TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2013-01-22, n. 201300717
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N. 00717/2013 REG.PROV.COLL.
N. 10553/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10553 del 2009, proposto da:
G R, rappresentata e difesa dall'avv. G P, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, situato in Roma, Circonvallazione Clodia n. 167;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Questura di Roma, in persona del Questore p.t.;
per l'annullamento,
previa sospensione,
- del decreto emesso dal Questore della Provincia di Roma in data 28.06.2009, notificato il 20.08.2009, recante revoca della nomina a guardia particolare giurata della ricorrente;
- di ogni altro atto a questo antecedente, successivo o comunque connesso;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 14 novembre 2009 e depositato il successivo 11 dicembre 2009, la ricorrente impugna il provvedimento con cui, in data 28 luglio 2009, il Questore della Provincia di Roma ha decretato la revoca del decreto di nomina a guardia particolare giurata di cui la predetta era titolare, ritenendo il contesto di vita familiare in cui si muove e la convivenza con persone pregiudicate ed arrestate per diversi reati “gravemente negativa e contraria agli obblighi connessi con la qualifica di guardia particolare giurata che la stessa riveste” nonché rappresentando che “l’esecuzione di particolari compiti, rilevanti sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica, sia effettuato da parte di soggetti che offrano adeguate garanzie di affidabilità…...”.
Ai fini dell’annullamento la ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:
ECCESSO DI POTERE;CARENZA DEI PRESUPPOSTI – VIOLAZIONE DI LEGGE;OMISSIONE DEL DOVERE DI INFORMAZIONE – MOTIVAZIONE CONTRADDITTORIA ILLOGICA E/O INSUFFICIENTE. I pregiudicati a cui l’Amministrazione contesta alla ricorrente di accompagnarsi altro non sono che membri del suo nucleo familiare (e precisamente, il convivente more uxorio ed il figlio), in ordine ai quali sussistono – ai sensi di legge – anche doveri di assistenza e solidarietà. Ai fini della valutazione dei fatti di cui si discute, è necessario rimettersi “ad un più aperto esame del contesto”, prendendo in considerazione anche il ruolo di moglie e di madre della ricorrente. In ogni caso, la prognosi di un possibile abuso dei titoli di polizia “non sembra potersi fondare in maniera esclusiva sui pregiudizi penali gravanti su persona diversa dal soggetto richiedente le autorizzazioni, specie in presenza di un rapporto di parentela. Parentela e convivenza, difatti, altro non dimostrano se non il difficile contesto nel quale si è trovata a vivere la ricorrente;ciò, peraltro, senza che la stessa risultasse in alcun modo coinvolta nelle individuali scelte dei propri familiari”. E’ da aggiungere, ancora, che l’Amministrazione sembra aver operato in riferimento ad un criterio di tipo presuntivo, con l’effetto di gravare la ricorrente dell’onere di dimostrare l’insussistenza a proprio carico di fattori ostativi al riconoscimento del requisito di buona condotta, in contrasto con i principi vigenti a livello probatorio. In ultimo, non può non essere preso in considerazione che il contesto familiare della ricorrente e, dunque, le frequentazioni contestate preesistevano al rilascio del decreto oggi revocato, oltre alla circostanza che la ricorrente ha sempre tenuto una condotta positiva ed affidabile.
Con atto depositato in data 21 dicembre 2009 si è costituito il Ministero dell’Interno, il quale – nel prosieguo e precisamente in data 12 gennaio 2010 – ha prodotto una memoria, il cui contenuto può essere così sintetizzato: - la situazione della ricorrente “presuppone, comunque, una frequentazione costante con persone pregiudicate”;- “tale circostanza ha indotto, pertanto, l’autorità di P.S. a ritenere che il contesto di vita familiare della ricorrente … non offra quelle adeguate garanzie di affidabilità richieste dalla legge ai fini dell’espletamento di una attività soggetta al rilascio ed al mantenimento di autorizzazioni di polizia”;- anche “nell’ambito di una valutazione perseguente finalità preventive di ogni possibile abuso, non si può ignorare come i familiari gravati da pregiudizi di polizia, conviventi con l’interessata, potrebbero ragionevolmente ottenere la disponibilità di armi…..”.
Alla camera di consiglio del 14 gennaio 2010 – nel corso della quale la ricorrente ha prodotto una memoria – la Sezione ha accolto l’istanza cautelare.
All’udienza pubblica del 18 dicembre 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.
