TAR Catania, sez. I, sentenza 2020-10-30, n. 202002849

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. I, sentenza 2020-10-30, n. 202002849
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202002849
Data del deposito : 30 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/10/2020

N. 02849/2020 REG.PROV.COLL.

N. 05340/2000 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5340 del 2000, proposto da
Appalti e Costruzioni Arcobaleno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M C, con domicilio eletto presso lo studio Cettina Arcidiacono in Catania, viale della Liberta,198;

Arcobaleno 3000 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Terme Vigliatore (Me), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ano Salvatore Igro', con domicilio eletto presso lo studio Marcello Marina in Catania, via P. Toselli,40;

avverso

la mancata corresponsione di somme dovute a saldo dell'appalto dei lavori di costruzione di una scuola elementare come da contratto n. 155 stipulato in data 30.1.1990;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Terme Vigliatore (Me);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 14 settembre 2020 il dott. G G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.§- Con ricorso ritualmente notificato l’impresa “Appalti e Costruzioni Arcobaleno di Sebastiano Sottile” adiva questo Tribunale al fine di ottenere la dichiarazione dell’illegittimità del comportamento inerte dell’Amministrazione Comune di Terme Vigliatore e l’obbligo della medesima di corrispondere alla medesima le somme dovute a saldo dell’appalto dei lavori di costruzione di una scuola elementare nello stesso Comune per revisione dei prezzi contrattuali ai sensi della L. n. 22/1964 con conseguente condanna al pagamento di dette somme con interessi e rivalutazione ed al risarcimento danni.

Con ordinanza cautelare del 28/11/2000, depositata il 30/11/2000, questo T.A.R., ritenendo il ricorso, prima facie, assistito da sufficiente “fumus” accoglieva la domanda cautelare e, per l’effetto, disponeva a carico del Comune intimato ed a favore della parte ricorrente, la provvisionale di £ 40.000.000 (quarantamilioni).

Con controricorso del 18/12/2000 si costituiva in giudizio il Comune resistente, eccependo, preliminarmente, l’improcedibilità e/o l’inammissibilità e/o l’improponibilità del ricorso e, comunque, il difetto di giurisdizione del Giudice adito e, nel merito, instava per il rigetto del ricorso siccome privo di merito di fondatezza.

Con atto del 6/04/2018 si costituiva in giudizio Arcobaleno 3000 Srl, quale cessionaria della ditta Arcobaleno Costruzioni.

In prossimità dell’udienza di discussione le parti presentavano memorie e repliche ai sensi dell’art. 73 CPA insistendo per l’accoglimento delle rispettive conclusioni.

All’udienza del giorno 14 settembre 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.

2.§- Come esposto in narrativa il gravame ha ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità dell’inerzia serbata dal Comune resistente in ordine alla debenza delle somme dovute alla ricorrente a saldo dei lavori eseguiti con condanna della medesima al pagamento di tali somme oltre interessi, rivalutazione e risarcimento dei danni.

2.1.§- In via preliminare va delibata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla intimata.

L’eccezione non è meritevole di positivo apprezzamento.

Secondo i consolidati principi giurisprudenziali, dai quali il Collegio non ha motivo di discostarsi, allorchè, in difetto di valido riconoscimento da parte del Comune, la pretesa azionata in giudizio abbia ad oggetto la spettanza della revisione prezzi la giurisdizione è del giudice amministrativo (Cfr. Cons. Stato, V, 3.8.2012, n. 4444;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 maggio 2008 n. 2191;
Sez. V, 16 novembre 2007 n. 5831;
Cassazione, Sez. Unite, 13 settembre 2005, n. 18126 e 24 aprile 2002, n. 6034;
TAR Palermo, Sez. III, n. 23/2016;
TAR Catania sez. I n. 44/2004).

In altri termini, il Giudice della giurisdizione (cfr. Cassazione civile sez. un., 05/05/2008, n.10968), ha ritenuto che “in tema di revisione dei prezzi in materia di appalti di lavori pubblici il riparto di giurisdizione si fonda sulla distinzione tra la fase in cui la stazione appaltante ha il potere discrezionale di riconoscere o meno la revisione - sulla base di valutazioni correlate a preminenti interessi pubblicistici, in presenza delle quali la posizione dell'appaltatore è d'interesse legittimo, come tale tutelabile davanti al giudice amministrativo - e la fase successiva alla scelta operata in senso positivo dall'appaltante in cui la situazione giuridica dell'appaltatore è di diritto soggettivo, appartenente alla cognizione del giudice ordinario, perchè - una volta esercitato il potere autoritativo - la concreta determinazione delle somme spettanti a titolo di revisione comporta soltanto l'applicazione di criteri e parametri liquidatori.

“Tali principi sono applicabili anche alle revisioni dei prezzi di appalti disciplinati dalla legislazione regionale siciliana (cass. n. 14531 e 5731/2002, 2080/1995, 13606/1991)”.

