TAR Roma, sez. II, sentenza 2020-11-24, n. 202012479

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2020-11-24, n. 202012479
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202012479
Data del deposito : 24 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/11/2020

N. 12479/2020 REG.PROV.COLL.

N. 07218/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7218 del 2016, proposto da
T C, C B, C F, D'Agostino Giuliano, D'Agostino Armando, Della Corte Teresa, Della Corte Rachele, Della Corte Angelo, Della Corte Francesco, Della Corte Anna, Della Corte Biagio, Della Corte Giuseppina, Della Corte Salvatore, Della Corte Giovanni, Della Corte Rosaria, Della Corte Giovanni, Della Corte Giuseppina, Della Corte Saverio, Della Corte Angelo, R G, R S, R D, R B, R T, R B, R G e R G, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati F M C e F P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A F in Roma, via Ennio Quirino Visconti, n. 11;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per l'annullamento

del diritto alla riscossione delle somme di cui al Certificato Nominativo di Debito Pubblico del Regno D’Italia n. 317.224, prestito redimibile 3,50%, recante capitale nominale di lire 7.600,00 e fruttante l'interesse annuo di lire 266,00, con godimento dal 1° luglio 1934, richiesta con atto di invito, significazione, diffida e messa in mora notificato, a mezzo spedizione di copia conforme in plico raccomandato A/R n. 76310201127-6 del 19 marzo 2015, da parte degli eredi della sig.ra D'Alterio Teresa di Domenico, vedova di Panico Saverio, in qualità di creditori solidali e negata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze — Dipartimento del Tesoro — Direzione II — Debito Pubblico —Ufficio XI, con provvedimento prot. n. DT32418 del 17 aprile 2015.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020, tenuta tramite collegamento da remoto, la dott.ssa E M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente gravame, i ricorrenti agiscono per ottenere l’accertamento del loro diritto - quali eredi ab intestato della defunta madre - alla riscossione delle somme, di cui al “ Certificato Nominativo di Debito Pubblico del Regno D'Italia ” in epigrafe emesso in favore di quest’ultima il 1° luglio 1934, rivalutate ed attualizzate anche nel calcolo degli interessi, riferendo di aver avanzato, a seguito del rinvenimento casuale del titolo nel maggio 2014, relative istanze di pagamento al Ministero dell'Economia e delle Finanze il 9 luglio 2014 ed il 19 marzo 2015, entrambe riscontrate dall’amministrazione con note rispettivamente del 28 luglio 2014 e del 17 aprile 2015, in cui si comunicava prima e ribadiva poi che il diritto alla riscossione del capitale fosse prescritto ai sensi dell'art. 69 del d.P.R. n. 1343/1963 anni addietro, segnatamente a far data dall'anno 1998, a causa del decorso del ventennio dalla data di rimborsabilità, ossia il 1° gennaio 1978, e che anche la semestralità degli interessi fosse, altresì, prescritta in ossequio al successivo art. 21 del d.P.R. n. 398/2003 per non essere stati questi reclamati nel termine di cinque anni dalla relativa scadenza.

Parte ricorrente chiede, dunque, la condanna del Ministero al pagamento in loro favore di quanto dovuto, innanzi tutto, sostenendo che “ un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2935 c.c., secondo cui “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere", imporrebbe, con riferimento al caso di specie, che il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale dovrebbe essere quello della conoscenza, da parte degli aventi diritto, dell'esistenza del credito ”, sicché il relativo diritto fatto valere non si sarebbe prescritto.

Affermano, inoltre, i ricorrenti l’inapplicabilità al caso di specie di “ una disciplina sopraggiunta al tempo della istituzione ” del diritto di credito, “ soprattutto se volta a far decadere lo stesso in toto ”.

Si costituiva in giudizio il Ministero dell'Economia e delle Finanze, ribadendo l’infondatezza della pretesa azionata, evidenziando come “ la mancata consapevolezza del proprio diritto ovvero l’“ignoranza incolpevole”, costituisce un impedimento di fatto e non di diritto all’esercizio del diritto stesso, … (che ) non incide sulla decorrenza della relativa prescrizione ”.

All’udienza dell’11 novembre 2020, la causa veniva trattata e, dunque, trattenuta in decisione.

Il ricorso deve essere respinto in ragione dell’intervenuta prescrizione del diritto di credito azionato dai ricorrenti.