1.1. Come esposto nella narrativa che precede, la ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento con cui, in data 28 luglio 2009, il Questore della Provincia di Roma ha disposto la revoca del decreto di nomina a guardia particolare giurata, di cui la predetta era titolare.
A tali fini la ricorrente denuncia, tra l’altro, violazione di legge ed eccesso di potere per carenza dei presupposti e difetto di motivazione, adducendo che la presenza di membri del nucleo familiare gravati da precedenti penali non vale di per sé a concretizzare una frequentazione con pregiudicati utile per sostenere il venir meno del requisito della buona condotta.
Tali censure sono fondate.
2. Ai fini del decidere, appare opportuno ricordare che, per ottenere la licenza ("approvazione") di guardia giurata, nonché la licenza di porto di pistola, sono necessari requisiti specifici che si aggiungono alle regole di carattere generale sulle autorizzazioni di polizia contenute negli artt. 8 - 13 T.U. 18 giugno 1931, n. 773 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, n. 4078).
I principi generali più rilevanti sono: obbligo di rifiuto dell'autorizzazione a chi abbia riportato condanna per delitto;possibilità di rifiuto dell'autorizzazione per chi abbia riportato condanne penali per una serie di reati (divisati dall'art. 11, 2° comma) e per chi non sia in possesso del requisito della buona condotta;le autorizzazioni possono essere revocate o sospese in caso di abuso da parte dell'autorizzato (art. 10) o qualora vengano a mancare le condizioni alle quali sono subordinate (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 luglio 2000, n. 4078, già cit.).
In ordine ai presupposti dei provvedimenti di polizia emessi in subiecta materia, il Consiglio di Stato ha affermato che in ragione del loro carattere preventivo, rispetto a fatti lesivi della sicurezza pubblica, non si richiede che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso della licenza essendo sufficiente un giudizio probabilistico (cfr. dec. n. 4078/2000 di cui sopra, in tema di revoca e diniego di rilascio di autorizzazione a gestire un istituto di vigilanza;C.d.S., sez. IV, 17 luglio 1996, n. 858, in tema di revoca di porto d'armi;Cons. giust. amm. 8 agosto 1998, n. 458).
Proprio l'esigenza di garantire l'ordine e la sicurezza pubblica, nonché la tranquilla convivenza della collettività impone al titolare dell'autorizzazione di polizia di avere una condotta irreprensibile ed immune da mende, anche remote, di vivere in modo tranquillo e trasparente in famiglia e nelle relazioni civili con gli altri consociati (cfr. in termini, con riferimento al rilascio di porto d'armi, Cons. Stato, sez. IV, 19 dicembre 1997, n. 1440).
Invero, anche dopo la dichiarazione di incostituzionalità in parte qua dell'art. 138, primo comma, n. 5, T.U.L.P.S., ad opera della sentenza della Corte costituzionale 25 luglio 1996, n. 311, si richiede per l'attività di guardia particolare giurata una buona condotta per aspetti incidenti sull'attitudine e sull'affidabilità dell'aspirante ad esercitare le funzioni connesse alla licenza, e nella valutazione dei requisiti.
Tuttavia, ha precisato la Corte, perché siano rispettati i principi costituzionali e, in particolare, il principio di eguaglianza e le libertà fondamentali riconosciute dalla Costituzione, i requisiti attitudinali o di affidabilità, per il corretto svolgimento della funzione o dell'attività, devono pur sempre essere desunti da condotte del soggetto interessato, anche diverse da quelle aventi rilievo penale e accertate in sede penale, ma significative in rapporto al tipo di funzione o di attività da svolgere.
Non é, infatti, ammissibile - ha sottolineato il Giudice delle Leggi - che da episodi estranei al soggetto finiscano per discendere conseguenze per lui negative, diverse e ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge e non suscettibili, secondo una valutazione ragionevole, di rivelare un'effettiva mancanza di requisiti o di qualità richieste per l'esercizio delle funzioni o delle attività di cui si tratta, traducendosi così in una sorta di indebita sanzione extralegale.
2.1. Ciò premesso, è doveroso rilevare che – nel caso di specie – l’Amministrazione ha proceduto all’adozione del decreto di revoca in epigrafe essenzialmente perché - dopo aver rappresentato che il convivente ed il figlio della ricorrente si sono resi responsabili di reati - ha ritenuto che “il contesto di vita familiare nel quale si muove la Sig.ra Rosella GARGARI, nonché l’accertata frequenza e convivenza con persone pregiudicate ed arrestate per diversi reati, è gravemente negativa e contraria agli obblighi connessi con la qualifica di guardia particolare giurata che la stessa riveste”.
