsi dell’effetto ex lege dell’acquisizione delle opere allo Stato;
e, per l’altro, giustificare (in positivo) l’ordine di demolizione e di remissione in pristino a carico dell’ex concessionario.

Elementi di fatto e di diritto di cui il parere della Commissione non dà alcun conto.

L’affermazione, a prodromo del sillogismo del parere, che le opere sono incomplete e realizzate senza titolo è tautologica e frutto di petitio principii : proprio in forza dell’annullamento giurisdizionale dei titolo abilitativi (ossia del SUA e della concessione), intervenuto in corso d’esecuzione, la concessionaria non ha potuto completare le opere tanto da rendersi necessario il procedimento di devoluzione.

A sua volta, il corollario che “l’acquisizione dei manufatti allo stato attuale” si ritiene “non proficua”, sposa una concezione dei beni demaniali datata non affatto in linea con i tempi.

La categoria dei beni demaniali va (ri)pensata non (esclusivamente) in termini di utilità ritraibili dallo Stato dalle cose che li compongono bensì in direzione delle risorse che le cose possono generare mediante usi collettivi o finanche individuali.

In questa aggiornata visione non rilevano, se non marginalmente, lo stato fisico della cosa, la sua consistenza materiale, e, con essi, il relativo regime d’appartenenza. Prevalgono invece le modalità di fruizione delle risorse generate dalle cose in favore della comunità. In sintesi, i beni pubblici in genere, i beni demaniali in particolare, vanno considerati non come cose ma come risorse.

Ancora una volta è sintomatica la vicenda in esame.

La Regione Liguria, che, a suo tempo, ha rilasciato la VIA per la realizzazione delle opere portuali, con la comunicazione dell’11 aprile 2013, adottata – va sottolineato – prima dell’adozione del parere impugnato, non solo dissente dalla rimessione in pristino in quanto foriera di potenziali danni all’ecosistema marittimo, ma valuta positivamente per l’ambiente il molo sopraflutto realizzato dalla concessionaria. Tant’è aggiunge che “lo stato dei luoghi risulta consolidato ed in equilibrio con le comunità botaniche presenti nell’intorno”… ;
sicché conclude “lo stato attuale delle opere deve essere preso come punto di partenza per la pianificazione e la progettazione degli interventi da attuare”.

In definitiva, la Regione considera il molo, che la Commissione assume essere “manufatto” non proficuo e quindi da demolire, come risorsa utile per l’ambiente da dover essere mantenuto e consolidato.

L’antinomica valutazione esprime come meglio non potrebbe la diversa concezione dei beni pubblici: l’una impostata sul registro della risorsa a fruizione collettiva;
l’altra riproduttiva dell’archetipo della proprietà pubblica statale sulle cose.

In ogni caso, la Commissione nel parere impugnato non si fa carico degli argomentati rilievi della Regione. Non valuta in via controfattuale e prognostica l’incidenza delle opere di rimessione in pristino sull’ambiente. Non considera neanche per ipotesi il completamento delle opere. Non bilancia i contrapposti interessi. Non affronta, nemmeno per incidens , la questione della distruzione dell’ opus , ossia dell’ordine delendi che l’ordinamento, persino nel caso di violazione del diritto, denega qualora, ai sensi dell’art. 2933, comma 2, c.c., “la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale”.

Norma che seppure originariamente ispirata a principi economico-dirigistici, anche nell’attuale sistema, improntato a concezioni liberistiche, mantiene inalterata la valenza di parametro (esterno per la concessione o meno) della tutela ripristinatoria o reintegratoria dell’ordine giuridico violato, sia esso privato o pubblico.

Per concludere: il parere della Commissione è illegittimo per difetto d’istruttoria e motivazione. Sono altresì affetti da invalidità derivata gli atti di gestione adottati dalla Capitaneria di porto d’Imperia e dal Comune resistente.

Anche l’ordinanza contingibile ed urgente impugnata con motivi aggiunti è illegittima.

L’ordinanza non fa riferimento alcuno ad una (ancorché potenziale) situazione di fatto di grave pericolo per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana che pure l’art. 54 TUEL espressamente presuppone.

Tale non è il potenziale pericolo indotto dal libero accesso di terzi all’area di cantiere o alle spiagge del demanio utilizzate per l’esecuzione delle opere assunta a fondamento dell’ordinanza impugnata. Situazione che è, oltretutto, disciplinata da specifiche normative di settore proprio per evitare quel tipo di rischio.

Sussistono giustificati motivi per compensare le spese di lite individuabili nella controvertibilità in fatto e diritto delle questioni dedotte in causa.





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