TAR Lecce, sez. I, sentenza 2012-07-12, n. 201201242

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. I, sentenza 2012-07-12, n. 201201242
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 201201242
Data del deposito : 12 luglio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01523/2011 REG.RIC.

N. 01242/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01523/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1523 del 2011, proposto da:
C S, A C e A D, rappresentati e difesi dall'avv. L D, con domicilio eletto presso Giovanni Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore 16;

contro

Comune di Ceglie Messapica, rappresentato e difeso dall'avv. G V, con domicilio eletto presso Daniela Anna Ponzo in Lecce, via Schipa 35;

per la condanna

del Comune di Ceglie Messapica a corrispondere ai ricorrenti, a titolo di risarcimento/indennizzo ex art. 42 bis comma 3° DPR n. 327/01, un importo pari al valore venale attuale delle aree occupate ed altro importo pari al 5% annuo per tutto il periodo di occupazione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno, il tutto previo ordine al medesimo Comune di Ceglie Messapica di adottare i provvedimenti di acquisizione delle aree ex art. 42 bis comma 1° del DPR n. 327/01;
nonché al pagamento di una somma pari al 10% del valore venale attuale dei beni oggetto di occupazione e successiva acquisizione sanante, a ristoro del pregiudizio non patrimoniale subito;

in subordine, per la condanna del Comune di Ceglie Messapica a pagare ai ricorrenti una somma pari al valore che i beni avevano all’atto dell’intervenuto acquisto a titolo originario, oltre interessi legali sino al soddisfo;

in estremo subordine, per la condanna del Comune di Ceglie Messapica a restituire ai ricorrenti i terreni tuttora illecitamente occupati, previa demolizione di quanto costruito e riduzione in pristino, e a risarcire gli stessi per tutto il periodo di illecita occupazione con una somma pari, per ogni anno, agli interessi legali sul valore venale attuale dei beni, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dall’epoca di maturazione di ogni annualità sino al soddisfo;

per l’adozione di ogni altro provvedimento ex art. 34 c.p.a.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ceglie Messapica;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore per l'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2012 il dott. G E e uditi per le parti i difensori avv.ti Durano e Vitale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

I ricorrenti, quali eredi del sig. Giuseppe Annese, sono proprietari in Ceglie Messapica di alcuni terreni, ubicati in zona definita di completamento urbanistico dallo strumento urbanistico vigente, censiti in catasto alla partita 12559, foglio 50 p.lla 78, e alla partita 18757, foglio 50, p.lle 251 e 906 (ex 424).

Parte di detti terreni vennero appresi dall’Amministrazione comunale in virtù di decreti di occupazione d’urgenza dell’8/6/1981 nn. 4 e 5, per l’esecuzione di opere di urbanizzazione primaria (strade) e per la realizzazione di una scuola materna e di un asilo nido, di cui ai progetti approvati, rispettivamente, con delibere di C.C. n. 272 del 21/6/1980 e di G.M. n. 22 del 2/2/1980.

L’occupazione si è realizzata materialmente in data 20/7/1981 e, nonostante l’esecuzione delle opere previste, non è mai stata completata la procedura espropriativa né si è provveduto al pagamento delle indennità di esproprio e di occupazione.

Con citazione del 21/7/1996 il loro dante causa conveniva quindi in giudizio il Comune di Ceglie Messapica ed il Tribunale di Brindisi, con sentenza parziale del 7 settembre 2005 n. 845, dichiarava l’inesistenza dell’effetto ablativo prodotto dalla c.d. “accessione invertita” e l’inammissibilità della correlata domanda di risarcimento danni e, con sentenza del 23 aprile 2010 n. 343, ha condannato l’Ente al pagamento delle somme riconosciute dovute per la legittima e illegittima occupazione delle aree.

Le sentenze sono state impugnate dal Comune di Ceglie Messapica innanzi alla Corte di Appello di Lecce, che ne ha sospeso l’esecutività.

