TAR Milano, sez. II, sentenza 2014-04-29, n. 201401113
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N. 01113/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01491/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1491 del 2012, proposto da:
R A J, rappresentato e difeso dall'avv. M R, con domicilio eletto presso il medesimo in Milano, via Nino Bixio, 14;
contro
Ministero dell'Interno (Prefettura di Milano - U.T.G.), rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, domiciliata in Milano, via Freguglia, 1;
per l'annullamento
del provvedimento prot. 9bi/090001122/gab7n.c. datato 07/03/2012 della Prefettura di Milano - UTG di revoca della misure di accoglienza in atto erogate presso RSA “S P”;
nonché di ogni altro atto allo stesso preordinato, preliminare, precedente, successivo, consequenziale o comunque connesso e per la condanna al risarcimento del danno.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Vista la memoria difensiva del ricorrente;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2014 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il sig. James R Amoah è cittadino del Ghana, arrivato in Italia unitamente ad altri profughi tutti provenienti dal Nord Africa ed è stato ospitato, al momento del suo arrivo, presso la struttura di accoglienza RSA “S P” di Garbagnate Milanese, nell’ambito delle misure di accoglienza disposte dallo Stato Italiano a seguito dell’eccezionale afflusso di profughi provenienti dal Nord Africa.
A seguito di una serie di segnalazioni su comportamenti scorretti, posti in essere durante la permanenza nella struttura, il Prefetto di Milano, con provvedimento del 7.3.2012, decretava la revoca delle misure di accoglienza, con conseguente allontanamento dalla struttura.
Contro il citato provvedimento era proposto il presente ricorso, con domanda di sospensiva e di danni, per il seguente ed articolato motivo, che può così essere sintetizzato:
- violazione dell’art. 5, dell’art. 9 comma 2 e comma 3, dell’art. 12 del D.Lgs. 140/2005, eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, mancata e/o erronea valutazione dei presupposti, travisamento, illogicità, irrazionalità, disparità di trattamento e ingiustizia manifesta, violazione del giusto procedimento, violazione degli articoli 3, 6, 7, 8, 10 e 10 bis della legge 241/1990.
Si costituiva in giudizio il Ministero dell’Interno, concludendo per il rigetto del gravame.
In esito alla camera di consiglio del 28.6.2012, il Collegio disponeva incombenti istruttori con ordinanza n. 917/2012.
La Prefettura depositava apposita relazione, con allegata documentazione in data 7.9.2012.
Vista la suddetta relazione, il TAR respingeva la domanda cautelare con successiva ordinanza n. 1248 del 12.9.2012.
Quest’ultima era appellata davanti al Consiglio di Stato, che accoglieva l’impugnazione cautelare con ordinanza della Sezione III n. 4912 del 19.12.2012.
Alla successiva pubblica udienza del 3.4.2014, davanti al TAR, la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. In via pregiudiziale, deve essere affrontata la doglianza circa la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento e segnatamente dell’art. 7 della legge 241/1990, doglianza che risulta essere stata apprezzata favorevolmente dal Consiglio di Stato, seppure in sede sommaria, nella propria ordinanza cautelare n. 4912/2012.
Sul punto il Collegio deve, in primo luogo, evidenziare come l’esponente sia stato in realtà previamente avvisato della gravità della propria condotta e delle conseguenze della stessa, con nota del 24.11.2011, inviata al sig. R in lingua inglese, lingua che l’esponente nel ricorso ammette espressamente di conoscere (cfr. per il testo della nota, l’allegato 1 alla relazione della Prefettura di Milano).
In tale nota, redatta su carta intestata della Regione Lombardia e dell’ASL Milano 1, il Dirigente della RSA ospitante informa chiaramente il sig. R che gli atteggiamenti aggressivi verbali e fisici posti in essere << non sono tollerabili per una corretta convivenza >>, e che sarà valutata dagli organi competenti << la possibilità di revocarle il diritto all’assistenza presso strutture di accoglienza italiane >>.
Pare, allo scrivente Tribunale, che la nota del 24.11.2011 contenga, in sostanza, tutti i requisiti che gli articoli 7 e 8 della legge 241/1990 prescrivono per l’avviso di avvio del procedimento;in ogni caso non può dimenticarsi come la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato ammetta che l’avviso ex art. 7 citato non è necessario qualora l’interessato abbia in qualsiasi altro modo conoscenza dell’esistenza del procedimento avviato nei suoi confronti (così, fra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 11.2.2013, n. 753).
L’ordinanza cautelare del giudice d’appello sopra citata richiama, nella propria argomentazione, la “nota di richiamo in data 24 novembre 2011”;tuttavia non pare reputare la medesima sostanzialmente equipollente alla comunicazione di avvio di cui all’art. 7 della legge 241/1990.
Il Collegio ritiene però, sommessamente ed alla luce di un pieno approfondimento della questione svolto in occasione dell’udienza di merito, che la nota citata del 24.11.2011 abbia di fatto assolto alle finalità che la legge 241/1990 attribuisce all’avviso di avvio del procedimento, sicché nel caso di specie non pare possibile ravvisare la violazione dell’art. 7 della legge 241/1990.
