TAR Bologna, sez. I, sentenza 2023-12-11, n. 202300734
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Pubblicato il 11/12/2023
N. 00734/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00449/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 449 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , tutti rappresentati e difesi dagli avvocati C B, E C e M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ufficio Territoriale del Governo Modena e Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;
per l'annullamento
- del provvedimento prot. -OMISSIS-, notificato il 6 maggio 2020, a mani di -OMISSIS-, con il quale è stato disposto “il rigetto per le motivazioni sopra esposte della istanza di iscrizione nella White List di Questa Prefettura avanzata dalla -OMISSIS- in data 19/1/2017, sussistendo il pericolo di infiltrazioni mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società”;con la puntualizzazione che “il presente provvedimento assume valore di interdittiva antimafia”;
- occorrendo, degli atti tutti presupposti e connessi, comunque, richiamati nel provvedimento in primis gravato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo Modena e di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2023 la dott.ssa M B, lette le note d’udienza con cui i procuratori di parte ricorrente hanno chiesto la decisione sulla scorta degli scritti e udita la difesa erariale come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente ha chiesto alla Prefettura di Modena l’iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. “White List”) tenuto dalla Prefettura di Modena al fine di poter eseguire lavori connessi alla ricostruzione post-sisma.
Tale istanza è stata rigettata a causa dei precedenti penali dell’amministratore della società (-OMISSIS-), condannato per spaccio di sostanze stupefacenti a tre anni di reclusione. Pur essendo stata esclusa per lui la condanna per associazione di stampo mafioso, la Prefettura ha ritenuto dovessero essere valorizzati gli evidenti rapporti dello stesso con le cosche calabresi, nonché gli stretti legami tra il condannato e l’impresa richiedente, dissimulati attraverso sospetti movimenti nella proprietà del capitale e nell’alternanza dell’amministrazione con la compagna (ora moglie).
La Prefettura di Modena, dunque, ha, in primo luogo, preso atto che, in data 27 settembre 2018, la struttura di missione prevenzione e contrasto antimafia Sisma, istituita presso il Ministero dell’Interno, aveva adottato, nei confronti della società ricorrente, una informativa antimafia, con cancellazione dalla White List, la quale non è stata mai impugnata. Quindi ha considerato che il gruppo interforze, nella seduta del 17 dicembre 2019, ha ritenuto ricorrere ancora le condizioni per un provvedimento interdittivo sulla base delle stesse motivazioni della Struttura di missione citate, escludendo la possibilità di superarne la rilevanza alla luce delle memorie difensive della società. Ne è derivata l’adozione del provvedimento di rigetto dell’istanza di iscrizione nella white list, con effetto interdittivo, essendo stata ravvisato il pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione della società richiedente.
Tutto ciò dopo aver provveduto all’invio del preavviso di rigetto (in data 11 novembre 2019), cui ha fatto seguito il già ricordato deposito di osservazioni da parte della società destinataria.
Il provvedimento negativo che ha concluso il procedimento, è stato, quindi, impugnato deducendo:
1. Violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90: non sarebbe stata inserita nella motivazione alcuna considerazione atta al rigetto delle osservazioni presentate;
2. Violazione degli artt. 84 e 91 del d.lgs. 159/2011, in quanto a motivazione del provvedimento impugnato sarebbero stati dedotti argomenti riferiti al -OMISSIS-, utilizzati per l’informazione interdittiva a carico della -OMISSIS- di cui al provvedimento del 2019 impugnato con ricorso sub R.G. -OMISSIS-. In ogni caso il provvedimento sarebbe stato adottato da un’autorità non competente territorialmente, quale la Prefettura di Modena (laddove quella territorialmente competente, Rimini, avrebbe, invece, chiuso il procedimento in senso negativo e, quindi, senza adottare l’interdittiva). È stata, quindi, dedotta l’illegittimità del provvedimento per una non corretta valutazione della posizione dei ricorrenti, ma senza articolare una specifica censura e senza, in particolare, dedurre una specifica violazione della norma;
3. Illegittimità costituzionale dell’art. 91, comma 6 del d.lgs. 159/2011 per violazione degli artt. 3, 41, 111, 117, 27 e 24 della Costituzione, in quanto si tratterebbe di una norma espressione del diritto del sospetto, prevedendo che il provvedimento negativo possa essere adottato anche a fronte di una sentenza penale di assoluzione (nel caso di specie, con riferimento alla contestazione di reati di stampo mafioso).
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione, istando per il rigetto del ricorso.
