TAR Bari, sez. II, sentenza 2020-03-25, n. 202000446
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Testo completo
Pubblicato il 25/03/2020
N. 00446/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00339/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 339 del 2016, proposto da Lav.I.T. – società cooperativa di produzione e lavoro, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G R N e C T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gennaro Notarnicola in Bari alla via Piccinni n. 150 e con domicili digitali come da P.E.C. iscritte al registro generale degli indirizzi elettronici (ReGIndE);
contro
Azienda sanitaria locale di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avv. V A P, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari alla via Pizzoli n. 8 e con domicilio digitale come da P.E.C. iscritta al registro generale degli indirizzi elettronici (ReGIndE);
per l’annullamento
- della delibera del Direttore generale dell’A.S.L. n. 1965 del 23.10.2014 di proroga espressa del servizio di lavanolo;
- nei limiti di interesse, del provvedimento dell’Area gestione patrimonio dell’A.S.L. Bari prot. n. 2102/5 del 7.1.2016 e della delibera del Direttore generale n. 2167 del 29.12.2015, entrambe di “presa d’atto” del servizio di lavanolo svolto di fatto per le strutture dell’A.S.L. dal 1.11.2014 al 30.9.2015;
nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale;
nonché per l’accertamento del diritto della ricorrente alla revisione del prezzo di appalto, ai sensi dell’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, nei termini indicati;
nonché per la condanna al pagamento in favore dell’istante delle somme di seguito specificate, oltre interessi e rivalutazione fino all’effettivo soddisfo;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda sanitaria locale di Bari;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2020 il dott. Lorenzo Ieva e uditi per le parti i difensori avv. Gennaro Notarnicola e avv. V A P;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con ricorso depositato come in rito, la ricorrente società impugnava la delibera di proroga del contratto di appalto sia per il servizio di noleggio e lavaggio della biancheria piana sia per il servizio di noleggio e lavaggio della biancheria confezionata, espletato presso le strutture dell’A.S.L. di Bari, nella parte in cui ne determinava il prezzo con forte ribasso in applicazione dell’art. 9- ter , comma 1, lett. a) e b) , della legge 6 agosto 2015 n. 125, senza peraltro considerare la richiesta di adeguamento all’indice ISTAT, in applicazione della clausola di revisione prezzi.
Venivano inoltre impugnati gli atti propedeutici e conseguenziali, in particolare la corrispondenza intrattenuta con varie note scritte circa la maturata esigenza di prorogare il contratto di appalto in essere, alle condizioni proposte dall’Amministrazione, nonché la “presa d’atto” dello svolgimento di fatto del servizio dal 1° novembre 2014 al 30 settembre 2015 alle stesse condizioni del contratto prorogato.
In particolare, venivano mosse censure in ordine alla violazione di legge, ossia degli artt. 7 e 115 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, alla violazione della clausola del contratto stipulato in data 26 luglio 2004 relativa alla revisione prezzi, nonché all’eccesso di potere per difetto d’istruttoria, erronea presupposizione e contraddittorietà.
Tanto in quanto non essendosi in concreto svolta alcuna trattativa paritaria in ordine alla proroga del contratto, bensì verificatasi solo un’imposizione unilaterale della nuova tariffa, con criteri di determinazione in riduzione, per urgenti esigenze di contenimento della spesa, tariffa poi applicata anche al rapporto di fatto seguito alla proroga.
2.- Si costituiva l’Amministrazione eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione, venendo in evidenza una fattispecie di rinegoziazione del diritto al corrispettivo rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario, in applicazione delle misure di contenimento della spesa pubblica previsto in leggi speciali.
Nel merito, controdeduceva di aver proceduto all’applicazione dei principi che regolano la proroga dei contratti di appalto scaduti e, comunque, di aver applicato le disposizioni speciali introdotte dal decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015 n. 125.
3.- Il ricorso è infondato.
4.- In via preliminare, va rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione, in quanto viene in evidenza una fattispecie di proroga del contratto, che muove comunque dall’assunzione di un provvedimento autoritativo dell’amministrazione, che qualifica l’esigenza della proroga e motiva discrezionalmente in ordine alla stessa, indi determinando, con atto amministrativo, di continuare il rapporto negoziale scaduto, anziché d’indire una nuova gara.
Nel contempo, vengono determinate le condizioni della proroga, in particolare facendo applicazione unilaterale della riduzione (c.d. taglio) degli importi contrattuali, alla stregua della speciale normativa (legge 6 agosto 2015 n. 125) sopraggiunta.
Pertanto, v’è la giurisdizione del giudice amministrativo.
5.- Quanto al merito dell’impugnazione proposta, va rammentato come costituisca ius receptum la considerazione secondo la quale, in caso di proroga in senso proprio del contratto (Cons. St., sez. V, 8 agosto 2018 n. 4867;T.A.R. Campania, sez. VIII, 21 giugno 2018 n. 4169), dovuta ad esigenze contingenti, l’amministrazione procede ad interpellare l’appaltatore affidatario circa la disponibilità a proseguire nel rapporto contrattuale scaduto, che, per la parte economica, corrisponde al massimo alle pattuizioni già concluse (Cons. St., sez. III, 5 marzo 2018 n. 1337).