In ragione di quanto già osservato, il Collegio perviene alla conclusione che le sopra esposte circostanze non valgano a supportare la decisione adottata.
Aderendo all’orientamento già assunto dal giudice amministrativo in numerosi precedenti, afferma, infatti, che, ai fini del rilascio della licenza, l’Amministrazione non può condurre l’istruttoria limitandosi ad evidenziare la frequentazione derivante dalla convivenza – per ragioni, tra l’altro, di legami di carattere familiare – con persone pregiudicate senza, in concreto, valutarne l’incidenza in ordine al giudizio di affidabilità da formulare nei confronti del solo istante (cfr., tra le altre, TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 30 settembre 2008, n. 1236;TAR Campania, Napoli, Sez. V, 3 giugno 2008, n. 5220;TAR Campania, Napoli, Sez. V, 7 maggio 2008, n. 3538).
Più specificamente, pone in evidenza che:
- la frequentazione di familiari, quali sono definibili il figlio ma anche il compagno di vita con cui è stato instaurato da numerosi anni un rapporto del tutto parificabile a quello coniugale, rispetto ai quali sono, tra l’altro, riscontrabili doveri di assistenza morale e materiale ma anche normali situazioni di convivenza sulla base della ordinaria gestione dei rapporti personali, non è affatto parificabile alla frequentazione di soggetti estranei all’ambito familiare, la quale di per sé presuppone, di volta in volta, autonome e libere scelte;
- in altri termini, la frequentazione di familiari, ancorché interessati da condanne penali e/o procedimenti penali, non può essere parificata tout court alla libera scelta della frequentazione di persone pregiudicate e, dunque, essere intesa di per sé come sintomo di cattiva condotta e/o di inaffidabilità;
- sulla base di tale ragionevole constatazione, rispondente, tra l’altro, ai principi fissati a livello costituzionale con riferimento alla famiglia, non è possibile che, come è, invece, avvenuto nel caso di specie, l’Amministrazione prescinda – in relazione al singolo caso concreto, afferente il rilascio e la persistenza di titoli di polizia a persone con vincoli familiari con soggetti che hanno avuto problemi con la giustizia – dalla valutazione dell’attitudine e dell’affidabilità ad esercitare le funzioni connesse alla licenza o, meglio, dall’accertamento in concreto se i vincoli di parentela e connessa convivenza con persone pregiudicate comportino effettivamente – ossia, sulla base di elementi oggettivi - conseguenze negative in relazione alla condotta del diretto interessato, anche in termini di indice di probabilità di abuso delle armi.
Una tale conclusione è da ritenere – del resto - rispondente:
- al generale principio del carattere personale della responsabilità desumibile dall’art. 27 della Costituzione (TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 16 dicembre 2002, n. 4523);
- al rilievo che il legislatore, allorquando ha anche voluto, quale requisito ulteriore alla buona condotta, “l’appartenenza a famiglia di estimazione morale indiscussa”, lo ha richiesto espressamente, come è avvenuto, ad esempio, in forza dell’art. 124, comma 3, del R.D. n. 12 del 1941 – ante riforma art. 6 del d.lgs. n. 398 del 1997 – in materia di concorso ad agente di polizia penitenziaria;
- a quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 108 del 31 marzo 1994, in cui – attraverso la disamina dell’art. 26 della legge n. 53 del 1989 in materia di accesso nei ruoli della Polizia di Stato attraverso il rinvio alle norme stabilite per l’ingresso in magistratura ordinaria – viene affermato che, “se non è irragionevole che la moralità e la condotta di un soggetto …. sia accertata anche con riferimento all’atteggiamento e al comportamento nei suoi ambienti di vita associata, compresa la famiglia, è invece arbitrario … presumere che valutazioni o comportamenti riferibili alla famiglia di appartenenza o a singoli membri della stessa diversi dall’interessato debbano essere automaticamente trasferiti all’interessato medesimo” (cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. Ii, 26 aprile 2006, n. 1528).
3. Tanto è sufficiente per l’accoglimento del ricorso, con assorbimento delle ulteriori censure formulate.
Tenuto conto delle peculiarità che connotano la vicenda in esame, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.