In vista della pubblica udienza parte ricorrente ha sinteticamente ribadito quanto già dedotto in ricorso, mentre l’Amministrazione ha depositato un’articolata memoria chiedendone il rigetto. Ad essa ha replicato parte ricorrente, chiedendo, poi, la decisione sulla scorta degli scritti.
Alla pubblica udienza del 6 dicembre 2023, la causa è stata, quindi, trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso così articolato non può trovare positivo apprezzamento.
Prima di entrare nel merito dell’esame della controversia deve, però, essere rigettata l’istanza di riunione (pag. 8 del ricorso introduttivo) con il ricorso proposto dalla società La Fortuna srl, pendente sub R.G. n. -OMISSIS-, non potendosi ravvisare la necessaria connessione oggettiva e soggettiva. Si tratta, infatti, di due contenziosi attinenti a due diversi provvedimenti della stessa natura, di cui sono destinatari due soggetti giuridici diversi, le cui vicende sono accomunate dalla coincidenza per cui in entrambi i casi la motivazione del provvedimento interdittivo antimafia è correlata alla persona dell’amministratore della società -OMISSIS- e marito della odierna ricorrente che ne è proprietaria, la cui influenza nella gestione delle due società è stata ritenuta sintomatica di un rischio di infiltrazione mafiosa. Dunque, non essendovi identità di soggetti ricorrenti, né collegamento tra i provvedimenti, non si possono ravvisare le condizioni per la richiesta riunione.
Ciò chiarito, si può passare all’esame della prima censura, con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, in quanto, secondo la tesi di parte ricorrente, non sarebbe stata fornita adeguata risposta alle osservazioni presentate. Ciò, però, non trova riscontro nella realtà, in quanto l’Amministrazione ha puntualmente dato conto delle ragioni sottese al rigetto delle stesse, ancorché per relationem ovvero facendo ampio riferimento alle considerazioni contenute nel verbale del gruppo interforze alla cui attenzione sono state sottoposte le osservazioni e che, nella seduta del 17 dicembre 2019, ha ritenuto di confermare il già espresso giudizio prognostico circa il pericolo di infiltrazioni di tipo mafioso.
A nulla rileva il fatto che gli argomenti addotti a motivazione del provvedimento impugnato siano gli stessi utilizzati per l’informazione interdittiva adottata a carico della -OMISSIS-, dal momento che ciò che accomuna le due realtà imprenditoriali è rappresentato proprio dal pericolo di infiltrazione mafiosa derivante dal loro legame con la persona di -OMISSIS-.
Né può essere ravvisata la dedotta incompetenza territoriale della Prefettura che ha adottato il provvedimento impugnato. In primo luogo, non può trascurarsi di considerare che la stessa società ricorrente, essendo interessata all’esecuzione di lavori connessi all’attività di ricostruzione nei settori individuati con ordinanza n. 91 del 17 dicembre 2012 del Presidente della Regione Emilia Romagna in qualità di Commissario Delegato, ha formulato l’istanza per l’iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. “White List”) tenuto dalla Prefettura di Modena da cui promana l’atto.
Ciò in conformità alla previsione dell’art. 5 bis del D.L. 74/2012, convertito in legge 122/2012, che ha previsto l’istituzione “ presso le prefetture-uffici territoriali del Governo delle province interessate alla ricostruzioni” di appositi “ elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa operanti nei settori di cui al comma 2 ”: settori in cui rientrano anche (lettera h-bis) “ gli ulteriori settori individuati, per ogni singola Regione, con ordinanza del Presidente in qualità di Commissario delegato, conseguentemente alle attività di monitoraggio ed analisi delle attività di ricostruzione ”.
Dunque, essendo interessata all’esecuzione di lavori nell’ambito della ricostruzione post-sisma, la ricorrente ha formulato istanza di iscrizione nella “White List” presso la competente Prefettura di Modena, che ha, quindi, nel pieno rispetto della norma, provveduto in ordine alla stessa.
Né pare sostenibile che, come affermato da parte ricorrente, la norma abbia attribuito alla Prefettura del cratere la competenza esclusivamente all’iscrizione nella “White list” e non anche all’adozione della interdittiva antimafia.
Come ricordato nella recentissima pronuncia della Cassazione penale n. 2156/2023, “L’equivalenza dei presupposti legittimanti il diniego della iscrizione nella white list con quelli che comporta la adozione della interdittiva determina una sostanziale equiparazione tra i due istituti, con la differenza che il primo consegue ad un procedimento promosso dal privato, la seconda ad un procedimento avviato d’ufficio.”.