Risulta, invero, prescritto il loro diritto tanto al rimborso del capitale, atteso quanto stabilito all’art. 69 del d.P.R. n. 1343/1963 (applicabile ratione temporis alla fattispecie), a norma del quale “ sono annullate le iscrizioni dei prestiti consolidati delle quali non sia stato reclamato il pagamento degli interessi nel corso di dieci anni o, se trattasi di iscrizioni annotate di ipoteca o altro vincolo, nel corso di venti anni ”, quanto ai relativi interessi, in virtù di quanto previsto dall’art. 21 del d.P.R. n. 398/2003, recante il vigente “ Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico ”, in cui ora la disciplina della prescrizione dei titoli di Stato trova piena e compiuta regolamentazione.

Tale art. 21 - nel recepire le previgenti norme sulla prescrizione (art. 2 della l. n. 313/1993 e art. 54, comma 5, della l. n. 449/1997) con implicita abrogazione del citato art. 69 – sostanzialmente stabilisce come:

- la prescrizione del diritto al capitale rappresentato dai titoli di Stato inizi a decorrere dalla “ data di rimborsabilità ”, ovvero dal 1° gennaio 1978, sicché, nel caso di specie, il termine ventennale è effettivamente spirato nel 1998;

- anche per le rate degli interessi il termine prescrizionale (di cinque anni) decorra “ dalla scadenza ”.

Priva di pregio appare, infatti, la tesi di parte ricorrente secondo la quale l’invocato art. 2935 c.c. (secondo il quale “ la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può esser fatto valere ”), dovrebbe essere nel caso di specie interpretato nel senso di consentire la decorrenza del relativo termine dall’effettiva conoscenza, da parte degli aventi diritto, dell'esistenza del credito.

Rileva in tal senso come la Corte Costituzionale con ordinanza n. 192 del 24 giugno 2004 abbia ritenuto manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale formulate, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con riguardo a tale art. 2935, nella parte in cui non prevede l’ignoranza incolpevole del diritto da parte del titolare quale fatto impeditivo della prescrizione (nonché con riguardo all’art. 2941, nella parte in cui non comprende detta ignoranza tra le cause di sospensione della prescrizione), salvo il limitatissimo caso del doloso occultamento del diritto, nel caso di specie non rinvenibile.

Ne discende, pertanto, come la mancata consapevolezza ovvero l’ignoranza - anche se incolpevole –dell’esistenza del proprio diritto da parte del titolare costituisca un mero impedimento di fatto e non di ordine giuridico all’esercizio del diritto medesimo, che non incide sulla decorrenza della relativa prescrizione, sicché “ il dies a quo deve essere incontrovertibilmente fissato nel giorno in cui il diritto può essere esercitato ” (T.A.R. Campania. Napoli, sez. V, n. 5219/2008).

Per quanto poi riguarda la contestata applicazione retroattiva dell’istituto della prescrizione, il Collegio è dell’avvio che anche le relative argomentazioni al riguardo formulate da parte ricorrente debbano essere disattese, in ragione di quanto già affermato dal Consiglio di Stato nei pareri n. 289/1995 e n. 3313/2005, secondo i quali, con riferimento all'applicabilità di tale istituto all’esercizio dei diritti sorti anteriormente alla sua previsione, la relativa norma di legge debba essere correttamente intesa nel senso di operare anche a fronte di rapporti giuridici in corso (per tali da intendersi quelli in relazione ai quali il termine in questione stesse ancora decorrendo alla data di entrata in vigore della legge), senza che ciò incida sul principio (peraltro tendenziale) di irretroattività della legge, stabilito all’ art. 252 disp. att. c.c..

Ne discende, pertanto, come l’amministrazione abbia correttamente negato il rimborso richiamando la normativa sulla prescrizione dei titoli di Stato applicabile al diritto vantato dai ricorrenti.

Per quanto, infine, i ricorrenti (pur incidentalmente affermando che “ il mancato riconoscimento dei crediti, tanto a titolo di capitale quanto di interessi, rappresenta un fatto che oggettivamente dimostra l'arricchimento dell'amministrazione in danno degli eredi possessori del titolo di debito ”) non abbiano formalmente spiegato in ricorso, una relativa azione di arricchimento senza causa, il Collegio ritiene, comunque, opportuno evidenziare come, quand’anche essa fosse stata formulata, non avrebbe potuto trovare accoglimento, in ossequio a quel consolidato orientamento anche della Corte di Cassazione che afferma come la relativa domanda ai sensi dell’art. 2041 c.c. sia “ inammissibile ” ogniqualvolta chi la eserciti disponeva, comunque, di un’azione che si è prescritta o in relazione alla quale si sia verificata una decorrenza (in tal senso, ex multis , Cassazione Civile n. 29916/2012 e n. 6295/2013, nonché in termini, T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, n. 1678/2012).

La particolarità della fattispecie giustifica, comunque, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

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