Talvolta, gli oneri economici di contratto possono essere oggetto di ribasso, laddove necessario per farli corrispondere alle migliori condizioni di mercato maturate al tempo della scadenza del contratto.
Nel caso di specie, era sopraggiunto il più volte citato decreto legge 19 giugno 2015 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2015 n. 125, che, sul presupposto di una generale iper-valutazione economica degli appalti attivati presso tutte le pubbliche amministrazioni sanitarie, ovvero, comunque sia, al fine di contenere la spesa, per ragioni emergenziali di grave indebitamento della finanza pubblica, aveva previsto l’obbligo di “ridurre” il costo dei servizi in appalto.
Infatti, l’art. 9- ter, comma 1, del citato decreto ha previso che, per l’acquisto dei beni e servizi, gli enti del Servizio sanitario nazionale sono tenuti a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti in essere, che abbia l’effetto di ridurre i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi di acquisto, rispetto a quelli contenuti nei contratti in corso, senza che ciò comporti modifica della durata del contratto, al fine di conseguire una riduzione su base annua del 5% del valore complessivo di tutti i contratti attivati.
Naturalmente, alle parti veniva concessa ex lege la facoltà di recedere, qualora il contratto non fosse ritenuto più profittevole.
Da un lato, il successivo comma 4 del citato art. 9- ter , ha previsto che, nell’ipotesi di mancato accordo con i fornitori, entro il termine di trenta giorni dalla trasmissione della proposta in ordine ai prezzi o ai volumi rimodulati, gli enti del Servizio sanitario nazionale hanno diritto di recedere dal contratto, in deroga all’art. 1671 del codice civile, senza alcun onere a carico degli stessi.
Dall’altro lato, è stata fatta salva la facoltà del fornitore di recedere dal contratto entro trenta giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione, senza alcuna penalità da recesso verso l’amministrazione.
Nella fattispecie in esame, sta di fatto che la società ricorrente, benché avesse mosso (comprensibili) rimostranze rispetto alle nuove tariffe d’applicarsi, le ha poi comunque accettate, proseguendo nel rapporto contrattuale, anche di fatto svolto oltre la proroga espressa.
Non ha la cooperativa ricorrente dunque optato per l’esercizio del recesso, in luogo dell’accettazione dell’intervenuta proroga, anzi – più correttamente – trattandosi di proroga di un contratto scaduto e poi di continuazione di fatto del rapporto negoziale, essa ha accettato di proseguire nell’espletamento del servizio di lavanolo affidatole, anziché denegare il consenso alla proroga.
Né l’istituto della revisione dei prezzi può intendersi solo a favore dell’appaltatore, potendo avvenire – in presenza di disposizioni di legge speciale derogatoria – anche a favore dell’amministrazione, come in effetti è accaduto, a seguito dell’approvazione dell’art. 9- ter del decreto legge 19 giugno 2015 n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015 n. 125.
Peraltro, può rammentarsi come la giurisprudenza più recente (Cons. St., sez. II, 18 novembre 2019 n. 7859), abbia chiarito come non si ponga alcuna questione di revisione prezzi, in ipotesi di proroga di contratto, esplicitando principi insiti nel carattere di provvisorietà dei rapporti contrattuali oggetto di proroga espressa o di fatto.
Infatti, l’atto di proroga è finalizzato a fronteggiare criticità organizzative, ben note ad entrambe le parti, e costituisce un rimedio eccezionale, con durata ed effetti interinali, in vista della successiva procedura di gara da espletarsi.
Un siffatto istituto, per sua natura, è incompatibile con la revisione delle condizioni economiche, che sono cristallizzate al tempo del contratto scaduto e che costituiscono l’unico parametro possibile per la remunerazione del provvisorio negozio prorogato, a fortiori quando si tratta di remunerare ex post un rapporto negoziale di fatto svolto, in continuità al precedente rapporto già oggetto di proroga.
Pertanto, non può l’appaltatore ricorrente ex post dolersi, nel caso di rapporto negoziale prorogato e poi addirittura continuato in via di fatto, delle nuove condizioni proposte (anche relative alla remunerazione quantificata dall’Amministrazione prima espressamente, con delibera del 23 ottobre 2014, e poi di fatto - dal 1° novembre 2014 al 30 settembre 2015 -, con successiva presa d’atto del 29 dicembre 2015, e riconoscimento dell’attività espletata), proprio perché la cooperativa le ha comunque accettate nell’atto di proroga.
6.- In conclusione, per le motivazioni sopra esposte, il ricorso va respinto, con compensazione delle spese, considerata la novità delle questioni poste dalla normativa in materia di revisione della spesa pubblica e l’atipicità della vicenda giudiziale esaminata.