Anche nella giurisprudenza del giudice amministrativo è consolidato l’orientamento secondo cui il diniego di iscrizione nella white list provinciale presenta identica ratio delle comunicazioni interdittive antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione (cfr., Cons. St. Sez. 3, 5 agosto 2021, n. 5765;Cons. St. Sez. 1, 1 febbraio 2019, n. 337;Cons. St. Sez. 1, 21 settembre 2018, n. 2241).
Dunque, posto che le disposizioni relative all’iscrizione nella c.d. white list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per le misure antimafia (comunicazioni ed informazioni) tanto che, come chiarisce l’art. 1, comma 52 bis della L. n. 190 del 2012 (introdotto dall’art. 29, comma 1, d.l. n. 90 del 2014 conv., con mod., dalla I. n. 114 del 2014) “ l’iscrizione nell’elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è stata disposta ”, lo stesso provvedimento ben può negare l’iscrizione nell’elenco dei fornitori scevri da infiltrazioni mafiose e contestualmente dare atto che ciò produce gli effetti anche di un’informazione antimafia interdittiva.
Quanto al fatto che sia stata coinvolta nell’istruttoria la Prefettura di Rimini, ciò, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non dimostra altro che la completezza dell’istruttoria, che ha visto interessata anche la Prefettura ordinariamente competente in ragione della sede della ricorrente. Quest’ultima, peraltro, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha escluso i presupposti per un’interdittiva antimafia, ma ha dato conto dell’informazione interdittiva antimafia disposta il 27 settembre 2019 ( rectius , 2018) dalla Struttura di Missione Prevenzione e Contrasto Sisma istituita presso il Ministero dell’Interno, precisando di non aver disposto alcun ulteriore provvedimento interdittivo, né alcun atto ad esso prodromico (intendendo con ciò precisare che nessuna istanza da esaminare risultava pendente presso la Prefettura di Rimini con riferimento alla -OMISSIS-.).
Parte ricorrente ha, altresì, articolato una debolissima difesa al fine di escludere la ravvisata sussistenza del pericolo di infiltrazioni mafiose, limitandosi a sostenere che la cessione delle quote di proprietà della società dal sig. -OMISSIS- alla moglie non avrebbe potuto essere qualificata come un tentativo di elusione della normativa antimafia, in quanto lo stesso è comunque rimasto amministratore unico della società.
Tale circostanza conferma, invero, la bontà delle conclusioni cui è addivenuta l’Amministrazione, che proprio in considerazione del fatto che l’amministrazione della società è saldamente rimasta in mano del marito della ricorrente e cioè di quello stesso soggetto la cui influenza sulla gestione della società ha condotto all’informazione interdittiva del 2018, dimostra come la cessione delle quote di proprietà della società sia stata esclusivamente un’operazione di facciata.
Quanto alla pretesa, non corretta, valutazione della posizione del sig. -OMISSIS- deve sottolinearsi come, al di là della genericità della censura, il provvedimento risulti adeguatamente motivato desumendo dai precedenti penali del suddetto amministratore, dalla sua vicinanza ad ambienti mafiosi e dal collegamento dei reati commessi con la criminalità organizzata (pur essendo egli stato assolto dallo specifico reato di associazione di tipo mafioso) il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Così respinta la seconda censura, il Collegio esclude che ricorrano i presupposti per sollevare la dedotta questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 91, comma 6, del d.lgs
159/2011. Tale disposizione stabilisce che: “ Il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall'accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall'articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi, entro il termine di cui all'articolo 92, rilascia l'informazione antimafia interdittiva .”.
Secondo parte ricorrente il legislatore avrebbe, nel dettare tale norma, violato i principi costituzionali del giusto processo, del diritto di difesa e della presunzione di non colpevolezza, in quanto essa consentirebbe di superare, con un atto amministrativo, statuizioni assolutorie e comunque di dare applicazione a criteri non conformi alla presunzione di non colpevolezza.
La tesi non convince.
Come affermato dal Consiglio di Stato, il cui orientamento è ormai consolidato (cfr., tra le tante, la sentenza n. 758/2019) “l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.”…omissis… “Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l’evento. L’introduzione delle misure di prevenzione, come quelle qui in esame, è stata dunque la risposta cardine dell’Ordinamento per attuare un contrasto all’inquinamento dell’economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata. Una risposta forte per salvaguardare i valori fondanti della democrazia.” (così si legge nella sentenza del Consiglio di Stato n. 2211/2019).
Il Collegio, dunque, condividendo tali convincimenti, non può che escludere la non manifesta infondatezza della dedotta violazione dei principi costituzionali: condizione essenziale per la proposizione della questione di legittimità costituzionale.
Così respinto il ricorso, le spese del giudizio non possono che seguire l’ordinaria regola della soccombenza.