Ebbene, nella fattispecie per cui è causa, atteso che manca il formale positivo riconoscimento da parte del Comune di Terme Vigliatore del diritto alla revisione prezzi (anzi, vi è stato l’espresso disconoscimento impugnato in primo luogo in via gerarchica), con il ricorso de quo è stato chiesto di dichiarare per l’appunto l’obbligo dell’Amministrazione a corrispondere le somme spettanti a titolo di revisione prezzi.

E ciò ove più si osservi che potrebbe dubitarsi della legittimità di una eventuale clausola contrattuale a fronte di un espresso divieto normativo.

Ne discende il rigetto della dedotta eccezione e la sussistenza della giurisdizione di questo Tribunale a pronunciarsi sul gravame.

Deriva, inoltre, quale necessario corollario che la decisione negativa adottata dalla stessa in proposito va impugnata nel termine di decadenza previsto in via generale per i provvedimenti non aventi un contenuto paritetico.

2.2.§- Sempre in punto di rito va esaminata l’eccezione di decadenza e/o prescrizione sollevata dall’amministrazione resistente.

Anche tale eccezione è infondata.

La resistente assume che controparte non avrebbe potuto proporre ricorso gerarchico previsto dall’art. 13 L.R. n. 22/1964 stante l’inapplicabilità di tale legge alla fattispecie in esame per quanto previsto dal successivo art. 15.

I suddetti rilievi non possono essere condivisi, atteso che con gli stessi si mira a contestare la definitiva decisione assunta con decreto Assessoriale n.408, Gr.VII del 22.03.2000, sulla scorta del parere n. prot. 59 del 17.12.99 della Commissione revisione prezzi, di accoglimento del ricorso gerarchico.

Ed infatti, detto decreto non è stato tempestivamente impugnato dalla intimata, di talché il suo contenuto decisionale non può essere ora oggetto di contestazione in tale sede.

Per altro, nel merito, vero è che l’art. 15 della l.r. 22/64 prevede che se c’è finanziamento dello stato o enti controllati dallo stato non si applica la normativa regionale e, quindi, quanto meno non sarebbe stato possibile il ricorso gerarchico ivi previsto dall’art. 13;
ma è altrettanto vero che nel caso di specie non si tratta di un finanziamento, quale presupposto impeditivo della applicazione della norma regionale, ma di un mutuo, che, di per sé, non può sussumersi in detta categoria.

Quanto alla eccezione di prescrizione, mette conto evidenziare che secondo un indirizzo giurisprudenziale nelle more della definizione del ricorso gerarchico (Cfr. Cass. Sez. Unite, 7 maggio 2019, n. 11928) il termine prescrizionale resta sospeso. Secondo altro orientamento, invece, atteso che il ricorso amministrativo non dà luogo ad un giudizio ed a un giudicato, lo stesso, pur determinando l’effetto interruttivo della prescrizione, non produce, invece, alcun effetto sospensivo della medesima (Consiglio di Stato n. 6776/2001).

Ora, si tratta di comprendere quale sia il termine di prescrizione a cui soggiace la pretesa azionata dalla ricorrente.

Secondo un approccio ermeneutico patrocinato in giurisprudenza, il diritto alla revisione dei prezzi soggiace alla prescrizione quinquennale, alla stregua del diritto al pagamento dei singoli ratei ex art. 2948 c.c. n. 4 (Consiglio di Stato sez. III, n. 5128/2013). Rileva, tuttavia, il Collegio che il termine quinquennale di prescrizione deve applicarsi certamente alle ipotesi in cui si contesti il quantum spettante al prestatore del servizio, dovendosi dubitare che possa estendersi, come nella fattispecie, all’an della pretesa. In tale ultimo caso, infatti, sembra debito relazionare il termine prescrizionale dei compensi revisionali alla durata decennale, trovando la relativa pretesa il proprio fondamento nella legge e nel contratto di cui si chiede la puntuale esecuzione, con conseguente applicazione dell’ordinario termine prescrizionale.

Vi è, però, di più. Nel caso di specie, pur volendo seguire il diverso prevalente orientamento, non appare possibile ipotizzare il presupposto stesso della “periodicità” del dovuto, stante la richiesta di revisione sul saldo dell’appalto e, quindi, non in riferimento ai singoli ratei, posti a presupposto della Giurisprudenza che ha collegato al quinquennio il termine prescrizionale.

Ciò posto, nella fattispecie in causa, la prima richiesta di revisione prezzi avanzata dalla ricorrente reca la data del 19/01/1993, è stata denegata il 4.2.1993, mentre il ricorso gerarchico è stato presentato il 1/03/1993 ed è stato definito con decreto Assessoriale n.408, Gr.VII del 22.03.2000. Ebbene, anche a voler ritenere che la proposizione del ricorso gerarchico non abbia determinato alcun effetto sospensivo della prescrizione, sulla base delle considerazioni che precedono, deve ritenersi tempestivo il ricorso introduttivo notificato il 2/11/2000, per altro, preceduto da espresse diffide all’adempimento del decisum assessorile.

Ne consegue il rigetto dell’eccezione di decadenza e/o prescrizione e la piena ammissibilità del ricorso.

3.§- Ciò chiarito in punto di rito, deve rilevarsi che, nel merito, il ricorso è fondato.