Fermo restando quanto sopra esposto, reputa ancora il Tribunale che, anche a voler ritenersi per assurdo la mancanza della comunicazione ex art. 7 citato – pur non essendo tale l’opinione di chi scrive – tuttavia nel caso di specie dovrebbe trovare applicazione l’art. 21 octies , comma 2°, ultimo periodo, della legge 241/1990, avendo l’Amministrazione dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso.
Sul punto è sufficiente il sereno esame dei documenti allegati alla relazione della Prefettura, documenti peraltro non oggetto di specifica contestazione da parte del ricorrente, che nella memoria finale del 3.3.2014 incentra la propria attenzione essenzialmente sui profili risarcitori.
Preliminarmente, appare essenziale un richiamo alla disciplina legislativa di riferimento – art. 12 del D.Lgs. 140/2005 – che prevede la possibilità di revoca delle misure di accoglienza in caso di violazione grave e ripetuta delle regole del centro di accoglienza o di comportamenti gravemente violenti.
Ancora in via pregiudiziale, deve escludersi che la Dirigente Gestionale della RSA di accoglienza, dr.ssa V, non avesse una piena conoscenza della lingua inglese e non fosse – di conseguenza – in grado di interloquire adeguatamente con il ricorrente.
E’ stata, infatti, prodotta in giudizio la copia delle certificazioni di conoscenza della lingua inglese rilasciate alla dr.ssa V (cfr. l’allegato 4 alla relazione della Prefettura), per cui l’affermazione contenuta in ricorso alla pag. 4, punto 14, dove si riferisce di una “mediocre conoscenza della lingua inglese” da parte del Dirigente in questione, appare fallace se non addirittura offensiva.
Inoltre, numerose dichiarazioni, provenienti sia dagli ospiti sia del personale di gestione della struttura evidenziano i comportamenti del ricorrente, non compatibili con la permanenza nella struttura ed in grado invece di creare situazioni di tensione e difficoltà in un frangente non facile, caratterizzato dall’accoglienza di numerosi profughi provenienti dal Nord Africa.
Sono state, infatti, depositate in giudizio numerose dichiarazioni scritte, redatte in lingua inglese (e tradotte) dagli altri ospiti del centro di accoglienza, che evidenziano non solo la correttezza del comportamento della dr.ssa V, ma anche le condotte aggressive e violente del ricorrente, litigioso e dedito all’abuso di bevande alcoliche (cfr. gli allegati n. 2 alla relazione della Prefettura).
Parimenti, la stessa Polizia Locale del Comune di Garbagnate Milanese, intervenuta presso la struttura in data 19.1.2012, riscontrava la particolare situazione del sig. R Amoah, in preda all’alcol.
Nello stesso tempo, l’Ufficiale di Polizia evidenziava come la dr.ssa V si rivolgesse al ricorrente in fluente inglese (cfr. la relazione di servizio, allegato 3 alla relazione della Prefettura).
Anche il medico presso il quale l’esponente era sottoposto a visita, vale a dire la dr.ssa Mariapaola Seveso, nel proprio rapporto del 3.7.2012, confermava la tendenza del sig. Amoah ad abusare di bevande alcoliche, con conseguenti comportamenti aggressivi (cfr. l’allegato 6 alla relazione prefettizia).
Lo stesso sig. Amoah si rendeva responsabile della perdita del telefono cellulare della struttura, a disposizione di tutti gli ospiti, che il ricorrente smarriva dopo essersene impossessato ed averlo portato al di fuori del centro senza alcuna autorizzazione (cfr. l’allegato 7 alla relazione prefettizia).
Da ultimo, si veda la dettagliata relazione, comprensiva di materiale fotografico, inviata dalla dr.ssa V al responsabile della gestione delle strutture di accoglienza dei profughi a seguito della massiccia immigrazione dal Nord Africa, dove sono elencati minuziosamente i numerosi episodi costituenti comportamenti violenti ed aggressivi posti in essere dal sig. Amoah, tali da rendere incompatibile la prosecuzione della permanenza nella struttura di accoglienza (cfr. l’allegato 8 alla relazione prefettizia).
Dall’analisi della documentazione sopra citata, depositata in giudizio dall’Amministrazione e mai specificamente contestata, emerge con sufficiente chiarezza un quadro di ripetuti comportamenti in contrasto, prima ancora che con le specifiche regole del centro di accoglienza, con le comuni regole del vivere civile – patrimonio di tutti i popoli, anche di quelli costretti all’emigrazione a fronte della difficile situazione economica e politica dei Paesi di provenienza – comportamenti rivelatori della volontà del ricorrente di non integrarsi nella struttura di accoglienza.
Reputa, ancora, il Collegio di evidenziare che le condotte che a norma di legge (art. 12 del D.Lgs. 140/2005), giustificano la revoca delle misure di accoglienza non debbono necessariamente coincidere con quelle tipiche di gravi reati contro la persona o contro il patrimonio, essendo sufficiente una serie di reiterati comportamenti aggressivi e violenti, tali da turbare l’equilibrio – non sempre facile – esistente presso le strutture ed idonei a manifestare la volontà del profugo di non approfittare delle opportunità di inserimento nella società italiana offerte dalle strutture stesse.
Per le suesposte ragioni, il ricorso deve essere rigettato.