In seguito i ricorrenti hanno avviato trattative con il Comune e, dopo l’introduzione dell’art. 42-bis al D.P.R. n. 327/01 (art. 34 del d.l. n. 98/2011, convertito con legge n. 111/2011), hanno proposto il presente ricorso, dichiarando di non avere interesse alla restituzione delle aree e chiedendo la corresponsione del risarcimento ex art. 42-bis cit., commisurato al valore venale attuale delle aree occupate, oltre ad un importo pari al 5% annuo per tutto il periodo di occupazione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno e previo ordine al Comune di Ceglie Messapica di adottare i provvedimenti di acquisizione delle aree di cui alla stessa norma del DPR n. 327/01, nonché il pagamento di una somma pari al 10% del valore venale attuale dei beni oggetto di occupazione e successiva acquisizione sanante, a ristoro del pregiudizio non patrimoniale subito.

In subordine, hanno chiesto la condanna del Comune di Ceglie Messapica al pagamento di una somma pari al valore che i beni avevano all’atto dell’intervenuto acquisto a titolo originario, oltre interessi legali sino al soddisfo, ed in via ancora gradata la condanna dell’Ente alla restituzione dei terreni ed al risarcimento per tutto il periodo di illecita occupazione, con una somma pari, per ogni anno, agli interessi legali sul valore venale attuale dei beni, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dall’epoca di maturazione di ogni annualità sino al soddisfo.

Il Comune di Ceglie Messapica si è costituito in giudizio, osservando che è stata riproposta la medesima azione intentata innanzi al Giudice civile e chiedendo in relazione a ciò la sospensione del presente processo, contestando altresì l’applicabilità dell’invocato art. 42-bis del DPR n. 327/01 ed eccependo la prescrizione di ogni diritto e pretesa indennitaria, nonché l’inammissibilità delle domande volte a ottenere il riconoscimento di somme, per le stesse causali, sulle quali si è pronunciato il G.O.

Con successiva memoria del 29/12/2011 sono state esplicitate le difese svolte, insistendo nella richiesta di sospensione del processo ed eccependo il difetto di giurisdizione del G.A., nonché ribadendo l’inapplicabilità dell’art. 42-bis del DPR n. 327/01, eccependo nuovamente la prescrizione di ogni diritto al risarcimento e al pagamento di somme a titolo di indennizzo.

I ricorrenti hanno replicato alle deduzioni dell’Ente con memoria depositata il 18/1/2012.

Le parti hanno prodotto documentazione, afferente alla natura e alle caratteristiche delle aree occupate, e memorie difensive.

All’udienza pubblica del 10 maggio 2012 il ricorso è stato assegnato in decisione.

DIRITTO

In via preliminare, va esaminata la richiesta di sospensione del presente processo, formulata dal resistente Comune sul rilievo che le stesse domande sono state proposte innanzi al Giudice civile, il quale si è pronunciato su di esse con le sentenze sopra riportate, avverso le quali è stato proposto appello.

La richiesta va disattesa.

In relazione alla sospensione necessaria del processo, l’art. 79 c.p.a. rinvia al codice di procedura civile, con riferimento all’art. 295 c.p.c. espressamente indicato al terzo comma, per il quale:

"Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa".

Come chiarito in giurisprudenza, l’istituto non opera in presenza di un collegamento tra i giudizi, ma si applica allorquando sussista un nesso di pregiudizialità, per cui la risoluzione della controversia non può avvenire senza la previa definizione della questione rimessa ad altro Giudice (cfr. da ultimo, T.A.R. Lazio – Sez. II, 27 giugno 2011 n. 5661: “In altri termini, l'applicazione dell'istituto della sospensione necessaria del processo presuppone che la decisione della controversia dipenda dalla definizione di altra causa, richiede cioè non un mero collegamento tra due emanande statuizioni, ma un vincolo di presupposizione, per cui l'altro giudizio, oltre ad essere effettivamente pendente ed a coinvolgere le stesse parti, deve investire una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente logico-giuridico, la soluzione del quale sia determinante, in tutto o in parte, per l'esito della causa da sospendere (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28 settembre 2006 n. 5701)”.