Secondo la resistente alla ditta ricorrente non spetterebbe il compenso revisionale in applicazione dell’art. 33 della legge 41/86 che escludeva il diritto alla revisione dei prezzi sull’importo oggetto di anticipazione e nel primo anno per i lavori e sull’importo dell’alea contrattuale.

Invero, come è stato acclarato con il suddetto decreto assessorile l’art. 33 della legge 41/86 è stato recepito dalla Regione siciliana con l’art. 6 della L. n. 30 del 7/08/1990. Atteso che i lavori sono stati appaltati alla ricorrente in data 01/11/1989 ed il relativo contratto è stato stipulato il 30/01/1990, ai lavori in argomento deve applicarsi, in ordine alla revisione dei prezzi, la previgente disciplina antecedente detto recepimento, nella specie, quella di cui alla Legge n. 22/1964. Al riguardo la giurisprudenza ha avuto cura di rimarcare che non può riconoscersi natura retroattiva all'art. 6 della L.R. 7 agosto 1990 n. 30, con cui la Regione Siciliana ha recepito, uniformandovisi, la disciplina statale in materia di revisione prezzi degli appalti di lavori pubblici contenuta nell'art. 33 della Legge 28 febbraio 1986 n. 41 (C.G.A. della Regione Siciliana 21 febbraio 2000, n. 68;
T.A.R. Catania, sez. I, 01.07.2003 n. 1084).

La indubbia applicazione alla fattispecie in causa della Legge n. 22/1964 risulta, con nitida certezza, anche dall’art. 14 del Contratto d’appalto e dall’art. 7 del CSA che dispongono l’obbligatoria applicazione, con riferimento all’appalto de quo della revisione dei prezzi prescritta dalla Legge n. 22/1964.

Al riguardo questo Tribunale ha statuito che “Qualora le parti abbiano espressamente inserito tra le varie le varie clausole che compongono il contratto di appalto l’istituto della revisione prezzi nella disciplina dello stesso contenuta nella legge regionale n. 22/1964, hanno fatto uso della propria autonomia negoziale, perfettamente ammissibile e tutelabile, anche in presenza di una normativa successiva che ne avesse esclusa l’applicazione matematica” (Cfr. TAR Catania, sez. IV, 28.10.2006, n. 2028;
id., 15.4.2005, n. 667).

Non ha pregio, pertanto, la deduzione di parte resistente secondo cui non troverebbe applicazione la L.R. n. 22/1964 poiché l’appalto ha ad oggetto opere finanziate dalla Cassa Depositi e Prestiti atteso che questo Tar ha già riconosciuto in una fattispecie analoga l’applicabilità della L.R. n. 22/1964 anche per gli appalti finanziati dalla Cassa Depositi Prestiti (Cfr. TAR Catania, sez. I, 20.01.2004 n. 44.

In definitiva deve essere affermato l’obbligo del Comune di Terme Vigliatore di corrispondere in favore della ricorrente la revisione dei prezzi ai sensi della l.n. 22/1964.

In materia di revisione del prezzo nell'appalto di opere pubbliche, trova applicazione la l. 21 dicembre 1974 n. 700, che riconosce gli interessi, sulle somme dovute a titolo di acconto e saldo per revisione prezzi, ai tassi di cui agli art. 35 e 36 del Capitolato generale delle opere pubbliche dello Stato (d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063).

Le somme spettanti a titolo di revisione dei prezzi rappresentano una tipica obbligazione c.d. “di valuta” e, pertanto, sono soggette alla corresponsione di interessi per il ritardato pagamento, in applicazione del d.lg. n. 231 del 2012 anche rispetto alla decorrenza di detti interessi ai sensi dell’art. 4, d.lg. n. 231 del 2012. (Cfr. T.A.R., Milano, sez. III, 05/05/2014, n. 1152;
Trib. Roma, 14.7.2020, n. 10211;
Trib. Palermo, 26.6.2020 n. 1919).

Gli interessi devono essere calcolati sulla somma di denaro rivalutata calcolata sulla base dell'indice dei prezzi elaborato dall'Itat.

Quanto alla pretesa risarcitoria, deve ritenersi che non può essere riconosciuto in favore della ricorrente il diritto al risarcimento dell’ulteriore danno ex art.1224 c.c., provocato dal ritardo nel pagamento delle somme dovute, in quanto il danneggiato deve, ex art. 2697 cod. civ., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante). Deve essere escluso che, in carenza della prova del danno, possa trovare applicazione l'equità integrativa ex art. 1226 c.c.. Ed infatti “L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ. espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità ma ad un giudizio caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, e pertanto è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare e non esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre affinché l’apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della

determinazione dell’equivalente pecuniario del danno (Cass. 04.02.2014 n. 2370.)

Per le ragioni che precedono la domanda risarcitoria deve essere, pertanto, respinta atteso che la ricorrente non ha assolto agli oneri probatori posti dalla sopra richiamata normativa.

4.§- In definitiva, per tutte le ragioni sopra esposte il ricorso deve accolto nei termini di cui innanzi.

Sussistono giustificati motivi per ritenere compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

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