Le domande proposte dai ricorrenti nel presente giudizio appartengono alla giurisdizione del Giudice amministrativo, il quale è tenuto ad esercitarla senza che, nella fattispecie in esame, la sua decisione possa farsi dipendere dall’accertamento del Giudice civile, che non assume evidentemente carattere pregiudiziale.

Né può assumersi l’assoluta identità del petitum e della causa petendi, dal momento che i ricorrenti hanno in questa sede prospettato l’applicabilità del meccanismo dell’art. 42-bis del DPR n. 327/01 (richiedendo espressamente che sia ordinato al Comune di adottare i provvedimenti di acquisizione delle aree: pag. 9 del ricorso), secondo un meccanismo che – sperimentato in talune pronunce del Giudice amministrativo – comporta l’attrazione della controversia nell’ambito della sua giurisdizione esclusiva.

Da quanto esposto deriva l’infondatezza anche dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune di Ceglie Messapica.

La giurisdizione amministrativa si fonda, infatti, sull’art. 133, primo comma, lett. g), cod. proc. amm., poiché nella fattispecie in esame l’amministrazione è entrata in possesso del bene in forza degli specifici atti amministrativi (sopra indicati) di approvazione del progetto e di occupazione di urgenza.

Pertanto, non è rinvenibile in questo caso una totale assenza di titolo e un comportamento della P.A. non riconducibile all’esercizio di un pubblico potere.

Occorre poi precisare che la giurisdizione esclusiva si estende anche alla domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima.

Si osserva che l’art. 133 cit. riserva al G.O. le controversie concernenti la misura delle indennità dovute “in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”.

Tuttavia, la cognizione dell’intera controversia, cioè sia della domanda relativa al risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima sia della domanda relativa all’indennità per il periodo di occupazione legittima, spetta alla giurisdizione esclusiva del G.A., occorrendo privilegiare la concentrazione, innanzi ad esso, di tutte le domande connesse all’occupazione intrapresa, alla stregua del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, dettato da ragioni di logica processuale e dall’esigenza di garantire l’effettività della tutela (cfr., tra le altre, SS.UU., 10 febbraio 2010 n. 2906).

Il Collegio non ignora che la stessa Corte di Cassazione ha ravvisato l’impossibilità di operare lo spostamento della giurisdizione per ragioni di connessione (da ultimo, cfr. la sentenza delle Sezioni Unite del 7 giugno 2012 n. 9185), per cui è stato ritenuto che la domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima resta riservata al G.O. (cfr. Cons. Stato – Sez. IV, 4 febbraio 2011 n. 804).

Sennonché, va precisato che la recentissima decisione della Cassazione, appena citata, a sua volta non ha smentito il precipuo rilievo che assume lo svolgimento della causa innanzi ad un solo Giudice, in ossequio ai precetti costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata (art. 111 Cost.) ed all’esigenza di assicurare la tutela piena ed effettiva del diritto di difesa, garantita dall’art. 24 Cost. (cfr. il punto 13 della sentenza SS.UU. del 7 giugno 2012 n. 9185).

Ciò posto, emerge dagli atti che il Comune di Ceglie Messapica non ha portato a compimento il procedimento di acquisizione del bene di cui i ricorrenti sono proprietari.

Questi ultimi hanno dichiarato di non avere interesse alla restituzione (avanzandone la richiesta solo in via subordinata), reclamando in via principale il risarcimento per la perdita della proprietà del bene, commisurato al suo valore venale, e formulando la domanda di condanna del Comune ad emettere il provvedimento ex art. 42-bis suindicato.

Reputa il Collegio che tale domanda è inammissibile, per l’impossibilità di ordinare un facere alla pubblica amministrazione, tenuto conto che l’art. 42-bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 affida all’Autorità amministrativa la scelta di determinarsi in tal senso, previa valutazione dei contrapposti interessi.

Invero, l’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo ricorso al contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte (compresa la cessione volontaria, regolata dall’art. 45 del T.U. n. 327/01) , nonché mediante lo strumento già previsto dall’art. 43 del T.U. cit. ed ora, successivamente alla sentenza della Corte costituzionale 8 ottobre 2010 n. 293, che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, nuovamente regolamentato all’art. 42-bis dello stesso testo, come introdotto dall’articolo 34, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111.

Allo stato l’amministrazione non ha fatto uso di alcuno dei mezzi giuridici a sua disposizione, rimanendo così integra la situazione di illiceità evidenziata dal ricorrente.

Deve quindi accogliersi la domanda proposta in via subordinata, ordinando al Comune di Ceglie Messapica la restituzione del bene in questione.

Quanto alla domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima e dell’indennizzo per il successivo periodo di illegittima detenzione, il Collegio osserva che il terzo comma dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/01 commisura l’entità del risarcimento, per il mancato godimento del bene, ad una percentuale (5% annuo) del valore venale.

La stessa misura percentuale non può essere adottata anche per calcolare l’indennità di occupazione legittima, poiché tale indennità è commisurata ad un dodicesimo, per anno, del valore del bene dall’art. 50 del d.P.R. n. 327 del 2001.

La domanda di pagamento può, dunque, essere unitariamente esaminata, per tutto il periodo in cui il privato è stato privato del possesso del bene, e cioè dal momento in cui è stata eseguita l’occupazione (con la presa di possesso del 20/7/1981) fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie, ossia sino alla restituzione del bene (salva la possibilità per l’amministrazione di avvalersi in via postuma dello strumento di cui al citato art. 42-bis).

Con riferimento a tale contesto temporale, il Comune va condannato a corrispondere agli aventi diritto una somma da quantificare sulla base del suddetto criterio normativo di cui all’art. 42-bis, comma 3, ossia pari al 5% sul valore dell’area per ogni anno di occupazione illegittima;
all’8,33% per ogni anno di occupazione legittima.

Ai sensi dell’art. 34, quarto comma, c.p.a., l’Ente è tenuto a proporre agli aventi diritto il pagamento della somma, entro 90 (novanta giorni) dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, tenendo conto:

- che l’area possiede il requisito di edificabilità legale, secondo il disposto dell’art. 19, secondo comma, della L.R. n. 3/2005;

- che il valore venale dell’area, per ciascun anno, va determinato con il metodo di stima sintetico-comparativo (analizzando il valore di compravendita, alla stessa epoca, dei beni con caratteristiche similari) o, in mancanza, applicando il coefficiente di rivalutazione ISTAT dei prezzi al consumo sul valore dell’area in un momento precedente;

- che, sulla somma così determinata per ogni anno, va calcolato il 5% in un caso, l’8,33% nell’altro;

- che gli importi dovuti, per gli anni in cui l’occupazione si è legittimamente protratta, vanno maggiorati degli interessi al saggio legale, con decorrenza dall’anno in questione e sino all’effettivo soddisfo;

- che gli importi dovuti, invece, a titolo di risarcimento per l’illecita detenzione (successiva alla scadenza dell’occupazione autorizzata), produttivi di interessi, vanno rivalutati all’attualità, trattandosi debito di valore, applicando i corrispondenti indici ISTAT dei prezzi al consumo.

In tali termini, pertanto, va accolta la domanda di pagamento della indennità di occupazione legittima e dell’indennizzo per il successivo periodo di illecita detenzione.

Sussistono giusti motivi, rappresentati dalla natura particolarmente tecnica della presente controversia, per disporre la compensazione delle spese di lite.

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